TAR Palermo, sez. III, sentenza 2024-07-25, n. 202402306

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. III, sentenza 2024-07-25, n. 202402306
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202402306
Data del deposito : 25 luglio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/07/2024

N. 02306/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01890/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1890 del 2021, proposto da
-O-nato a-O- rappresentato e difeso dall’avvocato S M, con domicilio digitale come da REGINDE ed elettivo in Palermo, Via Mario Rutelli n. 38;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore , rappresentato, difeso e domiciliato ex lege presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, con domicilio digitale come da REGINDE ed elettivo in Palermo, via M. Stabile n. 182;

per l’accertamento e la declaratoria della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale dell’Amministrazione resistente per gli atti persecutori e di mobbing patiti dal ricorrente;

e per la condanna dell’Amministrazione resistente al risarcimento del danno in favore del ricorrente, quantificato in €. 200.000,00 a titolo di danno patrimoniale e non, spese legali ed altro, nonché per danno cd. da mobbing ;
ed inoltre al risarcimento del danno biologico, temporaneo e permanente da liquidarsi in via equitativa, ovvero in quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visto l’articolo 34 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 giugno 2024 il dott. Mario Bonfiglio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1) Il ricorrente ha adito questo Tribunale esponendo di essere stato un Primo Maresciallo Luogotenente dell’Esercito, in servizio presso il 46° Reggimento Trasmissioni di Palermo dal 1982 (data del suo arruolamento nelle FF.AA.) fino al 19.12.2016;
in seguito e fino al suo collocamento a riposo, avvenuto il 02.11.2019, presso il Reggimento Lancieri Aosta, essendovi stato trasferito per incompatibilità ambientale. Le ragioni di tale trasferimento sono state indicate nelle “difficoltà” incontrate sul luogo di lavoro (dopo una carriera nelle FF.AA. fino a quel momento lodevole e piena di encomi) causate dall’atteggiamento vessatorio e prevaricatore dei suoi superiori pro tempore , in particolare del Colonnello -O- Capo dell’Ufficio Matricola di cui il ricorrente faceva parte durante il servizio presso il Reggimento Trasmissioni;
e del Comandante del medesimo Reggimento, il Colonnello -O- Secondo quanto prospettato in gravame dopo l’assunzione dell’incarico di Capo dell’Ufficio Matricola da parte del -O-(nell’anno 2013) si sono manifestate delle incompatibilità caratteriali tra quest’ultimo ed il -O-, acuitesi con il passare del tempo tanto da convincere il ricorrente a portare la situazione a conoscenza del loro superiore gerarchico diretto, il Col.-O-, avanzando in data 29.09.2014 richiesta di rapporto per motivi di servizio (allegato n. 18 fasc. ricorrente). In considerazione della rilevanza di tale documento ai fini della decisione il Tribunale ritiene opportuno riportarne per esteso il contenuto: “Il Primo Mar. Lgt. -O-, Capo Sezione Matricola/Ufficiale alla Matricola del Reggimento, chiede ai sensi dell’art. 735 del d.P.R. 15.03.2010 n. 90, di conferire con il Comandante del Reggimento per i seguenti motivi legati al servizio espletato in seno al Reparto: condizione di malessere derivata da un costante stress lavorativo dovuto a : - continue e logoranti divergenze di carattere tecnico ed esecutivo con il Capo Ufficio Amministrazione rispetto alla corretta applicazione della procedura inerente alla vigente normativa matricolare in relazione alla gestione delle pratiche trattate dalla Sezione Matricola nell’ambito del Reggimento;
- continua e reiterata mancanza di coerenza nelle disposizioni da parte del medesimo Capo Ufficio in relazione all’esecuzione delle disposizioni di servizio;
- mancanza di serenità lavorativa del personale alle dirette dipendenze del Capo Sezione per disparità di trattamento in ambito all’Ufficio Amministrazione. Ciò dovuto alle continue richieste di relazioni scritte da parte del Capo Ufficio Amministrazione per argomenti che coinvolgono il Capo Sezione”.
Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dal -O- tale iniziativa si era resa necessaria per porre un freno ad una serie ininterrotta di angherie perpetrare a suo danno, mediante l’abuso sistematico dei poteri disciplinari. La cronologia di dette vicissitudini può essere sintetizzata nei termini che seguono. Dopo diversi episodi d’idiosincrasia sul luogo di lavoro tra il -O- ed il -O-, il 30.04.2014 è stata avanzata da parte del -O-una richiesta formale di provvedimento disciplinare a carico del -O-, non seguita però dall’avvio di alcun procedimento in tal senso (allegato n. 24 fasc. ric.). Una seconda ed analoga istanza è stata inoltrata il successivo 16.06.2014, anche in questo caso senza esito (allegato n. 25 fasc. ric.). Il 29.09.2014 il -O-ha redatto poi una scheda di valutazione, esattamente la n. 58, sul rendimento del -O- dal contenuto negativo, mercé il ritiro di una prima bozza di detto documento, al contrario, di elogio della professionalità del ricorrente;
scheda avvero la quale risulta pendente presso questo Tribunale il giudizio R.G. n. -O- incardinato dopo l’esperimento infruttuoso di un ricorso amministrativo (allegato n. 36 fasc. ric.). Risulta documentalmente provato inoltre che dopo la presentazione della richiesta di colloquio col Comandante di Reggimento per fare rapporto sulla situazione lavorativa venutasi a creare nell’Ufficio Matricola, il -O- è stato immediatamente demansionato con provvedimento del medesimo Comandante adottato il 30.09.2014, essendogli stato revocato l’incarico di Capo Sezione Matricola, con la pedissequa assegnazione in qualità di semplice “addetto” all’Ufficio Logistico (il provvedimento in discorso, in seguito annullato in autotutela per vizi di procedura, è l’allegato n. 29 fasc. ric.). Ancora il 20.10.2014 è stata stilata una relazione disciplinare a carico del ricorrente, che ha portato all’irrogazione della sanzione disciplinare del rimprovero;
sanzione dapprima impugnata in via amministrativa ed in seguito in sede giurisdizionale, dinanzi questo Tribunale con il ricorso incardinato con il numero R.G.-O- (allegati nn. 39 ss fasc. ric.). In data 12.12.2014 è stata presentata invece una seconda relazione disciplinare a carico del -O-, sollecitata, questa volta, direttamente dal Comandante di Reggimento, il Col.-O-, con l’incolpazione di aver inoltrato una raccomandata postale contenete una relazione di servizio non seguendo l’ iter previsto e con l’irrogazione di un secondo rimprovero disciplinare (allegati nn. 44 ss. fasc. ric.). Un ulteriore episodio significativo delle concrete condizioni di lavoro venutesi a creare all’interno degli uffici del Reggimento Trasmissioni di Palermo si è verificato il 28.04.2015, allorché il -O- è stato denigrato senza alcuna ragione giustificatrice, all’interno della sede del Reggimento ed alla presenza di personale di grado subalterno, dal Col. -O-;
fatto per il quale è stata inoltrata una relazione al Comandante del presidio rimasta, però, senza riscontro (allegato n. 52 fasc. ric.). Nelle more il ricorrente aveva subito (il 27.02.2015) un secondo demansionamento, essendo stato adibito con la qualifica di mero collaboratore all’Ufficio dell’ Infrastructure Manager (allegato n. 75 fasc. ric.). Verso la fine del 2015 (esattamente il 20.10.2015) il -O- ha tentato di portare il suo caso a conoscenza degli apparati di vertice delle FF.AA., inoltrando un esposto direttamente al Ministro della Difesa;
esposto rimasto, tuttavia, senza esito dal momento che il Ministero ha declinato la competenza ad occuparsi della vicenda, trattandosi di un argomento estraneo alle attribuzioni del potere politico (allegati nn. 104 ss fasc. ric.). Infine il 25.01.2016 è stato disposto su iniziativa del Col.-O-, n.q. di Comandante del Reggimento, il trasferimento per incompatibilità ambientale ad altra sede di servizio del -O- (allegati nn. 81 ss. fasc. ric.). A supporto di quest’ultimo provvedimento l’Amministrazione intimata ha addotto non soltanto l’impossibilità di far proseguire al -O- l’attività d’istituto presso il Reggimento Trasmissioni di Palermo, se non a rischio di perturbare il corretto svolgimento del servizio vista l’incompatibilità del medesimo all’interno dell’ufficio, ma anche lo scarso rendimento dimostrato dal ricorrente assentatosi ripetutamente per malattia;
circostanza che aveva costretto il Comandante di Reggimento a disporre delle visite mediche di controllo ad esito delle quali il -O- era risultato (seppur temporaneamente) inidoneo al servizio incondizionato d’istituto. Questo aspetto della vicenda per cui è causa è stato oggetto di approfondimento nell’atto di gravame. In effetti dalla documentazione versata in atti si evince che in diverse occasioni il ricorrente è stato sottoposto a visite mediche di controllo. Infatti in data 18.02.2015 è stato sottoposto a visita domiciliare da parte dell’Ufficiale medico del Reggimento, il dottor Greco, risultando affetto da ipertensione da stress (allegati nn. 63 ss. fasc. ric.). Al fine di accertare in maniera più approfondita le cause di detta patologia il successivo 03.03.2015 è stato impartito al -O- l’ordine di recarsi per “assistenza sanitaria” presso la Commissione Medica Ospedaliera militare di Messina, per ivi essere sottoposto a visite specialistiche. Il ricorrente ha lamentato il fatto che gli esami medici sostenuti hanno ricompreso oltre a delle visite cardiologiche protocollari anche (ed in modo del tutto incongruo) una visita psichiatrica, conclusasi con referto negativo e diagnosi d’idoneità al servizio d’istituto. Nondimeno il -O- è stato posto in convalescenza per ben settantacinque giorni con la giustificazione d’invalidità temporanea al servizio;
una situazione di allontanamento “forzato” dal proprio lavoro che il ricorrente ha prospettato essere stata causa per lui di una particolare mortificazione personale, in considerazione della delicatezza degli esami medici, che i suoi superiori avevano ritenuto di fargli fare (allegati nn. 66 ss. fasc. ric.). Tale sentimento di umiliazione si è acuito ancor di più dopo che, rientrato in servizio attivo, il -O- è stato sottoposto in data 14.07.2015 ad una nuova visita psichiatrica, sollecitata sempre dai suoi superiori (dalla documentazione versata in atti risulta che il quesito diagnostico sia stato quello di verificare una psicopatia in atto, allegato n. 74 fasc. ric.) ancora una volta con esito negativo;
ed ancora una volta seguita da un periodo di convalescenza per inidoneità temporanea. Dopo il trasferimento presso il nuovo Reggimento, tuttavia, le note sul comportamento in servizio del -O- hanno evidenziato, in modo apparentemente inconciliabile con i giudizi espressi dal Col.-O- nel richiederne l’allontanamento per incompatibilità ambientale, un atteggiamento encomiabile da parte del ricorrente fino al suo congedo per raggiunti limiti d’età. Il -O- ha portato all’attenzione di questo Tribunale anche la circostanza che le tribolazioni patite presso il suo vecchio Reggimento hanno minato le sue condizioni di salute, tanto che all’inizio del 2016 si è dovuto rivolgere agli ambulatori specialistici della salute mentale dell’Azienda Sanitaria di Palermo, i quali hanno riscontrato “una reattività ansiosa” in un soggetto esposto a stress lavorativo;
ed in seguito al Centro specializzato nella cura degli effetti del mobbing presso la medesima Azienda Sanitaria, che ha certificato uno stato di “disagio stress lavoro correlato” (allegato n. 99 fasc. ric.).

