TAR Firenze, sez. III, sentenza 2020-07-23, n. 202000963

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. III, sentenza 2020-07-23, n. 202000963
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 202000963
Data del deposito : 23 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/07/2020

N. 00963/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01319/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1319 del 2014, proposto da
M G, rappresentato e difeso dagli avvocati P C e N P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Claudio Bargellini in Firenze, piazza dell'Indipendenza 10;

contro

Comune di Cecina in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato L C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Firenze, via Giorgio La Pira, 17;

nei confronti

M R Ciampolini, rappresentata e difesa dall'avvocato Giancarlo Altavilla, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso la Segreteria del T.A.R. Toscana, in Firenze, via Ricasoli 40;

per l'annullamento

- del provvedimento di "diniego di accertamento di conformità P.E. n. 330/2013" prot. n. 13802 del 7 maggio 2014;

- della nota prot. n. 13048 del 7 maggio 2014 avente ad oggetto esame delle risultanze relative alla memoria di partecipazione al procedimento;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Cecina in persona del Sindaco pro tempore e di M R Ciampolini;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 84 del d.l. del 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27;

Visto l’art. 4 del d.l. n. 28 del 30 aprile 2020;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 giugno 2020 la dott.ssa Silvia De Felice;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’odierna ricorrente è proprietaria di un appartamento posto all’ottavo piano (attico) di un fabbricato sito in Cecina, distinto al Catasto Fabbricati del Comune al foglio 27, particella n. 21, subalterno 648, piani 8 e 9.

In data 13 settembre 2012, previa acquisizione di atto di assenso da parte del Comune, la ricorrente presentava SCIA per la realizzazione di una serra solare sulla copertura del fabbricato, soprastante all’appartamento di proprietà.

Tale SCIA veniva sospesa il 30 gennaio 2013 e annullata dal Comune in via di autotutela, con ordinanza n. 62 del 12 marzo 2013, dopo l’ultimazione dei lavori, con contestuale ordine di demolizione delle opere e ripristino dello stato dei luoghi esistente prima della SCIA stessa, essendosi ravvisata la necessità di acquisire un permesso di costruire in luogo della presentazione di semplice SCIA, oltre alla difformità delle opere realizzate rispetto al progetto presentato.

Avverso quest’ultimo provvedimento è ad oggi pendente ricorso straordinario al Capo dello Stato, con il quale la ricorrente lamenta, in estrema sintesi, l’assenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri di autotutela da parte del Comune e l’assenza delle violazioni edilizie contestate con la suddetta ordinanza.

2. La ricorrente, nelle more, presentava comunque istanza ex art. 140 L.R.T. n. 1/2005 per il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, avente ad oggetto “ opere di ampliamento locali posti al di sopra del piano attico del condominio ….”.

Il Comune in data 13 maggio 2013 comunicava preavviso di rigetto ex art. 10 bis della legge n. 241/1990 (cfr. doc. 15 di parte ricorrente).

In data 7 maggio 2014, con provvedimento n. 13082 (cfr. doc. 17 di parte ricorrente), il Dirigente del Settore Gestione del Territorio adottava il diniego di accertamento in conformità, sulla base delle risultanze contenute nella relazione tecnica di cui alla nota prot. 13048 del 7 maggio 2014 (cfr. doc. 18 di parte ricorrente), che possono così essere sintetizzate:

a) L’art. 25 R.U., disciplinante gli edifici “ senza valore testimoniale e senza particolare ruolo nella definizione dello spazio pubblico, costituiti da due o più piani fuori terra destinati a residenza, attività urbane, produttive ”, ammette gli interventi previsti al punto 3.1, lett. d), e cioè “ ampliamenti per un’altezza massima pari al numero di piani esistenti ”.

Nel caso di specie la realizzazione della serra avrebbe determinato un’illegittima sopraelevazione, posto che i piani “abitabili”, come risultanti dalla originaria licenza edilizia n. 188/1968 e dal certificato di abitabilità, sarebbero otto e non nove.

