TAR Napoli, sez. III, sentenza 2019-07-02, n. 201903645

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. III, sentenza 2019-07-02, n. 201903645
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201903645
Data del deposito : 2 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/07/2019

N. 03645/2019 REG.PROV.COLL.

N. 04818/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4818 del 2014, proposto da
Beneduce Filippo, Beneduce Francesca, Beneduce Giovanni, Beneduce Gaetana, Auriemma Carolina, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato L B A M, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tar Campania Napoli, con i seguenti recapiti ai fini delle comunicazioni di cui all’art. 136 c.p.a.: PEC, avv.molinaro@pec.it;

contro

Comune di Sant'Anastasia, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via dei Tribunali n. 181, con i seguenti recapiti ai fini delle comunicazioni di cui all’art. 136 c.p.a.: PEC, affarilegali@pec.comunesantanastasia.it;

per l'annullamento:

dell'ordinanza di demolizione n.15 del 7 luglio 2014 emessa dal Comune di Sant'Anastasia.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Sant'Anastasia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2019 il dott. G P, presente l’avv. A C per il Comune di Sant'Anastasia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- I ricorrenti - Beneduce Filippo, Beneduce Francesca, Beneduce Giovanni, Beneduce Gaetana e Auriemma Carolina - sono proprietari (come da dichiarazione di successione presentata all’Ufficio del registro di Napoli n. 2477 volume 4200 del 3.04.2000) di un edificio situato in Via Marra Masseria Marciana n. 15, riportato in Catasto al Foglio 9, particella 356, sub 3 e sub 4.

Sul lastrico solare di tale edificio, avevano realizzato in sopraelevazione, un manufatto in cemento armato, avente le dimensioni di circa mt. 18 x mt 6, privo di scala di accesso e di porta di ingresso, completo di tompagnature esterne, tramezzature interne, sporto balcone con un parapetto di cm. 80 di altezza, infissi esterni in ferro e impermeabilizzazione del lastrico solare completo di tegole perimetrali, il tutto allo stato grezzo.

L’amministrazione comunale, con ordinanza n. 172 del 10 agosto 2001, aveva ingiunto ai ricorrenti la demolizione del manufatto in sopraelevazione.

2.- In seguito, la ricorrente Auriemma Carolina presentava domanda (prot. 14440 del 3 settembre 2001) per l’accertamento postumo di conformità della sopraelevazione in questione.

Con verbale n. 45, relativo alla seduta del 5 settembre 2001, la Commissione Edilizia esprimeva parere negativo in quanto: “le opere eseguite eccedono notevolmente la superficie e la volumetria realizzabile, prevista dal vigente P.R.G. nella zona “E” agricola, in cui rientra tale manufatto”.

Con domanda prot. n. 21069 del 18 novembre 2004, Auriemma Carolina - giovandosi delle previsioni di cui all’art. 32 D.L. 269/2003, convertito con modificazioni, nella L. n. 326/2003 - presentava domanda di sanatoria edilizia per il piano sopraelevato.

L’amministrazione comunale, con provvedimento prot. n. 10844 del 15 maggio 2014, rigettava la domanda posto che la costruzione insiste, da un lato, in area sottoposta a vincolo paesaggistico e, dall’altro, al vincolo di cui all’art. 3 della legge regionale n. 21/2003 per le opere ad uso residenziale nella cd. zona rossa ad alto rischio vulcanico dei comuni vesuviani.

3.- Avverso il diniego di sanatoria, gli odierni ricorrenti avevano proposto ricorso avanti a questo TAR, iscritto al numero di registro generale n. 3869 del 2014, definito con sentenza di rigetto n. 609 del 4 febbraio 2019.

Da ultimo, l’amministrazione comunale, nella persona del Responsabile del Settore Urbanistica, con l’impugnata ordinanza n. 15 del 7 luglio 2014, notificata il successivo 11, ha ingiunto la demolizione della sopraelevazione realizzata in assenza di concessione edilizia ed il ripristino dello stato dei luoghi.

4.- Con ricorso notificato il 17 settembre 2014 e depositato il successivo 8 ottobre, Beneduce Filippo, Beneduce Francesca, Beneduce Giovanni, Beneduce Gaetana e Auriemma Carolina hanno impugnato la menzionata ordinanza n. 15/2014.

Il Comune di Sant’Anastasia, con memoria depositata in data 17 novembre 2014, si è costituito in giudizio per chiedere il rigetto del ricorso;
con memoria depositata il 21 dicembre 2018, l’amministrazione comunale ha ribadito la propria linea difensiva.

A seguito dell’udienza pubblica del 22 gennaio 2019, nel cui ruolo era stata inserita l’odierna controversa, la Sezione, con ordinanza collegiale istruttoria n. 362 del 23 gennaio 2019, ha chiesto chiarimenti in merito al permanere dell’interesse alla decisione della controversia.