2) Così ricostruiti i fatti di causa il ricorrente ha chiesto a questo Tribunale di condannare l’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, patiti a causa degli atti persecutori e del mobbing subito presso il Reggimento Trasmissioni di Palermo, addebitabili in via di responsabilità contrattuale ovvero extracontrattuale al Ministero della Difesa a titolo di culpa in vigilando . Entrando nello specifico ha dedotto innanzitutto la violazione dell’art. 244, d.P.R. 15.03.2010 n. 90, recante il T.U. disposizioni regolamentari in materia di Ordinamento militare , laddove dispone che l’organizzazione delle FF.AA. deve essere tale da assicurare la tutela della salute e la sicurezza del personale (civile e militare) negli ambienti di lavoro e durante l’espletamento delle mansioni d’istituto sia in Italia che all’estero;
individuando (al successivo art. 246 T.U. Ord. Mil.) nel preposto al comando la persona rivestita della qualifica di datore di lavoro e, come tale, tenuta agli incombenti necessari in concreto a tal fine. Secondo quanto prospettato dal -O- la discrezionalità, che certamente connota il rapporto gerarchico superiore/subordinato all’interno delle FF.AA., trova comunque un limite invalicabile nel doveroso rispetto delle libertà fondamentali della persona e nell’esercizio, incoercibile, dei diritti costituzionali inviolabili. Tanto è dato desumere dal chiaro disposto dell’art. 1465, decreto legislativo 15.03.2010 n. 66, recante il Codice dell’Ordinamento Militare , ai sensi del quale ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini, in modo tale che nei rapporti personali sia garantita sempre la pari dignità di tutti i militari. Nella cornice delineata da tale disposizione del Cod. Ord. Mil. si inserisce l’art. 725 T.U. Ord. Mil., che onera i superiori gerarchici del preciso dovere di rispettare nei rapporti con i subordinati la pari dignità di tutti e d’informare sempre le proprie valutazioni a criteri di obiettività e giustizia. Il vero è che le disposizioni testé citate altro non sono, a dire del ricorrente, che un corollario del più generale dovere di tutela dell’integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro, di cui all’art. 2087 cod. civ.;
norma unanimemente ritenuta la fonte di specifici doveri contrattuali di tutela della salute dei lavoratori in capo ai datori di lavoro, la cui violazione è causa di responsabilità contrattuale da inadempimento ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. Tale disposizione unitamente a quella di cui all’art. 21, d.P.R. 18.07.1986 n. 545 ( Regolamento sulla disciplina militare ) sui doveri peculiari dei superiori gerarchici, integra il contenuto del contratto di lavoro dei dipendenti militari delle FF.AA., facendo sorgere dei doveri di tutela della loro salute e della loro dignità personale a carico della controparte datrice di lavoro. Il mancato rispetto di detti doveri comporta una violazione del regolamento contrattuale con conseguente responsabilità da inadempimento delle obbligazioni, che in tale titolo hanno la loro fonte. In questo s’invera la cd. culpa in vigilando , della quale il datore di lavoro è chiamato a rispondere ogni volta che la persona danneggiata fornisca la prova del danno alla salute subito (nonché dei correlativi risvolti economici);
della condotta contraria ai doveri di fonte contrattuale;
del nesso eziologico che avvince i predetti requisiti;
restando presunto, fino a prova contraria da parte del datore di lavoro, l’elemento soggettivo manifestatosi in tale condotta negligente. Nel caso di specie è stata fornita prova di tutti gli elementi in discorso. Infatti la certificazione rilasciata dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo attesta, senza possibilità di alcuna smentita, il danno alla salute del -O- inferto dal mobbing subito presso il Reggimento Trasmissioni di Palermo. Il mobbing stesso è stato provato mercé il compendio probatorio versato in atti, dal quale si evince (come meglio descritto in precedenza) un uso distorto sia dei poteri disciplinari di titolarità dell’Ufficiale in comando dell’Ufficio Matricola;
