TAR Genova, sez. I, sentenza 2021-01-12, n. 202100019

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. I, sentenza 2021-01-12, n. 202100019
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 202100019
Data del deposito : 12 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/01/2021

N. 00019/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00801/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 801 del 2019, proposto da
Associazione per la Promozione degli Spazi Sociali Autogestiti, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato R F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Genova, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M P P e C C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

dell’ingiunzione di rilascio prot. n. 305048 del 3.9.2019, notificata il 5.9.2019, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Genova;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza del giorno 2 dicembre 2020, la dott.ssa L F e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale, mediante collegamento da remoto, ai sensi degli artt. 25, comma 1, del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137 e 4, comma 1, del d.l. 30 aprile 2020 n. 28;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato il 24 ottobre 2019 e depositato il 14 novembre 2019 l’Associazione per la Promozione degli Spazi Sociali Autogestiti ha impugnato l’ingiunzione di rilascio di un immobile di civica proprietà.

La ricorrente ha dedotto cinque motivi, così sinteticamente riassumibili:

I) L’Amministrazione avrebbe illegittimamente omesso di inviare la comunicazione di avvio del procedimento e di dichiarare l’avvenuta decadenza della concessione. Né potrebbe trovare applicazione l’art. 21- octies , comma 2, della legge n. 241/1990, giacché il Comune avrebbe potuto adottare un provvedimento diverso.

II) Nell’atto gravato l’ente locale avrebbe affermato di voler recuperare il possesso del fabbricato al fine di destinarlo ad isola ecologica per

AMIU

Genova s.p.a.: ciò comporterebbe una violazione delle precedenti delibere di Giunta che avrebbero vincolato il bene a pubblico servizio per uso sociale, stabilendo di concederne la fruizione al Centro sociale “Terra di Nessuno”.

III) L’adibizione dell’immobile a centro di raccolta dei rifiuti si porrebbe in contrasto con le previsioni del P.U.C. e con il parere contrario del Municipio competente;
inoltre, comporterebbe nella zona un aumento del traffico veicolare difficilmente gestibile. L’ordine di sgombero risulterebbe altresì affetto da sviamento di potere, giacché troverebbe la sua reale origine in ragioni di natura politica.

IV) L’immobile in contestazione rientrerebbe nel patrimonio disponibile del Comune di Genova, con la conseguenza che la procedura di riacquisizione in autotutela ex art. 823 c.c. sarebbe illegittima e che, per recuperare il bene, l’Amministrazione dovrebbe adire l’autorità giudiziaria ordinaria. In alternativa, qualora l’immobile venisse qualificato come indisponibile, ciò significherebbe che l’attività del Centro sociale “Terra di Nessuno” costituisce un servizio pubblico e che, pertanto, in base ai principi di doverosità, continuità, universalità ed economicità, i funzionari civici non potrebbero interrompere tale attività, a pena di incorrere in responsabilità penale, né potrebbero disporre il rilascio del bene senza assegnare al Centro medesimo una nuova sede.

V) L’ingiunzione oppugnata non indicherebbe che il titolo concessorio non è più valido, con una serie di conseguenze: i) il mancato pagamento dei canoni non potrebbe condurre alla revoca dell’atto concessorio, perché la morosità non sarebbe mai stata contestata per iscritto;
ii) le spese sostenute dal concessionario per la manutenzione dell’immobile supererebbero l’ammontare dei canoni non versati;
iii)-iv) dopo la scadenza del 31 dicembre 2016 il Comune nulla avrebbe comunicato, sì che la concessione sarebbe stata tacitamente rinnovata o, comunque, il Centro sociale “Terra di Nessuno” avrebbe occupato di fatto l’immobile, maturando un legittimo affidamento a proseguire in loco le sue attività socio-culturali e ricreative.

Il Comune di Genova si è costituito in giudizio, sostenendo che il ricorso sarebbe inammissibile e, in ogni caso, infondato nel merito.

Le parti hanno ribadito le proprie argomentazioni con successive memorie, insistendo nelle rispettive conclusioni.

La causa è stata assunta in decisione nell’udienza del 2 dicembre 2020, svoltasi mediante collegamento da remoto ai sensi degli artt. 25, comma 1, del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137 e 4, comma 1, del d.l. 30 aprile 2020 n. 28.

DIRITTO

1. Vanno preliminarmente scrutinate le eccezioni di inammissibilità del gravame sollevate dalla difesa civica, tendenti ad evidenziare la carenza di legittimazione e di interesse dell’Associazione ricorrente.

