TAR Milano, sez. III, sentenza 2012-02-01, n. 201200352

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza 2012-02-01, n. 201200352
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 201200352
Data del deposito : 1 febbraio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01978/2009 REG.RIC.

N. 00352/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01978/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1978 del 2009, proposto da:
A A, A R, B M, C G, D M M, M M, M M, M L, P A F, R F, R R, T C, tutti rappresentati e difesi dall’avv. G C, con domicilio ex lege presso la segreteria del Tribunale in Milano, via Corridoni n. 39;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, presso i cui uffici domicilia, in Milano via Freguglia n.1;

e con l'intervento di

I G, rappresentato e difeso dall’avv.to G C, con domicilio presso la segreteria del Tribunale in Milano, via Corridoni n. 39;

per l’accertamento

del diritto dei ricorrenti tutti alla percezione dell’indennità di trasferimento ex artt. 1 e 13 della legge 2001 n. 86 e conseguentemente per l’annullamento del diniego di concessione dell’indennità di trasferimento prot. 557/RS/01/93/9116 del 4 giugno 2009 emesso dal Ministero dell’Interno, con il quale è stato confermato il rigetto dell’istanza dei ricorrenti volta ad ottenere il riconoscimento dell’indennità ex artt. 1 e 13 della legge 2001 n. 86, nonché per la condanna dell’amministrazione resistente al pagamento delle somme dovute come indennità di trasferimento oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Designato relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2011 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I ricorrenti, nonché l’interventore ad adiuvandum , chiedono l’accertamento del diritto ad ottenere il pagamento dell’indennità di trasferimento con conseguente condanna dell’amministrazione resistente.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso proposto.

Le parti hanno prodotto memorie e documenti.

All’udienza del 2 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1) In punto di fatto va osservato che: a) nel corso del 2006 il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, sopprimeva sia la sottosezione autostradale di Busto Arsizio, sia il Distaccamento della Polizia Stradale di Busto Arsizio, istituendo nel Comune di Olgiate Olona (VA) la sottosezione della polizia stradale “Busto Arsizio – Olgiate Olona” e trasferendo d’ufficio i ricorrenti – dipendenti della Polizia di Stato – dalla precedente alla nuova sede istituita;
b) in conseguenza del trasferimento, i ricorrenti hanno chiesto la corresponsione dell’indennità di trasferimento e l’amministrazione l’ha negata rilevando da un lato la mancanza di provvedimenti individuali di trasferimento, atteso che lo spostamento dei dipendenti è avvenuto mediante un unico atto, dall’altro, la mancanza del requisito della distanza atteso che le due diverse sedi di servizio, collocate in comuni di versi, non sono distanti tra loro almeno 10 chilometri;
c) avverso tale provvedimento gli interessati hanno presentato ricorso gerarchico non definito dall’amministrazione con una determinazione espressa.

2) Devono essere esaminate con precedenza le eccezioni di rito sollevate dall’amministrazione resistente.

2.1) E’infondata l’eccezione di inammissibilità fondata sulla circostanza che nei confronti dei ricorrenti, destinatari di atti di diniego dell’indennità richiesta, non sia ancora intervenuta un’espressa decisione del ricorso gerarchico proposto avverso gli atti ora indicati.

La causa ha ad oggetto una pretesa di diritto soggettivo alla corresponsione dell’indennità di trasferimento, da accertare in sede di giurisdizione esclusiva, sicché le determinazioni negative dell’amministrazione non assumono valore provvedimentale e non fondano un giudizio di tipo impugnatorio, ma si correlano ad un’azione di accertamento e condanna, rispetto alla quale è del tutto ininfluente che non sia ancora sopravvenuta la decisione espressa sul ricorso gerarchico, trattandosi di accertare in sede processuale la sussistenza dei presupposti legali costitutivi del diritto vantato.

Ne deriva l’infondatezza dell’eccezione in esame, in quanto a fronte dell’attivazione di un diritto soggettivo è del tutto irrilevante, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, la circostanza che l’amministrazione non abbia ancora deciso espressamente sul ricorso gerarchico e che i ricorrenti non abbiano proposto impugnazione entro il termine decadenziale ordinario una volta formatosi il silenzio sul ricorso gerarchico, ai sensi dell’art. 6 del d.p.r. 1971 n. 1199.

2.2) E’infondata anche l’eccezione con la quale si contesta l’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum .

Sul punto il Tribunale ritiene necessario premettere che nel caso concreto l’intervento ad adiuvandum ha ad oggetto una pretesa del tutto omogenea rispetto a quella azionata da ciascuno dei ricorrenti principali, di cui è possibile disporre la conversione in ricorso autonomo, da riunire al ricorso principale, atteso che l’atto di intervento è stato regolarmente notificato all’amministrazione resistente, oltre che ai ricorrenti principali.

