TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-11-02, n. 201610813

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-11-02, n. 201610813
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201610813
Data del deposito : 2 novembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/11/2016

N. 10813/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00981/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 981 del 2015, proposto da:
F D L, rappresentato e difeso dall'avvocato prof. Angelo Clarizia C.F. CLRNGL48P06H703Z, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

I D B, Sebastiano D'Agostino, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione,

- del verbale n. 216 del 4.6.2014, dal quale risulta che la Commissione esaminatrice del concorso notarile bandito con D.D.G. del 22.3.2013 ha valutato il candidato contrassegnato con il n. 580 (odierno ricorrente) "non idoneo" per l'ammissione alle prove orali;

- del verbale della stessa Commissione n. 8 del 4.12.2013 con cui sono stati fissati i criteri per la valutazione degli elaborati;

- della graduatoria pubblicata il 14.11.2014, nel punto in cui il ricorrente non risulta essere stato ammesso alle prove orali e di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 899/2015 del 26.2.2015;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 5 ottobre 2016 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, il dott. F D L premetteva di aver partecipato al concorso per esame a 250 posti di notaio, indetto con decreto del Direttore Generale della Giustizia Civile del 22 marzo 2013, e di non essere stato inserito nell’elenco degli idonei ammessi a sostenere la prova l’orale.

Il ricorrente, quindi, esponeva che la Commissione esaminatrice, terminata la disamina dell’elaborato concernente la redazione di un atto “mortis causa”, rilevava tre gravi insufficienze e una mera insufficienza, ai sensi dell’art. 11, commi 6 e 7, d.lgs. n. 166/2006.

In particolare, le specifiche tre “gravi insufficienze” consistevano in: a) “incompletezza dell’atto per aver omesso al capo d) la condizione di assistenza;
nell’aver omesso al capo g) la sorte del legato in caso di permuta;
per aver omesso la menzione della conoscenza della eventuale causa di indegnità di Terzo”;
b) “incongruità delle soluzioni adottate, consistite nella condizione risolutiva delle vendite al capo g)”, c) “contraddittorietà intrinseca in relazione al legato sub d) qualificato come cosa da prendersi in un determinato luogo e come legato alternativo;
per aver considerato terzo indegno”.

L’ulteriore insufficienza era poi riscontrata in generale per l’inadeguatezza dell’atto rispetto agli intenti e agli interessi delle parti nei limiti consentiti dalla legge e in relazione alle disposizioni “…già richiamate ai numeri 3, 4, 5 del presente verbale”.

Premesso ciò, il ricorrente chiedeva quindi l’annullamento, previa sospensione, dei provvedimenti in epigrafe, lamentando, in sintesi, quanto segue.

I. Violazione e falsa applicazione degli articoli 10 e 11 d. lgs. n. 166/2006 e dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità amministrativa. Violazione dell’art. 3 della l. 241/90. Macroscopico eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità manifesta, sviamento, irrazionalità arbitrarietà e disparità di trattamento ”.

Era riscontrata contraddittorietà nell’operato della Commissione, laddove questa aveva dapprima ravvisato i tre errori, sopra descritti, come “gravi” per legittimare l’interruzione della valutazione e poi li aveva considerati in sede finale come meramente insufficienti, come tali quindi da consentire la prosecuzione della correzione degli elaborati.

Per quanto riguardava le singole contestazioni, il ricorrente lamentava che la Commissione non aveva specificato nei criteri generali cosa intendeva per “incompletezza”, in modo da distinguerla dal “difetto di completezza” che determinava una mera insufficienza.

Illogica era poi ritenuta la conclusione della Commissione sulla sorte del legato in caso di permuta, in quanto la motivazione della soluzione adottata era stata diffusamente illustrata nella parte motiva ed era ben compatibile con il testo della traccia, secondo i criteri generali adottati dalla stessa Commissione.

Identica soluzione inoltre risultava assunta da altro candidato ritenuto idoneo.

Analoghe osservazioni erano formulate dal ricorrente riguardo la riscontrata omissione della causa di indegnità, dato che la menzione di tale conoscenza non era necessaria, operando “ipso iure”, secondo autorevole indirizzo giurisprudenziale, e avendo applicato l’istituto della “riabilitazione implicita” che esclude detta menzione, ai sensi dell’art. 466, comma 2, c.c.

Inoltre, l’omissione dell’indicazione della condizione di assistenza non costituiva il nucleo essenziale del complesso delle disposizioni testamentarie e non sottintendeva alcun problema giuridico da affrontare, pur costituendo una mera svista nella trascrizione dell’elaborato da parte del ricorrente.

Quest’ultimo ne riportava brani per evidenziare che non vi era contraddittorietà tra legato qualificato come cosa da prendersi e legato alternativo, seconda la motivazione ivi fornita.

Sull’indegnità di Terzo, il ricorrente ritornava su quanto detto in precedenza mentre richiamava autorevole dottrina per sostenere la congruità della soluzione adottata nella condizione risolutiva della vendita al capo g), fermo restando che soluzione analoga era stata prescelta anche da altro candidato giudicato idoneo,

Il ricorrente concludeva rilevando che la Commissione aveva svolto la seduta di correzione in meno delle quattro ore previste e si era riunita nel mese di dicembre solo quattro volte in luogo di sei, in violazione della disposizione di cui all’art. 5, comma 10.

II. Violazione degli artt. 10 e 11 del d.lgs. n. 166/06 e dei principi in materia di concorsi. Eccesso di potere per illogicità manifesta, irragionevolezza, sviamento ”.

Richiamando i criteri di correzione di cui al verbale n. 8 all’uopo stilati dalla Commissione, il ricorrente lamentava la genericità dei criteri elaborati, soprattutto in relazione alle tracce concorsuali e alle differenze tra insufficienze gravi e mere insufficienze, di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 11 d.lgs. n. 166/06, nonché alla definizione di “incompletezza” dell’atto.

Si costituiva in giudizio il Ministero della Giustizia, rilevando l’infondatezza del ricorso in specifica memoria per la camera di consiglio.

Con l’ordinanza in epigrafe questa Sezione respingeva la domanda cautelare e la relativa statuizione risultava confermata dal Consiglio di Stato in sede di appello proposto dal ricorrente, con ordinanza della Sezione Quarta n. 4610 del 9 ottobre 2015.

Nelle more era depositata in atti revoca del mandato al difensore.

Alla pubblica udienza del 5 ottobre 2016 – dopo il rinvio d’ufficio di quella originariamente prevista per il 18 maggio 2016 - la causa era trattenuta per la decisione di merito.

DIRITTO

Il Collegio rileva che il ricorrente, nella sostanza, contesta le valutazioni di “grave insufficienza” riscontrate nell’elaborato “mortis causa” dalla Commissione, in quanto asseritamente viziate da travisamento dei fatti e da profili di illogicità e irragionevolezza.

Il vaglio giurisdizionale sollecitato con le censure in questione suggerisce allora di soffermarsi preliminarmente sull’ambito entro il quale esso è consentito, al fine di parametrare l’ammissibilità delle doglianze sollevate avverso l’esercizio della discrezionalità valutativa, confluito nell’adozione del giudizio di inidoneità.

Ebbene, valga ricordare che è stato più volte evidenziato dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, che il giudizio di legittimità avverso i provvedimenti relativi alla mancata ammissione alle prove orali del concorso notarile non può trasmodare in un pratico rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio tecnico-discrezionale espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, per cui l'apprezzamento della Commissione è sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà (per tutte: TAR Lazio, Sez. I, 26.11.15, n. 13367 e n. 2467/12 e 26342/10;
nonchè Cons. Stato, Sez. IV, 13.10.14, n. 5048).

Ciò perché il giudizio della Commissione, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile unicamente - sul piano della legittimità – per “evidente” superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e siano tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (per tutte: Tar Lazio, sez. I, 6.9.13, n. 4626).

Il giudizio di legittimità non può, infatti, trasmodare in un rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, per cui deve ritenersi infondata una censura che miri unicamente a proporre una diversa valutazione dell’elaborato, atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione.

Applicando tali principi al caso di specie, il Collegio rileva l’assenza dei connotati della manifesta illogicità e irragionevolezza nonchè del “travisamento dei fatti” sotto i profili ora ricordati.

In primo luogo si ritiene che la censurata valutazione sia, nella sua sinteticità, ben motivata sotto ogni profilo contestato, con riferimento sia ai criteri di valutazione dalla stessa predeterminati sia alle plurime “gravi insufficienze” riscontrate.

Per quanto riguarda le censure di ordine generale sollevate dal ricorrente, il Collegio concorda con quanto osservato dalla difesa erariale, laddove risulta evidenziato che nessuna lacuna può evincersi dai criteri redatti dalla Commissione, da leggersi nel contesto dell’intera prova concorsuale e degli elementi normativi che la contraddistinguono, dato che per “incompletezza” dell’atto la Commissione non può che essersi riferita all’assenza di elementi, anche formali, necessari nella redazione di un atto notarile mentre per “difetto di completezza” non poteva che riferirsi alla carenza di motivazione nel giustificare integralmente, nella parte teorica, le scelte effettuate.

Così pure non si riscontra contraddittorietà nel rilevare anche inadeguatezza dell’atto in riferimento alle gravi insufficienze rilevate, dato che la loro presenza, nello specifico, ridondava il profilo sul mancato rispetto degli intenti e degli interessi delle parti, completando così il giudizio della Commissione.

Per quanto riguarda le specifiche censure sui singoli profili di grave insufficienza, il Collegio non può fare a meno di rilevare anche che, ai fini di quanto disposto dall’art. 11, comma 7, d.lgs. cit., un “grave errore” può essere anche quello afferente ad un singolo elaborato, ovviamente, ovvero riposare nella singola omessa trattazione (o errata trattazione) di un istituto giuridico, quale inidoneità dell’analisi (Cons. Stato, Sez. IV, 28.11.12, n. 6037).

Nel caso di specie, comunque, il ricorrente non può essere seguito laddove indirizza le sue censure avverso i dirimenti rilievi formulati dalla Commissione sull’elaborato in rassegna, in quanto, pur denunciando un “travisamento” degli elementi da lui forniti, viene in realtà a confutare nel merito i rilievi che la Commissione ha sollevato in ordine alla interpretazione della traccia, alle tesi enunciate e alle soluzioni individuate.

Il Collegio non può dunque prendere cognizione delle contestate valutazioni della Commissione, non trattandosi nella fattispecie dell’accertamento di un fatto o del rilievo di una manifesta illogicità valutativa, quanto piuttosto del compimento stesso di un’attività valutativa e comparativa, dell’elaborato del candidato e dei rilievi della Commissione, a tutta evidenza preclusa nella presente sede.

La Commissione ha proposto temi che prevedevano non già soluzioni predeterminate in astratto, bensì più soluzioni possibili in concreto, purché correttamente costruite sul piano giuridico ed adeguatamente motivate;
ne consegue che qualsiasi richiamo ad elaborati di altri candidati che abbiano astrattamente utilizzato gli stessi istituti giuridici non risulta in sé conferente, essendo di contro necessario verificare la concreta applicazione dell’istituto nel singolo atto e, di conseguenza, gli effetti che nel caso concreto ne derivano, oltre che l’enunciazione delle ragioni giuridiche che ne giustificavano l’impiego.

Non soccorre quindi, in senso contrario, il richiamo alla ritenuta disparità di trattamento, in quanto, per giurisprudenza costante, vi è la necessità di considerare l’intero percorso logico-giuridico seguito dai candidati nella prova presa a confronto e, comunque, un giudizio favorevole reso alla prova scritta di altro candidato non servirebbe a sanare gli errori in cui è incorso il ricorrente (da ult. TAR Lazio, Sez. I, 10.11.15, n. 12704).

Infatti, in astratto, la configurabilità della disparità di trattamento tra diversi candidati del concorso notarile può ipotizzarsi solo raffrontando complessivamente tutti gli elaborati poiché la Commissione non tiene conto soltanto della soluzione giuridica prescelta, ma anche della capacità espositiva ed argomentativa di ciascuno dei candidati (Cons. Stato, Sez. IV, 13.10.14, n. 5048).

Tali conclusioni rilevano anche per le restanti censure ove il ricorrente tende a sostituire la propria considerazione critica al giudizio discrezionale della commissione in merito all’interpretazione della traccia - come confermato dalle stesse difese erariale che si sono soffermate sulla illustrazione delle ragioni della valutazione - che questo giudice però non può delibare, per quanto detto in precedenza.

Riguardo alle censure procedurali, il Collegio richiama quanto già anticipato in sede cautelare.

Per costante giurisprudenza, non sono normalmente sindacabili in sede di legittimità i tempi dedicati dalla Commissione giudicatrice alla valutazione dei candidati, soprattutto allorché tali tempi siano stati calcolati in base ad un computo presuntivo dato dalla suddivisione della durata di ciascuna seduta per il numero dei concorrenti (o degli elaborati) esaminati, in quanto non è possibile, di norma, stabilire quali concorrenti abbiano fruito di maggiore o minore considerazione e, quindi, se il vizio dedotto infici in concreto il giudizio contestato (Cons. Stato, Sez. VI, 10.4.03, n. 1906;
T.A.R. Molise 26.7.02, n. 553;
T.A.R Campania, Na, Sez. III, 30.4.03, n. 4255, 31.7.03, n. 10738).

In ogni caso, come già anticipato in sede cautelare, il termine di durata di ogni seduta non è perentorio, con la conseguenza che la durata inferiore di quindici minuti rispetto alle quattro ore previste non può certamente inficiare la valutazione che degli elaborati è stata effettuata durante la seduta stessa.

Tale conclusione in ordine alla non perentorietà dell’indicazione del legislatore vale anche per la contestata fissazione di quattro sedute di correzione in luogo di sei nel mese di dicembre.

Parimenti infondato è anche il secondo motivo, in cui il ricorrente contesta in linea generale la genericità dei criteri di correzione.

Il Collegio evidenzia in primo luogo che l’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 166/2006 non indica come i criteri devono essere predeterminati.

Inoltre, nel verbale n. 8 la Commissione ha individuato prima le ipotesi di esclusione per inidoneità - quali la “nullità dell’atto, anche solo parziale, per ragioni di natura formale o sostanziale”, e le “gravi insufficienze consistenti” - e poi ha indicato le “condizioni per il giudizio complessivo di idoneità”, debitamente elencandole.

Sui contenuti dell’attività di predeterminazione dei criteri, osserva il Collegio che la Commissione, nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica, ha correttamente predeterminato i criteri di valutazione per categorie generali ben definite e con riferimento ad ogni possibile giudizio (inidoneità immediata per gravi insufficienze, idoneità/inidoneità per insufficienze meno gravi), secondo formulazioni inequivoche, che immediatamente rinviano ad istituti del diritto positivo ed alla relativa scienza giuridica, nonché ad altri precisi parametri propri di ambiti di conoscenze logiche, tecniche e linguistiche generalmente condivise e ritenute indispensabili per l’esercizio della professione notarile (Tar Lazio, sez. I, 26.11.15, n. 13365).

Ne discende la non ravvisabilità, nei predetti criteri “generali”, della contestata genericità della formulazione.

In ogni caso, giova a riguardo rammentare che la giurisprudenza, anche di questo Tribunale, ha più volte affermato che “L’attività di determinazione dei criteri di valutazione rientra nell'ampia discrezionalità della Commissione esaminatrice ed è pertanto sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, salvo che non sia "ictu oculi” inficiata da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti” (Cons. Stato, sez. IV, n. 5862 del 2008;
8 giugno 2007, n. 3012;
11 aprile 2007, n. 1643;
nonché TAR Lazio, sez. I, nn. 3560 e 2900 del 2012 e n. 35387 del 2010)”.

Tale condizione non ricorre nella fattispecie in esame ove la Commissione ha utilizzato criteri di valutazione chiari e pertinenti.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso non può trovare accoglimento.

Le spese di giudizio, in considerazione della particolarità della vicenda contenziosa, possono comunque eccezionalmente compensarsi tra le parti.

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