Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-01-12, n. 202200208

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-01-12, n. 202200208
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200208
Data del deposito : 12 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/01/2022

N. 00208/2022REG.PROV.COLL.

N. 04473/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4473 del 2021, proposto dalla società Wind Tre S.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati B C d T, S F e R S, domiciliata presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei suindicati difensori in Roma, via di Porta Pinciana, n. 6;

contro

l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

- della società Telecom Italia S.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Cardarelli, Filippo Lattanzi e Francesco Saverio Cantella, domiciliata presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliata presso lo studio LCA in Roma, via G.P. da Palestrina, n. 47;
- delle società Vodafone Italia S.p.a. (già Vodafone Omnitel B.V.), Fastweb S.p.a., Sky Italia S.p.a. e BT Italia S.p.a., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore , non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. III- ter , 12 febbraio 2021 n. 1767.


Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della società Telecom Italia S.p.a. e i documenti prodotti;

Vista l’ordinanza della Sezione 2 luglio 2021 n. 3603, con la quale è stata accolta, ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito, la domanda cautelare presentata dalla parte appellante;

Esaminate tutte le memorie difensive, anche di replica e gli ulteriori atti depositati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2021 il Cons. Stefano Toschei e uditi, per le parti, gli avvocati Francesco Saverio Cantella, S F e R S nonché l’avvocato dello Stato Barbara Tidore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso (n. R.g. 4473/2021) la società Wind Tre S.p.a. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. III- ter , 12 febbraio 2021 n. 1767, con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 3524/2018) proposto da detta società (e accompagnato da due ricorsi recanti motivi aggiunti) nei confronti dei seguenti atti e provvedimenti: (con il ricorso introduttivo) a) la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (d’ora in poi, per brevità, AGCOM o Autorità) del 6 novembre 2017 n. 426/17/CONS, recante “ Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni per l'anno 2018 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ”;
b) della delibera dell'Autorità 1 marzo 2018 n. 60/18/CONS, recante “ Modello telematico e istruzioni per il versamento del contributo dovuto all'Autorità per l'anno 2018 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ” nonché del modello telematico “ Contributo SCM – anno 2018” e delle Istruzioni per il versamento del contributo dovuto all'Autorità per l'anno 2018 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ”, allegati alla delibera medesima;
c) la delibera dell'Autorità n. 425/17/CONS recante “ Approvazione del rendiconto ex articolo 34, comma 2-ter, del decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 – anno 2016 ” e dell'allegato 1 recante “ Rendiconto annuale 2016 ”;
(con il primo ricorso recante motivi aggiunti) d) la delibera dell'Autorità n. 525/18/CONS recante “ Rendiconto ex articolo 34, comma 2-ter, del decreto legislativo 1° Agosto 2003, n. 259 – anno 2017 ” nonché l'allegato n. 1 alla delibera n. 525/18/CONS “ Rendiconto ex articolo 34, comma 2-ter, del decreto legislativo 1° Agosto 2003, n. 259 – anno 2017 ”;
(con il secondo ricorso recante motivi aggiunti) e) la nota dell’Autorità prot. 22868 del 17 gennaio 2020, recante “ Contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2018 ai sensi delle delibere nn. 426/17/CONS e 60/18/CONS ”;
f) la delibera dell’Autorità n. 42/20/CONS, notificata a Wind Tre S.p.a. in data 27 febbraio 2020, recante “ Diffida alla società Wind Tre S.p.A. al pagamento dell’integrazione del contributo dovuto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazione per l’anno 2018 ”.

L’oggetto del contendere, dunque, è costituito dalla nota questione (già esaminata dalla Sezione in numerosi precedenti) attinente alla legittimità delle determinazioni assunte dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni relativamente al contributo economico – nel caso di specie per l’anno 2018 - che può essere richiesto agli operatori economici del settore (comunicazioni elettroniche e servizi media) relativo alle “spese di funzionamento” dell'Autorità stessa.

