TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-04-13, n. 202306407

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-04-13, n. 202306407
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202306407
Data del deposito : 13 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/04/2023

N. 06407/2023 REG.PROV.COLL.

N. 03596/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3596 del 2022, proposto da
Postepay S.p.A., rappresentata e difeso dagli avvocati F P, V M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via di San Nicola Da Tolentino, 67;

contro

Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Presidenza del Consiglio, rappresentate e difese dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliate in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Telecom Italia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati F S C, F Carelli, Filippo Lattanzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via G. P. Da Palestrina n. 47;
Wind Tre S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Sara Fiorucci, Roberto Santi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via di Porta Pinciana, 6;
Vodafone Italia S.p.A., non costituito in giudizio;
Sky Italia s.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Ottavio Grandinetti, Daniele Majori, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, viale Bruno Buozzi, 87;

per l'annullamento

della deliberazione n. 376/21/CONS del 18.11.2021, recante “ Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2022 dai soggetti che operano nel settore delle comunicazioni elettroniche ”;
della deliberazione n. 228/21/CONS, recante “ Rendiconto ex articolo 34, comma 2-ter del Decreto Legislativo 1° agosto 2003, n. 259 - Anno 2020 ”;
della deliberazione n. 429/21/CONS, recante “ Bilancio di previsione per l’esercizio 2022 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ”;
di tutti gli atti comunque connessi, presupposti o consequenziali, inclusi i provvedimenti di approvazione delle deliberazioni impugnate.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di Telecom Italia S.p.A., di Wind Tre S.p.A. e di Sky Italia s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2023 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società PostePay S.p.A. ha impugnato e chiesto l’annullamento della deliberazione n. 376/21/CONS del 18.11.2021, recante “ Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2022 dai soggetti che operano nel settore delle comunicazioni elettroniche ”;
della deliberazione n. 228/21/CONS, recante “ Rendiconto ex articolo 34, comma 2-ter del Decreto Legislativo 1° agosto 2003, n. 259 - Anno 2020 ”;
della deliberazione n. 429/21/CONS, recante “ Bilancio di previsione per l’esercizio 2022 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ”;
di tutti gli atti comunque connessi, presupposti o consequenziali, inclusi i provvedimenti di approvazione delle deliberazioni impugnate.

A fondamento del ricorso ha dedotto i seguenti motivi:

1°) violazione dell’art. 16 della Direttiva 2018/1972, dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
dei principi espressi dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 18.7.2013, C – 228/2012 e nell’ordinanza 20.4.2020, n. 399;
eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, difetto d’istruttoria e di motivazione.

La ricorrente ha richiamato le statuizioni della giurisprudenza comunitaria e l’influenza che tale orientamento ha esercitato nella giurisprudenza amministrativa, evidenziando che “ tali considerazioni restano immutate anche alla luce del fatto che, secondo l’ordinanza Corte di Giustizia C-399/19, i costi finanziabili attraverso la contribuzione annuale non sono solamente quelli derivanti dall’attività di regolamentazione ex ante ma (…) devono pur sempre essere ricompresi nelle voci di costo elencate dall’art. 16 Direttiva 2018/1972 ”;
e deducendo che “ nel caso della contribuzione 2022, la violazione dei suddetti vincoli comunitari deriva dal fatto che il prelievo contributivo è stato determinato al fine di finanziare non già i costi delle sole attività regolamentari indicate dall’art. 16, comma 1, Direttiva 2108/1972, bensì l’intero complesso dei costi derivanti da tutte le attività direttamente e indirettamente rientranti nel settore delle comunicazioni elettroniche ” (cfr. pag. 13).

2°) Sotto altro profilo, violazione dell’art. 16 della Direttiva 2018/1972, dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
dei principi espressi dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 18.7.2013, C – 228/2012 e nell’ordinanza 20.4.2020, n. 399;
eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, difetto d’istruttoria e di motivazione.

