TAR Napoli, sez. II, sentenza 2019-04-15, n. 201902122
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Testo completo
Pubblicato il 15/04/2019
N. 02122/2019 REG.PROV.COLL.
N. 02253/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2253 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da
GUSEPPE TUFANO, rappresentato e difeso dall’Avv. G A, con il quale è elettivamente domiciliato in Napoli al Viale Michelangelo n. 33;
contro
COMUNE DI AFRAGOLA, rappresentato e difeso dall’Avv. A I dell’Avvocatura Municipale, con domicilio digitale presso la PEC Registri Giustizia del suo difensore;
per l'annullamento
quanto al ricorso introduttivo:
a) dell’ordinanza dirigenziale del Comune di Afragola n. 31/2012 del 1° marzo 2012, recante, a seguito del diniego di condono edilizio, l’ingiunzione di demolizione di opere abusive realizzate nel territorio comunale alla 7^ traversa Saggese;
b) della comunicazione di avvio del procedimento di demolizione prot. n. 1107 del 18 gennaio 2012;
c) della disposizione dirigenziale del Comune di Afragola prot. n. 14688 del 6 luglio 2011, recante il diniego di condono edilizio delle suddette opere abusive;
d) di tutti i provvedimenti connessi, conseguenti e conseguenziali, comunque lesivi degli interessi dei ricorrenti;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
e) degli atti impugnati con il ricorso introduttivo;
f) della disposizione dirigenziale del Comune di Afragola prot. n. 3150 del 13 agosto 2012, recante il diniego di accertamento di conformità delle suddette opere abusive;
g) dell’ordinanza dirigenziale del Comune di Afragola n. 98/12 del 15 ottobre 2012, con la quale è stata confermata, a seguito del diniego di accertamento di conformità, l’ingiunzione di demolizione di cui sopra;
h) di tutti i provvedimenti connessi, conseguenti e conseguenziali, comunque lesivi degli interessi dei ricorrenti.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente;
Viste le memorie difensive;
Vista l’ordinanza n. 5821 dell’8 ottobre 2018, con la quale è stata accolta l’opposizione alla perenzione limitatamente alla posizione processuale dell’odierno ricorrente;
Visti tutti gli atti della causa;
Dato avviso ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2019 il dott. Carlo Dell'Olio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il gravame in trattazione, come integrato dai motivi aggiunti, il ricorrente impugna gli atti individuati in epigrafe, inerenti ad opere edilizie realizzate in accertata assenza di permesso di costruire su alcuni fondi di sua proprietà, ubicati in Afragola, in territorio agricolo, alla 7^ traversa Saggese.
1.1 Più in dettaglio e venendo ai provvedimenti meno risalenti nel tempo, con la disposizione di diniego prot. n. 3150 del 13 agosto 2012, l’istanza di accertamento di conformità, presentata dal ricorrente in relazione alle suddette opere edilizie, consistenti in alcuni capannoni ad uso produttivo in acciaio, in tettoie e in muri di recinzione in cemento armato e ferro, veniva respinta essenzialmente per i seguenti due ordini di motivi, ognuno capace di per sé di sorreggere la negativa determinazione comunale: i) “I lotti di cui all’oggetto ricadono in zona B7 “Insediamenti edificati radi in territorio agricolo o costituenti “frange” del tessuto urbano consolidato” del vigente P.R.G. dove per tali zone è prevista la redazione di Piani Urbanistici Attuativi (PUA) rivolti al recupero urbanistico secondo le indicazioni riportate nelle norme di attuazione del piano vigente, dove nelle more della redazione dei predetti piani sono consentiti solo opere di manutenzione straordinaria ad immobili legittimi ed esclusa ogni nuova edificazione”;ii) “I manufatti di nuova costruzione non sono compatibili con l’attuale assetto urbanistico della zona in cui ricadono”.
Viceversa, con l’ordinanza di demolizione n. 98/12 del 15 ottobre 2012, emanata a seguito del diniego di accertamento di conformità, veniva confermata la precedente ordinanza di demolizione n. 31/2012 del 1° marzo 2012, tesa a colpire i manufatti di cui sopra sul presupposto della loro abusività.
1.2 Il Comune di Afragola conclude nei suoi scritti difensivi per la reiezione delle pretese attoree.
Parte ricorrente insiste nelle proprie tesi con memoria conclusiva.
La causa, rimessa sul ruolo a seguito di accoglimento parziale dell’opposizione alla perenzione, è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 19 marzo 2019.
