TAR Roma, sez. III, sentenza 2019-04-16, n. 201904937
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Testo completo
Pubblicato il 16/04/2019
N. 04937/2019 REG.PROV.COLL.
N. 14870/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 14870 del 2016, proposto da:
M A D F, rappresentata e difesa dagli avvocati M B e S D, con domicilio eletto presso lo studio legale Bonetti&Delia in Roma, via S. Tommaso D'Aquino, 47;
contro
Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, in persona del Ministro p.t., Universita' degli Studi di Roma “La Sapienza”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Cineca, Università degli Studi di Catanzaro Magna Grecia, Universita' degli Studi de L'Aquila non costituiti in giudizio;
nei confronti
Andrea De Stefano, Gemma Antuono, Domenico Di Lorenzo non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
previa sospensione dell’efficacia
del D.M. n.546 del 30.6.16 concernente modalità di svolgimento dei test per i corsi di laurea a ciclo unico ad accesso programmato a.a. 2016/2017 e dei relativi allegati e di tutti gli altri atti indicati nel ricorso introduttivo del giudizio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca e di Universita' degli Studi di Roma La Sapienza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 novembre 2018 il dott. C V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. - Con ricorso notificato il 2 dicembre 2016 al MIUR la sig.na M A D F ha impugnato, chiedendone l’annullamento (previa adozione di opportuna misura cautelare), gli atti che hanno determinato la sua mancata ammissione al corso di Laurea Magistrale a Ciclo unico in Medicina e Chirurgia, presso la sede di sua prima scelta, corrispondente all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (o, in subordine, presso una delle sedi universitarie indicate nella domanda, in ordine di preferenza). La ricorrente esponeva di avere partecipato, in data 6 settembre 2016, alla prova di ammissione per l’accesso programmato, secondo le disposizioni di cui al D.M. 30 giugno 2016, n. 546 recante “Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato nazionale a.a. 2016/2017”.
2. - Parte ricorrente evidenzia di avere conseguito, alla fine della prova, il punteggio di 61,70, classificandosi, su scala nazionale, in posizione n. 11326 non utile per accedere ai corsi di Medicina presso nessuna delle sedi universitarie da lei opzionate.
3. - Il test di accesso a Medicina (v. art. 2 del D.M. n. 546/2016) si presentava strutturato su 60 quesiti a risposta multipla (n. 5 opzioni di risposta) ed il punteggio, secondo l’Avviso di ammissione, avrebbe dovuto essere attribuito ai candidati secondo i seguenti criteri:
- attribuzione di 1,5 punti per ogni risposta esatta;
- sottrazione di 0,4 punti per ogni risposta sbagliata;
- attribuzione di zero punti per ogni risposta non data.
4. – Il ricorso, che si estende per 50 pagine (escluse le relate), formate da 35 righe ciascuna, consta dei motivi che, per comodità espositiva, possono essere riassunti come segue.
A) Violazione delle norme relative ai concorsi pubblici (d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487). Violazione del bando di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia relativo all’a.a. 2016/2017 (D.M. n.546/2016). Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art. 97 Cost. Violazione del legittimo affidamento. Arbitrarietà.
Nella specie sarebbe stata violata la disposizione di cui all’art. 2, comma 3, D.M. n. 546 del 2016, secondo la quale la prova doveva avere inizio alle ore 11:00 e per il suo svolgimento i candidati disponevano di 100 minuti totali. Stante il principio desumibile dall’art. 11 del d.P.R. n. 487/1994, secondo cui l’orario dell’inizio delle prove che si svolgano contestualmente presso più sedi deve essere il medesimo per tutte le sedi, l’operato dell’Amministrazione avrebbe palesemente violato detto principio in quanto nell’aula di “Malattie Tropicali”, predisposta per l’espletamento della prova presso l’Università “La Sapienza”, i candidati sarebbero stati erroneamente autorizzati ad aprire i plichi contenenti i quiz alle 10 e 30, quindi mezz’ora prima del dovuto. Nonostante l’invito successivo, rivolto ai candidati dai funzionari preposti, di reinserire il foglio nel plico ed attendere l’orario prescritto per iniziare a rispondere, molti degli studenti presenti in aula, in realtà, continuavano a leggere le domande del test di ammissione così beneficiando di 30 minuti di tempo supplementare.
La visione anticipata dei quesiti ha quindi conferito indebitamente a molti candidati presenti un oggettivo vantaggio competitivo che ha alterato il risultato finale della prova, ledendo la precondizione stessa di una selezione concorsuale quale è la parità di trattamento e opportunità tra tutti i concorrenti.
