TAR Milano, sez. III, sentenza breve 2024-05-20, n. 202401531

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza breve 2024-05-20, n. 202401531
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202401531
Data del deposito : 20 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/05/2024

N. 01531/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00771/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 771 del 2024, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S A T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Tonale 22;

contro

Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Como, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Milano, via Freguglia, 1 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

previa sospensiva

del provvedimento emesso dalla Prefettura di Como del 10/01/2024, notificato mediante notifica digitale in data 11/01/2024 con cui veniva decretata l’inammissibilità dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana Rif. K10/1039620, ai sensi dell’art. 9 co. 1 L. F della Legge 5 febbraio 1992 n. 91, presentata dal Sig. -OMISSIS- in data 25/01/2022;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ufficio Territoriale del Governo Como;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

1) In via preliminare, il Tribunale evidenzia che, in relazione agli elementi di causa, sussistono i presupposti per l’adozione di una decisione in forma semplificata, adottata in esito alla camera di consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare, stante l’integrità del contraddittorio e l’avvenuta esaustiva trattazione delle questioni oggetto di giudizio.

Con il provvedimento impugnato l’amministrazione ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di conferimento della cittadinanza italiana presentata da -OMISSIS- ai sensi dell’art. 9 della legge 1992 n. 91, in ragione della carenza del requisito della residenza legale.

2) Con più censure, da trattare congiuntamente perché strettamente connesse sul piano logico e giuridico, il ricorrente lamenta la violazione delle garanzie partecipative, per mancata considerazione delle osservazioni presentate a seguito del preavviso di rigetto, nonché la carenza motivazionale e la violazione del principio del soccorso istruttorio, ex art. 6, comma 2, lett. b) della legge 1990 n. 241.

Le censure non possono essere condivise.

In particolare, il Tribunale osserva che:

- l’art. 9, comma 1, lett. f, della legge 1992 n. 91 – alla cui previsione si correla la richiesta di cittadinanza presentata dal ricorrente - prevede la concessione della cittadinanza “allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica”;

- la residenza legale in Italia da almeno 10 anni integra un presupposto vincolante per l’amministrazione, la quale, una volta rilevatane la carenza, deve respingere l’istanza;

- il provvedimento gravato evidenzia che dal certificato storico di residenza emesso dal Comune di Como risulta che lo straniero ha acquisito la residenza solo a far data dal 15/07/2015 con provenienza dall’Afghanistan e proprio tale circostanza determina la carenza del requisito temporale della residenza legale di 10 anni, richiesto dall’art. 9, lett. f) cit. con riferimento alla data di presentazione della domanda;

- il ricorrente sostiene, contestando la ritenuta assenza del requisito di residenza, che il periodo decennale di residenza in Italia, richiesto dall’art. 9 lett. f) cit., possa essere provato anche in altro modo, non essendo decisivo il certificato di residenza, ossia allegando elementi o circostanze da cui desumere, comunque, la regolare presenza dello straniero sul territorio nazionale;

- la tesi non può essere condivisa;

- in primo luogo, va osservato che l’art. 1, comma 2, lettera a), del D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572 dispone che “si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia di iscrizione anagrafica”;

- inoltre, la giurisprudenza ha interpretato l’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992 nel senso che il requisito della residenza decennale nel territorio della Repubblica italiana deve essere posseduto attualmente ed ininterrottamente alla data di presentazione della domanda e il tenore delle norme citate esige non la mera presenza in Italia dello straniero, ma la “residenza legale ultradecennale”, ossia il mantenimento di un’ininterrotta situazione fattuale di residenza accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe (cfr. ex multis: Tar Lazio, sez. V, 20/11/2023, n.17233;
Tar Lombardia, Brescia, sez. II n. 632/2018;
Tar Toscana, sez. II, n. 901/2018, C.d.S. n. 687/2017);

- la residenza legale decennale dimostrata attraverso l’iscrizione anagrafica ininterrotta è condizione non aggirabile ai sensi della normativa sopra richiamata, che, si ribadisce, presuppone oltre al possesso di un valido titolo di soggiorno anche l’osservanza delle previsioni in ordine all’iscrizione anagrafica della residenza;

- sul punto la giurisprudenza ha anche precisato (cfr. da ultimo Tar Lazio, sentenza n. 13815/2023) che la coincidenza della nozione di residenza legale con quella di residenza anagrafica ai fini della concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione è coerente con il d.P.R. 223/89 - recante il regolamento anagrafico della popolazione residente – ove, all’art. 7 comma 3, si precisa che “Gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l’obbligo di rinnovare all’ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune, entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno, corredata dal permesso medesimo (...)”;
per altro verso, l’art. 6, comma 7, del d.l.vo n. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione), dispone che “le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione”;