2. – Come si evince dalla lettura degli atti di causa (con riferimento ad entrambi i gradi di giudizio) e, in particolare, dalla ricostruzione “in fatto” operata dalla sentenza di primo grado qui oggetto di appello, gli atti adottati dall’Autorità erano oggetto di impugnazione (in quel grado di giudizio e quindi con riferimento alle censure per come numerate ed elencate nel ricorso proposto nel giudizio di primo grado e nel ricorso recante motivi aggiunti) sul presupposto che:

- sia illegittima la inclusione, nella determinazione dei costi amministrativi oggetto di finanziamento, di tutti gli oneri economici sopportati dall’Autorità nello svolgimento delle funzioni inerenti il settore delle comunicazione elettroniche, in asserita violazione dei principi di esatta individuazione dei costi finanziabili ai sensi dell’art. 12 della direttiva c.d. autorizzazioni (2002/20/CE), applicabile ratione temporis (primo motivo del ricorso introduttivo);

- siano illegittime le delibere dell’Autorità fatte oggetto di impugnazione nella parte in cui recepiscono il contenuto del Rendiconto 2016, il quale, a sua volta, non costituirebbe esatto adempimento dell’obbligo delle ANR di “ pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti riscossi ” nei termini indicati dall’art. 12 della direttiva 2002/20/CE e precisati dalla Corte di Giustizia, ovvero “ garantendo al contempo la trasparenza in maniera tale che le imprese interessate possano verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti ” (secondo motivo del ricorso introduttivo);

- gli atti impugnati violerebbero altresì il diritto dell’Unione, come recepito nell’art. 34, comma 2- bis , d.lgs 259/2003, ai sensi del quale la misura dei diritti amministrativi è determinata “ in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell'autorizzazione generale ”;
in particolare sarebbe erronea l’inclusione nell’imponibile oggetto di prelievo delle categorie di ricavi non inerenti alle attività contemplate dall’art. 12 della direttiva autorizzazioni, quali i ricavi da vendita di apparati, i ricavi riversati ad operatori terzi od esteri per servizi wholesale (terzo motivo del ricorso introduttivo);

- è illegittimo che il finanziamento dell’Autorità gravi per intero sugli operatori, risultando negli ultimi esercizi il finanziamento statale pari a zero, deducendone l’illegittimità dell’imposizione sul piano della legislazione che sul piano del diritto costituzionale ed europeo (quarto motivo del ricorso introduttivo).

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con la sentenza 1767/2021 ha respinto il ricorso, ritenendo infondati sia i motivi di impugnazione dedotti con il ricorso introduttivo che con i due ricorsi recanti motivi aggiunti.

3. – La società Wind Tre S.p.a. propone dunque appello nei confronti della surrichiamata sentenza di primo grado sostenendone la erroneità con riferimento alle seguenti traiettorie contestative:

I) in primo luogo la società appellante ribadisce, dopo averlo già chiarito in primo grado richiamando anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto, che i ricavi riversati ad altro operatore nel medesimo mercato sono costituiti da importi che devono essere detratti dalla base imponibile, poiché diversamente operando, si addiverrebbe ad una duplice imposizione, a carico sia dell’operatore che fornisce il servizio telefonico all’utente finale, sia all’operatore concorrente nel medesimo mercato, che fornisce al primo il servizio “all’ingrosso”, poiché tali entrate non costituiscono ricavi effettivi, riferendosi invero a servizi c.d. intermedi, resi al soggetto contribuente da un operatore terzo dietro il pagamento di un corrispettivo. Erra dunque il TAR, nella sentenza appellata, laddove dichiara l’impossibilità di scorporare dall’insieme dei ricavi gli importi riversati ad operatori terzi, affermando che “ i ricavi riversati a terzi, siano nazionali o esteri, non rappresentano di regola altro che i costi di acquisto dei fattori produttivi per l’attività caratteristica, corrisposti ad operatori terzi per la fornitura di beni e servizi necessari all’attuazione dell’attività oggetto di autorizzazione generale (…) ” (così, testualmente, nella sentenza oggetto di appello), in quanto “ I ricavi riversati, infatti, rappresentano sì una componente negativa del conto economico di un operatore (al pari delle voci di costo), ma allo stesso tempo e per pari importo costituiscono una voce positiva (un ricavo) che contribuisce a formare la base imponibile di un altro operatore chiamato a finanziare le attività dell’AGCom ” (così, testualmente, a pag. 9 dell’atto di appello);