2. In via preliminare, va chiarito che gli unici provvedimenti passibili di cognizione sono la disposizione di diniego di sanatoria prot. n. 3150 del 13 agosto 2012 e l’ordinanza di demolizione n. 98/12 del 15 ottobre 2012, dal momento che sui rimanenti atti gravati – ossia sull’ordinanza di demolizione n. 31/2012 del 1° marzo 2012, sulla comunicazione di avvio del procedimento di demolizione prot. n. 1107 del 18 gennaio 2012 e sulla disposizione di diniego di condono edilizio prot. n. 14688 del 6 luglio 2011 – non può intervenire alcuna pronuncia di merito, essendo le relative impugnative improcedibili, inammissibili o irricevibili per le ragioni che si andranno di seguito sinteticamente ad esporre con riferimento ad ogni singola determinazione: 1) ordinanza di demolizione n. 31/2012 del 1° marzo 2012: improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, atteso che tale provvedimento, già impugnato con il ricorso introduttivo, è stato superato dall’ordinanza n. 98/12 del 15 ottobre 2012 gravata con il ricorso per motivi aggiunti, con la quale è stata confermata, sulla base di un nuovo percorso istruttorio ed argomentativo, l’ingiunzione demolitoria precedentemente emessa. Infatti, qualora l’amministrazione, sulla scorta di una rinnovata istruttoria e di un’aggiornata motivazione, dimostri di voler confermare la volizione espressa in un atto pregresso, il successivo provvedimento si qualifica come atto del tutto nuovo con effetto confermativo (e non meramente confermativo): ne discende che deve essere dichiarata improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse la domanda di annullamento rivolta (come nella specie) avverso il provvedimento che, dopo l’instaurazione del giudizio, sia stato superato e sostituito dal provvedimento di conferma, dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica del privato e, come tale, idoneo a rendere priva di utilità la pronuncia sull’impugnativa proposta avverso il precedente provvedimento (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 1° settembre 2015 n. 4098 e 22 dicembre 2014 n. 6265;Consiglio di Stato, Sez. V, 5 dicembre 2014 n. 6104;TAR Lazio Roma, Sez. II, 1° marzo 2016 n. 2738;TAR Piemonte, Sez. I, 5 giugno 2015 n. 943;TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 9 marzo 2015 n. 125;TAR Veneto, Sez. I, 6 marzo 2015 n. 282);2) comunicazione di avvio del procedimento di demolizione prot. n. 1107 del 18 gennaio 2012: inammissibilità per carenza di interesse, perché nella specie si tratta di mero atto endoprocedimentale destinato ad essere recepito nel provvedimento demolitorio finale e, quindi, di atto privo di autonoma lesività;3) disposizione di diniego di condono edilizio prot. n. 14688 del 6 luglio 2011: irricevibilità per tardività, essendo tale atto pervenuto nella sfera di conoscenza del ricorrente (mediante notifica a mani proprie, cfr. produzione documentale depositata dalla difesa comunale il 4 giugno 2012) il 14 luglio 2011, ossia ben oltre sessanta giorni prima della notificazione del ricorso introduttivo, perfezionatasi per lo stesso ricorrente il 27 aprile 2012, con conseguente violazione del termine decadenziale previsto dagli artt. 29 e 41 c.p.a.
3. Perimetrato l’ambito del giudizio ai suindicati provvedimenti di diniego di sanatoria del 13 agosto 2012 e di demolizione del 15 ottobre 2012, vale cominciare con lo scrutinio della prima censura articolata avverso il diniego di sanatoria, con la quale si stigmatizza che l’amministrazione non ha esternato le motivazioni poste a base del rigetto dell’istanza di accertamento di conformità, in violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990.
La doglianza va disattesa, dal momento che tale provvedimento si presenta corredato da specifici rilievi argomentativi che illustrano, in maniera sufficientemente esaustiva, i motivi impeditivi dell’accoglimento dell’istanza di accertamento di conformità (cfr. quanto riportato al superiore paragrafo 1.1).
4. Con altra censura, parte ricorrente denuncia il difetto di istruttoria da cui sarebbe affetto il diniego di sanatoria, giacché l’amministrazione non avrebbe valutato che nella fattispecie non era necessaria l’intermediazione di alcun piano urbanistico attuativo, essendo l’area di intervento già caratterizzata da “uno stato di urbanizzazione pressoché completo, con la sussistenza di opere di urbanizzazione primaria”.
La censura non convince.
È ben vero che è principio ormai acquisito che la necessità di preventiva presentazione di un piano attuativo si impone qualora si tratti di asservire per la prima volta all’edificazione, mediante la costruzione di uno o più fabbricati, aree non ancora urbanizzate che obiettivamente richiedano la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria;in tal caso, non può prescindersi dalla previa predisposizione della pianificazione attuativa, sotto forma di piano particolareggiato o di piano/convenzione di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio del permesso di costruire. Diversamente, quando si verta in presenza di un lotto intercluso o in altri casi analoghi in cui la zona risulti totalmente urbanizzata attraverso la realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività, quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione dell’acqua, dell’energia elettrica e del gas, scuole, ecc., lo strumento urbanistico attuativo deve ritenersi superfluo e non più esigibile da parte dell’amministrazione comunale tenuta al rilascio del titolo edilizio (cfr. per tutte TAR Sicilia Catania, Sez. I, 29 ottobre 2015 n. 2518).
Tuttavia, il delineato principio generale non assume valenza assoluta e deve essere contemperato con l’altro consolidato principio, secondo il quale l’esigenza di un piano urbanistico attuativo, quale presupposto per il rilascio del permesso di costruire, si impone anche per garantire un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi, pure al più limitato fine di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate per le quali la relativa strumentazione urbanistica postuli la necessità di una pianificazione di dettaglio, anche laddove ricorra l’ipotesi di lotto intercluso o di altre situazioni analoghe di pregressa completa urbanizzazione;in altri termini, il principio secondo cui può prescindersi nelle zone di espansione dalla previa presentazione di un piano particolareggiato o di lottizzazione qualora la zona sia completamente urbanizzata, recede nel caso in cui sussista una specifica previsione della strumentazione urbanistica che imponga l’assolvimento di tale onere prima di avviare l’attività edilizia (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 13 aprile 2016 n. 1434;Consiglio di Stato, Sez. V, 29 febbraio 2012 n. 1177;Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 gennaio 2012 n. 26;TAR Campania Napoli, Sez. II, 3 luglio 2017 n. 3538 e 5 aprile 2016 n. 1662;TAR Campania Salerno, Sez. I, 23 marzo 2015 n. 633;TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 3 luglio 2012 n. 3140).
4.1 O, applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso in questione, deve essere affermata l’inattaccabilità della ragione ostativa al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria individuata dall’amministrazione, se solo si pone mente al dato pacifico che l’allora vigente piano regolatore generale (PRG) subordinava espressamente l’espletamento dell’attività edificatoria nella zona B7 (di insediamento dei manufatti) alla previa approvazione del piano urbanistico attuativo, nella specie non intervenuta.
4.2 Quanto sopra esposto riveste carattere assorbente ed esime il Collegio dall’esaminare le rimanenti censure con cui parte ricorrente intende contestare il gravato diniego di sanatoria in ordine al profilo motivazionale dell’incompatibilità dei manufatti con l’assetto urbanistico di zona, dal momento che comunque l’impianto complessivo di tale atto risulta validamente sorretto dalla necessità di dotarsi di una preventiva pianificazione attuativa. Soccorre, al riguardo, il condiviso principio secondo il quale, laddove una determinazione amministrativa di segno negativo tragga forza da una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali sia di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse passi indenne alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento (cfr. Consiglio di Stato, A.P., 29 febbraio 2016 n. 5;Consiglio di Stato, Sez. V, 6 marzo 2013 n. 1373 e 27 settembre 2004 n. 6301;Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 luglio 2010 n. 4243).
5. Esaurito in senso sfavorevole al ricorrente il vaglio di legittimità del diniego di sanatoria, il Collegio può passare a scrutinare le censure complessivamente articolate avverso l’ordinanza di demolizione da ultimo emanata, le quali possono essere così riassunte:
a) l’ordinanza di demolizione è inficiata dall’invalidità derivata discendente dal presupposto diniego di sanatoria;
b) i manufatti realizzati, essendo di modesta entità ed avendo, almeno con riguardo alle tettoie, natura di strutture pertinenziali dei lotti di terreno, sono soggetti al regime della DIA e non del permesso di costruire, con conseguente inappropriatezza della sanzione demolitoria;
c) l’amministrazione comunale non ha valutato che le tettoie e i muri di recinzione non avrebbero comportato, in ragione delle loro dimensioni, attività edificatoria soggetta a permesso di costruire, con conseguente inappropriatezza della sanzione demolitoria anche sotto tale aspetto;
d) le opere in questione risultano già assentite da un precedente provvedimento di “autorizzazione alla ristrutturazione”;
e) l’ordinanza di demolizione è affetta da difetto di motivazione sia in relazione alle norme ritenute violate e alla consistenza delle opere sia in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico sul contrapposto interesse privato, tenuto conto dell’entità e della tipologia dell’abuso;
f) il difetto motivazionale è ulteriormente ravvisabile nella mancanza di qualsiasi riferimento all’eventuale sanabilità degli interventi effettuati in ragione della loro possibile conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici.
Tutte le prefate doglianze non meritano condivisione per le ragioni di seguito esplicitate.
6. Innanzitutto, non è assolutamente prospettabile alcuna situazione di invalidità derivata imputabile al diniego di sanatoria, essendosi appurata la sua resistenza all’impugnativa proposta in questa sede.
7. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, come emerge dalla descrizione contenuta nell’ordinanza di demolizione e dal corredo fotografico presente nel fascicolo processuale, rimasti nello specifico incontestati, i manufatti realizzati non sono di modesta entità e comportano un considerevole impatto urbanistico in termini plano-volumetrici.
Ne deriva che, nel loro complesso, sono sicuramente assoggettabili al regime del permesso di costruire piuttosto che a quello della DIA, con conseguente applicabilità della misura demolitoria.
Invero, giova osservare che nel ponderare l’impatto urbanistico di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come nella specie, deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata della complessiva operazione posta in essere. Ne discende che i singoli abusi eseguiti vanno riguardati nella loro interezza e, proprio perché visti nel loro insieme, possono determinare quella complessiva alterazione dello stato dei luoghi che legittima la sanzione demolitoria applicata e persuade della sua appropriatezza e proporzionalità rispetto a quanto realizzato (cfr. TAR Puglia Bari, Sez. III, 9 aprile 2015 n. 577;TAR Toscana, Sez. III, 30 gennaio 2012 n. 199;TAR Campania Napoli, Sez. VI, 9 novembre 2009 n. 7053).
7.1 Né è predicabile la natura pertinenziale almeno delle tettoie, le quali, viceversa, configurandosi come manufatti autonomi e comportando trasformazione del territorio, necessitavano del preventivo rilascio del permesso di costruire.
Infatti, la nozione di pertinenza urbanistica accolta dalla giurisprudenza amministrativa è meno ampia di quella civilistica. In tale ottica, gli elementi che caratterizzano la pertinenza urbanistica sono, da un lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio, e, dall’altro, l’esistenza di un collegamento funzionale tra il manufatto e l’immobile principale, con la conseguente incapacità per il primo di essere utilizzato separatamente ed autonomamente rispetto al secondo;pertanto, un’opera può definirsi accessoria nei riguardi di un’altra, da considerarsi principale, solo quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2016 n. 19;TAR Campania Napoli, Sez. IV, 14 settembre 2016 n. 4310). Ebbene, ad avviso del Collegio, nella specie non è ravvisabile la sussistenza di nessuna delle due condizioni integranti l’ipotesi della pertinenza urbanistica. Infatti, quanto all’aspetto quantitativo-dimensionale, si evidenzia che si tratta nello specifico di costruzioni di dimensioni importanti che, occupando vaste zone di superficie, sono idonee a modificare in maniera rilevante l’esistente assetto territoriale. Con riferimento, invece, all’aspetto funzionale, si osserva che l’utilizzo delle tettoie assume valenza assolutamente autonoma ed indipendente dalla fruizione dei fondi agricoli di proprietà del ricorrente, essendo tale utilizzo finalizzato ad attività di tipo produttivo (industriale, artigianale e commerciale) e non agricolo.
8. Fermo restando, in via assorbente, quanto evidenziato al superiore paragrafo 7 in merito alla valutazione globale delle opere abusive poste in essere, il Collegio osserva che le tettoie e i muri di recinzione, anche singolarmente considerati, sarebbero comunque soggetti al regime del permesso di costruire ed al relativo trattamento sanzionatorio, con la conseguenza che all’amministrazione comunale non può essere ascritto alcun difetto di istruttoria nel ponderare la portata di tali interventi.