I rilievi processuali sono fondati.

Occorre premettere che l’Associazione per la Promozione degli Spazi Sociali Autogestiti era stata costituita il 1° giugno 2011 su impulso di don Andrea Gallo, nominato Presidente della stessa Associazione, con lo scopo statutario di consentire ai centri sociali c.d. autogestiti cittadini di ottenere dal Comune l’assegnazione di spazi ove dare corso alle proprie iniziative socio-culturali (cfr. docc.

2-3 ricorrente).

L’Amministrazione civica aveva quindi affidato in concessione all’ente associativo un compendio immobiliare sito in via Bartolomeo Bianco n. 4, affinché fosse adibito a sede del Centro giovanile autogestito “Terra di Nessuno”, oltre ad altri due immobili ubicati in via Fossato di Cicala n. 22r e in corso Quadrio n. 1 per altrettanti centri sociali (cfr. determinazione dirigenziale in data 5.12.2011, doc. 23 resistente).

Nel disciplinare della concessione riguardante il bene in contestazione era prevista una durata di cinque anni e un mese, dal 1° dicembre 2011 al 31 dicembre 2016, con esclusione di qualsiasi forma di rinnovo tacito (cfr. artt. 2 e 9 concessione-contratto in data 6.12.2011, doc. 20 resistente). Era stato altresì fissato un canone ridotto del 90%, pari ad € 1.200,00 annui, da corrispondersi in rate mensili, consentendo lo scomputo dal dovuto delle spese per lavori di miglioria e per l’eventuale completamento di alcune parti dell’edificio (cfr. artt. 3 e 5 concessione-contratto in data 6.12.2011).

Sennonché, deceduto il Presidente d G nel maggio 2013 ed esaurito il credito di € 13.960,00 per gli interventi realizzati presso l’immobile in questione e presso le altre due strutture sopra ricordate, l’Associazione non ha mai provveduto al versamento dei canoni concessori (cfr. lettera di contestazione del Comune in data 5.6.2013, doc. 5 resistente). Pertanto, dopo avere inviato apposita raccomandata di messa in mora il 18 dicembre 2013 (doc. 6 resistente), in data 1° agosto 2014 il Comune ha notificato all’Associazione un atto di ingiunzione ai sensi del r.d. n. 639/1910 (doc. 9 resistente).

Con lettera datata 28 ottobre 2014 e pervenuta il 30 ottobre 2014, l’Associazione per la Promozione degli Spazi Sociali Autogestiti (nella persona degli associati L S e L Q P) ha allora trasmesso agli uffici comunali una comunicazione di “ disdetta ”, dichiarando di “ recedere anticipatamente, con effetto immediato, dai contratti di locazione ” relativi ai tre immobili in concessione. A fondamento dell’atto di recesso l’Associazione ha addotto “ gravi motivi ” consistenti nel fatto di essere “ ad oggi non più realizzabili i propri scopi sociali ”, aggiungendo che l’ente collettivo sarebbe stato sciolto in pari data (doc. 10 resistente).

Alla luce di quanto esposto, ritiene il Collegio che l’Associazione deducente sia sfornita della legittimazione e dell’interesse a ricorrere avverso l’ingiunzione di rilascio dell’immobile di cui è causa.

Sotto il primo profilo si osserva che, secondo il consolidato orientamento pretorio, un’associazione è legittimata ad agire in giudizio per la tutela dell’interesse leso dal provvedimento asseritamente illegittimo se è iscritta negli speciali elenchi istituiti dal legislatore o, in mancanza, se risulta in possesso del requisito dell’effettiva rappresentatività di interessi superindividuali o diffusi, vale a dire dell’attitudine ad esprimere le esigenze di una o più categorie di cittadini.

Gli indici elaborati dalla giurisprudenza per fornire prova della rappresentatività dell’ente associativo consistono nell’effettivo e non occasionale impegno a favore della tutela di determinati interessi diffusi o superindividuali, nell’esistenza di una previsione statutaria che qualifichi detta protezione come compito istituzionale dell’associazione e nella rispondenza del paventato pregiudizio agli interessi giuridici protetti posti al centro principale dell’attività dell’associazione (cfr., ex multis , Cons. St., ad. plen., 20 febbraio 2020, n. 6;
Cons. St., sez. V, 12 marzo 2019, n. 1640;
C.G.A. Reg. Sic., sez. giur., 16 ottobre 2012, n. 933;
T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 29 luglio 2015, n. 1158).