La ricorrente ha soggiunto che la deliberazione impugnata, “ a fronte di un’aliquota contributiva fissata all’1,3 per mille, amplia irragionevolmente la base imponibile a cui applicare la suddetta aliquota, anche per effetto dell’espresso divieto - stabilito dall’Allegato B, par. 10, Delibera 376/21/CONS - di detrarre dalla base imponibile i cd. ricavi riversati ad operatori terzi ”, vale a dire quelli “ rappresentati da quella parte dei ricavi derivanti dalla fornitura di servizi a utenti finali che sono utilizzati per l’acquisto dei corrispondenti servizi wholesale da operatori terzi e che, in definitiva, costituiscono veri e propri costi operativi ” (cfr. pag. 16).

In sostanza, secondo la ricorrente tali ricavi, sebbene inclusi nel calcolo del contributo, sarebbero solo virtuali e, soprattutto, sostanzierebbero una doppia imposizione rispetto al medesimo flusso di ricavi, il tutto in violazione del principio di proporzionalità e di progressività.

3°) Sotto altro profilo, violazione dell’art. 16 della Direttiva 2018/1972, dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, difetto d’istruttoria e di motivazione.

Con tale motivo la ricorrente ha lamentato che “ l’Agcom ha stabilito di includere i ricavi di tutte le attività che, seppur estranee a qualsiasi competenza e/o attività regolamentare dell’Agcom, siano comunque in qualche modo ricollegabili a non meglio precisati “settori delle comunicazioni elettroniche”. È dunque evidente l’effetto di ampliamento senza limiti della base imponibile della contribuzione, che ingloba anche ricavi per i quali non vi è alcun effettivo collegamento con l’attività regolamentare dell’Agcom ” (cfr. pag. 19).

In particolare, la ricorrente ha indicato alcune attività (commercio all’ingrosso di apparecchi e materiali telefonici;
commercio all’ingrosso di altre apparecchiature elettroniche per telecomunicazioni e di altri componenti elettronici;
commercio al dettaglio di apparecchiature per le telecomunicazioni e la telefonia in esercizi specializzati) che non atterrebbero alle competenze dell’Agcom.

4°) Sotto altro profilo, violazione dell’art. 16 della Direttiva 2018/1972, dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, difetto d’istruttoria e di motivazione, sviamento.

La ricorrente ha, poi, contestato che nel presupposto rendiconto dell’anno 2020 sarebbero state considerate non soltanto delle spese direttamente attribuibili al settore delle comunicazioni elettroniche, ma anche delle spese “indirettamente attribuibili”, il che deporrebbe per una mancanza di trasparenza tale da comportare “ il rischio concreto che i rimanenti operatori siano, di fatto, costretti a supplire a tale mancato finanziamento con un contributo più elevato del dovuto ” (cfr. pag. 24).

5°) Sotto altro profilo, violazione dell’art. 16 della Direttiva 2018/1972, dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, difetto d’istruttoria e di motivazione.

La ricorrente ha, infine, dedotto che la determinazione dell’aliquota è stata operata, in rettifica, “ sulla base di una quota del tutto minoritaria degli importi contributivi versati in eccedenza dagli operatori negli anni precedenti. Ciò è dimostrato oggettivamente dal contenuto del Rendiconto 2020 che, al par. III.c, quantifica in 25,1 milioni di euro il surplus derivante dal prelievo contributivo degli anni precedenti eccedente rispetto al fabbisogno (“Saldo complessivo entrate / spese per regolazione del settore delle comunicazioni elettroniche al 31 dicembre 2019”). Ciò vuol dire che, ai fini del calcolo del contributo 2022, la presunta rettifica in questione è stata effettuata tenendo in considerazione meno di un quinto degli importi contributivi effettivamente versati in eccedenza dagli operatori negli anni precedenti ” (cfr. pag. 25).

Si è costituita in giudizio l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (8.4.2022), la società Sky Italia s.r.l. (29.4.2022), la società Wind Tre (20.5.2022) e la società Telecom S.p.A. (30.6.2022).

In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 5 aprile 2023, le parti hanno depositato le rispettive memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni.

