TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-04-24, n. 202306976

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-04-24, n. 202306976
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202306976
Data del deposito : 24 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/04/2023

N. 06976/2023 REG.PROV.COLL.

N. 03043/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3043 del 2017, proposto da
Vodafone Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati M L e V C I, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, alla Via Boezio, n. 14, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

contro

- Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;
- Presidenza del Consiglio dei Ministri;
- Ministero dell’Economia e delle Finanze;
in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12

nei confronti

- Wind Tre S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Beniamino Caravita di Toritto, Sara Fiorucci e Roberto Santi, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, alla Via di Porta Pinciana, n. 6, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Saverio Cantella, Filippo Lattanzi, Giovanni Zampetti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Filippo Lattanzi, in Roma, alla Via G. P. Da Palestrina n. 47 e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- della delibera n. 463/16/CONS del 19 ottobre 2016, recante “Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per l’anno 2017 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media”, pubblicata nella G.U. n. 27 del 2 febbraio 2017 e sul sito web dell’Autorità in data 6 febbraio 2017 (doc. 3);

- della delibera n. 62/17/CONS dell’8 febbraio 2017, recante “Modello telematico e istruzioni per il versamento del contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2017 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media”, pubblicata esclusivamente sul sito web dell’Autorità in data 1° marzo 2017;

- dell’allegato A alla delibera n. 62/17/CONS, recante “Modello contributo SCM - Anno 2017”;

- dell’allegato B alla delibera n. 62/17/CONS, recante “Istruzioni per il versamento del contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2017 dai soggetti che operano nel settore delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media”;

- di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale, ancorché non conosciuto;

- se del caso previa disapplicazione dell’art. 34, comma 2-bis, c.c.e. e dell’art. 1, commi 65 e 66, l. n. 266/2005


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazione intimate, di Wind Tre S.p.A. e di Telecom Italia S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza di smaltimento del giorno 21 aprile 2023 il dott. R P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Espone parte ricorrente che l’art. 34 del D.Lgs. n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), modificato, a far data dal 18 agosto 2015, dalla legge 29 luglio 2015, n. 115 (recante “Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2014”) prevede che:

- «Per la copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti per l'esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie attribuite dalla legge all'Autorità nelle materie di cui al comma 1, la misura dei diritti amministrativi di cui al medesimo comma 1 è determinata ai sensi dell' articolo 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell'autorizzazione generale o della concessione di diritti d'uso» (comma 2-bis);

- e che «Il Ministero, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e l'Autorità pubblicano annualmente i costi amministrativi sostenuti per le attività di cui al comma 1 e l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente, dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche» (comma 2-ter).

È rimasto invece inalterato il comma 1 dell’art. 34 c.c.e., che riproduce integralmente l’art. 12, par. 1, lett. a) e b), direttiva n. 2002/20/CE, e che individua:

- da un lato il presupposto soggettivo per l’imposizione di “diritti amministrativi” (imprese che offrono servizi in regime di autorizzazione generale o che hanno ottenuto una concessione di diritti d’uso);

- dall’altro lato, le attività e le materie i cui costi possono essere coperti medianti i predetti diritti amministrativi.

Soggiunge che con sentenza del 18 luglio 2013, C-228/12 e aa., Vodafone Omnitel NV e aa. c. AGCom, dopo aver ricostruito la disciplina comunitaria e nazionale di riferimento ed aver osservato che «il diritto italiano distingue i diritti amministrativi relativi all’esercizio di compiti decisionali, rientranti nella competenza del Ministero per lo sviluppo economico, dal contributo degli operatori a copertura dei costi dell’attività di regolamentazione legata al regime delle autorizzazioni generali, esercitata interamente dall’AGCOM», la Corte di Giustizia dell’Unione europea, sez. VIII, ha statuito che «l’art. 12 della direttiva 2002/20/CE cd. direttiva autorizzazioni, deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla disciplina di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, ai sensi della quale le imprese che prestano servizi o reti di comunicazione elettronica sono tenute a versare un diritto destinato a coprire i costi complessivamente sostenuti dall’autorità nazionale di regolamentazione e non finanziati dallo Stato, il cui importo è determinato in funzione dei ricavi realizzati da tali imprese, a condizione che tale diritto sia esclusivamente destinato alla copertura di costi relativi alle attività menzionate al paragrafo 1, lettera a), di tale disposizione, che la totalità dei ricavi ottenuti a titolo di detto diritto non superi i costi complessivi relativi a tali attività e che lo stesso diritto sia imposto alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare».