Orbene, nella fattispecie in esame risulta evidente la mancanza dello svolgimento continuativo e non estemporaneo dell’azione di protezione degli interessi dei centri sociali autogestiti cittadini.

Come si è visto, infatti, dopo avere trascurato il versamento dei canoni concessori per oltre un anno, nell’ottobre 2014 l’Associazione ha deliberatamente abdicato al ruolo per il quale era stata costituita, comunicando la “disdetta” dei rapporti concessori in forza dei quali i tre centri giovanili potevano disporre delle sedi per le proprie iniziative e dichiarando expressis verbis l’impossibilità di conseguire lo scopo sociale statutariamente stabilito.

La stessa Associazione ricorrente ammette che, dopo tale data e sino alla notifica del provvedimento di riacquisizione nel settembre 2019, non ha svolto alcuna attività, limitandosi a rilevare di non essersi mai formalmente sciolta. Ma una simile situazione, se potrebbe forse consentire una prorogatio in relazione ad eventuali cause già pendenti (sempre previa verifica della persistenza dell’interesse al ricorso), non può certo legittimare l’Associazione ad insorgere avverso un provvedimento adottato a distanza di anni dal momento nel quale la stessa ha cessato di fatto di operare.

Parimenti, è dubitabile che la ricorrente sia portatrice di un proprio, concreto ed attuale interesse ad agire. Infatti, la decisione assunta dall’Associazione nel 2014 di recedere dalle concessioni degli immobili e la successiva totale inattività per un intero lustro palesano un evidente disinteresse per le sorti dei centri sociali. Né appare chiaro quale vantaggio giuridicamente apprezzabile ritrarrebbe l’Associazione dall’annullamento dell’ordine di rilascio, atteso che la stessa si è ridestata improvvisamente al solo scopo di intraprendere il presente ricorso e non ha allegato (né, tantomeno, provato) alcun elemento indicativo di una rinnovata opera in favore della comunità giovanile occupante il bene.

2. Per completezza, va rilevato che, in ogni caso, l’impugnativa è palesemente infondata nel merito.

Occorre anzitutto chiarire la natura giuridica dell’immobile in contestazione, perché la ricorrente da un lato sostiene che rientrerebbe nel patrimonio disponibile del Comune, deducendo la carenza di potere dell’amministrazione procedente (prima parte del IV motivo), e dall’altro lato afferma che si tratterebbe di un bene patrimoniale indisponibile, articolando conseguentemente la maggior parte delle censure (motivi I, II, III, seconda parte del IV e V).

Orbene, il compendio immobiliare sito in via Bartolomeo Bianco n. 4, costituito da un fabbricato e da un terreno pertinenziale di circa mq. 2.180 (cfr. atto di acquisto del Comune in data 30.6.1997, doc. 2 resistente), è un bene indisponibile per destinazione, in quanto:

a) in virtù della deliberazione della Giunta comunale n. 43 del 17 febbraio 2011 è stato formalmente sottoposto al vincolo di “ interesse cittadino ”, nonché inserito nell’elenco dei beni patrimoniali indisponibili destinati a pubblico servizio per “ uso associativo ” e, segnatamente, per l’erogazione di servizi di pubblico interesse alla collettività, prevedendone contestualmente l’assegnazione al Centro giovanile autogestito “Terra di Nessuno” (doc. 4 resistente);
inoltre, come si evince dall’allegato A alla deliberazione della Giunta comunale n. 91 del 13 aprile 2012, il bene risulta iscritto nel registro inventario fra i beni indisponibili con il codice partita “ IND 509 ” (doc. 8 ricorrente);

b) come pacifico in causa, l’immobile è stato effettivamente utilizzato per fornire servizi di rilevante interesse sociale ai giovani e alla cittadinanza in generale.

Pertanto, sussistono entrambe le condizioni necessarie, secondo la giurisprudenza, per l’inclusione del bene nel patrimonio indisponibile comunale, vale a dire la manifestazione di volontà dell’amministrazione, desumibile da un atto amministrativo espresso, di destinare il bene a pubblico servizio (c.d. requisito soggettivo), nonché l’effettiva adibizione del bene a tale uso (c.d. requisito oggettivo) (per casi analoghi cfr., ex multis , Cons. St., sez. V, 24 gennaio 2019, n. 596;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 24 novembre 2020, n. 12430;
T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 20 gennaio 2020, n. 51).