che un uso “sviato” dei meccanismi previsti per assicurare la tutela della salute del lavoratore negli ambienti di lavoro, utilizzati nella vicenda del -O- come delle sanzioni disciplinari improprie e del tutto illegittime. Anche l’aspetto oggettivo della culpa in vigilando trova preciso riscontro nella documentazione agli atti. Invero l’Amministrazione intimata, per il tramite del Comandante di Reggimento, soggetto dotato della qualifica di datore di lavoro ai sensi dell’art. 246 T.U. Ord. Mil., era stata messa al corrente di quanto stava accadendo all’interno del Reggimento Trasmissioni di Palermo in danno del -O- e nulla ha fatto per porvi un freno. In particolare ad essere state omesse sono state tutte le misure necessarie a prevenire ovvero a stroncare il fenomeno del mobbing sul luogo di lavoro. Con tale lessema si intende il complesso di atteggiamenti illeciti posti in essere nell’ambiente di lavoro contro un dipendente, che si risolvono in sistematici e reiterati comportamenti ostili, i quali finiscono per assumere forme di violenza morale o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire l’isolamento e l’emarginazione della persona mobbizzata, con effetto lesivo del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità. Il mobbing si può manifestare “in senso verticale”, quando la condotta vessatoria ai danni del lavoratore è posta in essere da un soggetto di grado superiore nell’organizzazione gerarchica aziendale;
ovvero in “senso orizzontale”, quando gli artefici di tale situazione sono i colleghi di lavoro pari grado del mobbizzato. Nel caso del -O- si è in presenza di un’ipotesi di mobbing verticale (la condotta vessatoria del Capo dell’Ufficio Matricola ai suoi danni) che, impregiudicati i profili di responsabilità personale del soggetto artefice delle vessazioni in discorso, ha determinato una responsabilità colposa per omissione delle cautele contrattuali in tema di protezione della salute del lavoratore da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro. Secondo quando prospettato in ricorso la vera causa della responsabilità, in cui è incorsa l’Amministrazione intimata, è perciò l’insipienza di coloro i quali, in qualità di datori di lavoro all’interno del Reggimento del -O-, in particolare del Comandante di Reggimento, sarebbero dovuti intervenire per tutelarlo. L’Amministrazione intimata avrebbe dovuto infatti, per il tramite del Comandante di Reggimento, richiamare il Capo dell’Ufficio Matricola, nel quale il -O- prestava servizio, ad un senso di maggiore imparzialità ed obiettività nell’esercizio del potere gerarchico, oltre che ad una visione più serena del rapporto con il ricorrente, esplicitandosi in questi concreti incombenti il più generale dovere di tutale della persona del lavoratore. Omettendo di osservare tali doveri l’Amministrazione della Difesa è incorsa in un inadempimento dei principi di buona fede e correttezza nella gestione dei rapporti di lavoro, nonché nella violazione dei doveri d’imparzialità e buona amministrazione. In punto di quantificazione economica del danno subito il -O- ha chiesto un risarcimento di € 200.000,00 per danni patrimoniali e non, dei quali nel dettaglio €. 11.262,62 per danno patrimoniale, secondo il seguente conteggio: 1) mancata percezione dell’indennità speciale di comando paria €. 90,79 netto al mese a decorrere dal mese di ottobre 2014 e per cinque anni per un ammontare complessivo di €. 5.500,00 circa;
2) €. 540,74 circa per mancata percezione del Fondo Efficienza per i Servizi Istituzionali anno 2016 per l’anno 2015;
3) €. 402,60 a titolo di compenso per prestazioni professionali di un medico di parte per valutazione test psichiatrici, a cui è stato sottoposto presso la C.M.O. di Messina;
4) €. 250,00 per spese viaggio aereo a.r. Palermo/Roma, vitto e alloggio, necessarie a tal fine;
5) €. 709,14 per spese per compensi professionali di un avvocato per liquidazione foglio viaggio n. 709;
6) €. 2.160,00 per compensi professionali del proprio difensore nel ricorso T.A.R.S. Palermo, R.G. n.-O-;
7) €. 2.160,00 per compensi professionali del medesimo difensore nel ricorso T.A.R.S. Palermo, n. R.G. -O- a cui aggiungere €. 325,00 contributo unificato di iscrizione ed €. 5,88 per spese notifica, per un totale di € 11.262,62. Come mezzo al fine è stata richiesto di acquisire prova testimoniale al fine d’integrare, se necessario, il compendio probatorio di natura documentale già agli atti di causa.

