TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2024-06-10, n. 202411786
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Pubblicato il 10/06/2024
N. 11786/2024 REG.PROV.COLL.
N. 11108/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11108 del 2019, proposto da
Tirreno Karting S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati P P P, M G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio P P P in Roma, via Francesco De Sanctis 15;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato S S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
per l'annullamento
- della Determinazione Dirigenziale CA/3944/2018 del 10.12.2018, numero di protocollo CA/237214/2018 del 10.12.2018, notificata in pari data, avente ad oggetto “Cessazione di attività di somministrazione di alimenti e bevande abusivamente intrapresa a carico della società TIRRENO KARTING SRL – P.IVA n.01922560600 - e p.e. il legale rappresentante Sig. Cardillo Piccolino Luigi. Locale sito in VIA LEONINA N.81”;
- ove occorrer possa della Deliberazione dell'Assemblea Capitolina n. 47 del 17.04.2018, pubblicata il 03.05.2018;- ove occorrer possa, della diffida del 20.01.2019;
- ove occorrer possa, del provvedimento del 03.04.2019 prot. n. 70065;
- ove occorrer possa della Circolare del Dipartimento Attività̀ Economiche Produttive, Formazione Lavoro di Roma Capitale n. 58010 del 03.08.2011;
- di ogni altro atto, presupposto o consequenziale, o comunque connesso e non conosciuto, lesivo degli interessi della ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 26 aprile 2024 il dott. Francesco Riccio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Con il ricorso, notificato e depositato nei termini e nelle forme di rito, la parte istante società TIRRENO KARTING SRL, in qualità di soggetto giuridico svolgente attività di somministrazione di alimenti e bevande abusivamente intrapresa nei locali siti in Via Leonina n. 81, ha impugnato gli atti meglio specificati in epigrafe in quanto lesivi del proprio interesse pretensivo al mantenimento della possibilità di procedere alla diretta somministrazione nei locali destinati alla preparazione dei prodotti alimentari destinati al consumo.
Con istanza del 15.03.2019 la ricorrente chiedeva la rimozione dei sigilli, al fine di riprendere l’attività̀, impegnandosi, a tal fine, senza comunque prestare acquiescenza ai provvedimenti impugnati, ad adeguarsi alle prescrizioni informalmente ricevute dall’Amministrazione Municipale, specificando altresì, con integrazione del 01.04.2019, che si sarebbe impegnata a:
• organizzare gli spazi con l’utilizzo dell’area destinata al consumo sul posto, nella percentuale del 25% del totale della superficie calpestabile, in modo da non creare intralcio all’affluenza della clientela;
• utilizzare arredi minimali, limitandosi all’utilizzo dei soli piani di appoggio;
• messa a disposizione della clientela di tovaglioli, stoviglie e posate monouso biodegradabili e compostabili senza alcun tipo di assistenza da parte di personale;
• consegna dei prodotti al banco ritirati direttamente dal consumatore, senza svolgimento di alcun servizio assistito di somministrazione.
La relativa domanda impugnatoria proposta si affida - come motivi di doglianza - alla prospettazione che segue:
-Violazione e falsa applicazione di Legge: artt. 3 e 41 Cost.;artt. 43-55 Trattato CE;art. 7, comma 3 D.Lgs. n. 114/1998;art. 3, comma 1, Lett. f-bis, D.L. n. 223/2006, convertito con modificazioni in L. n. 248/2006 e s.m.i.;D.Lgs. n. 59/2010;art. 3 D.L. n. 138/2011 convertito con L. n. 148/2011;art. 34 del D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011;art. 1 del D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni con L. n. 27/2012;D.L. n. 5/2012, convertito con modificazioni con L. n. 35/2012;DCC n. 36/2006. Eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà ed illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione, perplessità dell'azione amministrativa, atteso che è stato confermato e completamente liberalizzato il consumo immediato ‘sul posto’ di alimenti e bevande anche presso gli esercizi di vicinato;tale facoltà è liberalizzata in quanto non è prevista alcuna forma di autorizzazione o di procedimento di silenzio assenso o SCIA per esercitarla;il D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011, ha stabilito, all’art. 34, comma 1, che “La disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l'ordinamento comunitario, che possono giustificare l'introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità”;