In particolare, l’AGCOM ha fatto presente che la pronuncia (n. 7226/2022 del TAR Lazio, resa in diverso giudizio) che ha annullato la deliberazione odiernamente impugnata è stata oggetto di appello innanzi al Consiglio di Stato, il quale, con ordinanza collegiale del 27.1.2023, n. 961 ha disposto incombenti finalizzati a stabilire se la condotta tenuta dall’Amministrazione sia, o meno, conforme alle statuizioni della Corte di Giustizia di cui all’ordinanza n. 399 del 29.4.2020.

Con memorie di replica depositate il 24.3.2023 la società Sky Italia s.r.l., quale cointeressata, e la ricorrente hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.

All’udienza pubblica del 5 aprile 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Preliminarmente, il Collegio registra che:

- che la Sezione IV bis di questo Tribunale ha accolto con sentenza del 3 giugno 2022, n. 7226 il ricorso proposto dalla società Telecom Italia Sparkle S.p.A. avverso la deliberazione n. 616/20/CONS del 25.2.2021 e la deliberazione n. 71/21/CONS del 25.2.2021, che, tuttavia, non corrispondono agli atti impugnati nel presente giudizio;

- che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha proposto appello a tale sentenza innanzi al Consiglio di Stato e che nell’ambito del giudizio iscritto al RG 6958/2022 è stata emessa l’ordinanza del 27 gennaio 2023, n. 961, con ulteriore rinvio – per la definizione del merito – all’udienza pubblica del 22 giugno 2023;

- che in tale ordinanza si è, in particolare, evidenziato che “ i provvedimenti annullati dal Giudice di primo grado tengono conto, nella loro trama motivazionale, dell’ordinanza della Corte di Giustizia indicata al precedente punto ”, ossia l’ordinanza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sez. X, 29 aprile 2020 n. 399, causa C-399/19, “ per cui la verifica della congruità delle ragioni a sostegno delle decisioni nonché l’accertamento della corretta applicazione del diritto unionale deve compiersi attraverso una analitica disamina delle statuizioni della Corte di Giustizia e della rispondenza alle stesse dei provvedimenti dell’Autorità ”;
il giudice di seconde cure ha, inoltre, sottolineato la “ necessità di una chiara indicazione da parte del Giudice amministrativo dei presupposti e delle condizioni per ritenere correttamente attuata, alla luce delle statuizioni della Corte di Giustizia, la normativa euro-unitaria di cui all’art. 12 della direttiva della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009. Tale richiesta dell’Autorità muove dalla sussistenza di un ampio contenzioso che interessa le delibere relative alle varie annualità e dalla ritenuta non idoneità della sentenza di primo grado ad esprimere, comunque, principi in grado di far conformare i provvedimenti alle indicazioni della Corte di Giustizia, come interpretate dal giudice interno ”;
ed ha, pertanto, “ ritenuto necessario, al fine di compiere gli approfondimenti di cui ai punti 4 e 5 della presente ordinanza, disporre incombenti istruttori e, in particolare, ordinare all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni di depositare, nel rispetto dei termini di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., una relazione illustrativa (corredata da documentazione) nella quale si dia conto al Collegio delle misure e delle modalità di finanziamento stabilite dalle Autorità nazionali degli altri Paesi europei al fine di dare attuazione alla previsione di cui all’art. 12 della Direttiva autorizzazioni ”.

Il Collegio, nondimeno, rileva che le controversie sopra indicate non riguardano l’anno 2022 e che, pertanto, a fortiori non sussiste, nella specie, un rapporto di pregiudizialità tecnica tale da comportare, ai sensi dell’art. 79, comma 1 c.p.a., la sospensione del giudizio.

La giurisprudenza ha osservato che la pregiudizialità sussiste quando una controversia costituisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata, in ragione del fatto che il rapporto giuridico della prima rappresenta un elemento costitutivo della situazione sostanziale dedotta nella seconda, per cui il relativo accertamento si imponga nei confronti di quest’ultima con efficacia di giudicato, al fine di assicurare l’uniformità di decisioni (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 febbraio 2016, n. 640;
id., sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5662;
id., 8 gennaio 2013, n. 39;
id., sez. V, 16 febbraio 2015, n. 806;
id., sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1386).

