TAR Firenze, sez. II, sentenza 2015-10-26, n. 201501415
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 01415/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00642/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 642 del 2015, proposto da:
Flamingo Slot di Dell'Amico Michela, rappresentata e difesa dall'avv. C B, con domicilio eletto presso Laura Innocenti in Firenze, Via L. S. Cherubini n. 13;
contro
Comune di Massa in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. F P, M P, con domicilio eletto presso Domenico Iaria in Firenze, Via dei Rondinelli 2;
Questura di Massa Carrara in persona del Questore pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliata in Firenze, Via degli Arazzieri 4;
Asl 1 - Massa Carrara, non costituita in giudizio
nei confronti di
Ross S.r.l., non costituita in giudizio;
per l'annullamento
a) dell'ordinanza n. 20/2015 del 4 marzo 2015 adottata dal Sindaco del Comune di Massa, avente ad oggetto "disciplina comunale degli orari di esercizio delle sale giochi autorizzate ai sensi dell'art. 86 TULPS e degli orari di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro di cui all'art. 110, 6° comma, installati negli esercizio autorizzati ex artt. 86 e 88 del TULPS, R.D. n. 773/1931";
b) di ogni altro atto e provvedimento ad essa presupposto e conseguente, ivi compresa la "relazione del responsabile del Ser. T della Zona Apuana dell'ASL 1 di Massa Carrara", allo stato ignota ma richiamata per relationem dal provvedimento sub a).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Massa e Questura di Massa Carrara;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2015 il dott. Luigi Viola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ordinanza 1° marzo 2015 n. 20/2015, il Sindaco di Massa emanava una nuova disciplina degli orari di esercizio delle sale giochi ex art. 86 T.U.L.P.S. e di utilizzo degli apparecchi di intrattenimento e svago con vincite in denaro di cui all’art. 110, 6° coma T.U.L.P.S., <<collocati in altre tipologie di esercizi (commerciali, locali o punti di offerta del gioco – Decreto del Direttore Generale dei Monopoli di Stato prot. n. 2011/30011/Giochi/UD del 27 luglio 2011) ex artt. 86 e 88 TULPS>>, limitandone l’apertura alle sole fasce orarie 9,00-12,00 e 18,00-23,00 e, quindi, per sole 8 ore al giorno.
L’ordinanza sindacale era impugnata dalla ricorrente, titolare di autorizzazione ex art. 88 T.U.L.P.S. della Questura di Massa Carrara alla raccolta di giocate tramite apparecchi da gioco lecito (cd. VLT, Video Lottery Terminal) ex art. 110, 6° comma T.U.L.P.S., per: 1) violazione degli artt. 50, 7° comma T.U.E.L. e 31 d.l. n. 201/2011 conv. in l. 214/2011, violazione art. 11 preleggi al c.c., eccesso di potere per carenza ed erronea valutazione dei presupposti;2) violazione degli artt. 50, 7° comma T.U.E.L. e 31 d.l. n. 201/2011 conv. in l. 214/2011, eccesso di potere per carenza ed erronea valutazione dei presupposti, illogicità manifesta;3) violazione degli artt. 50, 7° comma T.U.E.L. e 31 d.l. n. 201/2011 conv. in l. 214/2011, violazione art. 6, 5° comma l. 180/2011, eccesso di potere per carenza ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria;4) violazione degli artt. 50, 7° comma T.U.E.L. e 31 d.l. n. 201/2011 conv. in l. 214/2011, eccesso di potere per carenza ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria;5) violazione degli artt. 50, 7° comma T.U.E.L. e 31 d.l. n. 201/2011 conv. in l. 214/2011, eccesso di potere per carenza ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria, disparità di trattamento;6) violazione degli artt. 50, 7° comma T.U.E.L. e 31 d.l. n. 201/2011 conv. in l. 214/2011, eccesso di potere per carenza ed erronea valutazione dei presupposti, travisamento ed illogicità manifesta, difetto di istruttoria;7) questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, 7° comma T.U.E.L. per violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost., illegittimità in via derivata e consequenziale.