Il Collegio non ritiene che la censura meriti accoglimento.
Va, in primo luogo, osservato che, tenuto conto della graduazione delle domande svolta dalla ricorrente, la quale aspira in primo luogo all’immatricolazione al corso di laurea di suo interesse e presso l’Ateneo prescelto, l’ipotetico accoglimento della censura non potrebbe produrre, in suo favore, alcuna utilità, atteso che il vizio dedotto non può che condurre all’annullamento dell’intera prova, giammai al soddisfacimento dell’interesse pretensivo finale all’ammissione definitiva al corso.
Ai fini dell’apprezzamento dell’interesse azionato non può dimenticarsi poi che, a seguito dell’ordinanza cautelare n. 2403/2017 del 9.6.2017 del Consiglio di Stato, la ricorrente ha ottenuto l’ammissione con riserva al corso, sicché l’interesse ormai esclusivo della medesima non può che esser quello alla conservazione in via definitiva dell’utilità (immatricolazione, con conseguente possibilità di frequentare e sostenere gli esami), allo stato ottenuta in via provvisoria.
Va poi rilevato che, sul piano probatorio, la censura non è stata supportata da idonei elementi e le stesse allegazioni ricorsuali appaiono alquanto generiche, sicchè (anche ove fosse possibile superare il problema dell’assenza di un interesse concreto e attuale a coltivare la censura), il motivo non potrebbe essere accolto per mancato assolvimento, da parte della ricorrente, dell’onere probatorio che su di essa incombeva.
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, primo comma, L. 2 agosto 1999 n. 264, del DM 546/16. Eccesso di potere per illogicità manifesta”. L’art. 2, comma 2, del DM n. 546/2016 prevedeva che i quesiti dovessero vertere su: cultura generale e ragionamento logico;biologia;chimica;fisica e matematica. Venti di essi riguardavano la logica che, tuttavia, non è materia di studio nella scuola secondaria superiore;se, in luogo dei quesiti di logica, fossero state somministrate domande di cultura generale, al ricorrente sarebbero stati potenzialmente attribuiti diversi punti in più (fino ad arrivare, nel calcolo proposto, a 81,30 punti), in misura più che sufficiente al superamento della prova;
2) “Violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma primo, L. 2 agosto 1999 n. 264, del d.m. 546/16 e della lex specialis di affidamento della commessa. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta. Violazione dell'art. 3, 33, 34, 97 Cost. e disparità di trattamento”. Delle 60 domande formulate, ben 53 risulterebbero somministrate in precedenti edizioni di test a programmazione nazionale di cui 45 identiche e 8 simili (delle quali sono 16 quelle a cui il ricorrente ha risposto erroneamente o ha omesso la risposta);le stesse sarebbero state “copiate” da altre prove somministrate in altre selezioni pubbliche anche recenti, oppure riprese da banche dati di altri concorsi. Vi sarebbero poi, tra i quiz sottoposti ai candidati, numerosi quesiti che, in realtà, non sono inediti, bensì integralmente tratti da pubblicazioni per la preparazione del concorso che si trovano in comune commercio. Inoltre, sarebbe illegittima la scelta stessa di esternalizzare la confezione della prova, posto che il sistema di redazione del questionario sarebbe stato quello di copiare da testi diffusi in commercio. Se i quesiti fossero stati tutti inediti, parte ricorrente, che ha risposto in modo errato o non ha risposto a n. 7 domande “copiate”, avrebbe conseguito 88,90 punti, superando così il test d’accesso. Inoltre, la presenza di domande non inedite avrebbe comportato, per i candidati (compreso il ricorrente) un generale effetto di disorientamento.
3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 6 Legge 7 agosto 1990 n. 241, dell’art. 3, comma 2, d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487, degli artt. 3 e 4 Legge 2 agosto 1999 n. 264. Eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria ed illogicità manifesta: il numero dei posti da assegnare alle professioni sanitarie sarebbe sottostimato in quanto le stime del fabbisogno sociale di tali professionalità sarebbero state rese soltanto con riguardo all’ambito nazionale, senza riferimento al mercato europeo (cita parere AGCOM del 21 aprile 2009);la stessa istruttoria degli Atenei sulla propria capacità formativa in termini di strutture e docenti è decisamente sottostimata se, in anni passati (2014 e 2013, in particolare), un enorme numero di ammessi in sovrannumero ha potuto accedere per effetto di ordinanze di TAR e Consiglio di Stato;
4) “Violazione degli articoli 34 e 97 Cost., 46 DPR n. 394\1999, del d.lgs. n. 286/1998 e della legge n. 264/1999. Eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di motivazione, contraddittorietà tra provvedimenti del medesimo Ateneo”.