II) sotto un secondo versante, altrettanto errata si presenta nei contenuti la sentenza oggetto di appello nella parte in cui si spinge ad affermare che l’entità dei ricavi derivanti dalla vendita di apparati sarebbe legittimamente sussumibile nell’imponibile soggetto a contribuzione obbligatoria, fino a ricomprendere nella base imponibile anche ricavi del tutto estranei ad attività poste in essere dall’Autorità atteso che, come è noto, i ricavi che formano la base imponibile per il contributo all’AGCOM sono solo quelli maturati dall’impresa con riferimento alle specifiche funzioni di cui all’art. 12 della direttiva autorizzazioni e tra queste non rientra, evidentemente, la vendita dei terminali, che esula completamente dal novero delle attività poste in essere dall’Autorità;

III) illegittimamente, poi, (anche) per il 2018 l’Autorità, nell’individuare le attività soggette a contributo, ha fatto riferimento indistintamente a “ tutte le attività di competenza AGCOM ai sensi del Codice ”, invece che alle sole funzioni espressamente previste dall’art. 12 della direttiva autorizzazioni. Il giudice di primo grado, inesattamente sul punto, non tenendo conto in modo corretto di quanto è stato espresso dalla Corte di giustizia UE nell’ordinanza 29 aprile 2020, ha affermato che “ il solo fatto che potessero essere coperte spese diverse da quelle sostenute dalla regolazione ex ante, potesse condurre a riconoscere la legittimità delle delibere che accollano in capo agli operatori tutti i costi sostenuti per lo svolgimento delle attività riconnesse al settore delle comunicazioni elettroniche ” (così testualmente, a pag. 19 dell’atto di appello), omettendo di considerare che “ l’illegittimità delle delibere impugnate in primo grado deriva proprio dal fatto di aver imposto agli operatori la copertura dei costi di tutte le attività svolte nelle comunicazioni elettroniche, ben al di là di quelle consentite dall’art. 12 della direttiva autorizzazioni ” (così ancora, testualmente, a pag. 20 dell’atto di appello);

IV) il giudice di primo grado non ha poi tenuto conto che esiste un’abnorme sproporzionalità tra il finanziamento a carico dello Stato e il finanziamento a carico dei privati che, ad oggi, sono costretti, in violazione delle norme in materia e, in particolare, di quanto previsto dall’art. 1, commi 65 e 66 della legge finanziaria per il 2006, richiamato anche dal nuovo comma 2- bis dell’art. 34 d.lgs. 259/2003, a sopportare interamente le spese per il funzionamento dell’AGCOM, omettendo di considerare, peraltro, che un siffatto sistema di finanziamento, potrebbe essere idoneo a minare anche la stessa indipendenza dell’Autorità;

V) la società appellante ribadisce che la previsione contenuta nell’art. 4, comma 3, della delibera 425/17/CONS, secondo cui la presentazione all’Autorità della dichiarazione relativa al contributo per il 2018 può essere effettuata esclusivamente attraverso la compilazione e l’invio del modello telematico adottato con la delibera 60/18/CONS, si presenta all’evidenza illegittima, posto che detto modello telematico è predisposto in modo tale da impedire, illegittimamente, agli operatori di escludere dal calcolo della base imponibile, cui applicare l’aliquota contributiva, voci che sono manifestamente avulse dal novero dei ricavi imponibili, per le ragioni più sopra specificate;

VI) infine la società appellante torna a proclamare la illegittimità del contenuto dell’atto recante il Rendiconto 2017, posto che esso, per come è stato predisposto, non consente di verificare la correttezza delle determinazioni assunte, in spregio delle indicazioni provenienti dall’art. 12 della direttiva autorizzazioni, che pone l’obbligo per l’Autorità di adottare una specifica rendicontazione annuale – diversa dal bilancio – in cui devono essere indicati “partitamente” i contributi richiesti agli operatori in relazione alle attività indicate nel medesimo articolo e i corrispondenti costi sostenuti dalla stessa. Risulta, invece, che la determinazione dell’onere contributivo per il 2018 sia avvenuta in palese violazione dei principi di proporzionalità, obiettività e trasparenza.

