TAR Napoli, sez. III, sentenza 2018-09-06, n. 201805406
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Testo completo
Pubblicato il 06/09/2018
N. 05406/2018 REG.PROV.COLL.
N. 03625/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3625 del 2013, proposto da
P P A, L C, rappresentati e difesi dall'avvocato T P, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via San Domenico n. 34;
contro
Comune di Torre del Greco in persona del Sindaco pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato E F, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Cesario Console,3;
per l'annullamento
dell'ordinanza di demolizione n.360/2013 emessa dal Comune di Torre del Greco il 20.5.2013 con la quale il competente dirigente del Comune gli ha ingiunto la demolizione di diversi corpi di fabbrica e manufatti riscontrati aggiuntivi rispetto alla consistenza di cui alla domanda di condono presentata dalla dante causa il 1.4.1986 n. 33463.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Torre del Greco;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'Udienza smaltimento del giorno 15 giugno 2018 il dott. Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in trattazione, depositato il 31.7.2013, parte ricorrente, premesso di essere divenuta proprietaria per atto intrer vivos di immobile in Torre del Greco, Via Viuli, 30, oggetto di istanza di condono edilizio presentata dalla dante causa il 1.4.1986 n. 33463 concernente un casotto rurale di soli 66 mq circa, impugna l’ordinanza di demolizione n. 360 del 20.5.2013 con la quale il competente dirigente del Comune gli ha ingiunto la demolizione di diversi corpi di fabbrica e manufatti riscontrati aggiuntivi rispetto alla consistenza di cui alla citata domanda di condono.
In particolare gli si contestava l’incremento di circa 10 mq dell’abuso sub. 1 dell’ordinanza, congiuntamente alla sua mutata destinazione d’uso da casotto rurale a civile abitazione nonché la creazione ex novo di un ulteriore ampliamento sul lato mare adiacente al predetto, pari a circa 76 mq (abuso sub. B. 2). Ulteriormente si rilevava l’abuso di cui al punto 5 dell’ordinanza, vale a dire una terrazza di circa 20 mq, nonché la scala esterna sul prospetto lato Nord del fabbricato.
1.1.Si costituiva il Comune di Torre del Greco con memoria formale e documenti prodotti il 29.5.2014.
1.2.Parte ricorrente ha prodotto memoria difensiva l’8.5.2018 e il Comune l’11 maggio 2018.
I ricorrenti hanno prodotto anche memoria di replica il 17.5.2018.
1.3. Alla pubblica Udienza di smaltimento del 15 giugno 2018 il ricorso è passato in decisione.
2. Con il primo motivo i deducenti si dolgono dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7, L. n. 241/1990 che li avrebbe privati del diritto di intervenire nella procedura e di fornire l’apporto di una effettiva partecipazione funzionale allo svolgimento del giusto procedimento, violando la logica di concreta ed effettiva collaborazione tra il privato e la pubblica amministrazione.
2.1. La doglianza è infondata al lume della costante giurisprudenza che predica che l’ordinanza di demolizione, in quanto atto dovuto e dal contenuto rigidamente vincolato, presupponente un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime, non richiede la previa comunicazione di avvio del procedimento (T.A.R. Liguria, Sez. I, 22.4.2011, n. 666;T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, 10.8.2008, n. 9710;T.A.R. Umbria, 5.6.2007, n. 499;T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, 17.1.2007, n. 357). La Sezione si è più volte pronunciata negli stessi sensi, escludendo l’obbligatorietà della comunicazione di avvio del procedimento: T.A.R. Campania –Napoli, Sez. III, 10 ottobre 2013 n. 4534: ID, 26.6.2013 n. 3328;T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 22.2.2013 n. 1069.
Più di recente il Consiglio di Stato, confermando T.A.R. Campania – Napoli, sez. VI, 5 marzo 2012, n. 1099, ha ribadito che “Per effetto della dequotazione introdotta dall'articolo 21- octies, l. 7 agosto 1990, n. 241, nei procedimenti preordinati all'emanazione di ordinanze di demolizione di opere edilizie abusive, l'asserita violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio dell'iter procedimentale non produce l'annullamento del provvedimento, specie quando emerga che il contenuto dell'ordinanza conclusiva del procedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello che è stato in concreto adottato” (Consiglio di Stato, Sez. VI , 12 agosto 2016, n. 3620).