Sarebbe illegittima la scelta, operata dal MIUR con il DM n. 546/2016, di non attribuire ai cittadini comunitari i posti riservati ai cittadini extracomunitari non residenti in Italia rimasti vacanti perché non occupati dagli aventi diritto, in quanto, da un lato, non sarebbe prevista riserva alcuna per i non comunitari (poiché l’art. 46 DPR n. 394/1999 si limiterebbe a disporre la previsione di un dato numero di accessi di studenti extracomunitari), e, d’altro lato, in subordine, ove anche si ritenesse esistente una riserva, i posti residui (ossia non occupati da studenti non comunitari) andrebbero ridistribuiti fra gli aspiranti provenienti da Paesi comunitari, posto che, al contrario, sarebbe violato il diritto costituzionalmente garantito allo studio. In caso di accoglimento della presente censura occorrerebbe, secondo la citata giurisprudenza di altri TAR relativa ad anni accademici precedenti, assegnare i posti residui soltanto a coloro che hanno agito in giudizio, e non a tutti i concorrenti collocati in posizione (divenuta) utile nella graduatoria.
Le successive doglianze contenute nel ricorso, volte ad inficiare l’intera procedura concorsuale, sono proposte in via dichiaratamente subordinata, in quanto parte ricorrente premette alla loro esposizione di avere interesse alla loro decisione, solo in caso di rigetto dei motivi che precedono.
5) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 1, della legge n. 264/1999 e del DM n. 546/2016. Eccesso di potere per illogicità manifesta”. La norma in rubrica, nell’escludere “oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato”, non consentirebbe l’esternalizzazione, con affidamento a titolo oneroso a soggetti terzi, della redazione del test da somministrare ai candidati, sicché l’intera prova si paleserebbe illegittima.
6) “Violazione e falsa applicazione dei principi di pubblicità, imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’azione amministrativa. Violazione e falsa applicazione della legge n. 264/1999. Incompetenza, carenza di potere e violazione del principio dell’autovincolo assunto con la lex specialis”. Altro vizio dell’intero concorso deriverebbe dalla mai intervenuta approvazione dei relativi atti da parte del MIUR.
7) “Violazione del principio di segretezza della prova e della lex specialis del concorso. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del DPR n. 686\1957 e dell’art. 14 del DPR n. 487\1994. Violazione del DM MIUR del 30 giugno 2016 e del relativo allegato 1. Violazione degli articoli 34 e 97 Cost. e della regola dell’anonimato nei pubblici concorsi nonché dei principi di trasparenza e par condicio. Contraddittorietà tra atti diversi. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, arbitrarietà, irrazionalità, travisamento e sviamento dalla causa tipica”.
I vizi in rubrica deriverebbero dalla presenza, tra il materiale consegnato ai candidati, di un codice alfanumerico personale, che, al momento di consegna del foglio contenente le risposte e sottoscrizione del registro di uscita, i commissari avrebbero potuto facilmente associare al nome e cognome del candidato a cui esso perteneva.
Inoltre, sebbene detti codici fossero composti da 15 cifre o lettere, solo 3, 4 o 5 di esse avrebbero avuto carattere veramente distintivo rispetto agli altri codici, in quanto nei dispositivi alfanumerici sarebbero state presenti delle ripetizioni dovute alla necessità di identificare la sede di esame in cui il candidato aveva sostenuto la prova. Tali modalità di svolgimento della prova, sarebbero lesive del principio dell’anonimato, sarebbero altresì contrarie al bando di concorso (che prevedeva una urna chiusa sia per le schede anagrafiche che per i fogli contenenti le risposte), perché contemplate soltanto nelle istruzioni diramate ai concorrenti.
8) “Violazione e falsa applicazione del DM n. 546/2016 e del relativo allegato 1. Violazione del bando di concorso. Violazione degli articoli 3, 4, 34 e 97 Cost. Violazione del principio di paternità della prova di concorso e di trasparenza e par condicio. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, arbitrarietà e contraddittorietà, irrazionalità e sviamento dalla causa tipica”. Ove, al contrario di quanto sostenuto nel precedente motivo, si ritenesse che i commissari non abbiano potuto attribuire ogni singolo elaborato ad un dato candidato, risulterebbe leso il principio di paternità delle prova di concorso. Infatti, nessuno dei commissari avrebbe potuto verificare se, dopo la conclusione della prova, al momento di compilare e sottoscrivere la propria scheda anagrafica e di scegliere una coppia di etichette in una postazione distante dal tavolo della commissione, ciascun candidato abbia riempito il documento anagrafico con le proprie o con altrui generalità.