Concludeva dunque la società Wind Tre S.p.a. chiedendo l’accoglimento dell’appello, con annullamento degli atti e dei provvedimenti impugnati, eventualmente previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità delle medesime norme per violazione degli artt. 3 e 97 Cost..

4. – Si è costituita in giudizio l’AGCOM, sostenendo la correttezza degli atti e provvedimenti impugnati dalla società appellante nonché la puntualità e la condivisibilità delle conclusioni alle quali è giunto il TAR per il Lazio con la sentenza qui oggetto di appello, peraltro in perfetta corrispondenza con quanto ha affermato la Corte di giustizia UE nell’ordinanza 29 aprile 2020 (causa C-399/19), sicché la sentenza di primo grado va ritenuta scevra da tutte le contestazioni mosse dalla società appellante nel presente grado di giudizio. Di conseguenza, ad avviso dell’Autorità, il mezzo di gravame proposto va respinto, stante l’infondatezza dei motivi di appello con esso dedotti.

Nel silenzio processuale delle intimate società Vodafone Italia S.p.a. (già Vodafone Omnitel B.V.), Fastweb S.p.a., Sky Italia S.p.a. e BT Italia S.p.a., si è costituita nel presente grado di giudizio la società Telecom Italia S.p.a..

Con ordinanza 2 luglio 2021 n. 3603 la Sezione ha accolto la domanda cautelare presentata dalla società appellante ai soli fini della celere fissazione dell’udienza di merito.

La società appellante depositava, infine, una memoria di replica con la quale, confermava le conclusioni già rassegnate negli atti processuali precedentemente depositati in giudizio.

5. – Va ricordato che la Sezione, anche in epoca recente, ha avuto occasione di chiarire la portata e le conseguenze del recente intervento della Corte di giustizia UE in ordine al noto tema dei contributi dovuti dagli operatori economici del settore delle telecomunicazioni elettroniche e dei servizi media all’ANR italiana, vale a dire ad AGCOM.

Posto che quanto affermato dalla Sezione recentemente (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 11 ottobre 2021 n. 6776) incide significativamente sulla decisione del presente contenzioso, indirizzando la soluzione della controversia qui in esame, merita di essere riassunto il contenuto di tali precedenti attingendo per ampi stralci da quelle decisioni.

6. – Come è noto (tanto che entrambe le parti principali di questo giudizio ne hanno fatto sovente richiamo nei loro atti processuali), con ordinanza 13 maggio 2019 n. 3109 (alla quale si rinvia per ogni riferimento al quadro normativo e giurisprudenziale rilevante in materia), la Sezione ha sollevato una questione di pregiudiziale eurounitaria, alla quale dava esito la Corte di giustizia UE, Sez. X, con ordinanza 29 aprile 2020 n. 399 (causa C-399/19) affermando i due seguenti principi di diritto (così determinandosi sulle due questioni sottoposte al suo vaglio da questa Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza 3109/2019):

- “ 1) L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, deve essere interpretato nel senso che i costi che possono essere coperti da un diritto imposto in forza di tale disposizione alle imprese che forniscono un servizio o una rete di comunicazione elettronica sono unicamente quelli relativi alle tre categorie di attività dell’autorità nazionale di regolamentazione menzionate in tale disposizione, comprese le funzioni relative alla regolazione, alla vigilanza, alla composizione delle controversie e sanzionatorie, senza limitarsi ai costi sostenuti per l’attività di regolazione ex ante del mercato ”;

- “ 2) L’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2002/20, come modificata dalla direttiva 2009/140, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale, da un lato, il rendiconto annuale previsto da tale disposizione è pubblicato successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario annuale nel quale i diritti amministrativi sono stati riscossi e, dall’altro, le opportune rettifiche sono effettuate nel corso di un esercizio finanziario non immediatamente successivo a quello nel quale tali diritti sono stati riscossi. ”.