In conseguenza di ciò, l’ente resistente ha correttamente deciso di esercitare i poteri c.d. di polizia demaniale e avviare il procedimento di riacquisizione in autotutela ai sensi dell’art. 823, comma 2, c.c., utilizzabile, oltre che per i beni demaniali, anche per quelli patrimoniali indisponibili (cfr., ex plurimis , Cons. St., sez. I, parere n. 1234 in data 30 giugno 2020;
Cons. St., sez. V, 24 gennaio 2019, n. 596, cit.;
Cons. St., sez. V, 1° ottobre 1999, n. 1224;
Cons. St., sez. V, 22 novembre 1993, n. 1164;
Cons. St., sez. IV, 25 novembre 1991, n. 969;
T.A.R. Sardegna, sez. I, 27 ottobre 2017, n. 676).

3. Ciò posto, risultano destituite di fondamento tutte le censure sollevate nei confronti dell’ingiunzione oppugnata.

3.1. Per quanto concerne la mancata comunicazione di avvio del procedimento (I motivo) si osserva che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, le garanzie procedimentali di cui agli artt. 7 e segg. della legge n. 241/1990 sono poste a tutela di interessi concreti e non devono risolversi in inutili aggravi. In particolare, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento non va inteso in senso formalistico, ma risponde all’esigenza di provocare l’apporto collaborativo dell’interessato e viene meno qualora nessuna effettiva influenza avrebbe potuto avere la partecipazione di questo rispetto alla concreta portata del provvedimento finale (come peraltro prevede l’art. 21- octies , comma 2, della stessa legge n. 241/1990);
anche perché in tal caso la partecipazione non solo sarebbe inutile, ma finirebbe per contraddire i fondamentali canoni di efficienza e speditezza del procedimento amministrativo (in argomento cfr., ex plurimis , Cons. St., sez. II, 20 dicembre 2019, n. 8638;
Cons. St., sez. II, 30 maggio 2019, n. 3611;
Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2019, n. 2052;
Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2017, n. 2855;
Cons. St., sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2509).

È stato pertanto espressamente precisato che l’atto di esercizio del potere di autotutela esecutiva ha carattere vincolato, in quanto si fonda sull’occupazione sine titulo del bene pubblico, con la conseguenza che la comunicazione di avvio del relativo procedimento risulta superflua, non ravvisandosi alcuno spazio utile per un’eventuale cooperazione del privato (in tal senso, ex multis , Cons. St., sez. V, 2 ottobre 2020, n. 5779;
Cons. St., sez. IV, 16 ottobre 2001, n. 5461;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 2 novembre 2020, n. 11251;
T.R.G.A. Bolzano, 4 dicembre 2019, n. 295;
T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 16 aprile 2019, n. 615;
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 14 gennaio 2014, n. 145;
T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 23 settembre 2013, n. 1924).

3.2. Nel caso in esame l’attivazione della tutela recuperatoria pubblicistica si fonda legittimamente sul mancato versamento dei canoni a decorrere dal maggio 2013 e sull’avvenuta scadenza della concessione in data 31 dicembre 2016, ragioni entrambe idonee a sorreggere l’atto (sul punto cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 24 novembre 2020, n. 12430, cit.).

In particolare, contrariamente a quanto asserito dall’Associazione ricorrente (con il V motivo), dalla documentazione versata in atti emerge che:

- l’omesso versamento dei canoni è stato tempestivamente contestato dal Comune dapprima con lettera in data 5 giugno 2013 (doc. 5 resistente) e, successivamente, con raccomandata di messa in mora in data 18 dicembre 2013 (doc. 6 resistente), cui ha fatto seguito il 1° agosto 2014 un atto di ingiunzione ai sensi del r.d. n. 639/1910 (doc. 9 resistente);

- il Comune ha correttamente provveduto a scomputare il credito dell’Associazione per gli interventi posti in essere presso gli immobili in concessione, pari ad € 13.960,00, con i canoni dovuti sino al mese di aprile 2013 (cfr. doc. 5 resistente);

- dopo la “disdetta” dell’Associazione per la Promozione degli Spazi Sociali Autogestiti, con lettera del 19 maggio 2016 l’Amministrazione ha invitato il Centro sociale “Terra di Nessuno”, che continuava ad occupare i locali, a subentrare nel rapporto concessorio (doc. 11 resistente), senza ricevere alcuna risposta;