3) Costituitasi in giudizio l’Amministrazione intimata, il 18.12.2023 il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, al cui esito è stata adottata l’ordinanza istruttoria n. -O-, mercé la quale sono stati richiesti alla P.A. dei chiarimenti dettagliati sulle procedure previste per far fronte ai casi di mobbing o di stressing all’interno delle FF.AA.;
nonché l’organigramma del 46° Reggimento Trasmissioni di Palermo all’epoca dei fatti di causa, con l’indicazione specifica delle persone incaricate di occuparsi delle procedure in discorso. In adempimento di tale ordinanza l’Amministrazione ha depositato in data 28.03.2024 una relazione sul mobbing nelle Forze Armate con pedissequa documentazione, in cui ha esposto che a partire dal 2008 è stato fatto preciso obbligo ai Comandanti di presidio d’intervenire per reprimere il suddetto fenomeno. Esattamente 07.03.2008 è stato adottato il primo documento su tale argomento, Il mobbing nella Forza Armata - Adempimenti dei Comandanti , dell’Ufficio di Sicurezza dello Stato Maggiore dell’Esercito (depositato);
a cui hanno fatto seguito nel corso degli anni gli ulteriori documenti Attività per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del mobbing - Linee Guida per i Comandanti del 03.07.2018 sempre dell’Ufficio Sicurezza dello S.M.E. (documento classificato come segreto militare e per tale ragione solo sintetizzato nella relazione presentata dall’Amministrazione della Difesa); Attività per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del mobbing - Linee Guida per i Comandanti , sempre del 03.07.2018, ma dell’Ufficio di Psicologia Militare dello S.M.E. (depositato);
infine il Codice di condotta per la prevenzione e il contrasto alle discriminazioni e la tutela dell’integrità e della dignità delle persone del 02.05.2023, del Ministero della Difesa (depositato). Il Collegio osserva in ordine alla suddetta documentazione che soltanto il primo dei documenti in discorso è coevo ai fatti di causa. Nondimeno anche il secondo, Le Linee Guida sul mobbing dell’Ufficio Sicurezza dello Stato Maggiore del 2018, è conferente ai fini del decidere, dal momento che le particolari cautele tipizzate per suo tramite possono essere considerate il termine di paragone per individuare le regole di cautela generica, che l’Amministrazione era già tenuta ad osservare in precedenza in ottemperanza di quanto disposto dall’art. 2087 cod. civ. Nel dettaglio con il primo degli atti citati è stato ordinato a tutti i Comandanti dell’E.I. di agire in modo specifico per prevenire i fenomeni di mobbing nelle FF.AA., in particolare instaurando condizioni ottimali di comunicazione e di ascolto “attivo” col personale, al fine di vigilare sulle diverse situazioni lavorative e d’individuare per tempo possibili situazioni a rischio mobbing. Le Linee Guida del 2018 hanno esplicitato meglio tale incombente a carico dei Comandanti, tant’è che è la stessa Amministrazione intimata ad indicarle come una conferma dei principi generali della precedente direttiva del 2008. Nella sostanza dopo aver richiamato l’attenzione di tutti i Comandanti dell’E.I. (nella loro qualità di datori di lavoro) sulle possibili conseguenze di tipo amministrativo/disciplinare/penale/civilistico rispetto al fenomeno mobbing , le Linee Guida in questione li hanno onerati del compito preliminare e di prevenzione del suddetto fenomeno, di svolgere delle attività informative in favore del personale esposto al mobbing ;
disponendo specifiche attività formative/addestrative nella gestione del personale tali da promuovere, con azioni concrete, una cultura organizzativa i cui valori siano volti a contrastare qualsiasi fenomeno di prevaricazione, violenza o peggio ancora omertà all’interno delle FF.AA. Per l’eventualità che ciononostante si verifichino lo stesso dei casi di mobbing , sui Comandanti grava il compito d’intervenire prontamente, richiedendo degli esami medici mirati per verificare la presenza effettiva della sintomatologia tipica delle persone mobbizzate. Al contempo è fatto loro onere di attivarsi per promuovere il contenimento del disagio organizzativo ed il miglioramento del clima di lavoro, programmando incontri informativi e formativi sulla materia finalizzati alla sensibilizzazione di tutto il personale;
nonché valorizzando i processi di apprendimento attraverso l’analisi delle lezioni identificate/apprese e lo studio dei casi. Soltanto nell’ipotesi di condotte recidive e in relazione alla gravità del caso concreto, è dovere dei Comandanti di presidio di cambiare d’incarico e/o mansione lavorativa, ovvero ufficio e/o infrastruttura nell’ambito della propria unità organizzativa, il lavoratore mobbizzato in modo da interrompere l’attività lavorativa “a stretto contatto” con i mobbizzanti, cercando, per quanto possibile, di tutelare maggiormente la presunta vittima;
attivando, nelle ipotesi più gravi e durature, la procedura per il trasferimento per incompatibilità ambientale dell’autore delle condotte vessatorie, al fine di salvaguardare la vittima ed evitare che questa possa avere la percezione di essere stata ulteriormente punita. Acquisita tale documentazione, all’udienza pubblica 19.06.2024 uditi i procuratori delle parti costituite, la causa è stata infine trattenuta in decisone.