Nello specifico la Corte di giustizia, con riguardo al primo quesito sottopostole dalla Sezione (che, sostanzialmente, atteneva alla questione, “ se l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni debba essere interpretato nel senso che i costi che possono essere coperti da un diritto imposto in forza di detta disposizione alle imprese che forniscono un servizio o una rete di comunicazione elettronica sono i costi amministrativi complessivamente sostenuti dall’ANR per lo svolgimento di tutte le sue attività, comprese le funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie, o solo quelli causati dall’attività di «regolazione ex ante» ”) ha avuto modo di puntualizzare che:

a) per rispondere al (primo) quesito sottopostole da questa Sezione, è opportuno richiamare due precedenti della Corte e, segnatamente, la sentenza del 18 luglio 2013, Vodafone Omnitel e a. (da C-228/12 a C-232/12 e da C-254/12 a C-258/12, EU:C:2013:495), la sentenza del 28 luglio 2016, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (C-240/15, EU:C:2016:608, punti 45 e 46) nonché la sentenza del 30 gennaio 2018, X e Visser (C-360/15 e C-31/16, EU:C:2018:44, punto 64);

b) con riguardo alla sentenza 18 luglio 2013, ancor più nello specifico, va confermato anche in questa occasione il principio per cui l’articolo 12 della c.d. direttiva autorizzazioni deve essere interpretato nel senso che “ esso non osta alla disciplina di uno Stato membro ai sensi della quale le imprese che prestano servizi o reti di comunicazione elettronica sono tenute a versare un diritto destinato a coprire i costi complessivamente sostenuti dall’ANR e non finanziati dallo Stato, il cui importo è determinato in funzione dei ricavi realizzati da tali imprese, a condizione che siffatto diritto sia esclusivamente destinato alla copertura di costi relativi alle attività menzionate al paragrafo 1, lettera a), di tale disposizione, che la totalità dei ricavi ottenuti a titolo di detto diritto non superi i costi complessivi relativi a tali attività e che lo stesso diritto sia imposto alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente ”;

c) in particolare rileva quanto segnalato al punto 38 della sentenza del luglio 2013, nel senso “ che gli Stati membri possono imporre alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell’autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d’uso di radiofrequenze o di numeri soltanto diritti amministrativi che coprono complessivamente i costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l’applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d’uso e degli obblighi specifici di cui all’articolo 6, paragrafo 2, di tale direttiva, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione ” e, ai punti 39 e 40, “ che siffatti diritti possono coprire soltanto i costi che si riferiscono alle attività ricordate al punto precedente della presente ordinanza, i quali non possono comprendere altre voci di spesa e che, di conseguenza, i diritti imposti in forza dell’articolo 12 della direttiva autorizzazioni non sono volti a coprire i costi amministrativi di qualsivoglia tipo sostenuti dall’ANR. Essa ha precisato, al punto 41 di detta sentenza, che risulta dall’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva, letto alla luce del considerando 30 della medesima, che i diritti in parola devono coprire i costi amministrativi veri e propri risultanti da tali attività e che vi debba essere equilibrio con tali costi. Il gettito complessivo di tali diritti percepito dagli Stati membri non può quindi eccedere il totale dei costi relativi a dette attività ”;

d) quanto sopra trova plastico riscontro in altra sentenza della Corte (distinta da quelle più sopra citate) del 27 giugno 2013, Vodafone Malta e Mobisle Communications (C-71/12, EU:C:2013:431), nella quale, a completamento di quanto sopra, si afferma che i “ diritti amministrativi di cui all’articolo 12 della direttiva autorizzazioni hanno carattere remunerativo, poiché, da un lato, possono essere imposti solo per i servizi amministrativi svolti dalle ANR a favore degli operatori di comunicazioni elettroniche, segnatamente a titolo dell’autorizzazione generale o della concessione di un diritto d’uso delle frequenze radio o dei numeri e, dall’altro, devono coprire i costi amministrativi sostenuti per tali servizi ”.