Si costituiva in giudizio il Comune di Massa, controdeducendo sul merito del ricorso;si costituiva altresì in giudizio la Questura di Massa Carrara, con comparsa di mera forma.
Con ordinanza 15 maggio 2015 n. 338, la Sezione dava atto della rinuncia all’istanza cautelare presentata dalla ricorrente alla camera di consiglio del 14 maggio 2015.
All'udienza dell’8 ottobre 2015 il ricorso passava quindi in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato e deve pertanto essere accolto, nei limiti indicati in motivazione.
La prima censura sollevata con il ricorso attiene ad una presunta impossibilità di applicare le previsioni degli artt. 50, 7° comma d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (espressamente individuato, nell’ordinanza impugnata, come fonte del potere in concreto esercitato) e 31 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214 (che viene a completare la sistematica normativa della materia) alle autorizzazioni preesistenti all’intervento della disciplina limitativa;a base della censura vengono posti alcuni passi di Corte cost. 18 luglio 2014, n. 220 che, pur considerando costituzionalmente compatibile il potere del Sindaco di regolamentare gli orari di apertura delle sale-giochi, ne avrebbe ristretto l’applicabilità, nella prospettazione della ricorrente, solo alle nuove autorizzazioni, in virtù di un passo dal tenore inequivocabile: <<il dato testuale appare insuperabile nel richiamo all'«apertura» di «nuovi» esercizi commerciali. Il presupposto applicativo del principio generale, nonché delle sue deroghe, appare costituito proprio dalla «novità» degli esercizi commerciali ai quali si riferisce la disposizione>>.
La censura non può trovare accoglimento;la ricorrente propone, infatti, una lettura della sentenza 18 luglio 2014, n. 220 della Corte costituzionale che non coglie la complessità dei problemi affrontati dal Giudice delle leggi.
Come facilmente riscontrabile dalla lettura della decisione, la sentenza della Corte costituzionale sopra richiamata si è occupata di due problematiche, sicuramente connesse, ma caratterizzate da importanti spazi di autonomia;la prima attiene alla possibilità, per i Sindaci, di regolamentare gli orari di apertura delle sale-giochi, considerata costituzionalmente compatibile, sulla base di una lettura, già anticipata dalla giurisprudenza amministrativa e fondata sugli artt. 50, 7° comma d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e 31, 1° comma del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214;la seconda, alla possibilità di prevedere limiti alla localizzazione delle sale giochi (introducendo una distanza minima tra le sale o rispetto a luoghi “sensibili”), anche in questo caso, “salvata” dalla Corte costituzionale, ma con la limitazione sopra citata.
In buona sostanza, la limitazione alle sole sale-giochi di nuova istituzione non è stata richiamata dalla Corte costituzionale con riferimento alla disciplina degli orari di apertura (che, per definizione, deve operare su esercizi già esistenti e non può essere limitata ai soli esercizi di nuova istituzione), ma con riferimento ad una disciplina che impone limiti territoriali alla stessa apertura di nuovi competitori (e che pertanto è strutturalmente ed ovviamente applicabile solo agli esercizi di nuova apertura).
La conclusione deriva da una lettura obiettiva della sentenza della Corte costituzionale ed è ulteriormente chiarita (ove mai ve ne fosse bisogno) dal passaggio motivazionale (punto 6.1 della decisione) immediatamente precedente a quello citato dalla ricorrente, in cui la Corte chiarisce che, con riferimento alla problematica dei limiti territoriali a nuove aperture, la norma di riferimento non è il primo comma dell’art. 31 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214 (che, modificando l’art. 3, 1° coma lett. –bis del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in l. 4 agosto 2006, n. 248, incide sulla disciplina degli orari degli esercizi commerciali), ma il secondo comma che interviene sulla ben diversa problematica della <<libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura>>;si tratta pertanto di due problematiche sostanzialmente diverse, trattandosi, in un caso (potere di disciplinare gli orari di apertura), di un potere di carattere generale affermato dalla Corte costituzionale con riferimento a tutti gli esercizi e nel secondo (limitazioni territoriali all’apertura) di un potere ovviamente esercitabile nei confronti dei nuovi esercizi e non opponibile a chi sia già stato autorizzato in precedenza.