Nella specie la pendenza del giudizio di appello iscritto al RG 6958/2022 e, nell’ambito di tale giudizio, l’espletamento di un’istruttoria processuale non possono, comunque, comportare la sospensione del presente processo, non fosse altro perché tale contenzioso attiene ad una deliberazione diversa da quella oggetto di odierna impugnazione.

Di conseguenza, la presente controversia dev’essere, comunque, decisa.

Non coglie nel segno il primo motivo, con cui la ricorrente ha genericamente dedotto che l’orientamento espresso dalla giurisprudenza comunitaria determinerebbe l’illegittimità dell’impugnata deliberazione.

Come ha puntualmente rilevato la VI Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 208 del 12 gennaio 2022, proprio con riguardo alle statuizioni del giudice comunitario, “ la Corte, con riferimento al primo quesito sottopostole dalla Sezione con il rinvio pregiudiziale, nell’ordinanza del 29 aprile 2020, afferma che: A) i costi dell’ANR che possono essere coperti da un diritto in forza di tale disposizione sono non l’insieme delle spese di funzionamento dell’ANR, ma i costi amministrativi complessivi relativi alle tre categorie di attività di cui a detta disposizione, vale a dire: 1) le attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale ai sensi dell’articolo 3 della direttiva autorizzazioni, il quale comprende le condizioni che possono corredare l’autorizzazione generale elencate all’allegato, parte A, di tale direttiva;
2) le attività di gestione, controllo e applicazione dei diritti d’uso di radiofrequenze e di numeri di cui all’articolo 5 della direttiva autorizzazioni e delle condizioni che possono corredare tali diritti, elencate all’allegato, parti B e C, di tale direttiva;
3) le attività di gestione, controllo e applicazione degli obblighi specifici di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni, che comprendono gli obblighi che possono essere imposti ai fornitori di reti e di servizi di comunicazione elettronica ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, e degli articoli 6 e 8 della direttiva accesso o in forza dell’articolo 17 della direttiva servizio universale, nonché gli obblighi che possono essere imposti ai fornitori designati per la fornitura di un servizio universale conformemente a quest’ultima direttiva;
B) possono essere inclusi nei costi amministrativi complessivi relativi alle tre suelencate categorie di attività: 1) i costi di cooperazione internazionale;
2) di armonizzazione e di standardizzazione;
3) di analisi di mercato;
4) di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato;
5) di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione;
C) in merito alle “funzioni dell’ANR relative alla regolazione, alla vigilanza, alla composizione delle controversie e sanzionatorie”, queste derivano dalle attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d’uso o degli obblighi specifici, di modo tale che i costi sostenuti per le medesime possono essere coperti dai diritti amministrativi imposti conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni;
D) in merito alla “attività di regolazione ex ante”, per effetto dell’articolo 3, paragrafo 3-bis, della direttiva quadro, essa consiste nell’imporre ai fornitori di reti o di servizi di comunicazione elettronica obblighi come quelli previsti all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, o all’articolo 6 della direttiva accesso e quelli imposti, conformemente all’articolo 8 di tale direttiva o all’articolo 17 della direttiva servizio universale, alle imprese designate come dotate di significativo potere di mercato a seguito della procedura per l’analisi di mercato di cui all’articolo 16 della direttiva quadro. Sicché la “regolazione ex ante del mercato” fa parte integrante della suelencata terza categoria di attività dell’ANR (nonché di taluni compiti sopra menzionati quali “i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione”), con la conseguenza per cui i costi che possono essere coperti dai diritti amministrativi imposti conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni non possono limitarsi a quelli sostenuti per l’attività di regolazione ex ante del mercato
”.

Ne deriva che, alla luce dell’orientamento sopra illustrato, è necessario condurre una puntuale verifica, in concreto, in ordine agli elementi presi in esame ai fini della determinazione del contributo, non potendo, all’opposto, ritenersi integrata una violazione della normativa speciale sul generico assunto secondo cui “ a oltre 10 anni dall’adozione della delibera 599/11/CONS relativa al contributo 2011 annullata in via definitiva dal giudice amministrativo, dunque, nel 2022 l’Agcom continua a perpetrare le medesime violazioni dei vincoli UE già ripetutamente stigmatizzate dalla giurisprudenza ”.