7 – In conclusione la Corte, con riferimento al primo quesito sottopostole dalla Sezione con il rinvio pregiudiziale, nell’ordinanza del 29 aprile 2020, afferma che:

A) i costi dell’ANR che possono essere coperti da un diritto in forza di tale disposizione sono non l’insieme delle spese di funzionamento dell’ANR, ma i costi amministrativi complessivi relativi alle tre categorie di attività di cui a detta disposizione, vale a dire: 1) le attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale ai sensi dell’articolo 3 della direttiva autorizzazioni, il quale comprende le condizioni che possono corredare l’autorizzazione generale elencate all’allegato, parte A, di tale direttiva;
2) le attività di gestione, controllo e applicazione dei diritti d’uso di radiofrequenze e di numeri di cui all’articolo 5 della direttiva autorizzazioni e delle condizioni che possono corredare tali diritti, elencate all’allegato, parti B e C, di tale direttiva;
3) le attività di gestione, controllo e applicazione degli obblighi specifici di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni, che comprendono gli obblighi che possono essere imposti ai fornitori di reti e di servizi di comunicazione elettronica ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, e degli articoli 6 e 8 della direttiva accesso o in forza dell’articolo 17 della direttiva servizio universale, nonché gli obblighi che possono essere imposti ai fornitori designati per la fornitura di un servizio universale conformemente a quest’ultima direttiva;

B) possono essere inclusi nei costi amministrativi complessivi relativi alle tre suelencate categorie di attività: 1) i costi di cooperazione internazionale;
2) di armonizzazione e di standardizzazione;
3) di analisi di mercato;
4) di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato;
5) di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione;

C) in merito alle “ funzioni dell’ANR relative alla regolazione, alla vigilanza, alla composizione delle controversie e sanzionatorie ”, queste derivano dalle attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d’uso o degli obblighi specifici, di modo tale che i costi sostenuti per le medesime possono essere coperti dai diritti amministrativi imposti conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni;

D) in merito alla “ attività di regolazione ex ante ”, per effetto dell’articolo 3, paragrafo 3- bis , della direttiva quadro, essa consiste nell’imporre ai fornitori di reti o di servizi di comunicazione elettronica obblighi come quelli previsti all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, o all’articolo 6 della direttiva accesso e quelli imposti, conformemente all’articolo 8 di tale direttiva o all’articolo 17 della direttiva servizio universale, alle imprese designate come dotate di significativo potere di mercato a seguito della procedura per l’analisi di mercato di cui all’articolo 16 della direttiva quadro. Sicché la “ regolazione ex ante del mercato ” fa parte integrante della suelencata terza categoria di attività dell’ANR (nonché di taluni compiti sopra menzionati quali “ i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione ”), con la conseguenza per cui i costi che possono essere coperti dai diritti amministrativi imposti conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni non possono limitarsi a quelli sostenuti per l’attività di regolazione ex ante del mercato.

8. – Passando poi al secondo quesito sottoposto alla Corte unionale dalla Sezione con l’ordinanza 3109/2019 (che, sostanzialmente, atteneva alla questione, “ se l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale, da un lato, il rendiconto annuo previsto in tale disposizione è pubblicato successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario annuale nel quale i diritti amministrativi sono stati riscossi e, dall’altro, le opportune rettifiche sono effettuate nel corso di un esercizio finanziario non immediatamente successivo a quello nel quale tali diritti sono stati riscossi ”), la Corte nel suo percorso argomentativo ha ulteriormente chiarito che:

a) va premesso che il rendiconto annuale previsto all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni mira, come risulta dal considerando 30 di tale direttiva, a garantire la trasparenza della contabilità gestita dall’ANR, consentendo così alle imprese interessate di verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti;

b) già al punto 41 della sentenza del 18 luglio 2013 la Corte aveva segnalato che la direttiva autorizzazioni non prevede né il modo in cui determinare l’importo dei diritti amministrativi che possono essere imposti ai sensi dell’articolo 12 di tale direttiva, né le modalità di prelievo di tali diritti, di talché spetta agli Stati membri determinare le modalità della pubblicazione del rendiconto annuale e dell’attuazione delle opportune rettifiche imposte dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni, garantendo al contempo la trasparenza in maniera tale che le imprese interessate possano verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti;

c) alla luce di quanto sopra deve concludersi nel senso che “ né la pubblicazione del rendiconto annuale successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario annuale durante il quale i diritti amministrativi sono stati riscossi, né l’applicazione delle opportune rettifiche durante un esercizio finanziario che non sia immediatamente successivo a quello durante il quale tali diritti sono stati riscossi sembrano, di per sé, impedire il soddisfacimento di tale requisito ”.