Discorso sostanzialmente analogo per l’altra sentenza posta a base del motivo di ricorso (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 16 gennaio 2015, n. 149) che, come desumibile dalla lettura della decisione, si riferisce ad una problematica di nuovo posizionamento di apparecchi per il gioco in esercizio già autorizzato e non alla diversa problematica degli orari di apertura.
2. Anche il secondo motivo di ricorso, fondato sulla lettura delle sentenze 30 giugno 2014, n. 3271 e 3272 della V Sezione del Consiglio di Stato, è infondato e deve pertanto essere rigettato.
A questo proposito, non può essere certo negato che le due decisioni contengono un passo che potrebbe portare a concludere per la natura spazialmente e temporalmente limitata del potere di disciplinare gli orari di apertura delle sale giochi (<<allorquando un comune ritiene di dover contrastare la lesione di specifici interessi pubblici degni di tutela, ha il potere di emanare ordinanze mirate, con effetti spaziali e temporali limitati>>);altrettanto vero è però che i passi precedenti delle sentenze citate seguono una struttura argomentativa che delinea un potere Sindacale di regolamentazione degli orari di apertura, certo finalizzato alla tutela di interessi di particolare rilevanza e specificamente individuati dalla legge (ed in questo senso, limitato), ma che non presenta certo la strutturale limitazione solo a determinati esercizi o ad un determinato periodo di tempo prospettata dalla ricorrente: <<le amministrazioni comunali possono, invero, regolare l'attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, a termini dell'art. 50, comma 7, del D.lgs. 267/2000, graduando, in funzione della tutela dell'interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico.
Tuttavia, tale potere è stato ridimensionato nei suoi contenuti dall'art. 31 del D.L. 201/2011, convertito nella legge 214/2011 (c.d. decreto "salva Italia"), che ha riformato l'art. 3 del D.L. 223/2006 statuendo, che "le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni ... (quali) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio".
L'art. 3 del D.L. n. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011, sempre in tema di abrogazione delle restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche, ha poi disposto che "l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge", affermando un principio, derogabile soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che nella specie non possono ritenersi incisi.
La circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all'amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica;tuttavia, ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che non possono considerarsi violati aprioristicamente e senza dimostrazione alcuna>>(Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2014, n. 3271 e 3272).
La frase citata da parte ricorrente si riduce pertanto ad un refuso che non incide sulla motivazione di due decisioni, per il resto, destinate all’affermazione di un potere di regolamentazione degli orari di apertura delle sale-giochi, come nel caso di specie, esteso a tutto il territorio comunale e caratterizzato dalla natura tendenzialmente permanente.
Del resto, si tratterebbe comunque di una limitazione che non troverebbe alcun appiglio testuale nella formulazione degli artt. 50, 7° comma d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e 31, 1° comma del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214 (che non delineano un potere temporalmente e territorialmente limitato) e che non risulta più richiamata nelle più recenti decisioni della Corte costituzionale (la già citata Corte cost. 18 luglio 2014, n. 220) e del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. V, 1° agosto 2015, n. 3778), che delineano sicuramente un potere di disciplina esteso a tutto il territorio comunale e non temporalmente o spazialmente limitato.
3. Con riferimento al terzo motivo di ricorso è poi sufficiente rilevare come la stessa ricorrente non individui espressamente quali siano le associazioni rappresentative dei gestori non consultate prima dell’adozione dell’ordinanza impugnata;in questa prospettiva, la censura, dal carattere formalistico ed astratto, non può pertanto trovare accoglimento.
