TAR Milano, sez. I, sentenza 2022-09-02, n. 202201959
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Pubblicato il 02/09/2022
N. 01959/2022 REG.PROV.COLL.
N. 02726/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2726 del 2017, proposto da
-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato V N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Milano, via Enrico Besana n. 2;
contro
Ministero dell'Interno – Questura di Milano, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Milano, via Freguglia, 1 (Palazzo Giustizia);
per l'annullamento
del decreto Questore di Milano n. -OMISSIS-, di rigetto dell'istanza di rinnovo di permesso di soggiorno per lavoro subordinato ai sensi dell'art. 5 co. 5 del T.U. notificato in data 11 settembre 2017.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno – Questura di Milano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 20 luglio 2022, tenutasi da remoto ai sensi dell’art. 17, commi 6 e 7, del d.l. 9 giugno 2021 n. 80, convertito con modificazioni in legge 6 agosto 2021, n. 113, il dott. Agatino Giuseppe Lanzafame e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con decreto del Questore di Milano -OMISSIS- – notificato al ricorrente in data 11 settembre 2017 – l’amministrazione ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo presentata dal sig. -OMISSIS- in data 14 aprile 2016.
Tale decisione è stata assunta dall’amministrazione in ragione del fatto che l’istante « è stato condannato alla pena di mesi 3 (tre) di reclusione per il delitto p. e p. dall’art. 489 e alla pena di mesi 5 (cinque) e giorni 10 (dieci) di reclusione ed € 2.000,00 di multa per il delitto p. e p. dell’art. 474 c.p. » con sentenza Tribunale di Milano 5 dicembre 2011, n. 13952 (confermata in appello);che successivamente lo stesso « è stato nuovamente giudicato colpevole [nel 2016] per la medesima fattispecie criminosa », ovvero è stato condannato con sentenza Tribunale di Milano, 23 novembre 2016 « alla pena di anni 1 (uno) mesi 4 (quattro) e giorni 20 (venti) di reclusione ed € 600,00 di multa, poiché giudicato colpevole dei delitti, unificati sotto il profilo della continuazione, p. e p. dagli artt. 110, 474, comma 2, c.p. e art. 110 e 648 c.p. »;nonché in considerazione del fatto che il richiedente non ha dimostrato « la disponibilità di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di un importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria » e tenuto conto che lo stesso « non risulta avere familiari sul territorio nazionale in possesso dei requisiti per il ricongiungimento, né altri rapporti di parentela o condizioni personali che ne vietino l’espulsione ».
2. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, il ricorrente ha impugnato il decreto adottato dal Questore di Milano – chiedendone l’annullamento e, in via cautelare, la sospensione – sulla base di due distinti motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato l’illegittimità del provvedimento gravato per la « mancata considerazione della [sua] complessiva situazione patrimoniale », sostenendo – in sintesi – che la p.a. non avrebbe tenuto conto del fatto che « negli anni dal 2014 al 2016 ha sempre avuto un reddito superiore all’importo minimo dell’assegno sociale per quell’anno solare (anno 2014 di € 7.549,00, anno 2015 di € 7.522,00, anno 2016 di € 7.522,00) ».
2.2. Con il secondo motivo ha contestato la « mancata valutazione in concreto della pericolosità sociale del richiedente » e ha formulato questione di illegittimità costituzionale dell’automatismo previsto dall’art. 4, comma 3, del T.U.I. che impedisce il rinnovo del permesso di soggiorno alla persona che « risulti condannata, con sentenza irrevocabile, per delitti relativi alla tutela del diritto di autore ».
3. In data 1 dicembre 2017, l’amministrazione si è costituita in giudizio depositando documenti.
4. Con ordinanza Tar Milano, I, -OMISSIS- questo Tribunale ha respinto la domanda cautelare avanzata nel ricorso, ritenendo mancante « il necessario fumus boni iuris del ricorso in considerazione delle condanne riportate dal ricorrente per reati ostativi alla permanenza dello stesso sul territorio nazionale ».
5. Con memoria del 15 giugno 2022, l’amministrazione ha spiegato le proprie difese e ha insistito per il rigetto del ricorso, evidenziando che « dai provvedimenti giudiziari prodotti risulta che il ricorrente ha più volte ed in vario modo violato la legge penale, circostanza che costituisce per sé sintomo se non di pericolosità, quanto meno di mancato inserimento sociale » e che « quanto ai redditi egli non è stato in grado di smentire con adeguato supporto probatorio gli assunti della Questura ».
6. All’udienza del 20 luglio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Il ricorso è infondato e deve essere respinto per le ragioni di seguito illustrate.
8. È innanzitutto infondato il secondo motivo di gravame con il quale il ricorrente ha lamentato che l’amministrazione avrebbe adottato la propria decisione sulla base di un “mero automatismo” determinato dalla condanna subita dal sig. -OMISSIS- per un reato ostativo al rilascio del permesso di soggiorno ex art. 4, c. 3, d.lgs. n. 286/1998.
8.1. A tal proposito è appena il caso di ricordare che ai sensi dell’articolo 4, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 « non è ammesso in Italia lo straniero … che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite. Impedisce l'ingresso dello straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale, nonché dall’articolo 1 del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, e dall'articolo 24 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 ».