Ha risposto parte ricorrente con dichiarazione di interesse al ricorso depositata il 1° aprile 2019.

La causa è stata quindi inserita nel ruolo dell’udienza pubblica del 2 aprile 2019, per essere quindi trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.- I ricorrenti hanno dedotto le seguenti censure:

1) Violazione dell’art. 7 L. n. 241/1990, per assenza della preventiva comunicazione di avvio del procedimento.

2) Violazione degli artt. 31 e 34 d.p.r. 380/2001;
eccesso di potere per carenza assoluta dei presupposti di fatto e di diritto;
l’ordinanza impugnata non darebbe contezza dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione né del presunto contrasto delle opere eseguite con la normativa urbanistica vigente né infine dell’istruttoria eventualmente svolta in relazione all’esistenza di cause ostative all’esercizio legittimo del potere repressivo;
sarebbe stata pretermessa qualsiasi valutazione circa l’entità della difformità delle parti del manufatto da demolire, dell’incidenza delle stesse sulle parti non abusive e, quindi, in merito alla possibilità della sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria.

3) Violazione della legge regionale n. 10/1982, art. 1 e allegato;
violazione dell’art. 82 d.p.r. 616/1977;
violazione del giusto procedimento di legge;
eccesso di potere per incompetenza.

Il provvedimento è stato emanato senza la preventiva acquisizione del parere della Commissione edilizia integrata per i beni ambientali istituita presso il Comune, ai sensi della Legge regionale n. 10/1982.

2.- Il ricorso è infondato.

2.1.- Giova premette che l’ordinanza di demolizione, oggetto del presente ricorso, è atto conseguente al provvedimento prot. n. 10844 del 15 maggio 2014, col quale l’amministrazione comunale aveva negato la sanatoria edilizia della sopraelevazione abusiva.

Il diniego, si ricorda, è stato impugnato dagli odierni ricorrenti davanti a questo TAR, con ricorso R. G. n. 3869/2014, conclusosi con la sentenza di rigetto n. 609/2019, la quale non risulta essere stata impugnata.

A fronte del diniego di sanatoria e, pertanto, dell’acclarato carattere abusivo della sopraelevazione, l’amministrazione comunale non ha potuto che ordinarne l’abbattimento e la rimessione in pristino dei luoghi.

2.2.- Deve in questo caso distinguersi tra l’ipotesi di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 d.p.r. 380/2001 (che ha ripreso il contenuto del previgente art. 13 L. n. 47/1985), e la domanda di sanatoria edilizia, ai sensi delle leggi sul cd condono edilizio (Legge 47/1985, 724/1994, 326/2003).

Nel primo caso, secondo ormai consolidata e condivisa giurisprudenza, la richiesta di accertamento di conformità, ai sensi del menzionato art. 36 d.p.r. 380/2001, non inibisce l'esercizio dei poteri repressivi e di contrasto agli abusi edilizi, poteri subordinati unicamente alla verifica del difetto del prescritto titolo, senza che occorrano indagini sulla loro sanabilità. Pertanto, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, la richiesta di accertamento di conformità, presentata successivamente all'adozione dell'ordinanza di demolizione, non incide sulla legittimità ovvero sull’efficacia di quest’ultima (che, si precisa, va valutata sulla base dei presupposti di fatto e di diritto esistenti al momento dell'emanazione dell'atto impugnato), ma ne sospende in via del tutto temporanea gli effetti, sino alla pronuncia espressa o alla formazione del silenzio, al quale il medesimo art. 36 assegna il valore legale tipico di diniego tacito dell'istanza (cfr. tra le altre, le sentenze del 17 gennaio 2018, n. 373, dell'8 novembre 2017 n. 5248 e del 24 ottobre 2017 n. 4944, nonché del 17 novembre 2017 n. 5451 e del 27 febbraio 2017 n. 1169).

Al contrario, la domanda per il cd condono comporta il venire meno dell'interesse alla decisione sul ricorso avverso l'ordinanza di demolizione dell'abuso edilizio, tenuto conto che il comune è tenuto a pronunciarsi.

Il rilascio della sanatoria rende quindi improcedibile il ricorso;
eguale effetto si verifica in caso di diniego di sanatoria, che andrà impugnato, concentrandosi l'interesse del richiedente sui vizi che eventualmente l’affliggono.

Pertanto, nel caso di provvedimenti sanzionatori adottati in epoca successiva all'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria edilizia, senza che questa sia stata definita, gli stessi devono reputarsi illegittimi, per violazione delle disposizioni contenute agli artt. 38 e 44 della legge 47/1985 (applicabile ratione materiae ai condoni, ai sensi, delle leggi n. 724/1994 e n. 326/2003).

Nel caso, invece, di provvedimenti sanzionatori adottati precedentemente alla domanda di sanatoria, la loro eventuale impugnazione giurisdizionale, per previsione di legge, diviene improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse;
questo perché la domanda di sanatoria obbliga l’amministrazione a valutare nuovamente il carattere abusivo dell'opera, sia pure al fine di verificarne l’eventuale sanabilità, con l’effetto di dovere emanare, al termine del procedimento valutativo, ove negativo, un nuovo provvedimento sanzionatorio che supera comunque il primo, nei contenuti e nella motivazione (cfr. TAR Reggio Calabria, sez. I, 8 febbraio 2016, n. 140).

Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata è logicamente conseguente al diniego di sanatoria.

2.3.- Ciò chiarito, in linea generale, secondo costante e condivisa giurisprudenza, è legittima l'ordinanza di demolizione adottata in assenza della comunicazione di avvio del procedimento in quanto, essendo la repressione dell'abuso un atto dovuto;
questo risulta ancora più evidente nella fattispecie in esame dove l’illecito edilizio, a seguito del diniego di sanatoria, è stato definitivamente accertato in via amministrativa e, poi, confermato anche in via giurisdizionale.

L’ordinanza di demolizione costituisce infatti nella fattispecie in esame una misura sanzionatoria che consegue non solo all’accertamento dell'inosservanza dell’abuso delle disposizioni urbanistiche ma anche della non sanabilità dell’opera.

L’ordinanza dunque si ricollega ad un preciso presupposto di fatto: l'abuso, di cui peraltro l'interessato non può non essere a conoscenza, rientrando i beni coinvolti direttamente nella sua sfera di controllo (TAR Lecce, sez. III, 8 marzo 2019, n. 410).

In ogni caso, anche qualora la comunicazione si ritenesse doverosa, il provvedimento sanzionatorio adottato dall'amministrazione – in conformità ad un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato - non avrebbe potuto comunque essere di diverso contenuto e, pertanto, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, L. n. 241/1990 non annullabile per questo profilo (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 2019, n. 2026;
questa Sezione, 8 aprile 2019, n. 1917).

La giurisprudenza, al riguardo, ha chiarito che: “L'attività di repressione degli abusi edilizi non costituisce attività discrezionale, ma del tutto vincolata che non abbisogna di particolare motivazione, essendo sufficiente fare riferimento all'accertata abusività delle opere che si ingiunge di demolire. Peraltro, nemmeno il lungo lasso di tempo intercorso tra la realizzazione dell'abuso e l'adozione del provvedimento repressivo refluisce in un più stringente obbligo motivazionale circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale alla ingiunzione di demolizione, atteso che non può ammettersi la consolidazione di un affidamento degno di tutela solo in virtù del tempo trascorso in costanza di una situazione di fatto abusiva, che non può ritenersi per ciò solo legittimata. Pertanto, l'ordinanza di demolizione, quale provvedimento repressivo, non è assoggettata ad alcun termine decadenziale e, quindi, è adottabile anche a notevole intervallo temporale dall'abuso edilizio, costituendo atto dovuto e vincolato alla ricognizione dei suoi presupposti”. (Cons. Stato, Sez. VI, 6 settembre 2017, n. 4243).

3.- Altrettanto privo di fondatezza è il motivo col quale i ricorrenti sostengono che l’avversato ordine di demolizione risulta essere espressione di istruttoria inadeguata, travisamento, sviamento, insufficienza di motivazione, in quanto nello stesso non sarebbe stata data certezza né dell’interesse pubblico alla demolizione, né del contrasto con la normativa urbanistica.

3.1.- Come sopra illustrato, è pacifico che l'ordinanza di demolizione costituisca un atto dovuto e vincolato, per la cui adozione non è quindi necessaria una motivazione ulteriore rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto, nonché all'individuazione ed alla qualificazione degli abusi edilizi. (Questa Sezione 1° marzo 2019, n. 1162;
TAR Lazio, Roma, Sez. 1, 10 gennaio 2014, n. 316;
TAR Napoli, Sez. VII, 10 gennaio 2014, n. 166). Non vi è quindi necessità di motivare le ragioni di interesse pubblico né sulla comparazione di quest’ultimo con gli interesse privati coinvolti, essendo prioritaria l’esigenza di ripristinare in ogni tempo i luoghi per il regolare assetto del territorio comunale.

3.2.- Non pertinente è il richiamo all’art. 34 d.p.r. 380/2001, norma che si riferisce ad interventi ed opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire. Nella fattispecie in esame, l’abuso dei ricorrenti, consistente nella sopraelevazione, è totalmente privo di titolo edilizio.