- Violazione e falsa applicazione di Legge: artt. 3 e 41 Cost.;artt. 43-55 Trattato CE;art. 7, comma 3 D.Lgs. n. 114/1998;art. 3, comma 1, Lett. f-bis, D.L. n. 223/2006, convertito con modificazioni in L. n. 248/2006 e s.m.i.;D.Lgs. n. 59/2010;art. 3 D.L. n. 138/2011 convertito con L. n. 148/2011;art. 34 del D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011;art. 1 del D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni con L. n. 27/2012;D.L. n. 5/2012, convertito con modificazioni con L. n. 35/2012;DCC N. 36/2006. Eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà ed illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione, perplessità dell'azione amministrativa, irragionevolezza, in quanto la Determina del 10.12.2018 non fa alcun riferimento, inoltre, alla Deliberazione dell'Assemblea Capitolina n. 47 del 17.04.2018, pubblicata il 03.05.2018, avente ad oggetto il "Regolamento per l'esercizio delle attività commerciali ed artigianali nel territorio della Città Storica", che all'art. 5 va a disciplinare proprio la possibilità di consumo sul posto per gli esercizi di vicinato siti all'interno della Città Storica;per quanto qui interessa, l’art. 5 del nuovo Regolamento prevede, al comma 2, che i titolari degli esercizi di vendita e artigianato alimentare, ai fini del consumo sul posto, sono tenuti ad utilizzare “arredi minimali”, che “non possono coincidere con le attrezzature tradizionalmente utilizzate negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e devono garantire condizioni minime di fruibilità”;per quanto riguarda la superficie utilizzabile per il consumo, pari solo al 25% del locale, tale previsione non trova conforto in alcuna delle Risoluzioni del Ministero, risultando una novità assoluta e non assistita da alcuna ragionevole motivazione;detto limite, del resto, non si rinviene neanche nella normativa nazionale e regionale sopra esaminata;
- Violazione e falsa applicazione di Legge: artt. 3 e 41 Cost.;artt. 43-55 Trattato CE;art. 7, comma 3 D.Lgs. n. 114/1998;art. 3, comma 1, Lett. f-bis, D.L. n. 223/2006, convertito con modificazioni in L. n. 248/2006 e s.m.i.;D.Lgs. n. 59/2010;art. 3 D.L. n. 138/2011 convertito con L. n. 148/2011;art. 34 del D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011;art. 1 del D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni con L. n. 27/2012;D.L. n. 5/2012, convertito con modificazioni con L. n. 35/2012;DCC N. 36/2006. Eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà ed illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione, perplessità dell'azione amministrativa, irragionevolezza, poiché occorre rilevare, in primis, che nel locale della ricorrente non sia mai stato effettuato alcun tipo di servizio al tavolo, ed invero, nel rapporto amministrativo richiamato nella determina impugnata non viene rilevato alcuna contestazione in ordine al servizio;nessuna delle disposizioni sopra esaminate, né le Risoluzioni citate dal Municipio vietano la vendita al pezzo piuttosto che al peso, né in caso di asporto né in caso di consumo sul posto;né tale circostanza può essere considerata quale indice di sussistenza di un servizio di somministrazione, coerentemente con quanto precisato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2280/2019;ammissibilità di piani d’appoggio e sedute e sulla superficie utilizzata per la successiva vigenza del nuovo regolamento di Roma Capitale, che per la priva volta ha limitato l’utilizzo della superficie dei locali;inesistenza dell’onere di comunicazione alla competente ASL;
- Violazione e falsa applicazione di Legge: artt. 3 e 41 Cost.;artt. 43-55 Trattato CE;art. 7, comma 3 D.Lgs. n. 114/1998;art. 3, comma 1, Lett. f-bis, D.L. n. 223/2006, convertito con modificazioni in L. n. 248/2006 e s.m.i.;D.Lgs. n. 59/2010;art. 3 D.L. n. 138/2011 convertito con L. n. 148/2011;art. 34 del D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011;art. 1 del D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni con L. n. 27/2012;D.L. n. 5/2012, convertito con modificazioni con L. n. 35/2012;DCC N. 36/2006. Eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà ed illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione, perplessità dell'azione amministrativa, irragionevolezza, nella misura in cui il successivo provvedimento del 03.04.2019 prot. n. 70065 il Municipio autorizzava “la rimozione temporanea dei sigilli apposti da codesto Gruppo in data 31.01.2019, in esecuzione della Determinazione Dirigenziale prot. n. CA/237214 del 10.12.2018, al solo fine di consentire alla Società ricorrente di produrre documentazione idonea a dimostrare che le attività autorizzate vengano esercitate nel rispetto delle disposizioni di cui alla Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 47 del 17 aprile 2018 senza consentire la riapertura dell’attività secondo la disciplina transitoria prevista dall’art. 14, comma 4.