2. Con le delibere oggetto della presente impugnazione, l’Autorità ha stabilito la misura e le modalità di calcolo del contributo dovuto, per il 2017, dagli operatori al fine di dare copertura alla totalità dei costi sostenuti per lo svolgimento di tutte le attività di propria competenza ai sensi del c.c.e., assumendo che «i costi finanziabili coincidono con tutte le attività di competenza AGCOM ai sensi del Codice».

Nel precisare come AGCom abbia individuato l’entità del fabbisogno da imputare ai costi attribuibili al mercato dei soggetti di cui al citato art. 34 c.c.e. in 44,771 milioni di euro (rispetto ai 41,04 milioni di euro richiesti per il 2016), alla luce del fabbisogno così quantificato, «per i soggetti di cui all’art. 34 del Codice delle comunicazioni elettroniche» l’Autorità ha fissato l’aliquota contributiva per l’anno 2017 «in misura pari a 1,4 per mille dei ricavi di cui alla voce A1 del conto economico, o voce corrispondente per i bilanci redatti secondo i principi contabili internazionali, risultanti dall’ultimo bilancio approvato prima dell’adozione della presente delibera» (art. 2, comma 1, del. 463/16/CONS), con versamento da eseguire entro il 1° aprile 2016 (art. 3, comma 1, del. 463/16/CONS).

3. Assume parte ricorrente l’illegittimità delle determinazioni, come sopra avversate, sulla base dei seguenti argomenti di doglianza:

3.1) Violazione e falsa applicazione della normativa europea e nazionale sui c.d. “diritti amministrativi”: art. 12 della Direttiva n. 2002/20/CE e art. 34 del D.Lgs. n. 259/2003. Violazione e falsa applicazione dei principi espressi in materia dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, sez. VIII, 18 luglio 2013, causa C-228/12, e recepiti dal giudice nazionale. Violazione dei principi di obiettività, di proporzionalità e di trasparenza. Motivazione apparente. Eccesso di potere per contraddittorietà ed irragionevolezza manifesta. Nullità per violazione del giudicato formatosi sulle sentenze del Consiglio di Stato adottate in materia

Nel rilevare come l’imposizione di diritti amministrativa sia giustificata soltanto con puntuale riferimento a determinati costi, sostenuti dall’Autorità per le specifiche attività di cui all’art. 12, par. 1, lett. a), cit. (e di cui all’art. 34, comma 1, c.c.e.), i quali devono essere puntualmente esplicitati, parte ricorrente osserva che il riferimento (contenuto nello stesso comma 2-bis, art. 34 c.c.e.) alle «materie di cui al comma 1» conferma che il regime contributivo permane ancorato alle materie oggetto di autorizzazione generale per i singoli mercati oggetto di regolamentazione ex ante.

Con sentenza del 18 luglio 2013, sez. VIII, causa C-228/12 la Corte di giustizia (e poi, sulla sua scorta, il giudice nazionale) ha chiarito che i diritti amministrativi ex art. 12 dir. autorizzazioni «possono coprire soltanto i costi che si riferiscono alle attività [indicate all’art. 12, par. 1, lett. a)], i quali non possono comprendere altre voci di spesa (…) e non sono volti a coprire i costi amministrativi di qualsivoglia tipologia sostenuti» dall’Autorità, non potendo «il gettito complessivo di tali diritti percepito dagli Stati membri eccedere il totale dei costi relativi a tali attività» (§§ 39 e 40).

La Corte ha poi evidenziato che detti diritti devono essere imposti «in modo proporzionato, obiettivo e trasparente» e che «la totalità dei ricavi ottenuti a titolo di detto diritto» non deve superare «i costi complessivi relativi a tali attività».

Ad avviso della parte, va dunque disattesa la tesi propugnata dall’Autorità, circa l’interpretazione della disciplina nazionale;
dovendo ritenersi che le delibere impugnate non rispettano i criteri indicati nelle citate disposizioni normative, per come interpretate sia dalla Corte di giustizia, sia dal giudice nazionale.

Con le delibere oggetto della presente impugnazione, sulla base di un’interpretazione dell’art. 34 c.c.e. in palese contrasto con la disciplina comunitaria, e che invero non trova riscontro neanche nella lettera di tale norma, l’Autorità ha ritenuto che «i costi finanziabili coincid[ano] con tutte le attività di competenza AGCOM ai sensi del Codice» , pretendendo di coprire tutti i suoi costi di funzionamento riferibili all’attività da essa complessivamente svolta.