Vale osservare che nel caso di specie non trova applicazione il principio a mente del quale nel processo amministrativo l'intervento ad adiuvandum, la cui finalità è sostenere le ragioni del ricorrente, è ammissibile se e in quanto l'interveniente risulti titolare di un interesse di fatto dipendente da quello azionato in via principale o ad esso accessorio, che gli consente di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dall'accoglimento del ricorso.

Viceversa, è inammissibile l'intervento ad adiuvandum spiegato da un soggetto ex se legittimato a proporre il ricorso in via principale, in quanto in tale ipotesi l'interveniente non fa valere, come è tipico per l'istituto dell'intervento, un interesse di mero fatto, bensì un interesse personale all'impugnazione dell'atto gravato in via principale, immediatamente lesivo della sua posizione giuridica e, come tale, direttamente impugnabile nei prescritti termini di decadenza.

Ne deriva che la regola per la quale l'intervento del terzo deve essere mirato alla difesa di un suo interesse derivato, diverso da quello pregiudicato dal provvedimento impugnato, è diretta ad evitare la elusione della perentorietà del termine per la proposizione di autonomo ricorso (cfr. in argomento Consiglio di stato, sez. VI, 06 settembre 2010, n. 6483;
Consiglio di stato, sez. IV, 19 gennaio 2011, n. 385;
T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 04 febbraio 2011, n. 354).

Nondimeno le esigenze ora evidenziate non sussistono in presenza di un giudizio avente ad oggetto, come nel caso di specie, una pretesa di diritto soggettivo azionata in sede di giurisdizione esclusiva, pretesa rispetto alla quale non si pone alcun rischio di elusione di termini perentori di impugnazione.

Ne deriva che l’interventore ad adiuvandum va qualificato come un litisconsorte facoltativo, in quanto si trova nella stessa posizione soggettiva dei ricorrenti principali e il suo atto di intervento integra (e, pertanto, va considerato come) un autonomo ricorso, non sottoposto a termini perentori decadenziali, in quanto diretto ad azionare un diritto soggettivo avente la stessa consistenza di quelli posti a base del ricorso collettivo principale, cui, in definitiva, risulta oggettivamente e soggettivamente connesso;
del resto, l’atto di intervento risulta ritualmente notificato alle altre parti.

Una volta chiarita la reale consistenza della posizione processuale dell’interventore ad adiuvandium - da qualificare pertanto come parte ricorrente ai fini della decisione dell’impugnazione di cui si tratta - deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità prospettata dall’amministrazione resistente in analogia a quanto dedotto nei confronti dei ricorrenti principali.

Anche in tale caso l’Avvocatura Distrettuale sostiene che l’interventore sarebbe decaduto dalla sua azione per non avere impugnato il silenzio dell’amministrazione sul ricorso gerarchico, fermo restando che neppure in tale caso è intervenuta una decisione espressa sul ricorso medesimo.

Sul punto è sufficiente ribadire quanto evidenziato al punto 2.1 della motivazione, sicché a fronte dell’attivazione di un diritto soggettivo è del tutto irrilevante, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, la circostanza che l’amministrazione non abbia ancora deciso espressamente sul ricorso gerarchico e che i ricorrenti non abbiano proposto impugnazione entro il termine decadenziale ordinario una volta formatosi il silenzio sul ricorso gerarchico, ai sensi dell’art. 6 del d.p.r. 1971 n. 1199.

Va pertanto ribadita l’infondatezza dell’eccezione di cui si tratta.

3) Nel merito il ricorso è fondato e merita accoglimento.

L’art. 1 della legge 29 marzo 2001, n. 86, rubricato “ Indennità di trasferimento” riconosce anche al personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile che sia stato trasferito d'autorità ad altra sede di servizio sita in un comune diverso da quello di provenienza, la spettanza di una specifica indennità di trasferimento.

La norma presuppone che il trasferimento presso una diversa sede di servizio sia stato disposto d’ufficio dall’amministrazione, in relazione alle proprie esigenze di servizio e non su richiesta dell’interessato.

Tale circostanza sussiste nel caso di specie, in quanto i ricorrenti sono stati trasferiti in una sede diversa da quella di provenienza in conseguenza della determinazione dell’amministrazione datata 20.11.2006 (presente in atti), con la quale è stata disposta la soppressione di due sedi site nel comune di Busto Arsizio e la istituzione di una sede sita nel Comune di Olgiate Olona.

Ai fini della spettanza dell’indennità è irrilevante che l’amministrazione abbia disposto il trasferimento, in esecuzione della determinazione ora richiamata, con unico atto, atteso che si tratta di un provvedimento plurimo, ossia formalmente unico ma che reca in sé tanti provvedimenti di trasferimento quanto sono i dipendenti interessati.

Ad escludere la sussistenza di tale presupposto di attribuzione dell’indennità non rileva la giurisprudenza richiamata dalla difesa (cfr. in particolare, Consiglio di stato, sez. IV, 08 giugno 2000, n. 3216), in primo luogo perché nei casi citati si è esclusa la spettanza del beneficio, in quanto per ragioni logistiche l’intero reparto era stato diversamente dislocato “in blocco”, ma tale circostanza non è il presupposto del trasferimento di cui si tratta, che si lega alla istituzione di una nuova sede di servizio, in relazione alla quale proprio il provvedimento del 20.11.2006, lungi dal prevedere il trasferimento integrale dei dipendenti presso la nuova sede, ha rimesso ad una successiva determinazione dirigenziale la individuazione del personale da mettere a disposizione della sede di nuova istituzione.

In ogni caso vale osservare che, al di là della tesi particolare richiamata dalla difesa, per giurisprudenza costante la funzione dell'indennità di cui si tratta è quella di sovvenire alle maggiori necessità derivanti da un trasferimento e di compensare "forfettariamente" le maggiori spese sostenute dal dipendente, così che la legittimità della relativa corresponsione presuppone l’adozione di un formale provvedimento dell'amministrazione che modifichi la sede di servizio del dipendente e la natura ufficiosa della scelta dell’amministrazione, che riflette esigenze dell’apparato e non del singolo dipendente trasferito (cfr. tra le tante Consiglio di stato, sez. V, 08 marzo 2011, n. 1461). Tale circostanza ricorre nel caso di specie.

Quanto alla tesi secondo la quale l’indennità spetta solo se tra le due sedi di servizio vi è una distanza minima di dieci chilometri, sicché, attesa la mancanza di tale presupposto la pretesa dei ricorrenti sarebbe infondata, il Tribunale non ignora l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale del quale recentemente è stata investita l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. Consiglio di Stato , sez. VI, ordinanza 4 luglio 2011, n. 3958) , nondimeno ritiene di ribadire l’orientamento recentemente già espresso (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 05 aprile 2011, n. 886).

In particolare, merita adesione la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, che mutando il proprio precedente orientamento alla luce della disciplina contenuta nella L. 86 del 2001, ha ritenuto che per i trasferimenti successivi al 29 marzo 2000 la relativa indennità spetta allorché il trasferimento sia avvenuto di autorità e il comune di destinazione sia diverso da quello di provenienza, indipendentemente dalla distanza delle due sedi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4376).

Invero, la predetta legge, pur non avendo esplicitamente abrogato la precedente normativa, che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, richiedeva anche per l'erogazione della indennità di trasferimento la sussistenza di una distanza chilometrica minima fra la sede di provenienza e quella di destinazione, ha tuttavia autonomamente disciplinato la materia subordinando il predetto beneficio alla ricorrenza di requisiti tassativi fra i quali non compare più quello della distanza (Cons. Stato, sez. VI, 24 novembre 2010, n. 8211).

Ne deriva che ai fini che qui interessano l’indennità dipende a) dall'adozione di un provvedimento di trasferimento del pubblico dipendente, cioè la modificazione della sede di servizio dove egli espleta le proprie ordinarie mansioni;
b) dalla natura autoritaria di tale provvedimento, disposto motu proprio dall'amministrazione (cfr. Consiglio di stato, sez. VI, 14 aprile 2009, n. 2265;
Consiglio di stato, sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6549);
viceversa, è indifferente la distanza chilometrica tra le due sedi.

Ne deriva che, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa dell’amministrazione, la presenza di una distanza inferiore a dieci chilometri tra la precedente sede e la nuova destinazione non osta al riconoscimento del beneficio in esame.

In definitiva il ricorso è fondato, in quanto i ricorrenti, compreso l’interventore ad adiuvandum , sono stati trasferiti d’autorità, per esigenze di servizio, da una sede ad un’altra, sicché è mutata la sede di espletamento delle rispettive mansioni, con conseguente spettanza dell’indennità di trasferimento ai sensi dell’art. 1 della legge 2001 n. 86

Di conseguenza deve essere disposta la condanna dell’amministrazione resistente, sulla base dei criteri di cui all'art. 1 della legge n. 86 del 2001, alla corresponsione in favore dei ricorrenti di tutti gli emolumenti arretrati, maggiorati degli interessi legali per le somme non ancora corrisposte.

Non è dovuta, invece, la rivalutazione monetaria in quanto l'art. 22, comma 36, l. 23 dicembre 1994 n. 724 (non inciso dalla sentenza della Corte costituzionale del 2 novembre 2000 n. 459 per quanto attiene al pubblico impiego) ha espressamente previsto il divieto di cumulo fra interessi e rivalutazione monetaria per i crediti retributivi, già imposto per i crediti previdenziali, a decorrere dall'1 gennaio 1995.

La peculiarità della fattispecie e la presenza di orientamenti giurisprudenziali non uniformi consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi