TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2018-07-04, n. 201807429

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2018-07-04, n. 201807429
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201807429
Data del deposito : 4 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/07/2018

N. 07429/2018 REG.PROV.COLL.

N. 07520/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7520 del 2008, proposto da
-OMISSIS--OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti G A, A M F e A V, con domicilio eletto presso lo studio Arcuri in Roma, Piazzale Clodio, 8 Sc. B Int. 8;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto del Ministero della Difesa del 3 maggio 2008 con il quale al ricorrente è stata comminata la pena accessoria della rimozione ex artt. 29, 33, 34 e 411 c.p.m.p., la conseguente rimozione dal grado, e lo stesso è stato collocato in congedo in posizione di soldato semplice;

per il risarcimento dei danni.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice la dott.ssa L M;

Uditi, nell'udienza pubblica straordinaria del giorno 1 giugno 2018, i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ordinanza n. 420/07 la Corte d’Appello di Ancona disponeva nei confronti del ricorrente la pena accessoria della rimozione (doc. 8 del fascicolo di parte ricorrente) ai sensi dell’art. 33 comma 1, n. 2, c.p.m.p..

Prima dell’applicazione della rimozione, la Corte d’Appello di Ancona aveva rideterminato la pena complessiva detentiva in anni 2 e 6 mesi di reclusione e in 1 anno l’interdizione dai pubblici uffici (doc. 5 id.) e, con ordinanza del 29 novembre 2007 (doc. 6 id.), su istanza della Procura Generale (doc. 7 id.), aveva dichiarato interamente condonata la pena detentiva.

A seguito dell’applicazione della pena accessoria della rimozione, il ricorrente veniva privato dall’Amministrazione di appartenenza del grado e posto in congedo in qualità di soldato semplice.

2. Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha impugnato il suddetto provvedimento, adottato il 3 maggio 2008, censurandolo per due ordini di ragioni: violazione dell’art. 29 c.p.m.p. e dell’art. 9, comma 1, L. 19/90 in combinato disposto con l’art. 38 comma 1 L. 1168/1961, che ha abrogato ogni disposizione che preveda la destituzione di diritto a seguito di condanna penale e, dunque, violazione delle garanzie procedimentali poiché non è stato avviato un regolare procedimento disciplinare;
violazione degli artt. 295 c.p.c. e 653 c.p.p. poiché il provvedimento che ha disposto l’applicazione della pena accessoria non era ancora definitivo.

Il Ministero intimato si è costituito in giudizio solo formalmente ed ha depositato documentazione.

Con ordinanza n. 4081 del 28 agosto 2008 la Sezione I, all’epoca competente per materia, ha accolto l’istanza cautelare in ragione della non definitività del provvedimento della Corte di Appello, che commina la sanzione accessoria di cui all’art. 29 del c.p.m.p..

In vista della trattazione del merito il ricorrente ha depositato memoria conclusiva, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

All’udienza pubblica straordinaria del 1 giugno 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Oggetto di impugnazione è il provvedimento con cui al ricorrente è stata applicata la pena accessoria della rimozione nella parte in cui dispone anche, in via automatica, ossia senza previo procedimento disciplinare, la collocazione in congedo del ricorrente.

Secondo il ricorrente la rimozione del grado ai sensi dell'art. 29 del c.p.m.p. non comporta l'automatica risoluzione del rapporto di impiego, anche tenuto conto della normativa generale di cui alla L. 19/90.

3.1. Il motivo non è fondato.

Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, dal combinato disposto degli artt. 29 e 33 del c.p.m.p., si evince che la perdita del grado da parte del militare, quale che ne sia la ragione, e quindi anche a titolo di sanzione penale accessoria, comporta sempre la cessazione del servizio permanente effettivo, sussistendo un'ontologica incompatibilità tra perdita del grado e possibilità di permanere in servizio permanente effettivo (Cons. Stato, Sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4292;
T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, 19 aprile 2012, n. 149).

Né sembra coerente e compatibile con la ratio della pena accessoria, "convertire" l'ultimo grado della tabella, consistente in una posizione di ferma breve, nell'ultimo grado della carriera di servizio permanente effettivo (cfr. T.A.R. Umbria, 7 ottobre 2015, n. 450).

Per tale motivo la perdita del grado per rimozione, comminata come pena accessoria dall'Autorità giudiziaria, è intesa dalla giurisprudenza prevalente come avente un carattere meramente dichiarativo e vincolato (Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 2005, n. 2566).

Tali considerazioni consentono di affrontare il collegato problema del "collocamento in congedo" senza procedimento disciplinare.

Anche sotto tale profilo appare condivisibile l'indirizzo secondo cui, anche dopo la riforma del procedimento disciplinare operata dall'art. 9 della L. 19/90, debbono ritenersi vigenti ipotesi di destituzione automatica, quali quelle conseguenti all'inflizione in sede penale di pene accessorie di tipo perpetuo (tra cui la rimozione a seguito di perdita di grado ex art. 29 del c.p.m.p.), in quanto la disciplina del 1990 non ha abolito tutte le norme contrastanti con il divieto di automatica destituzione, ma solo quelle indicate dalla Corte costituzionale con la sentenza 14 ottobre 1988, n. 971.

E’ stato ripetutamente chiarito che dalla proclamata illegittimità di norme di legge che prevedono ipotesi di destituzione automatica a seguito di condanna rimane assolutamente estraneo l’ambito applicativo delle pene accessorie di carattere interdittivo (Corte cost. 19 aprile 1993, n. 197;
Corte cost. 30 ottobre 1996, n. 363) e che in caso di applicazione di pene accessorie di natura interdittiva la risoluzione del rapporto di impiego costituisce solo un effetto indiretto (Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2005, n. 7561).

Si tratta di un orientamento pienamente condiviso nelle considerazioni e nelle conclusioni dalla Sezione, che ha ritenuto manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale delle corrispondenti disposizioni del Codice dell’Amministrazione militare, ribadendo, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 9 luglio 1999, n. 286 e del Consiglio di Stato, sezione IV, 15 settembre 2009, n. 5526, che l'Amministrazione di fronte ad una sentenza penale di condanna con pena accessoria interdittiva non può far altro che disporre la cessazione dal servizio con un provvedimento che non ha carattere né costituivo, né discrezionale, ma vincolato, trattandosi di un provvedimento in sostanza dichiarativo di uno status conseguente al giudizio penale definitivo emesso nei confronti del dipendente.

Poiché la pena accessoria della rimozione rende ex se incompatibile la permanenza nello stato di militare in servizio permanente effettivo, in simili casi non è neppure necessaria l'attivazione di un procedimento disciplinare, trattandosi di un provvedimento direttamente conseguente al passaggio in giudicato delle sentenza di condanna e della relativa pena accessoria (TAR Lazio, Roma, Sez. I Bis , 5 giugno 2015, n. 7905).

3.2. In base a tali ultime considerazioni, tuttavia, risulta fondata la seconda censura, già positivamente apprezzata in sede cautelare.

Invero, al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, l’ordinanza della Corte di Appello di Ancona n. 420/2007, che applicava la pena accessoria, non era passata in giudicato, essendo stato interposto ricorso per cassazione n. 15717/2008 R.G., circostanza questa non contestata.

Ne discende che, stante la fondatezza di tale motivo, il ricorso deve essere in parte acconto e, per l’effetto, l’atto impugnato deve essere annullato, limitatamente alla parte in cui dispone anche il congedo del ricorrente dalla stessa data, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione, da adottarsi dopo l’eventuale passaggio in giudicato dell’ordinanza della Corte di Appello di Ancona n. 420/2007.

4. Deve, infine, essere respinta l’istanza risarcitoria, sia perché meramente enunciata in ricorso, sia perché, in ogni caso, l’adottata misura cautelare ha eliso in radice ogni possibile danno, in ipotesi derivante dall’anticipato collocamento in congedo.

5. Le spese del giudizio possono compensarsi in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso.

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