E’ evidente, infatti, che l’edificazione di un piano in sopraelevazione ad un immobile, avendo creato nuova volumetria, rientri tra gli interventi di nuova costruzione, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.1), d.p.r. 380/2001 (ampliamento di manufatti edilizi esistenti all’esterno della sagoma esistente), con la necessità di chiedere, in via preventiva, il permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a), d.p.r. 380/2001, oltreché di premunirsi dei singoli titoli autorizzatori connessi ai diversi vincoli insistenti sull’area, essendo il territorio del Comune di Sant’Anastasia assoggettato a vincoli di inedificabilità, ai sensi della L. n. 1902/1952 e sottoposto ai vincoli ambientali e paesaggistici ai sensi del R.D. n. 1497/1939, in seguito del d. lgs. 490/1999 ed, attualmente, d. lgs. 42/2004.

Per l’abuso perpetrato, quindi, la norma da applicare è l’art. 31, il quale al comma 2 stabilisce che: “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’art. 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione ...”.

3.3.- Riguardo all’applicazione dell’art. 34 d.p.r. 380/2001, invocato dai ricorrenti, si ricorda che, secondo costante e condivisa giurisprudenza, l'ingiunzione a demolire costituisce, anche rispetto alla fattispecie di cui all'art. 33 d.p.r. 380/2001, la prima e obbligatoria fase del procedimento repressivo. La norma in argomento individua, infatti, come prima soluzione sanzionatoria, proprio quella dell’abbattimento e del ripristino, a conferma della gravità dell'abuso e della previa necessità del titolo autorizzatorio al quale lo stesso è subordinato;
la stessa prevede, al più, la possibilità, qualora emergano difficoltà tecniche in sede di esecuzione della demolizione, di irrogare la sanzione pecuniaria. Questa evenienza rileva, tuttavia, solo nella fase esecutiva, cosicché la sua assenza nell'ordinanza di demolizione - al pari dell'eventuale presenza circa gli impedimenti tecnici a demolire - non costituisce vizio dell’ordinanza medesima (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 2018, n. 1063;
Id., 10 novembre 2017, n. 5180;
sez. VI, 21 novembre 2016, n. 4855;
questa Sezione, 14 marzo 2018, n. 1613).

L’art. 34, a sua volta, riguarda soltanto gli interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo edilizio, laddove la costruzione di cui si tratta è avvenuta in assenza di titolo edilizio.

In ogni caso, è onere dell’interessato di chiederne l’applicazione in proprio favore, fornendo una seria e idonea dimostrazione del pregiudizio temuto per la struttura e l'utilizzo del bene residuo, poiché, in quanto autore dell'opera e del progetto, è a conoscenza di come quest’ultimo è stato eseguito e di quali danni potrebbero prodursi, a seguito della demolizione, in pregiudizio della parte conforme (ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. II, 27 febbraio 2017, n. 1137;
id., 5 dicembre 2016, n. 5620;
id., 2 novembre 2016, n. 5022;
id., 11 ottobre 2016, n. 4667;
id., 22 novembre 2013, n. 5317;
Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2011, n. 4982).

3.5.- In ogni caso, l’opera abusiva per cui è causa, è stata terminata nel corso dell’anno 2003, pertanto la stessa è assoggetta anche ai divieti introdotti dalla legge regionale 21/2003, la quale all’art. 2 stabilisce che, nei comuni rientranti ai sensi dell’art. 1 nelle zone a rischio vulcanico dell’area vesuviana, tra i quali il comune di Sant’Anastasia, gli strumenti urbanistici generali ed attuativi dei comuni non possono contenere disposizioni che prevedono l’incremento dell’edificazione a scopo residenziale, mediante l’aumento dei volumi abitabili e dei carichi urbanistici derivanti dai pesi insediativi nei rispettivi territori.

4.- Quanto alla dedotta violazione della legge regionale n. 10/1982 e del D.P.R. 616/1977, trattandosi di intervento edilizio abusivo per il quale, come sopra descritto, trova applicazione l’art. 31, comma 2, d.p.r. 380/2001, l’attività di controllo del territorio e di contrasto agli interventi di edilizia abusiva è rimessa esclusivamente al responsabile del competente ufficio comunale.

In proposito si segnala che, secondo costante e condivisa giurisprudenza, per emanare l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata non è necessario acquisire il parere della Commissione Edilizia Integrata, dal momento che l’ordine di ripristino discende direttamente dall’applicazione della disciplina edilizia vigente e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio e perché, sempre nelle condizioni date, non vi è alcun obbligo di far luogo ad accertamenti di danni ambientali, i quali possono rilevare per ulteriori e diversi profili sanzionatori (TAR Napoli, questa Sezione, 3 maggio 2018, n. 2991 e sez. VI, 23 ottobre 2013, n. 4679;
Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 2014, n.5336;
Id. 3 settembre 2013, n. 4378).

5.- Per quanto sopra, il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono determinate nella misura indicata in dispositivo.

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