Parimenti infondati sono il quarto e quinto motivo.

L’art. 34 del d.lgs. 259/2003 (nella formulazione ante riforma 2021) ha previsto che “ la misura dei diritti amministrativi (…) è determinata ai sensi dell'articolo 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell'autorizzazione generale o della concessione di diritti d'uso ”.

La disposizione cui l’art. 34 fa rinvio prevede che “ l'entità della contribuzione a carico dei soggetti operanti nel settore delle comunicazioni di cui all'articolo 2, comma 38, lettera b), della legge 14 novembre 1995, n. 481, è fissata in misura pari all'1,5 per mille dei ricavi risultanti dall'ultimo bilancio approvato prima della data di entrata in vigore della presente legge. Per gli anni successivi, eventuali variazioni della misura e delle modalità della contribuzione possono essere adottate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai sensi del comma 65, nel limite massimo del 2 per mille dei ricavi risultanti dal bilancio approvato precedentemente alla adozione della delibera ” (art. 1, comma 66 della legge 266/2005).

Il principio guida è, perciò, costituito dal risultato di amministrazione accertato con l'approvazione del rendiconto di gestione.

Ma sul punto, il giudice comunitario (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, ordinanza n. 399 del 20 aprile 2020) ha evidenziato che il rendiconto annuale previsto all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni mira, come risulta dal considerando 30 di tale direttiva, a garantire la trasparenza della contabilità gestita dall’ANR, consentendo così alle imprese interessate di verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti.

Nella sentenza n. 208 del 12 gennaio 2022, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha rimarcato che “ già al punto 41 della sentenza del 18 luglio 2013 la Corte aveva segnalato che la direttiva autorizzazioni non prevede né il modo in cui determinare l’importo dei diritti amministrativi che possono essere imposti ai sensi dell’articolo 12 di tale direttiva, né le modalità di prelievo di tali diritti, di talché spetta agli Stati membri determinare le modalità della pubblicazione del rendiconto annuale e dell’attuazione delle opportune rettifiche imposte dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni, garantendo al contempo la trasparenza in maniera tale che le imprese interessate possano verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti ”.

E, soprattutto, la Corte ha concluso nel senso che “ l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2002/20, come modificata dalla direttiva 2009/140, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale, da un lato, il rendiconto annuale previsto da tale disposizione è pubblicato successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario annuale nel quale i diritti amministrativi sono stati riscossi e, dall’altro, le opportune rettifiche sono effettuate nel corso di un esercizio finanziario non immediatamente successivo a quello nel quale tali diritti sono stati riscossi ”.

Dunque, non è ravvisabile – come dedotto con il quarto motivo – un difetto di trasparenza correlato alla mancata pubblicazione, in via preventiva, del rendiconto di gestione, neppure nella prefigurata ipotesi di assenza di conformità rispetto al modello legale di cui all’art. 34 del d.lgs. 259/2003.

Ciò in quanto è il contenuto concreto delle valutazioni istruttorie del procedimento di determinazione del contributo a sostanziarne la legittimità.

Di conseguenza, l’illegittimità del contributo fissato dall’Autorità (“ per i soggetti di cui all’articolo 34 del Codice delle comunicazioni elettroniche, la contribuzione è fissata in misura pari a 1,30 per mille dei ricavi di cui alla voce A1 del conto economico, o voce corrispondente per i bilanci redatti secondo i principi contabili internazionali, risultanti dall’ultimo bilancio approvato prima dell’adozione della presente delibera ”, cfr. art. 2) non può certo derivare in modo immediato e diretto dalla consistenza del risultato di amministrazione conseguito da Agcom, come, invece, sottolineato con il quinto motivo dalla ricorrente (“ saldo complessivo entrate/spese per regolazione del settore delle comunicazioni elettroniche al 31 dicembre 2019 ”, cfr. pag. 25).

Il risultato di amministrazione costituisce, piuttosto, il principio guida per la commisurazione del contributo, quale soglia definita in esito all’approvazione del rendiconto di gestione.