4) Il ricorso è fondato per quanto di ragione. Con il termine mobbing viene fatto riferimento ad un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro, in cui è inserito ovvero dal suo capo e caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione, finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo. Ciò implica l’esistenza di uno o più soggetti attivi, cui i suindicati comportamenti sono ascrivibili e di un soggetto passivo, che di tali comportamenti sia destinatario e vittima. Per quanto concerne i soggetti attivi vengono in evidenza le condotte (sia commissive sia omissive) che possono estrinsecarsi in atti giuridici veri e propri così come in semplici comportamenti materiali, aventi in ogni caso la duplice peculiarità di poter essere, se esaminati singolarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vista giuridico;
e tuttavia tali da acquisire comunque rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme dall’effetto di persecuzione e di emarginazione del mobbizzato. Per quanto riguarda quest’ultimo i problemi che si sono posti nella pratica hanno riguardato principalmente l’individuazione e la valutazione delle conseguenze delle vessazioni subite. Tali conseguenze, secondo le attuali acquisizioni, possono essere di ordine diverso. Infatti la serie di condotte, in cui dal lato attivo si concretizza il mobbing , può determinare l’insorgenza nel destinatario di disturbi di vario tipo e, a volte, di patologie psicotiche, complessivamente indicati come sindrome da stress postraumatico;
ovvero il compimento, da parte del soggetto passivo medesimo o nei suoi confronti, di atti che portano alla cessazione del rapporto di lavoro (rispettivamente dimissioni o licenziamento) anche indipendentemente dall’esistenza di disturbi di tipo psicologico o medico;
infine l’adozione, da parte della vittima, di altre condotte giuridicamente rilevanti, ed eventualmente illecite, come reazione alla persecuzione ed emarginazione subita (cfr. Corte costituzionale, sentenza 19.12.2003, n. 359). Affinché il mobbing acquisisca rilevanza effettiva dal punto di vista giuridico è necessario però che il caso specifico all’attenzione del giudice presenti alcune note caratteristiche, esattamente le seguenti: a) il ricorrere di una molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente e con intento vessatorio;
b) il verificarsi di un evento di danno riferito alla salute o alla personalità del dipendente;
c) la presenza di un nesso eziologicamente rilevante tra la condotta sub a ed il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore;
d) infine la prova dell’intento persecutorio della condotta sub a (cfr. Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenze 13.09.2017 n. 21262;
nonché della stessa Sezione della Corte Suprema sentenza 04.10.2019 n. 24883 e sentenza 23.06.2020 n. 12364). Quella testé descritta è l’ipotesi di mobbing commissivo. Tuttavia la giurisprudenza più recente, valorizzando il disposto dell’art. 2087 cod civ. sulla Tutela delle condizioni di lavoro , ha individuato un’ipotesi ulteriore di mobbing , quello per omissione. Invero come chiarito a più riprese dalla Suprema Corte di Cassazione, pur essendo di consueto il mobbing caratterizzato da un vero e proprio animus nocendi , sotteso ai singoli e specifici episodi di vessazione, nondimeno è configurabile una responsabilità colposa da mobbing a carico del datore di lavoro dovuta al non essere intervenuto per prevenire ovvero reprimere le vessazioni in questione, in modo tale da assicurare l’esecuzione della prestazione lavorativa del proprio dipendente all’interno di un ambiente di lavoro non “stressogeno”, scevro cioè da qualsiasi profilo di rischio per la salute dei lavoratori (cfr. Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenza 12.02.2024, n. 3822 ed in senso conforme della stessa Sezione della Suprema Corte sentenza 18.10.2023, n. 28923, nonché Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.04.2010, n. 2045). Le due ipotesi di mobbing testé descritte possono anche concorrere tra di loro nell’eventualità in cui agli atti vessatori manifestazione dell’intenzionale volontà di nuocere, infastidire o comunque svilire in qualsiasi modo la persona mobbizzata, si accompagni il comportamento colposamente negligente del datore di lavoro, il quale nulla ha fatto per evitare che il luogo di lavoro diventi fonte di danno alla persona del proprio dipendente (cfr. Tribunale Roma, Sez. Lav., sentenza 31.10.2018, n. 8357). Tali doveri di tutela della salute e della personalità morale dei lavoratori incombono sia sul datore di lavoro privato che su quello pubblico, ivi compreso l’Amministrazione della Difesa, in considerazione della portata precettiva generale propria dell’art. 2087 cod. civ. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 07.02.2023, n. 1276). In particolare in una sua recente decisone il Consiglio di Stato ha considerato l’Amministrazione oggi intimata soggetto responsabile, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., della violazione degli obblighi di cautela imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, finalizzati ad impedire fenomeni di mobbing al suo interno (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 12.05.2021, n. 3770). Premesso quanto sin qui esposto sulle fonti normative pertinenti il caso oggetto del decidere, il Tribunale ritiene che ricorrano tutte le condizioni necessarie per dichiarare la responsabilità dell’Amministrazione della Difesa, dovuta al non essere intervenuta efficacemente mercé gli incombenti descritti al precedente punto numero tre come cautele doverose in caso di mobbing ai danni dei suoi dipendenti. La corretta ricostruzione dell’accaduto (ricco di episodi vessatori e denigratori in danno del ricorrente) trova invero un puntuale riscontro probatorio non solo nel compendio documentale allegato al gravame, ma anche nella ricostruzione della vicenda del -O- fornita dal Comandante di presidio, Col.-O-, nel richiedere il trasferimento del ricorrente per incompatibilità ambientale (cfr. allegati nn. 81 ss. fasc. ric.). Nel presentare la sua relazione sui fatti occorsi, infatti, il Col.-O- ha premesso di aver appreso sin dal momento del suo insediamento al Comando del 46° Reggimento Trasmissioni che si erano già verificati degli aspri disaccordi tra il -O- ed il Col. -O-su varie problematiche nel periodo in cui il primo ricopriva l’incarico di Capo Sezione Matricola alle dipendenze gerarchiche del secondo. Infatti esistevano già agli atti del Comando di Reggimento diverse comunicazioni (indirizzate al precedente Comandante di Reggimento Col. -O-) con cui il -O- aveva fatto presente il clima, niente affatto sereno, in ambito lavorativo per i contrasti con il -O-sulla gestione delle pratiche matricolari. Il Col.-O- ha aggiunto che durante il periodo del suo comando le situazioni di tensione all’interno dell’Ufficio Matricola hanno avuto un significativo incremento. È stato il medesimo Col.-O-, tra l’altro, a confermare l’inoltro (in data 29.02.2014) da parte del -O- di una richiesta ufficiale di rapporto gerarchico al fine di fare rapporto sulla situazione in discorso;
richiesta alla quale il-O- ha riferito di aver fatto seguire statim et illico il trasferimento ad altro incarico del ricorrente dapprima all’Ufficio Logistico del Reggimento;
ed in seguito con la qualifica di mero “sostituto” all’ Infrastructure Management della Caserma Turba di Palermo. Per corroborare la richiesta di trasferimento per incompatibilità ambientale il Col.-O- ha fatto anche riferimento allo scarso rendimento dimostrato dal -O- nell’espletare le sue incombenze, giustificato adducendo cattive condizioni di salute. Si legge invero nel documento in discorso: “Da evidenziare, inoltre, che il Primo Mar. Lgt. -O- è stato nel periodo in esame parecchio assente per varie patologie. Tali assenze sono divenute sempre più frequenti e riconducibili a situazioni di stress. Pertanto, lo scrivente, al fine di tutelare la salute del dipendente e di individuare le cause della situazione di malessere, su proposta del Dirigente del Servizio Sanitario, decideva di verificare quanto diagnosticato inviandolo presso gli organi competenti del Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina. Dal 16 marzo 2015 al 14 settembre 2015 veniva dichiarato non idoneo al Servizio Militare Incondizionato e pertanto veniva posto in licenza di convalescenza;
in data 17 settembre 2015 veniva sottoposto a visita ed in pari data dichiarato idoneo al servizio militare incondizionato, ma con limitazione da impiegare in ruoli logistici-amministrativi per mesi 6”.
Traendo le conclusioni della sua relazione il Comandante di presidio ha giustificato la necessità del trasferimento del -O- ad altra sede di servizio con il continuo ed ormai insanabile rapporto conflittuale con il suo superiore diretto, il Col. -O-, non essendo valsi a nulla “i tentativi di gestire la situazione in maniera partecipativa, promuovendo un confronto diretto tra gli aventi causa al fine di trovare una soluzione definitiva e condivisa della situazione”. Tuttavia non è dato evincere né dalla richiesta di trasferimento del -O-, né mediante altra documentazione versata in atti dall’Amministrazione intimata, in che cosa siano consistiti in concreto tali “tentativi di gestire la situazione in maniera partecipata”, se non nel cambio incarico (con mansioni inferiori al grado) del -O-. In altri termini le iniziative assunte dal Comando di Reggimento per verificare la reale natura dei dissidi venutisi a creare all’interno dell’Ufficio Matricola risultano gravemente carenti, non appena si consideri che era dovere del Comandante di Presidio (sulla base delle direttive già assunte dallo S.M.E. sul fenomeno del mobbing ) sia di ascoltare di persona i diretti interessati (-O- e -O-) che di promuovere forme condivise di svolgimento delle mansione lavorative all’interno degli uffici. Come anticipato al precedente numero tre dell’odierna decisione il trasferimento della persona mobbizzata ad altro ufficio può essere disposto soltanto nel caso di esito infruttuoso del suddetto primo approccio al problema e, in ogni caso, con modalità tali da salvaguardarne la dignità e salute personale. Di talché appare palesemente incongruo l’operato del Comandante pro tempore del Reggimento Trasmissioni, il quale, stando a quanto dal medesimo esposto nella richiesta di trasferimento del -O-, ha allontanato il ricorrente dal suo ufficio (demansionandolo) il giorno dopo la richiesta del colloquio chiesto per riferire sui fatti di causa, senza svolgere quindi alcuna istruttoria su una situazione che, a dire dello stesso Comandante, era stata già posta alla sua attenzione al momento di assunzione dell’incarico. Neppure le iniziative in ambito medico assunte dal Comando di Reggimento risultano adeguate al caso, dal momento che le stesse risultano essere state sempre adottate al fine esclusivo di garantire l’interesse dell’Amministrazione alla piena efficienza