In ogni caso, la Sezione non può mancare di rilevare come:
a) la consultazione delle associazioni rappresentative dei gestori non sia per nulla imposta dagli artt. 50, 7° comma d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e 31, 1° comma del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214 (che, come già rilevato, regolamentano il potere in concreto esercitato);
b) l’obbligo di procedere alla consultazione delle associazioni rappresentative dei gestori non possa neanche essere desunto, in mancanza di disposizioni specifiche, dai principi generali rientrando la fattispecie in decisione nell’esenzione dalla partecipazione dettata per i procedimenti di approvazione di atti generali prevista dall’art. 13 della l. 7 agosto 1990, n. 241 (T.A.R. Lazio, Latina, 16 settembre 2015, n. 616);
c) la previsione dell’art. 6, 5° comma della l. 11 novembre 2011, n. 180 (norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese) non sia automaticamente applicabile, essendo condizionata all’intervento di ulteriori determinazioni amministrative destinate ad istituire e regolamentare le forme di consultazione (decisioni preliminari neanche individuate dalla ricorrente e, probabilmente, non operative nel caso del Comune di Massa).
4. Per quello che riguarda il quarto motivo di ricorso, la Sezione non ha alcuna ragione per discostarsi dall’orientamento più recente del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. V, 1° agosto 2015, n. 3778) e del Giudice amministrativo (T.A.R. Veneto, sez. III, 16 luglio 2015. n. 811) che ha escluso che la mancanza degli indirizzi previamente espressi dal Consiglio comunale possa inficiare, ex art. 50, 7° comma d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, l’ordinanza di disciplina degli orari emanata dal Sindaco: <<per la dedotta mancanza di indirizzi espressi dal consiglio comunale, va ricordato il riparto di competenze nell'ambito dell'amministrazione comunale tra i vari organi e nel caso di specie tra sindaco e consiglio comunale, che -a differenza della Giunta- non è presieduto dal Sindaco.
A fronte del comportamento omissivo dell'organo consiliare, non può condividersi l'assunto di parte appellante, secondo cui tale carenza avrebbe precluso al Sindaco di provvedere in subiecta materia.
In realtà, l'approvazione di indirizzi espressi da parte del consiglio comunale avrebbe determinato soltanto una limitazione dell'ambito di discrezionalità sindacale in ordine all'adozione di tale tipologia di provvedimenti, dovendo tener conto anche delle indicazioni fornite dall'organo collegiale.
Invece, la loro mancata approvazione, lungi dal paralizzare l'attività del Sindaco, titolare del relativo potere di ordinanza, evenienza tale da configurare una palese violazione del principio costituzionale ex art. 97 Cost. di buon andamento della pubblica amministrazione, ha semplicemente comportato per l'organo monocratico un legittimo e più ampio esercizio della propria discrezionalità nell'individuazione delle misure ritenute più efficaci per il perseguimento delle suindicate finalità senza la fissazione di alcun vincolo da parte del Consiglio………..Diversa sarebbe stata la situazione se il consiglio comunale avesse fornito degli indirizzi, disattesi dal sindaco ed in tal caso, esulante dalla presente controversia, sarebbe stato necessario accertare le conseguenze della violazione delle statuizioni consiliari da parte del Sindaco e la loro incidenza in ordine alla legittimità degli atti eventualmente adottati>>(Cons. Stato, sez. V, 1° agosto 2015, n. 3778).
Nel caso di specie, la mancanza degli indirizzi espressi dal Consiglio comunale, lungi dal determinare l’automatica illegittimità dell’ordinanza Sindacale, ha pertanto determinato un sostanziale ampliamento del potere discrezionale di decisione del Sindaco che deve essere sindacato secondo gli ordinari criteri di valutazione dell’attività discrezionale della pubblica amministrazione e sulla base delle specifiche contestazioni mosse dalla ricorrente con i successivi motivi di ricorso.
5. Il quinto e sesto motivo di ricorso sono poi caratterizzati da una base logica comune e pertanto devono essere trattati congiuntamente ed accolti, in quanto fondati nel merito.