Sono, invece, fondati il secondo e terzo motivo, che, per affinità tematica, possono essere esaminati in modo congiunto.

I principi che disciplinano la determinazione del contributo sono espressi dal citato art. 34 del d.lgs. 259/2003, secondo cui “ i diritti amministrativi sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori ”.

La legittima applicazione di tale previsione implica di dover tenere conto dell’orientamento espresso dal giudice comunitario nell’ordinanza n. 399 del 20.4.2020.

A tal proposito, nella sentenza n. 208 del 12 gennaio 2022, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha riepilogato i profili giuridici controversi intorno alla possibile violazione del diritto unionale, richiamando alcune pronunce (“ la sentenza del 18 luglio 2013, Vodafone Omnitel e a. (da C-228/12 a C-232/12 e da C-254/12 a C-258/12, EU:C:2013:495), la sentenza del 28 luglio 2016, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (C-240/15, EU:C:2016:608, punti 45 e 46) nonché la sentenza del 30 gennaio 2018, X e Visser (C-360/15 e C-31/16, EU:C:2018:44, punto 64) ”).

In particolare, il Consiglio di Stato ha osservato che:

- “ con riguardo alla sentenza 18 luglio 2013, ancor più nello specifico, va confermato anche in questa occasione il principio per cui l’articolo 12 della c.d. direttiva autorizzazioni deve essere interpretato nel senso che “esso non osta alla disciplina di uno Stato membro ai sensi della quale le imprese che prestano servizi o reti di comunicazione elettronica sono tenute a versare un diritto destinato a coprire i costi complessivamente sostenuti dall’ANR e non finanziati dallo Stato, il cui importo è determinato in funzione dei ricavi realizzati da tali imprese, a condizione che siffatto diritto sia esclusivamente destinato alla copertura di costi relativi alle attività menzionate al paragrafo 1, lettera a), di tale disposizione, che la totalità dei ricavi ottenuti a titolo di detto diritto non superi i costi complessivi relativi a tali attività e che lo stesso diritto sia imposto alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente ”;

- “ in particolare rileva quanto segnalato al punto 38 della sentenza del luglio 2013, nel senso “che gli Stati membri possono imporre alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell’autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d’uso di radiofrequenze o di numeri soltanto diritti amministrativi che coprono complessivamente i costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l’applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d’uso e degli obblighi specifici di cui all’articolo 6, paragrafo 2, di tale direttiva, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione ” e, ai punti 39 e 40, “ che siffatti diritti possono coprire soltanto i costi che si riferiscono alle attività ricordate al punto precedente della presente ordinanza, i quali non possono comprendere altre voci di spesa e che, di conseguenza, i diritti imposti in forza dell’articolo 12 della direttiva autorizzazioni non sono volti a coprire i costi amministrativi di qualsivoglia tipo sostenuti dall’ANR. Essa ha precisato, al punto 41 di detta sentenza, che risulta dall’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva, letto alla luce del considerando 30 della medesima, che i diritti in parola devono coprire i costi amministrativi veri e propri risultanti da tali attività e che vi debba essere equilibrio con tali costi. Il gettito complessivo di tali diritti percepito dagli Stati membri non può quindi eccedere il totale dei costi relativi a dette attività ”;

- “ quanto sopra trova plastico riscontro in altra sentenza della Corte (distinta da quelle più sopra citate) del 27 giugno 2013, Vodafone Malta e Mobisle Communications (C-71/12, EU:C:2013:431), nella quale, a completamento di quanto sopra, si afferma che i “diritti amministrativi di cui all’articolo 12 della direttiva autorizzazioni hanno carattere remunerativo, poiché, da un lato, possono essere imposti solo per i servizi amministrativi svolti dalle ANR a favore degli operatori di comunicazioni elettroniche, segnatamente a titolo dell’autorizzazione generale o della concessione di un diritto d’uso delle frequenze radio o dei numeri e, dall’altro, devono coprire i costi amministrativi sostenuti per tali servizi ”.

L’ordinanza della Corte di Giustizie dell’Unione europea n. 399 del 20 aprile 2020, come sopra illustrato, ha compendiato le pregresse statuizioni giurisprudenziali, sottolineando, a definizione della prima questione pregiudiziale sottoposta al suo vaglio (ossia “ se l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni debba essere interpretato nel senso che i costi che possono essere coperti da un diritto imposto in forza di detta disposizione alle imprese che forniscono un servizio o una rete di comunicazione elettronica sono i costi amministrativi complessivamente sostenuti dall’ANR per lo svolgimento di tutte le sue attività, comprese le funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie, o solo quelli causati dall’attività di «regolazione ex ante» ”), stabilendo che “ 1) L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, deve essere interpretato nel senso che i costi che possono essere coperti da un diritto imposto in forza di tale disposizione alle imprese che forniscono un servizio o una rete di comunicazione elettronica sono unicamente quelli relativi alle tre categorie di attività dell’autorità nazionale di regolamentazione menzionate in tale disposizione, comprese le funzioni relative alla regolazione, alla vigilanza, alla composizione delle controversie e sanzionatorie, senza limitarsi ai costi sostenuti per l’attività di regolazione ex ante del mercato ”.

Dunque, ad avviso del Collegio la Corte ha inteso affermare un principio di rigore applicativo in merito agli elementi che concorrono all’imposizione del contributo, cui corrisponde, sul piano procedimentale e nella conclusiva fase terminale, l’obbligo di esplicitare con chiarezza l’imputazione delle (tre) specifiche attività alla determinazione dell’aliquota.

Tanto premesso, occorre rilevare che nell’Allegato B alla deliberazione n. 376/2021 (“ istruzioni per il versamento del contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2022 dai soggetti che operano nel settore delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ”) si è precisato:

- che “ la base di calcolo del contributo 2022 è costituita dalla voce A1 del conto economico (ricavi delle vendite e delle prestazioni) risultante dall’ultimo bilancio approvato alla data di adozione della presente delibera ” (punto 7);

- che “ i ricavi conseguiti nei settori delle comunicazioni elettroniche sono indicati nel riquadro 2B e sono articolati con riferimento ai seguenti soggetti: i) operatore di rete ai sensi del CCE o del d.lgs. n. 177/2005, recante “Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici”;
ii) fornitore di servizi interattivi associati o di accesso condizionato;
iii) fornitore di reti e di servizi di comunicazione elettronica;
iv) soggetti che usano indirettamente risorse nazionali di numerazione
” (punto 8);

- che “ i ricavi conseguiti nei settori dei servizi media sono indicati nel riquadro 2C e sono articolati con riferimento ai seguenti soggetti: i) fornitore di servizi di media audiovisivi o radiofonici (SMAV-R) o fornitore di contenuti;
ii) esercente l’attività di radiodiffusione;
iii) concessionaria di pubblicità;
iv) produttore o distributore di programmi radiotelevisivi;
v) agenzia di stampa a carattere nazionale;
vi) editore di giornali quotidiani, periodici o riviste;
vii) editoria elettronica
” (punto 9);

- che “ i ricavi derivanti da attività che non rientrano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media sono indicati nel riquadro 2D, in forma disaggregata”;
ma che, in ogni caso, “i ricavi riversati ad operatori terzi attivi nel settore delle comunicazioni elettroniche non possono essere dedotti dalla base imponibile del contributo dovuto dalle imprese delle comunicazioni elettroniche all’Autorità
” (punto 10);

- e che, di conseguenza, “ la somma dei ricavi totali conseguiti nel settore delle comunicazioni elettroniche (riquadro 2B) e nel settore dei servizi media (riquadro 2C) e dei ricavi totali derivanti da attività che non rientrano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media (riquadro 2D) dovrà corrispondere ai ricavi delle vendite e delle prestazioni (riquadro 2A) ” (ancora punto 10).