Alla luce dell’art. 4 del Regolamento urbanistico vigente, infatti, il piano sul quale è collocato il vano extracorsa dell’ascensore, che costituisce la copertura dell’edificio, non sarebbe un piano giuridicamente rilevante e la realizzazione della serra avrebbe quindi dato luogo ad una non consentita sopraelevazione rispetto agli otto piani esistenti.

b) In ogni caso, mancherebbe il requisito della così detta doppia conformità urbanistica, dal momento che il vano ascensore e i locali tecnici presenti sulla copertura dell’edificio sarebbero stati realizzati in assenza di titolo edilizio o comunque in difformità da quanto previsto nella licenza edilizia del 1968: non sussisterebbe pertanto la legittimità del manufatto originario, in aderenza al quale è stata poi realizzata la serra solare.

c) Ai fini della legittimità edilizia dei vani tecnici posti sulla copertura dell’edificio sarebbero infatti irrilevanti:

- il certificato di abitabilità rilasciato nel 1971 per l’intero fabbricato e quello rilasciato in seguito alla presentazione della DIA n. 828/2004 per il frazionamento dell’attico originario in tre distinte unità residenziali, giacché tali documenti avrebbero natura strettamente igienico-sanitaria e sarebbero privi di rilievo sotto il profilo urbanistico ed edilizio;

- i decreti di trasferimento del bene emessi dal Tribunale di Livorno, poiché negli stessi si dà comunque atto dell’esistenza di alcune modifiche interne eseguite senza licenza o autorizzazione;

- l’atto di assenso rilasciato dal Comune per la presentazione della SCIA avente ad oggetto la realizzazione della serra solare, atteso che lo stesso rivestiva esclusiva valenza “estetico-architettonica”.

d) La legittimazione dei vani posti sulla copertura dell’edificio non potrebbe scaturire nemmeno dall’affidamento dei proprietari sulla legittimità di tali manufatti.

3. Tutto ciò premesso, la ricorrente impugna il provvedimento di diniego dell’istanza di rilascio del permesso di costruire in sanatoria, formulando le seguenti censure.

I) “ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 140 L.R.T. n. 1/2005. Eccesso di potere per difetto istruttorio. Eccesso di potere istruttorio per erronea rappresentazione fattuale. Eccesso di potere per omessa valutazione dell’interesse pubblico a negare la sanatoria ordinaria. Sulla legittimità edilizia del vano ascensore, quale presupposto necessario per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ”.

L’accertamento di conformità impugnato avrebbe ad oggetto opere di ampliamento dei locali tecnici posti al di sopra del piano ottavo (attico) del condominio, ove si trova l’appartamento di proprietà della ricorrente.

Tali locali, di pertinenza dell’appartamento, si affacciano sulla grande terrazza con funzione di copertura dell’intero stabile e sono collegati al piano sottostante ed accessibili da una scala interna.

Gli stessi sarebbero stati realizzati contestualmente al resto del fabbricato, in assenza di qualsivoglia difformità edilizia.

Ciò si desumerebbe, in particolare, dalla licenza edilizia n. 188/1968 rilasciata per la realizzazione dell’intero edificio comprensivo dei locali posti sulla copertura;
dal regolamento di condominio allegato al primo atto di vendita che tali locali richiama e disciplina espressamente;
dal certificato di abitabilità rilasciato dalle competenti autorità comunali il 30 marzo 1971 per tutto il fabbricato, senza rilevare alcuna difformità rispetto al titolo edilizio;
dai decreti di vendita dell’appartamento in sede esecutiva, adottati del Tribunale di Livorno nel 1992 e nel 2003, che non conterrebbero alcuna indicazione circa l’esistenza di eventuali difformità edilizie dei locali posti sulla copertura dell’edificio.

Le difformità edilizie indicate nel provvedimento di diniego, inoltre, non sarebbero state rilevate dall’Amministrazione comunale nemmeno in occasione del frazionamento dell’attico in tre distinte unità abitative - attuato con DIA n, 828 del 2004 - o dei lavori di modifica interna realizzati sull’appartamento dell’odierna ricorrente mediante presentazione di comunicazione inizio lavori nel 2012.

In ogni caso, anche a voler ritenere sussistenti talune difformità dei locali in questione rispetto alla licenza edilizia del 1968, il decorso di un lungo lasso di tempo e il comportamento acquiescente tenuto in più occasioni dall’Amministrazione avrebbero ormai legittimato i manufatti.

Peraltro, a fronte di questa peculiare situazione, l’Amministrazione avrebbe dovuto quanto meno esplicitare gli eventuali interessi pubblici prevalenti posti alla base del diniego di sanatoria, mediante una motivazione particolarmente incisiva.

II) “ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 140 L.R.T. n. 1/2005. Eccesso di potere per difetto istruttorio. Eccesso di potere istruttorio per erronea rappresentazione fattuale. Sulla qualificabilità del vano ascensore come “piano”, quale presupposto necessario per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ”.

I locali tecnici posti sulla copertura dell’edificio dovrebbero essere considerati come un piano, il nono del palazzo, e la realizzazione della serra solare, quindi, non costituirebbe “sopraelevazione”, ma semplice ampliamento del piano già esistente.

Secondo la ricorrente, non esistendo nel nostro ordinamento statale, e specificatamente nel d.P.R. n. 380/2001, una definizione generale di “piano” di un edificio, la stessa dovrebbe desumersi dall’analisi della legislazione regionale o dalla disciplina regolamentare adottata dal Comune.

L’art. 2, comma 1, lett. b) della L.R.T. n. 24/2009 dispone che “per superficie utile lorda si intende la somma delle superfici delimitate dal perimetro esterno di ciascun piano il cui volume sia collocato prevalentemente o esclusivamente fuori terra. Nel computo di detta superficie sono comprese le scale e i vani ascensore condominiali, le scale, i vani ascensore, le logge e le porzioni di sottotetto delimitate da strutture orizzontali praticabili con altezza libera media superiore a due metri e quaranta centimetri, mentre sono esclusi i volumi tecnici, i balconi, i terrazzi, gli spazi scoperti interni al perimetro dell’edificio e i porticati condominiali o d’uso pubblico ”.

Ad avviso della ricorrente, poiché tale disposizione prevede che i vani ascensore siano computabili ai fini del calcolo della superficie utile lorda, gli stessi ben potrebbero costituire, anche da soli, il piano di un edificio.

Nel caso di specie, pertanto, il vano extracorsa dell’ascensore posto sulla copertura del fabbricato sarebbe idoneo a determinare la presenza di un ulteriore piano.

D’altra parte, secondo la ricorrente non si potrebbe ricavare una diversa nozione di piano dall’allegato 4 al R.U., richiamato nel provvedimento di diniego del Comune, posto che lo stesso contiene una definizione molto ampia, in base alla quale ciò che rileva non è tanto la funzione del piano stesso, ma la mera presenza di un livello dell’edificio.

Il R.U., infatti, definisce edificio a due o più piani quello costituito da “ due o più livelli destinati ad abitazione, attività urbane, attività produttive...” e nel concetto di “ attività urbane ” rientrerebbe anche il vano ascensore posto sulla copertura dell’edificio che costituirebbe perciò un piano autonomo ed ulteriore.

4. Si è costituito in giudizio il Comune di Cecina, resistendo in rito e nel merito alle pretese attoree.

In via preliminare, l’Amministrazione ha eccepito l’irricevibilità del ricorso, giacché sull’istanza presentata per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria si sarebbe formato il silenzio rifiuto di cui all’art. 140, comma 3 della L.R.T. n. 1/2005 e i successivi provvedimenti contenenti il diniego espresso - fatti oggetto dell’odierno gravame - non avrebbero portata novativa, limitandosi a dare conto in termini espliciti delle ragioni del rigetto già realizzatosi.

Nel merito il Comune conferma l’assenza dei presupposti per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, esplicitati nel provvedimento impugnato.

5. Le parti si sono scambiate memorie conclusionali e repliche e hanno depositato note di udienza, insistendo nelle proprie tesi difensive e per l’accoglimento delle rispettive conclusioni.

6. All’esito dell’udienza pubblica del 17 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione, senza discussione orale, ai sensi dell’art. 84, comma 5 del d.l. n. 18/2020.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va respinto, circostanza che esime il Collegio dall’esaminare le eccezioni preliminari di rito sollevate dall’Amministrazione resistente.

2. Il primo motivo di censura non è fondato.

2.1 La ricorrente non riesce infatti a dimostrare l’inesistenza delle difformità dei vani tecnici posti sulla copertura dell’edificio rispetto alla licenza edilizia del 1968, analiticamente evidenziate dall’Amministrazione nel preavviso di rigetto.

Quest’ultimo, in particolare, afferma che “ dagli atti in possesso dell’ufficio il manufatto originario risulta avere un ingombro di ml 3,60X2,70 (come graficamente rilevabile dal progetto allegato alla licenza edilizia 188/1968), riferibile in arte al vano extracorsa dell’ascensore, mentre negli elaborati grafici dell’accertamento di Conformità il manufatto preesistente risulta avere un ingombro di ml 5,50X6,10;
inoltre dal progetto allegato alla licenza edilizia 188/1968 e del relativo certificato di abitabilità del 30.03.1971, l’edificio risulta essere costituito da un piano interrato e da n. 8 piani fuori terra, e non risulta, né identificato né classificato, il piano interessato dal vano extracorsa dell’ascensore. …. In tale contesto, l’istruttoria ha evidenziato la carenza dei titolo legittimanti la coerenza dello stato dei luoghi con i rispettivi atti autorizzatori e le risultanze delle acquisizioni documentali richieste alle parti non hanno prodotto alcun elemento novativo
” (cfr. doc. 9 del Comune).

2.2 Come precisato dal Comune in sede di riscontro alle osservazioni formulate dalla ricorrente ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, non vale a provare la conformità degli originari vani tecnici il rilascio del certificato di agibilità dell’intero fabbricato nel 1971.

A tal riguardo è sufficiente ricordare che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, “ … <<il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente recita l' art. 24 del Testo unico dell’edilizia ), mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio>>, con la conseguenza che <<i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza>>
(Consiglio di Stato, V, 29 maggio 2018, n. 3212). La diversa struttura e funzione dei due titoli esclude non solo che i suddetti certificati possano avere valenza sostitutiva dei titoli edilizi ma anche che possa sorgere un affidamento meritevole di protezione giuridica in ordine alla legittimità degli interventi edilizi effettuati”
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 316).

Né tanto meno può rilevare il regolamento di condominio allegato al primo atto di vendita dell’immobile, richiamato dalla ricorrente, posto che si tratta di atto di natura contrattuale, per mezzo del quale i condomini disciplinano l’utilizzo delle parti comuni dell’edificio, ma che certo non può determinare o attestare la conformità edilizia dell’immobile o di singole sue parti.

Ancora, non sono utili ad escludere l’esistenza delle difformità edilizie rilevate dal Comune nemmeno i decreti di trasferimento del bene emessi dal Tribunale di Livorno nel 1992 e nel 2003.

In quest’ultimo, infatti, si legge testualmente che “ alcune modifiche interne eseguite in assenza di licenza od autorizzazione non sono state sanate e. pertanto, risultano abusivamente eseguite ”. Seppure in modo generico, nel decreto stesso si dà atto dell’esistenza di alcune difformità edilizie che potrebbero riguardare proprio i locali posti sulla copertura.

Infine, non costituisce prova della conformità dei locali tecnici posti sulla copertura dell’edificio nemmeno l’atto di assenso rilasciato dal Comune in data 30 luglio 2012 (cfr. doc. 6 di parte ricorrente) che si limita a richiamare il parere favorevole espresso dalla commissione tecnico-amministrativa, di “ esclusiva valenza estetico/architettonica ”, con il quale si è soltanto prescritto “ che le strutture siano tinteggiate del colore del fabbricato ”.

L’atto di assenso era infatti riferito ai soli profili estetico-architettonici dell’intervento e non è stato rilasciato sulla base di una specifica valutazione della regolarità urbanistica ed edilizia del progetto.

2.3 A quanto sopra si aggiunga che è irrilevante il decorso del tempo tra la realizzazione dei vani posti sulla copertura dell’edificio e l’accertamento della difformità degli stessi rispetto alla licenza edilizia n. 188/1968, sia sotto il profilo di un eventuale affidamento della ricorrente sulla legittimità dell'opera, sia sotto il profilo dell'asserito onere motivazionale rafforzato del diniego di rilascio di permesso in sanatoria (cfr. arg. ex Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 9;
cfr. anche Cons. Stato, sez. II, 11 novembre 2019, n. 7689).

Invero, " il mero decorso del tempo non è sufficiente a far insorgere un affidamento sulla legittimità dell'opera o comunque sul consolidamento dell'interesse del privato alla sua conservazione, né, per conseguenza, a imporre la necessità di una specifica motivazione in ordine all'esistenza di un interesse pubblico prevalente " (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 novembre 2018 n. 6493;
id. 6 settembre 2017, n. 4243;
28 luglio 2017, n. 3789;
2 febbraio 2015, n. 466).

3. E’ infondato anche il secondo motivo di censura.

Nel caso di specie, infatti, mediante la realizzazione della serra solare sulla copertura del fabbricato si è dato luogo ad una sopraelevazione non consentita dall’art. 25, punto 3.1., lett. d), secondo il quale, come visto, per gli edifici “ senza valore testimoniale e senza particolare ruolo nella definizione dello spazio pubblico, costituiti da due o più piani fuori terra destinati a residenza, attività urbane, produttive ”, sono ammessi “ ampliamenti per un’altezza massima pari al numero di piani esistenti ”.

A sostegno di tale conclusione vanno richiamati, innanzi tutto, la licenza edilizia n. 188/1968 e il relativo certificato di abitabilità del 1971, dai quali si evince che l’edificio è costituito dal piano terra a destinazione commerciale e da sette piani, compreso l’attico, destinati ad appartamenti (cfr. doc. 7 del Comune).

Anche la relazione tecnica del 2002, prodromica alla vendita in sede esecutiva dell’immobile posto all’ottavo piano, affermava che “ si tratta di edificio di grandi dimensioni, composto da un piano interrato, un piano terra adibito ad attività commerciali, un mezzanino destinato ad uffici, n. 6 piani destinati a civili abitazioni ed il piano attico che è composto da quattro appartamenti ”. Si riscontrava quindi la presenza di otto piani complessivi.

La stessa relazione precisava anche che l’appartamento sito al piano attico era composto da “ cucina, soggiorno …. Con annesso un ripostiglio su terrazza impraticabile di copertura alla quale si accede dalla scala esterna ”, dando quindi espressamente conto del fatto che la terrazza non costituiva un piano abitabile e che la presenza di persone sarebbe stata solo eventuale (cfr. doc. 4 del Comune, pag. 4).

E’ utile richiamare anche il materiale fotografico e le planimetrie versate in atti.

Difatti, da tali documenti emerge chiaramente che, prima dell’intervento, la copertura dello stabile era pressoché interamente libera, essendovi solo i vani tecnici originari, di ridotte dimensioni, che costituivano una sorta di piccola appendice dell’edificio;
con la costruzione della serra solare, invece, si è realizzato un volume molto esteso che costituisce un ulteriore piano dell’edificio (cfr. docc. 5 e 6 della controinteressata).

D’altra parte, l’allegato 4 al Regolamento urbanistico, invocato dal Comune nel provvedimento di diniego, definisce edificio a due o più piani quello costituito da “ due o più livelli destinati ad abitazione, attività urbane, attività produttive...”.

Orbene, in base all’interpretazione letterale e sistematica della norma citata è ragionevole ritenere che costituiscano piani di un edificio i livelli destinati in modo continuativo ad attività umane, produttive e “ urbane ”, da intendersi come quelle attività che mirano a soddisfare i bisogni individuali e collettivi delle persone appartenenti all’insediamento urbano di riferimento, quali - a titolo di esempio - le attività del servizio terziario, sociali, sportive, politiche, religiose e così via.

Pertanto, anche alla luce della disposizione appena citata, la presenza sulla copertura dell’edifico del vano extracorsa dell’ascensore o di un locale tecnico - che hanno natura strettamente pertinenziale ed estensione ridotta e sono perciò inidonei ad ospitare persone in modo regolare e continuativo per lo svolgimento di qualunque attività - non consente di qualificare la copertura dell’edificio come autonomo piano (il nono).

Mediante la realizzazione della serra solare, invece, si è dato vita ad un nuovo volume, idoneo ad ospitare persone in modo costante a fini abitativi, e ciò ha determinato la realizzazione di un ulteriore piano dell’edificio e la sopraelevazione dello stesso.

D’altra parte, una diversa nozione di “piano” non può desumersi dall’art. 2 della L.R.T. n. 24/2009, richiamato dalla ricorrente e citato in premessa.

Tale disposizione, infatti, si limita a prevedere che i vani ascensore, se delimitati dal perimetro di un piano, debbano essere computati nella superficie utile lorda degli edifici. Ciò tuttavia non implica che il vano ascensore, collocato da solo sulla superficie dell’edifici, come nel caso di interesse, possa costituire un piano autonomo. Si tratta, a ben vedere, di concetti disomogenei.

4. In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

5. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza come per legge.

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