A questo proposito, si è ormai formato, a partire dalla sentenza 18 novembre 2011, n. 1784 della Sezione (per la verità, riferita ad un provvedimento contingibile ed urgente, ma affermante principi pienamente validi anche nell’ipotesi della regolamentazione sindacale degli orari di apertura), un consolidato orientamento giurisprudenziale che ha rilevato come <<l'intervento dell'autorità in materia di apertura delle sale giochi deve contemplare un accurato bilanciamento tra valori ugualmente sensibili (il diritto alla salute e l'iniziativa economica privata), sulla scorta di approfondite indagini sulla realtà sociale della zona e sui quartieri limitrofi, con l'acquisizione di dati ed informazioni - il più possibile dettagliati ed aggiornati - su tendenze ed abitudini dei soggetti coinvolti>>(T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 31 agosto 2012 n. 1484;T.A.R. Lazio, Latina, 16 settembre 2015, n. 616);a questo proposito, sono pertanto da ritenere insufficienti i generici riferimenti a <<non meglio specificati “studi clinici” in ordine alle dipendenze patologiche da gioco>>(T.A.R. Toscana, sez. II, 18 novembre 2011, n. 1784) o altri generici riferimenti.
Nel caso di specie, l’intera istruttoria esperita dall’Amministrazione comunale di Massa si esaurisce, in buona sostanza, nella sola mail 25 febbraio 2015 proveniente dall’A.U.S.L. competente (doc. 5 del deposito dell’Amministrazione comunale) e in un generico parere favorevole del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, del tutto carente di motivazione;in particolare, la mail dell’A.U.S.L. 1 di Massa Carrara sopra richiamata opera un generico riferimento a studi epidemiologici di vari enti, operandone una mera trasposizione statistica alla Provincia di Massa Carrara, senza però mai evidenziare dati specifici relativi alla Città di Massa;sono poi riportati i dati relativi alle persone (circa un centinaio) in trattamento nella Provincia di Massa Carrara, senza evidenziare (cosa che doveva riuscire abbastanza facile) quale possa essere l’incidenza del fenomeno a livello comunale.
In buona sostanza è pertanto mancata una seria valutazione dell’incidenza del fenomeno a livello cittadino, della gravità dello stesso sotto il profilo patologico, sociale ed economico e della diversa domanda di giochi (scommesse;videogiochi, ecc.) presente sul territorio.
La carenza istruttoria non è poi sostanzialmente colmata dalla prolissa motivazione apposta all’atto impugnato che, da un lato, si limita a riepilogare dati normativi e fattuali relativi alla rilevanza della lotta alla ludopatia (del tutto scontati in questo contesto) e, dall’altro, a richiamare dati elaborati da un quotidiano (“Il Tirreno”) ovvero provenienti da una fonte alla quale non può essere attribuita alcuna autorevolezza scientifica;del tutto immotivata e carente di una dimostrazione specifica è poi la rilevazione della necessità di riportare gran parte della dipendenza da gioco presente sul territorio <<alle apparecchiature per il gioco di cui all’art. 110, comma 6 TULPS>>.
È pertanto completamente mancata una seria rilevazione della consistenza delle problematiche legate alla ludopatia sul territorio del Comune di Massa (essendo a questo proposito, insufficienti i dati elaborati a livello provinciale) e della stessa composizione della domanda di gioco presente sul territorio;in questa prospettiva, l’ordinanza impugnata rivela la propria illegittimità, sia in termini generali, sia nella parte in cui ha sottoposto ad una disciplina limitativa in materia di orari gli apparecchi per il gioco di cui all’art. 110, 6° comma T.U.L.P.S. (ritenuti più pericolosi e diffusi sul territorio) e non altre forme di gioco o scommessa, in astratto, altrettanto pericolose.
A questo proposito, non coglie peraltro nel segno l’obiezione della difesa del Comune di Massa;la proposizione della censura si giustifica, infatti, non nella prospettiva dell’estensione ad altre forme di gioco o scommessa della disciplina limitativa (risultato con riferimento al quale non può essere riconosciuto un qualche interesse tutelato in capo alla ricorrente), ma nella diversa prospettiva della dimostrazione (in questo caso, riuscita) della superficialità dell’istruttoria e dell’illogicità complessiva della disciplina degli orari emanata dal Comune di Massa.
Le censure devono pertanto essere accolte e deve essere disposto l’annullamento dell’atto impugnato.
6. La questione di legittimità costituzionale posta base del settimo motivo di ricorso deve poi essere dichiarata manifestamente infondata.