9) “Violazione di legge. Violazione dei principi in materia concorsuale, eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta, difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa e del favor partecipationis. Lesione del principio del legittimo affidamento. Sviamento di interesse. Violazione degli articoli 1 e 6 della legge n. 241/1990”. Il motivo ruota intorno all’ipotesi per cui, dopo la scadenza del termine di conclusione della prova e l’ordine della commissione ai candidati di riconsegnare le penne utilizzate per la redazione del questionario, i partecipanti, durante lo svolgimento di tali operazioni, avrebbero trattenuto le penne per continuare la redazione del test oltre l’orario consentito, oppure, al medesimo fine, avrebbero utilizzato penne differenti da quelle appena riconsegnate.
Inoltre, una ulteriore possibilità di operare sui questionari oltre l’orario consentito sarebbe stata fornita dalla fase di applicazione delle etichette adesive alla scheda anagrafica.
5. – Parte ricorrente, per i motivi sopra esposti, ha domandato l’annullamento degli atti gravati, e, in subordine, il risarcimento in forma specifica e, in forma ulteriormente gradata, quello per equivalente, nonché, in sede cautelare, la ammissione con riserva al corso di laurea ambito.
6. - Il MIUR si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto del gravame.
7. - Con ordinanza n. n. 676/2017 la Sezione ha respinto l’istanza cautelare proposta.
8. - Con successiva ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 2403 del 9.6.2017, in riforma dell’ordinanza di primo grado, è stato accolto l’appello e accolta l’istanza cautelare di primo grado in quanto “mediante l’allegazione del punteggio conseguito, ha dimostrato, in relazione al petitum del ricorso e alle censure dedotte prima facie assistite da profili di fumus, di aver superato la c.d. prova di resistenza, stante la gravità del danno dedotto...”
Quindi, con successiva ordinanza presidenziale di questo TAR è stato ordinato al ricorrente di provvedere all’integrazione del contraddittorio verso tutti i candidati in graduatoria. Il ricorrente ha documentato l’avvenuta integrazione del contraddittorio per pubblici proclami secondo le modalità autorizzate da questo Tribunale.
9. – Successivamente la Sezione, con ordinanza n. 6394 in data 8 giugno 2018 ha richiesto all’Amministrazione documentati chiarimenti, da rendere entro giorni trenta dalla comunicazione o notificazione del provvedimento, in ordine alla natura provvisoria (perché derivante dall’ottemperanza ad un provvedimento cautelare, per sua natura interinale, del Giudice Amministrativo) oppure definitiva (in forza di scorrimenti della graduatoria o di altri provvedimenti autonomamente adottati dall’Ateneo) della immatricolazione della ricorrente, nelle more disposta dall’Università di Roma “La Sapienza”.
Quest’ultima ha adempiuto con la produzione documentale prot. n. 54864 del 28.6.2018;con nota depositata il 2 luglio 2018, inoltre, la medesima Amministrazione ha definito l’iscrizione della ricorrente “provvisoria”.
10. - In occasione della pubblica udienza del 14 novembre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
11. - Il ricorso è solo parzialmente fondato (limitatamente al motivo IV), peraltro entro i limiti e con le precisazioni che verranno svolte nel prosieguo della presente pronuncia.
12. - Le contestazioni che investono la presente procedura concorsuale, infatti, risultano già in buona parte esaminate e respinte da questo Tribunale, in numerose pronunce dalle quali non si ravvisano ragioni per discostarsi (con conseguente possibilità di attenersi all’art. 74 c.p.a., per una motivazione espressa in forma semplificata: cfr. in tal senso, per il principio, TAR Lazio, Roma, sez. III, 14 novembre 2017, n. 11314).
13. - Con riferimento al primo motivo, relativo alla scelta ministeriale di prevedere, da un lato, n. 20 quesiti di logica e dall’altro n. 38 domande di biologia, chimica, fisica e matematica, occorre rilevare che le decisioni, inerenti all’articolazione e alla struttura del test, sono state assunte dal Soggetto pubblico sulla base di tipiche valutazioni tecnico-discrezionali, all’evidenza non irragionevoli, come più volte segnalato dalla Sezione (cfr. in ultimo, tra le altre, TAR Lazio, III, n. 8779 del 2018, nonché n. 10129 del 2017).