Ciò, peraltro, senza neanche dare alcuna dimostrazione ed evidenza né del totale di tali costi, né degli importi versati dagli operatori, limitandosi, in modo non proporzionato, né obiettivo, né trasparente, a richiamare il «fabbisogno stimato» per l’anno 2017, quantificato in 44,771 milioni di euro, al netto delle eccedenze relative agli anni 2013 e 2014, così come quantificate con i Rendiconti annuali per il 2013 e il 2015.

3.2) Violazione e falsa applicazione sotto altro profilo della normativa europea e nazionale sui c.d. “diritti amministrativi”: art. 12 della Direttiva n. 2002/20/CE e art. 34 del D.Lgs. n. 259/2003. Violazione e falsa applicazione dei principi espressi in materia dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, sez. VIII, 18 luglio 2013, causa C-228/12, e recepiti dal giudice nazionale. Violazione dei principi di obiettività, di proporzionalità e di trasparenza. Violazione dell’obbligo di rendicontazione. Motivazione apparente. Eccesso di potere per contraddittorietà ed irragionevolezza manifesta. Nullità per violazione del giudicato formatosi sulle sentenze del Consiglio di Stato adottate in materia.

Né l’Autorità ha adottato, per il 2017, uno specifico rendiconto prima dell’adozione delle delibere impugnate, come costantemente affermato dal giudice nazionale, con riveniente violazione dell’obbligo di fornire alle imprese una previsione contabile precisa ex ante (ed una rendicontazione precisa ex post) con riguardo alla destinazione (e poi all’effettivo impiego) delle somme percepite.

3.3) Violazione e falsa applicazione sotto altro profilo della normativa europea e nazionale di riferimento: art. 12 e considerando n. 30 della Direttiva n. 2002/20/CE, art. 3 della Direttiva 2009/140/CE, art. 34 del D.Lgs. n. 259/2003. Violazione e falsa applicazione dei principi espressi in materia dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, sez. VIII, 18 luglio 2013, causa C-228/12, e recepiti dal giudice nazionale. Violazione dei principi di proporzionalità, di obiettività e di trasparenza. Violazione dei principi di pertinenza, di causalità e di equità. Difetto di motivazione. Ingiustizia manifesta

La Direttiva autorizzazioni non prevede né il modo in cui determinare l’importo dei diritti amministrativi che possono essere imposti ai sensi dell’art. 12 cit., né le modalità di prelievo di tali diritti.

A fronte di tale circostanza, come costantemente riconosciuto dal giudice nazionale, la Corte di Giustizia ha inteso stabilire, alla luce del considerando 30 della medesima Direttiva, una stretta correlazione tra i costi la cui copertura può essere imposta alle imprese di telecomunicazioni e l’individuazione delle attività i cui ricavi possono essere inclusi nella base di calcolo del contributo.

In particolare, l’individuazione dei ricavi che possono essere inclusi nella base di calcolo del contributo deve essere coerente con la decisione relativa all’individuazione dei costi – esclusivamente quelli relativi alle attività specificamente indicate nell’art. 12.1.a dir., richiamate al § 38 della sent. del 18 luglio 2013 – che possono essere coperti mediante l’imposizione di diritti amministrativi alle imprese di tlc.

Qualora venissero presi in considerazione tutti i ricavi lordi, e non solo i ricavi funzionalmente collegati all’esercizio, da parte delle imprese di tlc, di attività che, a loro volta, siano soggette alle attività di cui all’art. 12.1.a cit., si violerebbe indirettamente il principio, confermato dalla Corte di Giustizia, per cui mediante i predetti diritti non possono essere coperti «i costi amministrativi di qualsivoglia tipologia sostenuti dall’ANR», ma esclusivamente i costi complessivi effettivamente sostenuti dall’Autorità per lo svolgimento delle attività di cui all’art. 12.1.a dir.