8.1 Invero, la realizzazione di tettoie, peraltro di non ridotte dimensioni come nella specie, comportando trasformazione urbanistico-edilizia del territorio (ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 380/2001), si caratterizza quale intervento di nuova costruzione a tutti gli effetti, con ogni conseguenza in termini di incidenza sui parametri urbanistici e di rilascio del corrispondente titolo abilitativo, che deve pertanto essere individuato nel permesso di costruire (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. IV, 14 settembre 2016 n. 4310;TAR Campania Napoli, Sez. III, 28 aprile 2016 n. 2167).
8.2 Con riferimento al regime edilizio applicabile ai muri di recinzione colpiti dall’ordine demolitorio, giova richiamare l’orientamento giurisprudenziale prevalente, condiviso dal Collegio, secondo il quale, in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere riguardate in base all’astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta dell’impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano sottoposte al regime della DIA (oggi SCIA) ove non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre abbisognano del permesso di costruire ove detta soglia, come avvenuto nella fattispecie, risulta superata in ragione dell’importanza dimensionale degli interventi posti in essere (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2016 n. 10 e 4 luglio 2014 n. 3408;Cass. Pen., Sez. III, 11 novembre 2014 n. 52040).
9. Né si profila persuasiva, perché non assistita da validi elementi di prova, l’asserzione secondo la quale gli interventi in questione sarebbero stati assentiti da un precedente provvedimento autorizzativo della ristrutturazione.
D’altronde, anche qualora esistesse tale fantomatico provvedimento autorizzatorio, esso non sarebbe idoneo a fornire copertura ai manufatti in questione: invero, quand’anche in detto provvedimento fosse stato rappresentato lo stato di fatto dei manufatti nella già avvenuta edificazione abusiva, tale edificazione sarebbe stata comunque illecitamente effettuata e non avrebbe potuto trovare alcuna legittimazione postuma in un titolo edilizio rilasciato a fini di ristrutturazione edilizia, cioè per lavori di diversa e minore consistenza.
10. Il Collegio osserva che, secondo la condivisibile giurisprudenza amministrativa prevalente, l’ordinanza di demolizione, in quanto atto dovuto e rigorosamente vincolato, non necessita di particolare motivazione, potendosi ritenere adeguata e autosufficiente la motivazione quando già solo siano rinvenibili la compiuta descrizione delle opere abusive, la constatazione della loro esecuzione in assenza o difformità dal permesso di costruire e l’individuazione della norma applicata, come ravvisabile nel caso di specie, ogni altra indicazione – ad esempio in tema di caratteristiche dimensionali o di collocazione temporale degli illeciti edilizi – esulando dal contenuto tipico del provvedimento (cfr. ex multis TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 30 maggio 2017 n. 2870 e 28 gennaio 2016 n. 538;TAR Campania Napoli, Sez. VI, 23 gennaio 2012 n. 315). Inoltre, si rileva che i provvedimenti di repressione degli abusi edilizi sono atti dovuti con carattere essenzialmente vincolato e privi di margini discrezionali, per cui è da escludere la necessità di una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico concreto ed attuale o di una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati;ne discende che essi sono sufficientemente motivati con riguardo all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime dei titoli abilitativi edilizi e del corrispondente trattamento sanzionatorio, non rivelandosi necessario alcun ulteriore obbligo motivazionale (cfr. Consiglio di Stato, A.P., 17 ottobre 2017 n. 9;Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 marzo 2017 n. 1386 e 28 febbraio 2017 n. 908;Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 ottobre 2016 n. 4205 e 31 agosto 2016 n. 3750).
11. Infine, va rimarcato che, una volta accertata l’esecuzione di opere in assenza di permesso di costruire, non costituisce onere dell’amministrazione comunale verificare la sanabilità delle stesse (a seguito di accertamento di conformità) in sede di vigilanza sull’attività edilizia, essendo per legge rimessa ogni iniziativa in merito all’impulso del privato interessato;pertanto, l’ordine di demolizione può ritenersi validamente supportato, come nel caso di specie, dalla mera descrizione dell’abuso accertato, la quale costituisce presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VI, 3 agosto 2015 n. 4190;TAR Campania Napoli, Sez. IV, 24 settembre 2002 n. 5556).
12. In conclusione, resistendo gli atti impugnati a tutte le censure prospettate, il ricorso, come integrato dai motivi aggiunti, deve essere respinto siccome infondato.
Le spese processuali devono essere addebitate alla soccombente parte ricorrente, nella misura liquidata in dispositivo.