Nella relazione tecnico-finanziaria si è, poi, evidenziato che “ gli elementi che contraddistinguono il contributo posto in capo agli operatori di comunicazione elettronica per l’anno 2022: a) le spese che l’Autorità prevede di sostenere nell’anno per lo svolgimento dei propri compiti di regolazione del settore (…);
b) la platea dei contribuenti, la base imponibile e l’aliquota contributiva, le modalità e i termini di versamento del contributo
”.

Quanto al primo – senz’altro decisivo – dei suddetti elementi, si è soggiunto che “ le spese complessive che l’Autorità prevede di sostenere, nell’anno 2022, in relazione alle attività di regolazione, vigilanza e controllo del settore delle comunicazioni elettroniche risultano pari a 41,606 milioni di euro, ivi comprendendo i costi direttamente attribuibili al loro svolgimento in termini di personale addetto e di beni e servizi strumentali per tali attività, nonché la quota parte dei costi comuni con gli altri settori, opportunamente riallocata ”.

E si è, infine, precisato che l’importo sopra indicato “ è destinato allo svolgimento delle competenze attribuite all’Autorità dal Codice delle comunicazioni elettroniche, così ripartito sulla base del personale allocato nei diversi uffici e delle relative competenze svolte ai sensi del Regolamento di organizzazione e funzionamento: A. circa il 40% per la gestione, il controllo e l’applicazione del regime di autorizzazione generale, con particolare riguardo alla tutela dei consumatori ed utenti;
B. circa il 16% del fabbisogno complessivo per le attività di gestione, controllo e applicazione dei diritti d’uso di radiofrequenze e di numeri;
C. circa il 44% del fabbisogno complessivo per le attività di gestione, controllo e applicazione degli obblighi specifici prescritti alle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica ai sensi dell’articolo 61, paragrafi 1 e 5, e degli articoli 62, 68 e 83 o a quelli designati per la fornitura del servizio universale di cui al Codice europeo
”: sarebbe a dire le tre attività tassativamente individuate dall’art. 12 della Direttiva 2002/20 e confermate, sul piano della legittima imputazione, dall’ordinanza della Corte di Giustizia dell’Unione europea n. 399 del 20 aprile 2020.

Tanto premesso, il Collegio rileva che il Consiglio di Stato ha riformato l’orientamento, espresso dal giudice di primo grado (cfr. TAR Lazio, sez. III ter, 8 febbraio 2021, n. 1775) secondo cui “ la voce A1 del conto economico dedicata ai “Ricavi di vendita dei prodotti e delle merci o di prestazione dei servizi relativi alla gestione caratteristica dell’impresa”, che costituisce la base imponibile del contributo, rappresenta proprio la somma dei ricavi derivanti dall’attività caratteristica degli operatori nel settore delle telecomunicazioni;
trattandosi dunque della voce di bilancio che, in base all’ordinamento contabile (come risultante dai principi contabili vigenti) rappresenta i ricavi tipici dell’operatore, la scelta dell’amministrazione di ancorarvi la determinazione del prelievo obbligatorio appare del tutto legittima, inequivoca e pertinente, alla luce dei principi ora esposti
”.

Di converso, il giudice d’appello ha affermato “ la necessità di una nuova istruttoria che definisca analiticamente il perimetro dei costi ammissibili ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 12 gennaio 2022, n. 205).

Rapportando le statuizioni del giudice di seconde cure all’odierno contenzioso deve, allora, concludersi che l’Autorità non ha – neppure per l’anno 2022 – puntualmente indicato, relativamente alle predette (tre) attività che soltanto possono legittimare la determinazione del contributo da imporre ai soggetti passivi, la precisa imputazione – ben oltre le percentuali genericamente indicate (40%;
16%;
44%) – dei ricavi ammissibili, venendo, pertanto, meno al principio di chiarezza e trasparenza, espressioni di una legittimità procedimentale preordinata alla possibilità che la stessa Autorità, in applicazione dell’art. 34 del d.lgs. 259/2003, “ minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori ”.

È, pertanto, evidente un difetto d’istruttoria e di motivazione che comporta, sul piano conformativo, che l’Autorità debba procedere ad una nuova istruttoria.

Nei termini espressi, il ricorso va accolto.

Si ravvisano i presupposti per disporre la compensazione delle spese processuali.

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