3.4) Violazione e falsa applicazione sotto altro profilo della normativa europea e nazionale di riferimento: art. 12 e considerando n. 30 della Direttiva n. 2002/20/CE, art. 3 della Direttiva 2009/140/CE, art. 34 del D.Lgs. n. 259/2003. Violazione degli artt. 3 e 53 Cost. Violazione del divieto di doppia imposizione. Violazione dei principi di proporzionalità, di obiettività e di trasparenza. Violazione del legittimo affidamento. Difetto di motivazione. Ingiustizia manifesta

Le delibere impugnate si pongono sulla scia delle delibere AGCom –annullate – impositive del contributo per il 2014 (del. n. 547/13/CONS), per il 2015 (del. 567/14/CONS) e per il 2016 (del. 605/15/CONS), che hanno incluso nella base imponibile i ricavi riversati ad operatori terzi, a differenza di quanto previsto in passato, sia nelle precedenti delibere dell’Autorità sia nei decreti del Ministero dello Sviluppo Economico, competente, fino al 2006, a determinare l’importo di detto contributo.

Esse, assoggettando a contribuzione i ricavi riversati ad operatori terzi, contrastano, oltre che con la sopra richiamata normativa vigente in materia, con il divieto della doppia imposizione, esplicitato dall’art. 163 del D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986 (T.U.I.R. - Testo unico delle imposte sui redditi), ai sensi del quale «La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi»; norma, questa, espressione di un principio generale riconducibile all’art. 53 Cost., e ricollegabile ad esigenze, imposte dallo stesso principio di capacità contributiva, di “razionalità” e “coerenza” del sistema o di “equità” e “giustizia” impositiva.

3.5) Illegittimità derivata del modello telematico di cui all’art. 4, comma 1, Delibera n. 463/16/CONS. Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 e del 33 considerando n. 30 della Direttiva n. 2002/20/CE, nonché dell’art. 34 del D.Lgs. n. 259/2003. Violazione del divieto di doppia imposizione. Violazione dei principi di proporzionalità, di obiettività e di trasparenza. Violazione dei principi di pertinenza, di causalità e di equità. Difetto di motivazione. Ingiustizia manifesta

Viene, da ultimo, denunciato che il modello telematico da utilizzare per la dichiarazione dei dati anagrafici ed economici dei contribuenti (art. 4, comma 1 e 3), adottato con delibera n. 62/17/CONS (e non modificabile da parte delle imprese) sia illegittimo in quanto viziato da invalidità derivata per tutti i motivi che si sono addotti con riferimento alle delibere impugnate.

Esso impedisce agli operatori di escludere dalla base di calcolo del contributo i ricavi riversati agli operatori terzi, e questo nonostante l’illegittimità delle corrispondenti previsioni di cui agli atti oggetto della presente impugnazione.

Allo stesso modo, il modello de quo impone illegittimamente agli operatori di includere nella predetta base di calcolo ricavi derivanti da servizi collegati ad attività i cui costi non possono essere sicuramente imputati alle imprese di tlc perché tali attività non rientrano nel novero (tassativo) di quelle di cui all’art. 12.1.a direttiva n. 2002/20/CE.

4. Conclude la parte per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti con esso avversati.

5. In data 12 maggio 2017, l’intimata Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni si è costituita in giudizio.

6. Si sono inoltre costituite in giudizio, rispettivamente in data 11 maggio 2017 e 31 maggio 2017, Telecom Italia S.p.A. e Wind Tre S.p.A.

7. Il ricorso viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza di smaltimento del 21 aprile 2023.

8. Vanno, in primo luogo, esaminate le considerazioni rassegnate dall’Avvocatura dello Stato (cfr. memoria depositata in atti il 30 marzo 2023), con le quali si sostiene che, quanto alla definizione della presente controversia, non residui, in capo alla parte ricorrente, alcun persistente interesse alla delibazione nel merito delle proposte censure.

Evidenzia, in proposito, la difesa erariale che “le delibere nn. 463/16/CONS e 62/17/CONS hanno un impianto motivazionale analogo alle delibere impositive relative alle precedenti annualità (dal 2013 al 2016) e alle successive annualità (dal 2018 al 2020) tutte annullate nell’ambito di ricorsi promossi da altri operatori di comunicazioni elettroniche dal Consiglio di Stato con le seguenti sentenze:

‐ annualità 2013: sentenze nn. 6179/2020, 6777/2021, 6769/2021;

‐ annualità 2014: sentenze nn. 4827/2020 (relativa anche all’annualità 2015), 7992/2020 (integrata con sent. 1995/2021), 6768/2021, 6771/2021, 6774/2021;

‐ annualità 2015: sentenze nn. 6182/2020, 7993/2020 (integrata con sent. 1995/2021), 6775/2021, 6776/2021, 6771/2021;

‐ annualità 2016: sentenze nn. 6175/2020, 6176/2020, 6178/2020, 6771/2021, 6772/2021, 206/2022;

‐ annualità 2018: sentenza n. 208/2022;

‐ annualità 2019: sentenza n. 209/2022;

‐ annualità 2020: sentenza n. 205/2022 .