3. Con il secondo motivo parte ricorrente si duole che il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza ha comportato la nascita nel privato cittadino di una posizione di affidamento, in virtù della quale l’esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che indichi il pubblico interesse, diverso da quello al ripristino della legalità, atto a giustificare il sacrifico del contrapposto interesse privato
3.1. La sintetizzata censura è infondata nel merito, avendo la giurisprudenza escluso la configurabilità di un obbligo di motivazione sull’interesse pubblico all’irrogazione della sanzione demolitoria, da ponderare con l’interesse privato alla conservazione della res abusiva, malgrado il lungo lasso di tempo decorso dalla sua realizzazione.
il Giudice d’appello, seguito dalla Sezione che più volte ha di recente enunciato l’opzione testé delineata, ha riaffermato che “Il provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato, che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare e non potendo l'interessato dolersi del fatto che l'Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5.1.2015, n. 13;T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 10.1.2015, n. 100;T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 17/04/2015, n. 2197;Consiglio di Stato, Sez. V, 27 maggio 2014 n. 2696). Il Consiglio ha poi ribadito che “Non sussiste quindi alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l'epoca della commissione dell'abuso e la data dell'adozione dell'ingiunzione di demolizione, poiché l'ordinamento tutela l'affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione e il consapevole mantenimento in loco di un'opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del privato contra legem (in tal senso: Cons. Stato, VI, 5 gennaio 2015, n. 13)” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 29/1/2016 n. 357).
Il riferito indirizzo ermeneutico è stato recentissimamente suggellato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che sposando l’orientamento assolutamente maggioritario in giurisprudenza ha definitivamente statuito che “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino.” (Consiglio di Stato Ad. Plen., 17 ottobre 2017 n. 9).
4. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano in sostanza difetto di legittimazione passiva, sul rilievo che le opere de quibus sarebbero state realizzate dal suo dante causa prima del 1998 come si assume nel provvedimento, laddove il suo acquisto del cespite risale al 2007.
4.1. Ad avviso del Collegio la doglianza è infondata.
La giurisprudenza ha, infatti, da tempo chiarito che l’ordinanza di demolizione “può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso, considerato che l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l’ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non richiede l’accertamento del dolo o della colpa” (T.A.R. Sardegna, Sez. II, 8.8.2008, n. 1649).
Giova segnalare che la Sezione ha più di recente espresso il delineato principio sancendo la legittimità dell’ordinanza di demolizione notificata al proprietario, ancorché non responsabile dell’abuso (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 8.11.2012., n. 4515).
5. Con il quarto mezzo si sostiene l’illegittimità dell’ordine di demolizione comminato in ragione della natura chiaramente manutentiva degli interventi contestati alla parte ricorrente, natura che pone i medesimi al di fuori dell’alveo delle opere per le quali è necessario il permesso di costruire.
5.1. La censura è all’evidenza infondata essendo smentita dalla palese natura di opere di nuova costruzione che va ascritta agli interventi contestati, natura emergente ictu oculi dalla descrizione che di essi opera il provvedimento.
Non possono infatti non essere considerati interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica, che ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10, d.P.R. n. 380/2001 sono subordinati a permesso di costruire, l’incremento di circa 10 mq dell’abuso sub. 1 dell’ordinanza congiuntamente alla sua mutata destinazione d’uso da casotto rurale a civile abitazione nonché la creazione ex novo di un ulteriore ampliamento sul lato mare adiacente al predetto, pari a circa 76 mq (abuso sub. B. 2). Altrettanto dicasi dell’abuso di cui al punto 5 dell’ordinanza, vale a dire una terrazza di circa 20 mq, nonché della scala esterna sul prospetto lato Nord del fabbricato.
5.2. Il tutto ove si consideri altresì che l’immobile insiste su zona soggetta ai vincoli di tutela di cui alla Parte Terza del d.lgs. 22.1.2004 n. 42, che impongono, al fine di realizzare legittimamente interventi di natura edilizia, comportanti alterazione dello stato dei luoghi e dell’aspetto esteriore degli edifici (ex art. 149 D.L.gs. cit.) il previo ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146, stesso decreto, atto che nella specie difetta.
6. Il quinto motivo, con il quale si censura l’omessa specificazione delle opere analoghe in funzione della cui realizzazione si preconizza l’acquisizione dell’area pertinenziale (aggiuntiva a quella di sedime) del fabbricato è inammissibile per difetto di interesse, atteso che con il provvedimento gravato non si dispone alcuna acquisizione dell’immobile de quo, ma si avverte in ordine alla possibile futura acquisizione del medesimo, in via eventuale, ossia solo per l’ipotesi in cui l’ingiunto non provveda all’esecuzione dell’ordinanza di demolizione.
In definitiva, per le illustrate ragioni il ricorso si profila infondato e va conseguentemente respinto.
Le spese seguono la soccombenza come determinate in dispositivo.