14. - Con riferimento al secondo mezzo, riferito ai quesiti somministrati già editi, in quanto già utilizzati in altre selezioni afferenti al settore sanitario oppure contenuti in manuali di preparazione alla prova, va rilevata – ancora una volta, in conformità a numerosi precedenti della sezione – l’irrilevanza del fatto come ragione di invalidità della procedura, atteso che a tutti i candidati venivano sottoposti lo stesso numero e tipo di domande, senza alcuna differenziazione e che i manuali in questione erano agevolmente rinvenibili nelle pubblicazioni in commercio, destinate alla preparazione degli studenti, il cui impegno di studio non può essere oggetto di penalizzazione (cfr. per tutte TAR Lazio, III, n.10065 e n.10129 del 2017). Sulla censura in esame il Collegio osserva quanto segue (richiamando le sentenze della Sezione nn. 10129 e 10130 del 2017;nonché TAR Lazio, sez. III, 30 maggio 2018, n. 6057;id. 2 novembre 2017, n. 10925). La Sezione ritiene che l’argomentazione, benché in effetti, almeno in parte, documentata, non appare sufficiente ad invalidare l’intera procedura, anche se potrebbe essere considerata dall’Amministrazione come inadempienza del CINECA, in rapporto agli obblighi assunti: obblighi che si riferivano, appunto, alla elaborazione di quesiti di volta in volta nuovi, non recepiti dai manuali di cui trattasi (questi ultimi forse redatti, a loro volta, con riferimento a prove somministrate negli anni precedenti). Contrariamente però a quanto affermato dal ricorrente, non è comunque possibile determinare quali candidati siano stati avvantaggiati dalla circostanza sopra indicata, né quanto l’avere avuto accesso ai manuali e agli eserciziari in questione (ove peraltro erano presenti migliaia di quesiti, impossibili da memorizzare “in toto” anche per il più mnemonico degli studenti) abbia facilitato la prova, fermo restando che non possono considerarsi vizianti la ricerca di canali di preparazione, a disposizione di qualunque soggetto interessato, né lo studio approfondito dei testi disponibili, tutti più o meno noti agli aspiranti studenti di medicina. La scelta dell’interessato di accedere all’una o all’altra fonte di studio rientra, a ben vedere, nell’ambito della normale “alea” di un qualsiasi concorso pubblico.
Da ciò consegue l’inaccoglibilità della domanda diretta ad ottenere una rettifica dei punteggi, mediante attribuzione di punti in aumento, in corrispondenza delle domande edite a cui la ricorrente non ha risposto o ha risposto, invece, in modo errato, essendo inammissibile la richiesta rivolta a questo Giudice di ricostruzione dei risultati della prova di ognuno dei ricorrenti, sulla base di dati meramente ipotetici e non dimostrati (la non utilizzazione delle pubblicazioni da parte dei ricorrenti, la circostanza che ove mai essi avessero consultato una delle pubblicazioni denunciate avrebbero certamente risposto in modo esatto).
Quanto sopra non esclude che, in una prospettiva di maggiore trasparenza, la stessa Amministrazione possa in futuro suggerire testi di preparazione o un archivio pubblico dei quesiti al quale l’Amministrazione potrà attingere in modo esclusivo con salvaguardia della parità (almeno potenziale) delle condizioni di partenza, ma, allo stato degli atti, la censura prospettata appare priva di fondatezza.
15. - Sul terzo motivo, nel quale si contesta che il parametro di riferimento del fabbisogno di professionalità è stato reso con riguardo al solo ambito nazionale e non al più appropriato mercato europeo, il Collegio ritiene di confermare “mutatis mutandis”, quanto già affermato nella sentenza n. 10129 del 2017 (la quale si riferiva al numero programmato di Medicina e Chirurgia). Anche alla luce delle indicazioni, contenute nelle premesse del decreto minsiteriale impugnato assume ancora maggiore significato l’affermazione contenuta nella sentenza citata, secondo cui la valutazione discrezionale effettuata dalle Amministrazioni coinvolte non risulta sindacabile, essendo stata ampiamente esercitata nei limiti previsti dal potere ad esse attribuito nonché dalla legge che, come noto, prevede che la programmazione dei posti disponibili si deve basare, non solo sulla valutazione dell'offerta potenziale del sistema universitario, ma anche sul “fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo” (cfr. art. 3 della legge n. 264 del 1999).