- con raccomandata del 18 dicembre 2017 il Comune ha costituito in mora il Centro sociale “Terra di Nessuno”, richiedendo il versamento dell’importo di € 5.646,27 oltre interessi per indennità di occupazione da maggio 2013 ad ottobre 2017 (doc. 12 resistente);
in data 28 agosto 2018 ha notificato al medesimo Centro sociale un’ingiunzione ex r.d. n. 639/1910 per la somma complessiva di € 6.121,54, comprensiva degli importi dovuti fino a febbraio 2018 (doc. 13 resistente);
con successiva raccomandata del 31 gennaio 2019, attesa la persistenza della morosità, ha comunicato l’inserimento dell’importo dovuto nel ruolo esattoriale ed ha costituito in mora il Centro sociale per l’ulteriore somma di € 955,35 oltre interessi per il periodo marzo - novembre 2018 (doc. 16 resistente).

Le predette circostanze – oltre alla comunicazione di recesso dell’Associazione nell’ottobre 2014 ed alle chiare previsioni convenzionali di esclusione del rinnovo tacito alla scadenza (cfr. artt. 2 e 9 concessione-contratto) – rendono lapalissiana l’infondatezza della tesi ricorsuale secondo cui la concessione sarebbe stata automaticamente rinnovata e/o il Centro sociale “Terra di Nessuno” potrebbe vantare un legittimo affidamento a rimanere nell’immobile.

Secondo la consolidata elaborazione pretoria, infatti, non è ammissibile la tacita proroga o rinnovo del titolo concessorio, postulandosi sempre la necessità di un atto formale (cfr., ex plurimis , Cons. St., sez. V, 29 settembre 2020, n. 5730;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 28 settembre 2020, n. 9786;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 8 giugno 2017, n. 6764).

È altresì principio assolutamente pacifico che chi occupa abusivamente un bene in proprietà pubblica, anche nel caso in cui l’occupazione si protragga da anni, non può vantare alcuna aspettativa giuridicamente rilevante alla prosecuzione di tale stato di fatto (si vedano, tra le tante, Cons. St., sez. V, 2 ottobre 2020, n. 5779, cit.;
Cons. St., sez. VI, 31 gennaio 2017, n. 394).

3.3. Infine, non meritano accoglimento nemmeno le ulteriori doglianze mosse avverso il provvedimento gravato:

- il fatto che l’Amministrazione intenda attivare le procedure per destinare il complesso immobiliare alla realizzazione di un’isola ecologica (motivi II e III) si appalesa inconferente, alla luce del recesso dell’Associazione dalla concessione e, comunque, della successiva avvenuta scadenza del titolo, oltre che della persistente morosità degli occupanti sine titulo il bene;

- la ricorrente non indica alcun elemento idoneo a dimostrare o anche solo a fornire un indizio dell’asserito sviamento di potere per finalità politiche (ultima parte del III motivo). Per contro, il potere di amministrazione attiva, in cui rientra la gestione del patrimonio immobiliare dell’ente locale, spetta alla dirigenza e non all’organo di governo (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 24 novembre 2020, n. 12430, cit.), tant’è vero che, come evidenziato dalla stessa Associazione, l’ingiunzione di sgombero è stata “ emessa dai soli uffici comunali, senza alcuna precedente delibera degli organi elettivi ” (così pag. 13 ricorso);

- capzioso si appalesa il ragionamento legato all’impossibilità di interruzione di un servizio pubblico (IV motivo), giacché, per l’applicazione dei principi giuspubblicistici (nazionali ed eurounitari) e della tutela penalistica invocati dalla ricorrente, l’attività di pubblico servizio, anche qualora gestita da soggetti privati, deve essere assunta come doverosa dall’Amministrazione. Tale condizione, ovviamente, viene meno quando il privato si renda gravemente inadempiente ai propri obblighi e/o quando la concessione del bene pubblico scada e, conseguentemente, la P.A. intenda rientrare nel possesso della res per poterla legittimamente riutilizzare per fini di pubblico interesse.

4. In relazione a quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

5. In ragione dell’inammissibilità e manifesta infondatezza del ricorso e, quindi, dell’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 74, comma 2, del d.p.r. n. 115/2002, va revocata l’ammissione anticipata e provvisoria della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, deliberata dalla Commissione di cui all’art. 14 dell’allegato 2 del c.p.a. istituita presso questo Tribunale (cfr., ex multis , Corte Cost., ord. 17 luglio 2009, n. 220;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. I-ter, 28 dicembre 2020, n. 14030).

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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