Il tenore letterale della summenzionata disposizione ha indotto la giurisprudenza a sottolineare che, con riferimento alle ipotesi in cui ricorrano una condanna per i reati di cui sopra, « la valutazione di pericolosità sociale [è] stata già operata dal legislatore che ha del tutto escluso ogni possibilità di ammettere sul territorio nazionale e di rilasciare un permesso di soggiorno agli extracomunitari che abbiano riportato una sentenza di condanna anche non definitiva (o una sentenza ex art. 444 c.p.p.) per uno dei reati previsti dalla norma [e che quindi in tali ipotesi] l’amministrazione può legittimamente limitarsi all’accertamento di tale presupposto per negare il rinnovo del permesso di soggiorno, perché la valutazione della pericolosità sociale è stata fatta direttamente e insindacabilmente dal legislatore » nonché a specificare che « la preclusione in esame non rappresenta un effetto penale, ovvero una sanzione accessoria della condanna, ma un effetto di natura amministrativa che la legge fa derivare dalla semplice circostanza di aver riportato una condanna per determinati reati, quale indice presuntivo di pericolosità sociale, o, quanto meno, di riprovevolezza (cioè, di non meritevolezza alla permanenza in Italia) del comportamento tenuto dallo straniero nel nostro Paese » (cfr. Tar Trento, 31 ottobre 2011, n. 268 e Tar Firenze, II, 24 luglio 2017, n. 963).
Conseguentemente è stato notato che quella sopra indicata è una causa di esclusione del rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno dal « carattere vincolato » rispetto alla quale i margini di discrezionalità sono stati interamente consumati dal legislatore (cfr. Tar Firenze, II, 22 giugno 2010, n. 2030 e 24 luglio 2017, n. 963).
Analogamente è stato evidenziato che le condanne per i reati indicati dall’art. 4, c. 3, d.lgs. n. 286/1998 « sono automaticamente ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno all'extracomunitario, qualunque sia la pena detentiva riportata »;che « per il grave disvalore che il legislatore attribuisce ai reati in questione ai fini della tutela della sicurezza pubblica non rileva nemmeno la concessione della sospensione condizionale » e che «in presenza anche di una sola di siffatte condanne, non residua alcuna sfera di discrezionalità in capo all’amministrazione, che deve dare immediata applicazione al disposto normativo » (cfr. Tar L’Aquila, I, 4 ottobre 2019, n. 475).
8.2. È noto, al contempo, che l’automatismo previsto dall’art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 è stato progressivamente temperato dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa.
E, infatti, per un verso, la sentenza Corte costituzionale 18 luglio 2013, n. 202 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, c. 5, d.lgs. n. 286/19987 nella parte in cui prevedeva che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che « ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare » o al « familiare ricongiunto », e non anche allo straniero « che abbia legami familiari nel territorio dello Stato », con ciò che ne consegue in ordine al fatto che – anche nelle ipotesi in cui ricorrano condanne per i reati di cui all’art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 – la p.a. ha sempre il dovere di tenere conto « della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato … nonché … della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale ».
A seguito della suindicata pronuncia della Corte costituzionale, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che nell’esercizio del proprio potere la pubblica amministrazione è sempre « tenuta a valutare la condizione familiare dello straniero in quanto l’interesse collettivo alla tutela della sicurezza pubblica deve essere bilanciato con l’interesse alla vita familiare dell’immigrato e dei suoi congiunti, trattandosi di diritti fondamentali, aventi copertura convenzionale, in particolar modo l’art. 8 CEDU » (cfr. Consiglio di Stato, III, 27 novembre 2018, n. 6699 del 2018) e che, quindi, « l’automatismo di cui all’art. 4 cede il passo ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione che, in caso di condanna per uno dei reati ostativi, deve tenere in debito conto l’effettività dei vincoli familiari, il legame effettivo con il Paese di origine, la durata del soggiorno » (cfr. ex multis Consiglio di Stato, II, 19 agosto 2022, n. 7312) .
L’automatismo previsto dall’art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 è stato ulteriormente temperato dal giudice d’appello che, in alcun casi, ha ritenuto che l’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni del d.lgs. n. 286/1997 non impone alla p.a. – nelle ipotesi in cui la condanna per un reato ostativo sia relativa a fatti di particolare tenuità (ovvero nei casi in cui le condotte oggetto della condanna non denotino evidentemente una pericolosità sociale tale da giustificare senz’altro la sua espulsione) – di adottare automaticamente un provvedimento di rigetto ma richiede alla stessa amministrazione di valutare « la complessiva situazione, familiare e lavorativa, del cittadino extracomunitario, il suo inserimento sociale e la sua attuale e concreta pericolosità sociale, senza automatismi di sorta » (Consiglio di Stato, III, 7 aprile 2014, n. 1637 e 20 ottobre 2016, n. 4385).
La stessa giurisprudenza amministrativa, ancora di recente, ritenendo di non poter procedere all’operazione ermeneutica appena descritta, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 proprio nella parte in cui prevede l’automatismo espulsivo con riferimento alla condanna per il reato di cui all’art. 474 c.p. (ovvero proprio per uno dei reati per i quali è stato condannato il ricorrente, « introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi ») per violazione degli artt. 3 e 117, comma 1, Cost. in riferimento all’art. 8 CEDU (cfr. Consiglio di Stato, III, 23 giugno 2022, n. 5171).
Con tale pronuncia, il giudice d’appello ha chiesto al giudice costituzionale di vagliare la legittimità della disposizione sopra indicata, ritenendo che la scelta legislativa di parificare (a fini ostativi al rilascio del permesso di soggiorno) fattispecie di reato che si connotano per violenza, efferatezza, condotte contrarie alla vita, all’incolumità fisica e psichica, alla libertà sessuale (quali, reati di omicidio, violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, etc.) con la fattispecie di cui all’art. 474 c.p. si ponga in tensione non solo con il principio di proporzionalità, ma anche con quello di ragionevolezza nella parte in cui impedisce all’amministrazione di valutare « gli elementi positivi della situazione giuridica dei cittadini stranieri ».