Peraltro, come già osservato dalla sentenza 10129/2017 con riguardo all’istruttoria ministeriale svolta al fine, “tale istruttoria – complessa e articolata, con costituzione di un apposito tavolo tecnico e in accordo con la Conferenza per i rapporti fra Stato, Regioni e Province autonome – rientra (…) in un’attività di programmazione, in rapporto alla quale sono attribuiti all’Amministrazione ampi poteri discrezionali, non sindacabili per mera e indimostrata affermazione di presunta maggiore capacità formativa degli Atenei, che emergerebbe anche a seguito delle migliaia di immatricolazioni con riserva, ottenute in via giudiziale in anni precedenti. Quanto sopra, in assenza di qualsiasi reale riscontro, in merito alle difficoltà organizzative affrontate, in tale contesto, dagli Atenei e ai livelli di formazione conseguenti. E’ già stato in precedenza illustrato, inoltre, il carattere secondario e comunque non illegittimo del criterio, rapportato alla capacità di assorbimento nel mercato del lavoro, a livello nazionale, delle professionalità in questione (cfr. anche, al riguardo, la citata sentenza CEDU del 2 aprile 2013)”.
Deve infine osservarsi che, in realtà, i diversi protagonisti istituzionali pubblici chiamati “ex lege” a concorrere, con i rispettivi “pareri” e le rispettive posizioni, nella determinazione annuale del numero chiuso, hanno in effetti partecipato attivamente alla relativa procedura, atteso che il Ministero della Salute ha effettuato le rilevazioni e le statistiche di sua competenza per la definizione dei fabbisogni del SSN;è stato aperto un apposito Tavolo tecnico;si è pervenuti ad accordo all’interno della Conferenza tra Stato e Regioni e province autonome;tutte le università coinvolte hanno dichiarato la rispettiva offerta normativa ed il numero di studenti ai quali avrebbero potuto assicurare servizi adeguati. Non va, infine, dimenticato che quelli impugnati sono atti a carattere programmatorio e di natura generale (qualificazione che vale anche per le delibere di determinazione del numero di posti resi disponibili, assunte dai singoli Atenei) ai quali, pertanto, si applica la deroga al dovere generale di motivazione, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della Legge n. 241 del 1990 secondo cui “2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale”.
Per le suesposte ragioni, anche il quarto motivo si rivela infondato e va respinto.
16. – Venendo ora all’esame del quarto motivo (relativo all’omessa assegnazione dei posti riservati ai cittadini extracomunitari non residenti in UE e rimasti vacanti), il Collegio osserva che è necessario che la normativa corrispondente vada intesa alla luce del rilievo costituzionale attribuito al diritto allo studio, a norma degli articoli 33 e 34 della Costituzione (cfr. anche, per le ipotesi di cosiddetto “numero chiuso”, Corte Cost. n. 383 del 1998);ne consegue che, ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 264 del 1999, si deve dare preminenza al criterio della capacità ricettiva dell’Ateneo, rispetto a quello, che può considerarsi recessivo (purché contenuto nei modesti limiti numerici dei posti, rimasti inutilizzati dagli originari riservatari), del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III, n. 6248 e n. 3197 del 2014, nonché n. 248 del 2018).
Va peraltro considerato, sul punto, che non tutti gli studenti portano a termine il loro corso di studi e che non tutti i laureati esercitano poi la loro professione all’interno del sistema ove si sono formati (cfr. ancora TAR Lazio, III, n. 6248 del 2014 e n. 248 del 2018).
Appare dunque fondata l’impugnazione dell’art. 10, comma 3, del decreto ministeriale n. 546 del 2017 - secondo cui “I posti eventualmente non utilizzati nelle graduatorie dei cittadini extracomunitari residenti all’estero non potranno essere utilizzati a beneficio dei cittadino extracomunitari e non comunitari di cui all’art. 39, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998” – e del comma 9 dello stesso art. 10 cit., laddove prevede che gli eventuali posti, che dovessero risultare non coperti anche a seguito di rinunce successive all’immatricolazione, non vengono riassegnati.
Ad avviso dell’Amministrazione si tratterebbe di graduatorie appartenenti a contingenti separati e destinati a finalità tra loro distinte, non rientrando i posti riservati ai candidati cittadini extracomunitari, residenti all’estero, nella programmazione di posti, di cui all’art. 1 della legge n. 264/1999. I posti, eventualmente risultati non occupati nella graduatoria riservata ai cittadini non comunitari residenti all’estero possono essere utilizzati dagli Atenei per i trasferimenti ad anni successivi al primo di studenti di cittadinanza dell’Unione Europea soggiornanti in Italia, ai sensi dell’art. 26 della legge n. 189/2002, nonché di studenti iscritti presso una Università italiana. Detta norma, quale espressione di discrezionalità amministrativa, non appare in effetti ispirata ai parametri di ragionevolezza - questi ultimi sindacabili in sede di giudizio di legittimità - tenuto conto dell’importanza dei principi coinvolti (in primis articoli 33, 34 e 97 della Costituzione) e delle altre circostanze in precedenza segnalate, a fronte del numero di aspiranti, anche con buona collocazione in graduatoria, la cui immatricolazione resterebbe preclusa pur in presenza di posti disponibili, certamente ricompresi nelle capacità formative degli Atenei interessati, senza che il numero complessivo di tali posti possa ritenersi tale da sovvertire l’ulteriore parametro rimesso al discrezionale apprezzamento dell’Amministrazione, per quanto riguarda le potenzialità di assorbimento del sistema sanitario.