9. – Alla luce di quanto sopra, nei richiamati precedenti recenti della Sezione (cfr., oltre alla sentenza n. 6776/2021 cit., le sentenze di analogo tenore 11 ottobre 2021 nn. 6771, 6772, 6774, 6775, 6777, 6778 e 6779), tenendo inoltre conto di quanto emerge da una attenta lettura dell’ordinanza della Corte di giustizia UE del 29 aprile 2020 e seguendo anche quanto la Sezione ha ritenuto di affermare in talune recenti decisioni (diverse da quelle sopra richiamate), che, pur relative a profili diversi, comunque incidono sulla soluzione della presente controversia (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 29 luglio 2020 n. 4827 e, ancor più di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2021 n. 1995), si è potuto, in via conclusiva, affermare che i provvedimenti impugnati manifestano a questo punto, dopo la rimessione alla Corte UE, la sua decisione e la valutazione della portata e degli effetti della stessa, come sopra operati dalla Sezione (e fatti propri dal Collegio nel caso in esame), un evidente difetto di motivazione, per carenza di analiticità della stessa, con specifico riferimento ai veri elementi che “atomisticamente” contribuiscono a formare le voci del contributo richiesto agli operatori, tenuto anche conto del fatto che detto difetto di motivazione espone al conseguente rischio di duplice contribuzione (con specifico riferimento ai c.d. ricavi riversati) “ sia da parte dell'operatore che presta il servizio all'utente finale e al contempo paga il servizio di interconnessione/raccolta/terminazione (...) sia da parte del terzo operatore cui le quote sono riversate a titolo di corrispettivo e per il quale rappresentano un ricavo parimenti sottoponibile a contributo ”.

In altri termini, ad avviso del Collegio, da tutto quanto sopra si è osservato, si manifesta una fondatezza “sostanziale e fluida” dei vari profili di contestazione che concorrono a comporre i motivi di appello dedotti dalla società oggi appellante, che impongono all’Autorità di rideterminare opportunamente, secondo le indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia UE, l’entità del contributo dovutole, nel caso di specie per l’anno 2018 (qui oggetto di contenzioso), provvedendo a corredare ogni calcolo con adeguata motivazione essendo emerso con chiarezza che il contributo non può riguardare tutte le spese complessivamente sostenute per il funzionamento dell’Autorità (mentre l’Autorità nelle proprie difese tanto ha genericamente sostenuto senza farsi carico di specifiche deduzioni sulle voci di costo contestate dalle controparti).

Tale contributo pur non limitato alla regolazione ex ante può ricomprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione ma non tutti i costi di funzionamento.

Ne deriva la necessità di una nuova istruttoria che definisca analiticamente il perimetro dei costi ammissibili, non potendo il giudice amministrativo spingersi oltre nelle proprie indicazioni e soprattutto non potendo disporre nel merito dell’esercizio del relativo potere determinativo del contributo, rimesso unicamente all’AGCOM, non vertendosi in materia assegnata alla giurisdizione di merito del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 134 c.p.a..

Resta estranea a questo contenzioso la questione relativa all’eventualità di valutazione, sul piano normativo, di un intervento che riporti le spese di funzionamento dell’Autorità eccedenti il perimetro comunitariamente compatibile a fiscalità generale o, in alternativa, sul piano amministrativo, di una riduzione di tali costi ove eccedenti l’area dei costi ammissibili a contribuzione.

10. – In ragione delle suesposte osservazioni, nei limiti e nei termini di cui in motivazione, si presentano fondati i motivi di appello dedotti, non ritenendo il Collegio rilevante (stante il sostanziale accoglimento delle censure dedotte) la questione di legittimità costituzionale proposta, di talché va accolto l’appello proposto e va dunque riformata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. III- ter , 12 febbraio 2021 n. 1767, con accoglimento del ricorso presentato in primo grado (n. R.g. 3524/2018), pur sempre nei limiti e nei termini sopra evidenziati.

Va precisato che la presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021 n. 6209 e 18 luglio 2016 n. 3176), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Ad avviso del Collegio, stante la complessità e la peculiarità della vicenda contenziosa nonché della novità di alcuni profili contestativi evidenziati in giudizio, sussistono i presupposti di cui all’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare le spese del doppio grado di giudizio tra le parti controvertenti.

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