A questo proposito, appare del tutto sufficiente il richiamo per relationem delle argomentazioni contenute in Corte cost. 18 luglio 2014, n. 220 e Cons. Stato, sez. V, 1° agosto 2015, n. 3778 in ordine alla finalizzazione della normativa (artt. 50, 7° comma d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e 31, 1° comma del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214) posta a base del potere in concreto esercitato dal Comune di Massa alla tutela di interessi primari (primi fra tutti l’ordine pubblico e l’interesse alla prevenzione della ludopatia) ed alla consequenziale legittimità di una disciplina che incide indubbiamente sulla libertà di impresa: <<la stessa giurisprudenza di questa Sezione (sentenza n. 3271/2014) ha riconosciuto che il regime di liberalizzazione degli orari dei pubblici esercizi, applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all'amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica;con la precisazione, tuttavia, che ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati dall'art. 31, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del 2011 (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute).
Pertanto una lettura coordinata della giurisprudenza costituzionale ed amministrativa porta a disattendere le prospettate censure di violazione degli artt. 118 e 32 Cost., in ordine al quale parte appellante ha richiamato anche il D.L. n. 158/2012, convertito con L. n. 189/2012 a supporto della esclusiva competenza statale, invano invocato anche nel giudizio di costituzionalità, conclusosi con la suindicata decisione della Corte n. 220/2014, che non ha in alcun modo dato rilevanza a tale normativa per denegare la competenza sindacale in subiecta materia.
Così pure vanno disattese le dedotte violazioni dell'art. 41 Cost. per lesione della libertà costituzionale di iniziativa economica ed imprenditoriale, ribadita ed ampliata anche con il D.L. n. 138/2011, convertito in L. n. 148/2011 e, sotto un diverso profilo, quelle in riferimento all'asserita competenza esclusiva statale in materia di « tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.).
In realtà la formulazione dell'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, preordinato ad "armonizzare l'espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti" consente un intervento ad ampio spettro da parte del Sindaco anche in ordine alla disciplina degli orari di apertura delle sale da gioco a tutela delle fasce più deboli della popolazione, ivi compresi in primis gli adolescenti, in funzione di prevenzione della c.d. ludopatia, i quali, anche se non espressamente indicati negli impugnati provvedimenti, sono i destinatari principali tutelati con le impugnate ordinanze sindacali come facilmente desumibile - ed il Collegio recepisce e fa proprio il suggerimento della Corte di un'interpretazione estensiva per una "adeguata utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce al giudice" - dalla disamina dell'articolazione dell'orario di apertura delle sale giochi, ripartito in due categorie, periodo scolastico e non scolastico e con la fissazione di un'orario di apertura più ristretto a partire dalle ore tredici durante l'anno scolastico con l'evidente e condivisibile finalità di arginare il fenomeno dell'evasione scolastica e di tutelare concretamente la salute delle fasce più deboli o più esposte della popolazione locale, cui sono tenuti anche i Comuni, ai sensi del combinato disposto dell'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, quale interpretato dalla sentenza n. 220 del 2014 della Corte costituzionale>>(Cons. Stato, sez. V, 1° agosto 2015, n. 3778).
Nel caso di specie, i profili valorizzati dalla ricorrente con l’ultima censura di ricorso si riferiscono, per un verso, all’esercizio del potere discrezionale del Sindaco (e pertanto hanno trovato accoglimento in sede di sindacato di legittimità, come sopra rilevato) e, per l’altro, a profili (estensione temporalmente e territorialmente non limitata del potere esercitato dal Sindaco; mancata previsione dell’intervento obbligatorio del Consiglio comunale e della consultazione obbligatoria delle associazioni di categoria) che non modificano sostanzialmente l’approccio alla problematica finora praticato e che ha già portato a concludere per l’infondatezza, prima e la manifesta infondatezza, poi, delle questioni di costituzionalità.
Il ricorso deve pertanto essere accolto e deve essere disposto l’annullamento del provvedimento impugnato;la reciproca soccombenza sui motivi di ricorso e la sostanziale novità di alcune delle questioni trattate per la giurisprudenza della Sezione giustificano la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.