Il Collegio non ignora che, con sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2268/18 del 16 aprile 2018, è stato espresso un diverso orientamento, in quanto l’attribuzione a studenti comunitari dei posti di cui trattasi non troverebbe riscontro a livello normativo primario, come avvenuto – per l’anno accademico 1999/2000 – ex art. 1, comma 2, della legge 27 marzo 2001, n. 133 (Norme relative all’iscrizione ai corsi universitari).
Ad avviso del Collegio stesso, tuttavia, è possibile contrapporre a tale isolato indirizzo nuove argomentazioni, in presenza di numerosissimi provvedimenti cautelari di opposto segno, emessi sia da questo Tribunale che dal medesimo Consiglio di Stato.
Se per l’anno accademico 1999/2000, infatti, l’attribuzione dei posti di cui si discute è stata imposta ex lege, non è comunque escluso che l’Amministrazione possa disporre discrezionalmente di vacanze successivamente individuate, a prescindere dalla causa di tale sopravvenuta disponibilità. Tale scelta limitativa, tuttavia, appare illogica in presenza di una graduatoria di aspiranti ancora aperta, nonché in considerazione dell’originaria destinazione dei posti di cui trattasi appunto al primo anno: anno, in rapporto al quale era stata commisurata la capacità formativa degli Atenei e a cui corrisponde la ratio del numero chiuso, per la costante, riscontrata sovrabbondanza di domande rispetto ai posti disponibili. Il diritto allo studio, di rilevanza costituzionale, impone d’altra parte di contenere, nei limiti del possibile, il sacrificio delle aspirazioni dei soggetti utilmente inseriti in graduatoria, che continuano a manifestare il proprio interesse all’immatricolazione: tale interesse, in quanto meritevole di tutela, può essere subordinato a superiori ragioni di interesse pubblico solo quando l’Ateneo non disponga di risorse sufficienti, per assicurare la formazione di adeguate professionalità, ovvero quando il sistema non risulti effettivamente in grado di assorbire i nuovi professionisti, nonostante il lungo e difficile percorso dai medesimi affrontato. Quanto sopra, ovviamente, in termini di valutazioni preventive e globali, che non escludono “a valle” qualche discostamento: un discostamento che, nel caso di specie, investe non la capacità formativa degli Atenei (trattandosi di posti già per gli stessi previsti), ma solo – e in misura modesta (purché il “tetto” numerico sia rispettato) – le capacità di assorbimento del mercato sociale e produttivo. Discende da quanto sopra esposto l’accoglimento delle argomentazioni difensive, prospettate in rapporto all’irrazionalità della scelta di utilizzare i posti, non occupati da cittadini extracomunitari, solo per i trasferimenti da altri atenei anziché per le più pressanti esigenze dei soggetti, utilmente collocati in graduatoria per l’immatricolazione al primo anno di corso.
Tale accoglimento comporta annullamento, in parte qua, dell’art.10, comma 3, del D.M. n. 546 del 2017, nonché degli atti ad esso riferiti e conseguenti (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III, nn. 11312 e 11314 del 2017), con effetti implicanti obbligo di scorrimento della graduatoria nazionale di Veterinaria, in base ai punteggi riportati dai concorrenti che vi risultino iscritti, fino ad esaurimento dei posti disponibili;quanto sopra, tenuto conto dell’efficacia erga omnes dell’annullamento di atti amministrativi inscindibili, come quelli a carattere generale o a contenuto normativo (giurisprudenza pacifica: cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 4 aprile 2018, n. 2097;sez. VI, 6 aprile 2018, n. 2133 e 4 giugno 2018, n. 3376).