Dal momento che l’Autorità è, per effetto del giudicato come sopra formatosi (peraltro, con riferimento ad annualità di contributo diverse, rispetto a quella ora in contestazione), “chiamata a rieditare il potere al fine di sanare il difetto di motivazione già rilevato in delibere identiche a quelle oggetto del presente giudizio”, viene chiesto “dichiararsi l’improcedibilità del giudizio in esame per sopravvenuta carenza di interesse”, anche in considerazione del fatto che “l’Autorità resistente non ha adottato alcuna intimazione di pagamento a valle delle delibere impugnate nel presente giudizio nei confronti dell’odierno ricorrente”.

Esclude il Collegio di poter accedere alla prospettazione, come sopra riportata, in quanto le determinazioni aventi ad oggetto il contributo per l’annualità 2017 (diversamente, rispetto alle altre annualità, comprese nell’arco temporale 2014 - 2020) non risultano, allo stato, annullate con sentenze (d’appello) assistite da forza di giudicato.

A quanto sopra osservato, accede la piena persistenza dell’interesse, in capo alla ricorrente, alla definizione della presente vicenda contenziosa, atteso che nel caso di specie il vincolo conformativo inalveante il rinnovato esercizio il potere, da parte della competente Autorità, non può essere omogeneamente predicato rispetto a vicende coperte da giudicato: venendo piuttosto in considerazione – quanto all’annualità 2017 – una eventuale “estensione” del giudicato formatosi:

- non soltanto su “altre” controversie,

- ma, soprattutto, su “altre” e “diverse” annualità di contributo da corrispondere in favore di AGCom.

9. Nel merito, il ricorso è fondato.

10. Ritiene il Collegio di aderire all’orientamento fatto proprio dal giudice d’appello, con riferimento ad altra annualità (2018), in materia di determinazione del contributo gravante sugli operatori nel settore delle comunicazioni elettroniche (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 12 gennaio 2022 nn. 208 e 209), a cui si rinvia.

Va rammentato come lo stesso Giudice d’appello abbia sollevato, dinanzi alla Corte di Giustizia UE, una questione di pregiudiziale eurounitaria (ordinanza 3109/2019), definita con ordinanza 29 aprile 2020 n. 399 (causa C-399/19).

In tale pronunzia, in particolare, sono stati affermati i due seguenti principi di diritto:

- “ 1) L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, deve essere interpretato nel senso che i costi che possono essere coperti da un diritto imposto in forza di tale disposizione alle imprese che forniscono un servizio o una rete di comunicazione elettronica sono unicamente quelli relativi alle tre categorie di attività dell’autorità nazionale di regolamentazione menzionate in tale disposizione, comprese le funzioni relative alla regolazione, alla vigilanza, alla composizione delle controversie e sanzionatorie, senza limitarsi ai costi sostenuti per l’attività di regolazione ex ante del mercato”;

- “ 2) L’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2002/20, come modificata dalla direttiva 2009/140, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale, da un lato, il rendiconto annuale previsto da tale disposizione è pubblicato successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario annuale nel quale i diritti amministrativi sono stati riscossi e, dall’altro, le opportune rettifiche sono effettuate nel corso di un esercizio finanziario non immediatamente successivo a quello nel quale tali diritti sono stati riscossi.”

La Corte, con la suindicata ordinanza del 29 aprile 2020, ha affermato che:

- i costi dell’ANR che possono essere coperti da un diritto in forza di tale disposizione sono non l’insieme delle spese di funzionamento dell’ANR, ma i (soli) costi amministrativi complessivi relativi alle tre categorie di attività di cui a detta disposizione, vale a dire:

1) le attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale ai sensi dell’articolo 3 della direttiva autorizzazioni, il quale comprende le condizioni che possono corredare l’autorizzazione generale elencate all’allegato, parte A, di tale direttiva;

2) le attività di gestione, controllo e applicazione dei diritti d’uso di radiofrequenze e di numeri di cui all’articolo 5 della direttiva autorizzazioni e delle condizioni che possono corredare tali diritti, elencate all’allegato, parti B e C, di tale direttiva;