E’ rilevata in resistenza la costituzione in giudizio di Roma Capitale con cui si eccepisce l’infondatezza delle censure prospettate rilevando che: come emerge dal verbale e dalla relazione redatta dagli agenti di Polizia Locale in atti il 09.05.2018, ricorrevano gli elementi caratterizzanti l’esercizio dell’attività di somministrazione assistita di alimenti e bevande e segnatamente, veniva accertato durante il sopralluogo, “che vi era servizio al tavolo, che gli alimenti venivano venduti non a peso ma a pezzo, che l’intera superficie del locale presentava piani d’appoggio e sedute abbinabili con richiamo a livello qualitativo e quantitativo”;ad aggravare le criticità di esercizio di un’attività che siccome di somministrazione avrebbe vieppiù imposto l’osservanza di imprescindibili condizioni di sicurezza e salubrità, emergeva “in pessime condizioni igieniche, con pavimenti e strigliature sporche, reparto lavaggio in promiscuità con il reparto cottura, preparati non adeguatamente coperti”;nella fattispecie vi sono chiari ed ulteriori elementi che hanno portato a ritenere con certezza, a fronte dei vari sopralluoghi effettuati, che l’attività svolta dalla ricorrente sia di somministrazione, per elementi molteplici, convergenti tra loro.
All’udienza pubblica straordinaria del 26 aprile 2024 la causa è stata posta in decisione.
Il consumo sul posto negli esercizi di vicinato si affaccia per la prima volta nel D.Lgs. n. 114/1998 che, per l'appunto, consente tale modalità di consumo immediato sul posto dei medesimi prodotti venduti, subordinandolo alla condizione che "siano esclusi il servizio di somministrazione e le attrezzature ad esso direttamente finalizzati". In modo indiretto ma inequivoco, si introduce una distinzione tra arredi ed allestimenti funzionali alla somministrazione tradizionale, e cioè appannaggio dei pubblici esercizi, e quelli utilizzabili nel caso di consumo sul posto negli esercizi di vicinato;
- con l'avvento del decreto Bersani2 (art. 3, comma 1, lett. f-bis, D.L. n. 223/2006) le attività commerciali, come individuate dal D.Lgs. n. 114/1998 sono svolte senza il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie;la norma si riferisce alla facoltà accordata agli esercizi di vicinato alimentare di consumare sul posto i prodotti di gastronomia (e non quelli di propria produzione) con esclusione del servizio assistito di somministrazione;
- l'innovazione apportata dal decreto Bersani2 ha introdotto il richiamo espresso all'utilizzo dei locali e degli arredi dell'azienda ed eliminato il riferimento alle attrezzature finalizzate alla somministrazione (presente invece nel D.Lgs. n. 114/1998), lasciando invariata l'esclusione del servizio assistito di somministrazione.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 2427/2020 consente alcune aperture.
Con questa ultima sentenza, il Collegio d’appello sembra distogliersi dal proprio indirizzo sul servizio assistito per avvicinarsi, almeno in parte, alle tesi del TAR del Lazio.
Il medesimo Collegio, che da ultimo aveva abbracciato un criterio di tipo oggettivo basato sulla presenza o meno dei camerieri, in questa sentenza ha riconosciuto invece rilevanza al criterio soggettivo, ammettendo la valutazione da effettuare di volta in volta;nel caso di specie ha evidenziato che le attrezzature predisposte a latere dell’attività di vendita avevano caratteristiche tali da non connotare il locale come (anche) da somministrazione, ma si contenevano in una dimensione accessoria, eventuale e secondaria rispetto alla vendita da asporto, la quale deve comunque mantenere il carattere prevalente e funzionale.
Nel caso concreto esaminato, i tavoli e le sedute occupavano meno del 25% della superficie del locale.
Da ultimo secondo altra decisione del Consiglio di stato, sez. V, dell’8 febbraio 2021 n. 1125, delimitato l’oggetto del giudizio nell’individuazione dei presupposti e dei limiti di legittimità della vendita di prodotti alimentari da asporto ed del relativo consumo sul posto, richiamati i propri precedenti arresti in materia e dato atto dei contrasti interpretativi, anche giurisprudenziali, sull’art. 3, comma 1, lett. f- bis ) d.l. n. 223 del 2006, ha dichiarato di preferire, rispetto al parere dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, l’indirizzo propugnato dal Ministero per lo sviluppo economico (di seguito “MISE”) che, ai fini della distinzione tra l’attività di somministrazione di alimenti e bevande e il mero consumo sul posto di prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, identifica il discrimen nelle dotazioni strutturali (arredi), ritenendo di escludere nell’ipotesi di mero consumo sul posto “ la possibilità di contemporanea presenza di tavoli o sedie associati o associabili, fatta salva solo la necessità di un’interpretazione ragionevole di tale vincolo ”;una simile interpretazione, secondo il tribunale di primo grado, impone ragionevolmente un giudizio valutativo in concreto, laddove la differente prospettazione dell’Autorità garante per la concorrenza finirebbe per generare essa stessa una discriminazione anticoncorrenziale (la stessa che si prefigge in tesi di contrastare) tra gli operatori degli esercizi di vicinato e quelli della ristorazione, sottoposti a più rigorosi requisiti.
Muovendo quindi dalla nozione di complementarietà e da quella di “attrezzature necessarie” (e non solo funzionali), insostituibili e non complementari per lo svolgimento dell’attività di ristorazione, ha precisato che locale “all’uopo attrezzato” di cui all’art. 1 della l. n. 287/1991 è quello in cui sono presenti i mobili tipici della somministrazione, non potendosi perciò ritenere che sia assistito il solo servizio condotto con personale di sala;ha quindi sottolineato che una simile interpretazione non è affatto eccessivamente restrittiva della libertà economica (giacché per un verso quest’ultima deve confrontarsi con il potere dell’amministrazione di pianificazione urbanistica degli insediamenti, compresi quelli industriali e commerciali, e per altro verso la liberalizzazione delle attività commerciali ex art. 1 del d.l. n. 1 del 2012 fa comunque salvi i limiti giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante, purché proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, così che devono ritenersi ammesse le forme di regolazione dell’attività economica, purché ispirate a ragionevolezza, volte a garantire il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari e la piena osservanza dei principi costituzionali legati alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e della finanza pubblica);con riferimento al caso di specie ha, quindi, concluso che gli elementi riscontrati nel corso del sopralluogo (in considerazione della superficie di vendita “attrezzata” con tavoli e sedute abbinabili e dell’indicazione dei prodotti offerti con modalità non compatibile con la vendita da asporto - che presuppone la pesatura delle porzioni e quindi la bilancia e la indicazione dei prezzi per peso - oltre che del consumo in loco di bevande), costituivano indici sintomatici della presenza di un’organizzazione per la preparazione dei pasti ordinariamente propria dell’esercizio di ristorazione e che da ciò l’amministrazione aveva tratto il non irragionevole convincimento che l’offerta del servizio fosse orientata a favorire un consumo sul posto del prodotto, con modalità similari e sussumibili a quelle della somministrazione assistita.
Le citate pronunce del Consiglio di Stato, nell’esaminare le condizioni alle quali è consentito ai titolari di esercizio di vicinato alimentare di permettere il consumo sul posto degli alimenti alla propria clientela, hanno fissato il principio secondo cui negli esercizi di vicinato, allorché legittimati alla vendita dei prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare, è ammesso il consumo sul posto di prodotti di gastronomia, purché in assenza del servizio “assistito” di somministrazione.
Infatti l’art. 3, comma f- bis) del d.l. 4 aprile 2006, n. 223, inequivocabilmente precisa che l’attività di vicinato può porsi in essere “utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda” , ossia innanzitutto – com’è intuitivo – tavoli e sedie, a prescindere dal fatto che queste siano collegate o meno ai primi.
Sulla corretta interpretazione della norma sopra esposta si richiama altresì una recente sentenza della seconda stralcio del TAR del Lazio, cioè la n. 170 del 4.1.2023.
In breve, si ricorda che il contrasto ha riguardato la definizione della nozione di “servizio assistito” che, nella fattispecie normativa (art. 3, lettera f bis, del d.l. n. 223/2006), costituisce il perno della differenza di regime (e fattuale) tra le due nozioni, ovvero tra la ristorazione (che include il servizio assistito) e la vendita di prodotti alimentari con consumo sul posto (che esclude il servizio assistito).
Secondo un primo orientamento, il “servizio assistito”, che non deve ricorrere nel “consumo sul posto”, sarebbe ravvisabile (soltanto) nel caso di “servizio ai tavoli”, inteso come presenza di personale dedicato a raccogliere le ordinazioni dei clienti e, successivamente, a servire le pietanze al tavolo.
Tale impostazione, fatta propria dall’Agcm, si è colta inizialmente anche in alcune sentenze del Consiglio di Stato, che davano dunque una lettura prettamente “letterale” della norma citata (cfr. Consiglio di Stato, sentenze n. 2280/2019 e 8011/2019).
Secondo un diverso orientamento, invece, espresso univocamente dal Giudice di primo grado (cfr. tra le più recenti, le sentenze TAR Lazio Roma, II ter, nr. 3754/2020;3481/2020;3482/2020;3389/2020;1325/2020;1116/2020;1114/2020;806/2020;740/2020;12874/2019) e oggi ripetutamente condiviso anche dal Consiglio di Stato (cfr. Consiglio di Stato ordinanze nn. 3425, 3427, 3429 e 3431 del 12.06.2020;sentenze n. 8923/2019 e n. 2427/2020), il “servizio assistito” di cui alla norma citata è piuttosto una nozione “funzionale”, che attiene alle modalità complessive dell’offerta, da verificare caso per caso (con riferimento alla tipologia degli arredi, alla prevalenza economica del prodotto venduto, alla caratteristica dell’offerta del prodotto da vendersi a peso e non a porzione, all’assenza di mescita e così via).
Ciò perché, in una realtà di abitudini al consumo in continuo divenire, la nozione di “servizio assistito” per la somministrazione di alimenti non può, ragionevolmente, essere circoscritta alla presenza, nell’esercizio, del c.d. servizio da sala, vale a dire alla presenza fisica di camerieri che ricevano le ordinazioni o prestino comunque il servizio al tavolo degli avventori (basti pensare, ad esempio, ai self-service, che non hanno un servizio del genere ma sono sicuramente ristoranti).
Secondo quest’ultimo orientamento, quindi, il discrimine effettivo tra l’attività di ristorazione e quella di consumo sul posto va più correttamente individuato nella predisposizione di risorse, non solo umane, ma anche semplicemente materiali, che siano di servizio al cliente assistendolo per consumare confortevolmente sul posto (cioè: non meramente in piedi) quanto acquistato in loco, così in pratica incidendo sulle caratteristiche commerciali effettive dell’intero esercizio, che viene visto dalla potenziale clientela non più come un luogo di mero approvvigionamento, ma anche come un possibile e ordinario luogo di ristoro, e venendo a rilevare sul piano urbanistico della regolamentazione generale del commercio dell’area e sul discrimine reale tra attività liberalizzate e attività non liberalizzate (in questi termini, Consiglio di Stato n. 8923/2019).
Ciò premesso, il Collegio, ancora una volta, ritiene di confermare quest’ultimo orientamento e di condividere pertanto, innanzitutto, il criterio interpretativo “funzionale” fatto proprio dall’Amministrazione nella fattispecie, in quanto unico in grado di tutelare efficacemente proprio quegli interessi sottesi alla libertà di iniziativa economica privata e alla correttezza del gioco concorrenziale che la ricorrente assume invece lesi dal provvedimento oggetto di gravame.
Va invero ricordato che, sotto il profilo giuridico, le due figure commerciali (ristorazione e consumo sul posto) sono tutt’affatto sovrapponibili, mentre nella realtà quotidiana, anche plasmata dalle sempre più diffuse esigenze di velocità nel consumo dei pasti, esse possono obiettivamente tendere ad assomigliarsi, soprattutto nella percezione della clientela, anche totalmente a prescindere dalla presenza di personale che espleti servizio ai tavoli.
Da ciò deriva che una lettura delle norme incentrata esclusivamente, e letteralmente, sulla sola sussistenza o insussistenza di personale servente ai tavoli condurrebbe alla – inaccettabile e iniqua – conseguenza che due fattispecie economicamente e commercialmente divenute, nei fatti, similari e sovrapponibili risulterebbero disciplinate in maniera l’una estremamente rigorosa e penalizzante e l’altra in maniera sostanzialmente liberalizzata.
E’ dunque evidente che – a fronte di requisiti così rigorosi normativamente previsti per l’attività di ristorazione in senso proprio – l’esigenza di una attenta perimetrazione della diversa fattispecie del consumo sul posto di prodotti alimentari presso rivendite di generi alimentari e laboratori artigianali di produzione di generi alimentari è chiaramente, ed intuitivamente, rivolta a prevenire fenomeni elusivi, che si sostanzino nell’utilizzo dell’esercizio di vendita come un vero e proprio ristorante o esercizio di somministrazione, sottraendosi, però, sia ai requisiti soggettivi e strutturali cui quest’ultimo è soggetto, sia – e soprattutto – alle limitazioni quantitative ed alle restrizioni di apertura e trasferimento di attività di somministrazione nei diversi ambiti di cui agli artt. 10 ed 11 della DAC nr. 35/2010.
In quest’ottica, il criterio interpretativo “funzionale” del concetto di “servizio assistito” (rectius, del divieto di “servizio assistito”), di cui alle norme che consentono il consumo sul posto dei prodotti alimentari negli esercizi diversi da quelli abilitati alla ristorazione, è – all’opposto di quanto lamentato dalla ricorrente – obiettivamente l’unico che può salvaguardare i beni tutelati dalle norme stesse (“libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità” e “corretto ed uniforme funzionamento del mercato”), nel rispetto dell’intenzione del Legislatore e assicurando l’adeguatezza dello strumento prescelto, tenuto conto del mutevole atteggiarsi delle dinamiche di consumo.
Alla luce delle predette considerazioni il provvedimento impugnato in prime cure va annullato per aver ritenuto la società esercente attività di somministrazione di alimenti e bevande senza titolo, laddove i titoli posseduti consentivano il consumo sul posto ai propri clienti nei limiti previsti dal legislatore, cioè senza approntare una qualche modalità di “servizio assistito” all’interno del proprio locale, di cui non costituisce sintomo la messa a disposizione di arredi idonei al solo consumo sul posto.
Il discrimine tra una tale attività liberalizzata e quella non liberalizzata si incentra, infatti, testualmente sulla ricorrenza del «servizio assistito».
Come emerge dal verbale e dalla relazione redatta dagli agenti di Polizia Locale in atti (allegato doc 3 depositato in data 12.03.2024 dalla difesa di Roma Capitale), ricorrevano gli elementi caratterizzanti l’esercizio dell’attività di somministrazione assistita di alimenti e bevande e segnatamente, veniva accertato durante il sopralluogo, “che vi era servizio al tavolo, che gli alimenti venivano venduti non a peso ma a pezzo, che l’intera superficie del locale presentava piani d’appoggio e sedute abbinabili con richiamo a livello qualitativo e quantitativo”.
Sulla base del rilievo sopra esposto e documentato dall’amministrazione resistente le censure prospettate dalla parte istante sono fondate atteso che la motivazione esposta nella determinazione impugnata (Determinazione Dirigenziale CA/3944/2018 del 10.12.2018, numero di protocollo CA/237214/2018 del 10.12.2018) alla luce dell’interpretazione della normativa invocata e chiarita dalla giurisprudenza sopra diffusamente riportata è di per sé inidonea a giustificare l’intimazione di cessazione dell’attività di somministrazione nei locali deputati alla vendita di prodotti di gastronomia.
Per la ragione più liquida il gravame va accolto ritenendo insufficiente la motivazione esposta nel provvedimento impugnato.
Gli ulteriori provvedimenti gravati sono la logica conseguenza del primo provvedimento illegittimamente adottato.
Per gli argomenti sopra enunciati il presente gravame va accolto stante la fondatezza e l’assorbenza della doglianza relativa al difetto di istruttoria e motivazione;per cui i provvedimenti impugnati vanno annullati per la presenza di un chiaro sintomo di eccesso di potere, facendo comunque salvi gli ulteriori provvedimenti della p.a. coerenti ed in linea con i principi esposti finalizzati comunque a conformare l’attività provvedimentale della p.a..
Per la natura ed il contenuto della controversia, particolarmente soggetta a svariate interpretazioni giurisprudenziali non sempre univoche, sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di giudizio.