E’ appena il caso di precisare che la giurisprudenza appena citata prevale sulle argomentazioni di parte ricorrente, in base alle quali non potrebbe giovarsi dell’annullamento dell’atto chi fosse decaduto dalla relativa impugnazione: il nuovo assetto giuridico, conseguente alla caducazione ex tunc di atti inscindibili, come quelli sopra indicati, produce infatti fisiologicamente l’effetto espansivo indicato, mentre l’interesse legittimo dei ricorrenti, che abbiano prospettato la correlativa censura, può avere come effetto solo il ripristino del corretto esercizio del potere, con ulteriori chances – per i medesimi ricorrenti – di perseguire l’interesse sostanziale dedotto in giudizio, ma senza che tale interesse rivesta, prima della concreta verifica dei presupposti, carattere di diritto soggettivo al bene della vita ambito. Se è vero, infatti, che l’annullamento di un atto illegittimo non rimette in termini coloro che tale atto non avevano impugnato (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 11 del 2017), è altrettanto vero che, nel caso di specie, si discute non di singoli provvedimenti o di atti plurimi (ovvero scindibili), ma di una disposizione indivisibilmente dettata, nel bando, con riferimento a tutti i concorrenti e da alcuni di essi ritualmente impugnata nei termini. Secondo l’opposta tesi dell’attuale ricorrente, peraltro, la prova di resistenza (normalmente valutata in base all’intera graduatoria di merito, in ragione del punteggio da ciascuno riportato) avrebbe dovuto essere effettuata con riferimento non all’ultimo punteggio utile per l’inserimento nella graduatoria nazionale, in corrispondenza ai nuovi posti disponibili, ma al punteggio medio di tutti coloro che avessero proposto ricorso, prospettando la specifica contestazione in precedenza esaminata: una verifica, quella appena indicata, non solo realmente inedita e di pressoché impraticabile effettuazione, ma dagli effetti aberranti quando, come puntualmente verificatosi per la tornata concorsuale di cui trattasi e per quelle antecedenti, il numero dei presunti “aventi diritto” – ove ritenuti tali tutti (e soltanto) i “ricorrenti vittoriosi” – superi abbondantemente quello dei posti disponibili, traducendosi in totale abrogazione della stessa prova di resistenza, nonché in vero e proprio abuso del processo, essendo stato ritenuto applicabile anche in chiave processuale il generale divieto di abuso del diritto (cfr. in tal senso per il principio – enunciato in rapporto ad una diversa fattispecie – Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3).
In relazione a tale profilo, pur considerando i posti lasciati liberi dagli studenti extracomunitari, non è possibile evincere se l’attuale ricorrente, per quanto abbia conseguito un punteggio di 61,70 “ai limiti” del superamento della prova, si trovi allo stato collocata in posizione utile in alcuno degli Atenei dal medesimo opzionati ai fini dello scorrimento sui posti extra UE.
Nella situazione in esame, pertanto, l’effetto conformativo della presente sentenza implicherà esclusione del rivendicato diritto all’immatricolazione dell’attuale ricorrente, fatto salvo il caso in cui, per successive rinunce, la collocazione della medesima nella graduatoria nazionale fosse tornata utile per l’immatricolazione che, in tale ipotesi, potrebbe essere convalidata, in via di normale scorrimento della graduatoria di merito per tutti i candidati, che ivi risultassero ancora utilmente iscritti.
Resta dunque affidato all’Amministrazione il prudente apprezzamento delle misure da attuare, in rapporto alle immatricolazioni in esubero, conseguenti a provvedimenti cautelari non seguiti da accoglimento dell’impugnativa, o, come nel caso di specie, seguiti da un accoglimento non pienamente satisfattivo della pretesa sostanziale dedotta in giudizio (cfr. al riguardo Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2268 del 2018), tenendo altresì conto dell’avvenuta e ormai risalente immatricolazione al corso di laurea in Medicina disposta dall’Ateneo romano nei confronti della ricorrente.
17. - Il ricorso in esame viene pertanto accolto – con gli effetti conformativi in precedenza indicati – limitatamente all’ulteriore disponibilità dei posti, in un primo tempo riservati a studenti extracomunitari e da questi ultimi non occupati, mentre i restanti motivi debbono considerarsi respinti (motivi I, II e III) oppure, stante l’accoglimento del quarto motivo, assorbiti per difetto di interesse, in quanto aventi portata travolgente dell’intera procedura e quindi tali da assegnare alla ricorrente un’utilità incomparabilmente inferiore rispetto alle concrete chances di mantenimento della immatricolazione ottenuta, connesso all’accoglimento del motivo quarto.
18. - La domanda di risarcimento dei danni proposta in ricorso va, per quanto detto, respinta, in quanto una eventuale “apertura” dei posti già riservati ad extracomunitari non residenti non avrebbe necessariamente garantito (così come non lo garantisce il presente annullamento) l’accesso ai corsi a parte ricorrente.
Peraltro, il danno lamentato non risulta neppure provato.
19. - In considerazione dei fatti di causa, della parziale soccombenza di entrambe le parti e della mancata osservanza del principio di sinteticità da parte del ricorrente, sussistono, infine, giusti motivi per compensare le spese di giudizio.