3) le attività di gestione, controllo e applicazione degli obblighi specifici di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni, che comprendono gli obblighi che possono essere imposti ai fornitori di reti e di servizi di comunicazione elettronica ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, e degli articoli 6 e 8 della direttiva accesso o in forza dell’articolo 17 della direttiva servizio universale, nonché gli obblighi che possono essere imposti ai fornitori designati per la fornitura di un servizio universale conformemente a quest’ultima direttiva;

- possono essere inclusi nei costi amministrativi complessivi relativi alle tre suelencate categorie di attività:

1) i costi di cooperazione internazionale;

2) di armonizzazione e di standardizzazione;

3) di analisi di mercato;

4) di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato;

5) di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione;

- in merito alle “funzioni dell’ANR relative alla regolazione, alla vigilanza, alla composizione delle controversie e sanzionatorie”, queste derivano dalle attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d’uso o degli obblighi specifici, di modo tale che i costi sostenuti per le medesime possono essere coperti dai diritti amministrativi imposti conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni;

- in merito alla “attività di regolazione ex ante”, per effetto dell’articolo 3, paragrafo 3- bis , della direttiva quadro, essa consiste nell’imporre ai fornitori di reti o di servizi di comunicazione elettronica obblighi come quelli previsti all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, o all’articolo 6 della Direttiva accesso e quelli imposti, conformemente all’articolo 8 di tale Direttiva o all’articolo 17 della Direttiva servizio universale, alle imprese designate come dotate di significativo potere di mercato a seguito della procedura per l’analisi di mercato di cui all’articolo 16 della direttiva quadro.

Sicché la “regolazione ex ante del mercato” fa parte integrante della suelencata terza categoria di attività dell’ANR (nonché di taluni compiti sopra menzionati quali “ i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione ”), con la conseguenza per cui i costi che possono essere coperti dai diritti amministrativi imposti conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni non possono limitarsi a quelli sostenuti per l’attività di regolazione ex ante del mercato.

11. Quanto sopra premesso, va ulteriormente dato atto di ulteriori arresti del Giudice d’appello (Sez. VI, 11 ottobre 2021 nn. 6771, 6772, 6774, 6775, 6776, 6777, 6778 e 6779), e di altre, recenti, decisioni che, pur relative a profili diversi, comunque incidono sulla soluzione della presente controversia (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 29 luglio 2020 n. 4827 e 9 marzo 2021 n. 1995), con riferimento alle quali (ed ai principi nelle stesse affermate), va rilevato che “i provvedimenti impugnati manifestano a questo punto, dopo la rimessione alla Corte UE, la sua decisione e la valutazione della portata e degli effetti della stessa, come sopra operati dalla Sezione (e fatti propri dal Collegio nel caso in esame), un evidente difetto di motivazione, per carenza di analiticità della stessa, con specifico riferimento ai vari elementi che “atomisticamente” contribuiscono a formare le voci del contributo richiesto agli operatori, tenuto anche conto del fatto che detto difetto di motivazione espone al conseguente rischio di duplice contribuzione (con specifico riferimento ai c.d. ricavi riversati) “sia da parte dell'operatore che presta il servizio all'utente finale e al contempo paga il servizio di interconnessione/raccolta/terminazione (...) sia da parte del terzo operatore cui le quote sono riversate a titolo di corrispettivo e per il quale rappresentano un ricavo parimenti sottoponibile a contributo” (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. IV-bis, 3 giugno 2022, n. 7227, soffermatasi proprio sull’annualità – 2017 – ora in contestazione).

12. Ne deriva la necessità di una nuova istruttoria che definisca analiticamente il perimetro dei costi ammissibili, non potendo il giudice amministrativo entrare nel merito dell’esercizio del relativo potere determinativo del contributo, rimesso unicamente ad AGCom (non vertendosi in materia assegnata alla giurisdizione di merito del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 134 c.p.a.)

Nondimeno, può senz’altro affermarsi – nel quadro della valenza conformativa accessiva alla presente pronuncia – che farà carico alla medesima Autorità l’osservanza delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia UE, con riveniente onere di corredare ogni calcolo con adeguata motivazione, atteso che – come si è ribadito – il contributo de quo non può riguardare tutte le spese complessivamente sostenute per il funzionamento dell’Autorità.

Tale contributo, pur non limitato alla regolazione ex ante, può ricomprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione;
ma non tutti i costi di funzionamento.

13. Nei limiti di cui sopra dato atto della fondatezza del gravame – con rivenente annullamento degli atti con esso avversati – rileva conclusivamente il Collegio, in relazione alla peculiarità della controversia – la sussistenza di giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.

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