- del resto, il regolamento di attuazione del testo unico sull’immigrazione (d.P.R. n. 394 del 1999) prevede, all’art. 15, comma 1, che le iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate nei casi e secondo i criteri previsti dalla L. n. 1228 del 1954 e dal già menzionato regolamento anagrafico della popolazione residente;

- dalle disposizioni normative che precedono deriva che l’iscrizione all’anagrafe - e la necessaria comunicazione delle relative variazioni - non è una semplice facoltà attribuita dalla legge alle persone, ma è la conseguenza obbligatoria dell’aver stabilito la propria dimora abituale nel territorio del Comune;
si tratta di un obbligo presidiato da una sanzione amministrativa a norma dell’art. 11 della L. 24/12/1954, n. 1228 (come successivamente modificato), sanzione prevista in forma più elevata, al successivo comma 2, laddove la violazione venga commessa da un soggetto migrante dall’estero;

- la previsione di tali obblighi anagrafici persegue, tra l’altro, lo scopo di rendere le persone, legalmente dimoranti nel territorio, note ai pubblici poteri e reperibili nel luogo in cui hanno fissato la loro dimora. In quest’ottica appare significativo che anche le persone senza fissa dimora debbano comunque essere registrate nell’anagrafe della popolazione residente e abbiano una residenza nel Comune dove hanno stabilito il proprio domicilio o in quello di nascita (cfr., in senso conforme, anche T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 04/12/2012, n. 10123);

- soltanto il regolare assolvimento degli obblighi anagrafici consente una registrazione della situazione effettiva dei residenti nel territorio comunale che, come rilevato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2020, “costituisce il presupposto necessario per l’adeguato esercizio di tutte le funzioni affidate alla pubblica amministrazione, da quelle di sicurezza e ordine pubblico, appunto, a quelle sanitarie, da quelle di regolazione e controllo degli insediamenti abitativi all’erogazione di servizi pubblici, e via dicendo (...). Da ultimo, non è inutile osservare che la necessità di un controllo e di un monitoraggio della residenza sul territorio (...) presenta anzi particolare importanza, anche a fini sanitari, poiché è sulla base dell’anagrafe dei residenti che il comune può avere contezza delle effettive presenze sul suo territorio ed essere in condizione di esercitare in maniera adeguata le funzioni attribuite al sindaco dall’art. 32 della L. 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), soprattutto in caso di emergenze sanitarie circoscritte al territorio comunale”;

- in questa prospettiva risultano irrilevanti le prove fornite dal ricorrente volte a dimostrare la sua presenza in Italia in epoca anteriore al 2015, fermo restando che le indicazioni offerte non evidenziano la sua presenza continuativa in Italia da almeno 10 anni, come del resto emergente dal certificato emesso dal Comune di Como ove si attesta la residenza in Italia dal 2015 con provenienza dall’Afghanistan;

- in altre parole, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, proprio perché il presupposto della residenza legale va accertato in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe, l’interessato non può dimostrare la residenza attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica, atteso che la legge demanda ai registri anagrafici l’accertamento della popolazione residente e coerentemente l’art. 1, d.P.R. n. 362 del 1994 e l’art. 1, comma 2 lett. a), d.P.R. n. 572 del 1993 impongono che la prova della residenza sia fornita solo con riferimento alle risultanze dei registri dell’anagrafe dei residenti, non essendo consentito che, in presenza di una precisa definizione della nozione di residenza legale ai sensi della disposizione regolamentare innanzi richiamata, tale elemento possa essere surrogato con indizi di carattere presuntivo od elementi sintomatici indiretti (cfr. Tar Lazio, sez. V bis, n. 13815/2023;
T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 30/04/2019, n. 186;
T.A.R. di Trento, 14/01/2022, n. 3);

- sotto altro profilo, va osservato che non sussiste la lamentata violazione delle garanzie partecipative, atteso che le deduzioni svolte in sede di contraddittorio procedimentale, ex art. 10 bis della legge 1990 n. 241, non richiedono una puntuale confutazione, specie in una situazione, come quella in esame, in cui proprio la certificazione anagrafica, cui occorre fare riferimento, esclude la sussistenza del requisito legale;

- in tale contesto, è infondata la doglianza relativa alla mancata attivazione del soccorso istruttorio, poiché, a fronte del certificato reso dal Comune di Como, gravava sull’interessato l’onere di attivarsi presso l’amministrazione comunale al fine di sollevare eventuali contestazioni alle risultanze anagrafiche;

- va pertanto, ribadita l’infondatezza delle censure proposte;

3) In definitiva, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

La considerazione della fattispecie complessiva sottesa all’impugnazione proposta consente di compensare tra le parti le spese della lite.

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