dei suoi apparati, allontanando dal luogo di lavoro le persone ritenute momentaneamente inidonee al servizio d’istituto. Nessuna iniziativa specifica per far fronte ai risvolti medici del mobbing e, quindi, per tutelare la salute della persona mobbizzata, al contrario è stata mai assunta, nonostante incombessero sul Comando di Reggimento, come correttamente dedotto in ricorso dal -O-, tutti i doveri di tutela della salute e della personalità dei lavoratori tipici della figura del datore di lavoro. Conclusivamente sul punto in discorso la complessiva gestione della vicenda del -O- da parte dei suoi superiori risulta gravemente colposa rispetto ai doveri, che sui medesimi incombevano a partire dal 2008 per prevenire e fronteggiare il mobbing nelle FF.AA. In merito alle conseguenze del mobbing subito, come esposto in precedenza il -O- ha prodotto in giudizio una certificazione medica del Centro medico preposto all’interno dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo alla diagnosi ed alla terapia delle patologie correlate al mobbing (allegato n. 99 fasc. ric.). Con tutta evidenza si è in presenza di un atto pubblico, dotato di forza probatoria rafforzata ai sensi di quanto disposto dagli articoli 2699 e 2700 cod. civ., avverso il quale non è stata proposta querela di falso. Di conseguenza le patologie certificate mercé il documento in discorso costituiscono un dato di fatto certo ed inconfutabile ai fini della decisone della lite, così come l’individuazione (grazie all’anamnesi del paziente) dei relativi fattori causali. Infine in merito all’aspetto subiettivo della responsabilità dell’Amministrazione intimata il Tribunale osserva che, come correttamente dedotto dal ricorrente, le negligenze commesse dall’Amministrazione della Difesa attenevano a specifici doveri contrattuali in favore del -O-. L’inadempimento dei medesimi è disciplinato, per quanto concerne il profilo d’interesse, dall’art. 1218 cod. civ., che onera il debitore della prova della non imputabilità dell’inadempimento, rimanendo, al contrario, il creditore danneggiato esonerato da qualsiasi incombente al riguardo (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, sentenza 06.03.2023, n. 1429). Sulla base delle considerazioni sin qui svolte il Tribunale giudica che dalle prove versate in atti emerga, senza dubbio alcuno, la responsabilità omissiva dell’Amministrazione intimata per il mobbing patito dal ricorrente durante il periodo di servizio presso il Reggimento Trasmissione dell’E.I. di stanza a Palermo.

5) Passando adesso ad esaminare i profili pertinenti il quantum debeatur , come anticipato nell’esposizione dei fatti di causa il ricorrente ha chiesto a questo Tribunale di liquidare in via equitativa un risarcimento per danni patrimoniali e non pari ad € 200.000,00 ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia, specificando singulatim le voci del danno patrimoniale. Vista la complessità della controversia il Collegio reputa opportuno, però, fare ricorso ai poteri attribuiti al Giudice amministrativo dall’art. 34 cod. proc. amm., indicando i parametri a cui le parti sono invitate ad attenersi al fine di trovare un accordo conciliativo. A tal fine è doveroso precisare che nessuna delle voci di danno patrimoniale indicate dal -O- nel suo gravame dovrà essere risarcita in fase di transazione extragiudiziale per le ragioni che seguono. Invero per la voce relativa alla mancata percezione dell’indennità di comando, il ricorrente non ha fornito prova alcuna del fatto che in mancanza del mobbing subito avrebbe con certezza assunto funzioni di comando. Di conseguenza manca su questo punto il nesso di causalità giuridica tra il fatto accertato e le presunte conseguenze dannose lamentate dal -O-. Per la voce sub 2), cioè l’indennità F.E.S.I., dalla documentazione versata in atti non risulta che la decurtazione della paga del -O- in parte qua sia stata mai oggetto di gravame tempestivo in sede amministrativa ovvero giudiziaria. Non essendo stati attivati prontamente i rimedi idonei ad evitare il verificarsi del danno ovvero il suo aggravarsi, in applicazione di quanto disposto dal comma II dell’art. 1227 cod. civ., tale profilo di risarcimento non può essere riconosciuto. Invero il ricorrente nulla ha fatto per evitare la suddetta conseguenza dannosa. Infine le ulteriori voci di danno patrimoniale dedotte in gravame attengono, a ben vedere, alle spese di difesa sostenute dal -O- nei numerosi contenziosi, che hanno costellato la sua vita lavorativa;
tema naturalmente riservato alle determinazioni del Giudice chiamato a decidere tali contenziosi. Di talché nessun importo dovrà essere riconosciuto al ricorrente a titolo di risarcimento del danno patrimoniale. In merito all’altro profilo, quello del danno non patrimoniale, il Tribunale, in considerazione della evidente analogia di fattispecie, onera le parti di utilizzare come parametro di liquidazione del medesimo quanto disposto dall’art. 13, decreto legislativo 23.02.2000, n. 38, recante Disposizioni in materia di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali a norma dell’art. 55, comma 1, legge 17.05.1999 n. 144;
disposizione che nell’ambito delle Amministrazioni civili dello Stato è applicata ai fini di indennizzare i lavoratori vittima di mobbing .

6) Le spese seguono la soccombenza. Pertanto sono poste a carico dell’Amministrazione intimata e liquidate in € 2.000,00 oltre rimborso forfettario, IVA e CPA.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi