TAR Roma, sez. II, sentenza 2019-03-06, n. 201903024

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2019-03-06, n. 201903024
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201903024
Data del deposito : 6 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/03/2019

N. 03024/2019 REG.PROV.COLL.

N. 10148/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10148 del 2015, proposto da
-OMISSIS- s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A C, S R e L M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A C in Roma, Via Gregorio VII, 350;

contro

C s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato A C, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, Via Principessa Clotilde, 2;

nei confronti

-OMISSIS- s.p.a., non costituita in giudizio;

per l’annullamento

- del provvedimento di annullamento dell’autorizzazione all’affidamento in subappalto relativo alla società -OMISSIS- s.r.l., inerente alla convenzione per l’affidamento dei servizi di facility management per immobili adibiti prevalentemente ad uso ufficio in uso a qualsiasi titolo alle pubbliche amministrazioni – III ed. (lotto 9), comunicata in data 20 luglio 2015, prot. n. 18943/2015;

- di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso, conseguente e collegato;

e in subordine, in caso di mancato riaffidamento in subappalto in favore della ricorrente, per la condanna di C s.p.a. al risarcimento dei danni.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di C s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2018 la dott.ssa F V D M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente -OMISSIS- s.r.l. ha impugnato il provvedimento del 20 luglio 2015, con il quale C s.p.a. ha annullato l’autorizzazione rilasciata il 24 novembre 2014 a -OMISSIS- s.p.a. – in qualità di mandataria del RTI aggiudicatario del lotto 9 della convenzione per l’affidamento dei servizi di facility management per immobili adibiti prevalentemente ad uso ufficio in uso a qualsiasi titolo alle pubbliche amministrazioni – a subappaltare all’odierna ricorrente i servizi di manutenzione degli impianti presso la sede dell’INPS, Direzione generale di Roma.

2. L’annullamento dell’autorizzazione al subappalto è stato disposto in ragione della circostanza che, in sede di verifica delle dichiarazioni rese dalla società subappaltatrice ai fini del rilascio della stessa autorizzazione, è emerso che un socio nonché direttore tecnico di -OMISSIS- aveva riportato una condanna per violazione dell’articolo 10 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, comminata con sentenza della Pretura di Avezzano divenuta irrevocabile il 5 giugno 1983, e che la suddetta condanna non era stata indicata nell’apposita dichiarazione sostitutiva resa dall’amministratore unico e legale rappresentante della società ai fini dell’articolo 38 del Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

3. Nell’impugnare il suddetto provvedimento, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

I) violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241 del 1990 e conseguente illegittimità derivata, degli atti presupposti, connessi, collegati, richiamati e necessari;
ciò in quanto C avrebbe disatteso il termine di trenta giorni per la conclusione dell’ iter di annullamento da essa stessa indicato nella comunicazione di avvio del procedimento;

II) violazione dell’articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006, del principio di buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione e del principio di imparzialità dell’azione amministrativa, nonché eccesso di potere per sviamento e per difetto e carenza di motivazione;
ciò in quanto la c.d. sanzione espulsiva potrebbe essere legittimamente adottata soltanto in caso di effettiva mancanza dei requisiti di ordine generale, e non anche laddove il requisito, pur in possesso dell’operatore, non sia stato compiutamente dichiarato;
esito, questo, cui dovrebbe addivenirsi anche alla luce delle novelle apportate agli articoli 38 e 46 del decreto legislativo n. 163 del 2006 dall’articolo 39 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, che avrebbe peraltro positivizzato un approdo già raggiunto dalla giurisprudenza;
la suddetta interpretazione sarebbe imposta dai principi di proporzionalità e massima partecipazione cui è informata la disciplina delle gare pubbliche;
al contrario, l’esclusione dell’operatore per aver omesso una dichiarazione o per aver reso una dichiarazione non corrispondente alla realtà, laddove lo stesso operatore sia tuttavia in possesso dei requisiti prescritti, non corrisponderebbe ad alcun effettivo interesse pubblico;
la sanzione c.d. espulsiva andrebbe perciò disposta soltanto quale extrema ratio , in presenza di un interesse sostanziale della stazione appaltante, anche alla luce del principio di cui all’articolo 41 della Costituzione;
in favore di una lettura sostanzialistica dell’articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006 militerebbe pure il tenore dell’articolo 45 della direttiva 2004/18/CE, ove si prevede l’espulsione dell’operatore che abbia reso false dichiarazioni solo per grave colpevolezza nel fornire le informazioni;
C avrebbe invece omesso di motivare le ragioni per le quali dall’omessa dichiarazione della condanna dovesse farsi discendere l’annullamento dell’autorizzazione al subappalto, come del resto evidenziato dalla ricorrente nell’apposita istanza di autotutela presentata alla stessa stazione appaltante;
nella sostanza, la dichiarazione resa dalla legale rappresentante di -OMISSIS- avrebbe in realtà attestato il possesso di requisiti effettivamente presenti, come comprovato dalla riabilitazione poi pronunciata dal giudice penale per la condanna di cui si tratta;

III) violazione dell’articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006, del principio costituzionale di buon andamento e dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per sviamento e difetto di istruttoria, innocuità del comportamento del legale rappresentante di -OMISSIS-;
ciò in quanto: la stazione appaltante avrebbe dovuto tenere conto del fatto che la dichiarazione resa dalla legale rappresentante di -OMISSIS- non riguarderebbe la partecipazione a una gara d’appalto, per cui la valenza di tale dichiarazione sarebbe persino inferiore rispetto a quelle rese dai concorrenti nello svolgimento della procedura;
C avrebbe dovuto inoltre considerare l’irrilevanza del reato, la pena irrisoria irrogata, l’epoca remota cui risale la sentenza, la concessione già allora di tutti i benefici di legge, incluse le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena;
le suddette circostanze avrebbero dovuto indurre la stazione appaltante ad ascrivere l’omessa dichiarazione della condanna a una mera dimenticanza, commessa in assoluta buona fede, e non equiparabile al falso, bensì all’irregolarità o incompletezza documentale;
C non avrebbe invece fornito alcuna motivazione in ordine alle ragioni per le quali la condanna potesse incidere sulla moralità professionale dell’operatore, il quale avrebbe pienamente dimostrato la propria piena affidabilità;
il falso avrebbe dovuto, in realtà, essere considerato innocuo, in applicazione di un’interpretazione sostanzialistica dell’articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006, corroborata dall’articolo 39 del decreto legge n. 90 del 2014, già richiamato nel primo motivo di impugnazione.

4. Sulla scorta di queste censure, -OMISSIS- ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato e la conseguente riassegnazione del subappalto.

In subordine, la società ha domandato il risarcimento del danno derivante dall’illegittimo annullamento dell’autorizzazione al subappalto, quantificando il pregiudizio subito – salvo diversa determinazione giudiziale, anche in via equitativa – in euro 184.206,11 per mancato utile e in euro 38.745,53 per danno curriculare, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi a decorrere dal provvedimento impugnato.

5. Si è costituita, per resistere al ricorso, C s.p.a.

6. In esito alla camera di consiglio del 15 settembre 2015, la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 3884 del 2015, con la quale ha respinto l’istanza cautelare, sulla base del rilievo che “ la dichiarazione giudiziale di estinzione del reato non era ancora intervenute al momento di presentazione dell'offerta, per cui la dichiarazione del legale rappresentante della ricorrente non poteva che essere considerata non veritiera (TAR Lazio sez. III n. 7210\2015) ”.

7. In prossimità dell’udienza pubblica fissata per la trattazione della causa, la ricorrente ha depositato documenti e una memoria, nella quale ha affermato che:

- il socio e direttore tecnico nei cui confronti è stata emessa la condanna aveva confidato nella circostanza che fosse stata già pronunciata l’estinzione del reato, atteso che l’articolo 578 del codice di procedura penale del 1930 – vigente al tempo della condanna e del compimento del termine per l’estinzione del reato contravvenzionale – prevedeva la dichiarazione dell’estinzione anche d’ufficio da parte del giudice;

- la dichiarazione di estinzione non sarebbe stata comunque necessaria, in quanto l’effetto estintivo opererebbe ex lege per effetto del decorso del tempo;

- la stazione appaltante avrebbe dovuto perciò verificare se in effetti l’omessa dichiarazione derivasse da un personale convincimento di non gravità della condanna o dalla completa dimenticanza della stessa, in quanto risalente nel tempo;

- le suddette circostanze sarebbero state debitamente valutate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione nell’ambito del procedimento sanzionatorio avviato su segnalazione di C, conclusosi con un provvedimento di archiviazione;

- in subordine, ove si ritenesse di non dover accogliere l’interpretazione dell’articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006 proposta dalla ricorrente, dovrebbe essere rimessa al vaglio della Corte costituzionale la valutazione della compatibilità della suddetta previsione normativa con gli articoli 3 e 97 della Costituzione.

8. In replica alle produzioni della ricorrente, C ha – tra l’altro – eccepito plurimi profili di inammissibilità delle allegazioni difensive articolate nella memoria.

-OMISSIS- ha a sua volta replicato alle contestazioni avversarie.

9. La causa è stata quindi chiamata all’udienza pubblica del 5 dicembre 2018, in esito alla quale è passata in decisione.

10. Il ricorso è infondato, per le ragioni che si espongono di seguito.

11. Non merita condivisione, anzitutto, il primo motivo di impugnazione, con il quale -OMISSIS- lamenta che il procedimento di annullamento dell’autorizzazione al subappalto si sarebbe concluso oltre il termine di trenta giorni indicato da C nella comunicazione di avvio dell’ iter .

11.1. Secondo i principi, infatti, “ il potere amministrativo di provvedere non viene meno per il mero fatto della scadenza del termine fissato per il suo esercizio, solo restando salve le conseguenze di tipo disciplinare o risarcitorio per danno da ritardo ” (così, ex multis , Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2018, n. 4657). E ciò in quanto “ un termine procedimentale non ha carattere perentorio (tale, cioè, da determinare la consumazione del potere di provvedere in capo all’Amministrazione in caso di suo superamento) se non in presenza di una puntuale ed espressa previsione normativa ovvero di una evidente, manifesta ed univoca ratio legis in tal senso (arg. da Cons. Stato, Ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 10) ” (Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2718).

11.2. Il mero superamento del termine indicato nella comunicazione di avvio del procedimento non rende, perciò, illegittimo il provvedimento adottato.

12. Con i rimanenti motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente, la ricorrente lamenta che l’esclusione sia stata basata sul mero dato formale della mancata dichiarazione della condanna, invece che sul riscontro dell’effettiva carenza di un requisito di ordine generale. Secondo la parte, in una valutazione di carattere sostanziale, l’omissione avrebbe dovuto essere ritenuta del tutto ininfluente sulla moralità professionale dell’operatore.

13. Il Collegio tuttavia non concorda con l’impostazione della parte, dovendo darsi continuità al costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale “ Dall’art. 38, comma 1, lettera c), e comma 2, si ricava che nelle procedure ad evidenza pubblica preordinate all'affidamento di un appalto pubblico, l'omessa dichiarazione da parte del concorrente di tutte le condanne penali eventualmente riportate, anche se attinenti a reati diversi da quelli contemplati nell'art. 38, comma 1, lett. c), ne comporta senz'altro l'esclusione dalla gara, essendo impedito alla stazione appaltante di valutarne la gravità (cfr., fra le tante, Cons. Stato, III, n. 4019/2016;
IV, n. 834/2016;
V, n. 4219/2016, n. 3402/2016 e n. 1641/2016)
” (così tra le ultime Cons. Stato, Sez. III, 29 maggio 2017, n. 2548). E, in questa prospettiva, “ La dichiarazione da rendere ai fini dell’attestazione del possesso dei requisiti di ordine generale deve essere completa e, con particolare riferimento alla lettera c) del comma 1 dell’art. 38, deve contenere tutte le sentenze di condanna subite, a prescindere dalla entità del reato e dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete esclusivamente alla stazione appaltante ” (Cons. Stato, Sez. V, 28 settembre 2015, n. 4511). Da ciò “ il corollario (...) per il quale non si può predicare l’applicabilità mera del c.d. “falso innocuo” alle procedure d’evidenza pubblica, perché la completezza delle dichiarazioni consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell'azione amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione sull'ammissione dell'operatore economico alla gara (cfr. Cons. St., III, 15 gennaio 2014 n. 123), sicché detta completezza è, in sé, un valore da perseguire ” (Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2018, n. 6726).

14. Non induce a diverse conclusioni la prospettazione della ricorrente, secondo la quale l’entrata in vigore dell’articolo 39 del decreto legge n. 90 del 2014, che ha novellato il decreto legislativo n. 163 del 2006, introducendo il comma 2- bis dell’articolo 38 e il comma 1- bis dell’articolo 46, avrebbe positivizzato il principio della prevalenza – per così dire – della sostanza sulla forma nella valutazione delle dichiarazioni degli operatori.

14.1. Va osservato, anzitutto, che il comma 3 dell’articolo 39 del decreto legge (comma poi abrogato dall’articolo 217, comma 1, lett. qq) , del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) ha disposto l’applicazione delle novelle introdotte esclusivamente alle procedure di affidamento indette successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto legge n. 90 del 2014. E tale data (25 giugno 2014) è successiva sia all’indizione della gara per l’affidamento della convenzione relativa ai servizi di facility management (risalente al 2010), sia alla data (13 giugno 2014), riportata nel ricorso, dell’ordine diretto di acquisto da C a -OMISSIS- cui si riferisce il subappalto.

Le norme invocate non sono, perciò, applicabili nella fattispecie in esame.

14.2. Il richiamo normativo è, comunque, inconferente, atteso che, nel caso oggetto del presente giudizio, si è in presenza di una dichiarazione resa in termini obiettivamente non rispondenti al vero – come subito si dirà – e non di una dichiarazione semplicemente mancante, incompleta o irregolare, con la conseguenza che non è applicabile la novella introdotta dal comma 2- bis dell’articolo 38 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 settembre 2018, n. 5500). E questa circostanza assume rilevanza sostanziale, e non meramente formale, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte, atteso che – come detto – l’esclusione costituisce, nella fattispecie, una diretta conseguenza delle previsioni dell’articolo 38, comma 1, lett. c) , e comma 2 del decreto legislativo n. 163 del 2006.

15. Ancora, la tesi della ricorrente non trova riscontro nelle previsioni dell’articolo 45 della direttiva 2004/18/CE.

La disposizione cui si riferisce la parte è quella contenuta al paragrafo 2, lett. g) , ove si prevede che possa essere escluso dalla gara l’operatore economico “ che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni ”.

Al riguardo, deve tenersi presente che il giudizio di “ grave colpevolezza ”, ai fini dell’esclusione dalla gara (o del diniego di autorizzazione al subappalto), è stato anticipato dal legislatore, in coerenza con la circostanza che, nell’ordinamento italiano, l’operatore è chiamato a rendere apposite dichiarazioni sostitutive, sotto la propria piena responsabilità anche penale, in ordine a precise circostanze, che è perciò tenuto a verificare scrupolosamente.

Secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza, la dichiarazione mendace porta quindi all’esclusione dalla gara anche per l’articolo 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, nonché in forza dello stesso articolo 45 della direttiva 2004/18/CE (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 settembre 2018, n. 5500).

16. Né potrebbe ritenersi – come sostiene la ricorrente nel terzo motivo di ricorso – che le dichiarazioni in ordine al possesso dei requisiti di ordine generale debbano essere diversamente valutate dall’Amministrazione laddove non si tratti dell’aggiudicazione della gara, ma dell’autorizzazione del subappalto, atteso che tale distinzione non è affatto rinvenibile nella legge, la quale al contrario assicura che il ricorso al subappalto non possa valere a eludere l’applicazione delle regole applicabili ai concorrenti.

17. Ciò posto, deve poi osservarsi in punto di fatto che il modello per la dichiarazione sostitutiva fornito dalla stazione appaltante recava – per quanto qui rileva – puntuali istruzioni sulle modalità di compilazione, poiché specificava che: “ Al fine di consentire alla C S.p.A. di poter valutare l’incidenza dei reati sulla moralità professionale il concorrente è tenuto ad indicare, allegando ogni documentazione utile, tutti i provvedimenti di condanna passati in giudicato compresi quelli per cui si sia beneficiato della non menzione, riferiti a qualsivoglia fattispecie di reato, fatti salvi esclusivamente i casi di depenalizzazione ed estinzione del reato (quest’ultima dichiarata dal giudice dell’esecuzione) dopo la condanna stessa, di condanne revocate, di quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione pronunciata dal Tribunale di sorveglianza ”.

A fronte di tali univoche prescrizioni, la legale rappresentante di -OMISSIS- ha compilato il modello dichiarando sotto la propria responsabilità “ che nei confronti dei soggetti di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c), del D. Lgs. n. 163/2006 (...) non sono state pronunciate condanne con sentenza passata in giudicato, o emessi decreti penali di condanna divenuti irrevocabili, oppure sentenze di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., o condanne per le quali abbia beneficiato della non menzione ”, senza fare menzione della condanna riportata dal socio che aveva anche la veste di direttore tecnico, nonostante per tale condanna, alla data della dichiarazione, non fosse stata dichiarata l’estinzione, né fosse intervenuta la riabilitazione.

18. Peraltro, anche a prescindere dalle espresse indicazioni contenute nella lex specialis di gara, la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire che il mero decorso del termine di legge per l’estinzione del reato non esime l’operatore dal dichiarare la condanna riportata, fino a quando l’estinzione non sia stata accertata dal giudice dell’esecuzione penale, “ che è l'unico soggetto al quale l'ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria ” (così, ex multis , Cons. Stato, Sez. V, 3 dicembre 2014, n. 5972). Si è, inoltre, rimarcato che “ Non può rilevare in contrario l’orientamento del giudice penale, affermato ai fini dell’individuazione della decorrenza anticipata degli effetti dell’estinzione a tutela del condannato, ma che prescinde dalla considerazione del contesto procedimentale nel quale, invece, l’estinzione rileva ai fini in questione. La stazione appaltante si trova a dover considerare, senza il dovere (e talvolta neanche la possibilità) di poter sospendere la propria valutazione, la rilevanza di una condanna, e non può che tener conto della sua esistenza, fino a che non sia intervenuta una valutazione dell’unico giudice competente, quello penale, in ordine al venir meno dei suoi effetti ed all’adozione del conseguente provvedimento dichiarativo ” (così ancora Cons. Stato n. 2548 del 2017, cit.).

A maggior ragione tali considerazioni valgono con riferimento alla riabilitazione – che risulta essere stata concessa soltanto il 14 luglio 2015 – trattandosi di un provvedimento rimesso al Tribunale di sorveglianza, previo riscontro delle condizioni stabilite all’articolo 179 cod. pen.

19. E’ priva di rilievo, poi, la circostanza che l’omessa dichiarazione della condanna possa essere stata dovuta a una mera dimenticanza commessa in buona fede, secondo quanto sostenuto dalla ricorrente.

Come chiarito dalla giurisprudenza, infatti, le dichiarazioni sostitutive, incluse quelle rese ai fini dell’affidamento delle commesse pubbliche, sono rette dal principio di autoresponsabilità, per cui la stazione appaltante è tenuta a prendere in considerazione la loro obiettiva non rispondenza al vero, a prescindere dal dolo o dalla colpa del dichiarante, traendone le conclusioni imposte dalla legge;
e ciò anche alla luce della previsione dell’articolo 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in forza del quale la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici conseguiti, senza che tale disposizione lasci alcun margine di discrezionalità all’Amministrazione (cfr., al riguardo, Cons. Stato, Sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5707).

20. Per le ragioni sin qui esposte, vanno pure disattese le considerazioni svolte dalla ricorrente nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, ove la parte sostiene che la legale rappresentante della società avrebbe confidato in buona fede sull’intervenuta dichiarazione di estinzione del reato, la quale avrebbe dovuto essere pronunciata d’ufficio, in base alle previsioni del codice di procedura penale previgente all’attuale.

A prescindere dalla circostanza che – come correttamente eccepito dalla difesa di C – la censura risulta irritualmente introdotta soltanto con la suddetta memoria, deve osservarsi che rimane comunque incontestata la circostanza che l’estinzione del reato non fosse stata in concreto dichiarata dal giudice penale e che, conseguentemente, la condanna dovesse essere menzionata nella dichiarazione sostitutiva, senza che, come detto, possa rilevare lo stato di buona o mala fede della legale rappresentante che ha reso tale dichiarazione.

21. Le considerazioni fin qui esposte non sono scalfite dalla circostanza che l’ANAC abbia disposto l’archiviazione del procedimento di annotazione avviato a seguito della segnalazione di C, stante la diversa natura del suddetto iter , nell’ambito del quale la disciplina primaria attribuisce rilevanza allo stato di dolo o colpa grave del dichiarante (v. articolo 38, comma 1- ter , del decreto legislativo n. 163 del 2006).

22. Per le ragioni sin qui illustrate, non può neppure riscontrarsi il lamentato difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della condanna ai fini della valutazione della moralità professionale dell’operatore, in quanto l’annullamento dell’autorizzazione al subappalto è stato disposto per l’omessa dichiarazione, che come detto è sufficiente di per sé a sorreggerla.

23. Non convincono, infine, le allegazioni con le quali la ricorrente sostiene che, laddove si ritenesse di interpretare l’articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006 nel senso di farne discendere l’esclusione dell’operatore in ogni ipotesi di omessa dichiarazione di condanne, senza alcun possibile temperamento, la norma risulterebbe incompatibile con gli articoli 3 e 97 della Costituzione.

Al riguardo, non occorre prendere in considerazione l’eccezione di genericità dei dedotti profili di illegittimità costituzionale, sollevata dalla difesa di C. E’, infatti, sufficiente ricordare che la ratio della previsione normativa, che ne manifesta la logicità e la coerenza con il sistema, è stata da tempo chiarita dalla giurisprudenza, la quale ha avuto modo di affermare che “ la completezza e la veridicità (sotto il profilo della puntuale indicazione di tutte le condanne riportate) della dichiarazione sostitutiva di notorietà rappresentano lo strumento indispensabile, adeguato e ragionevole, per contemperare i contrapposti interessi in gioco, quello dei concorrenti alla semplificazione e all'economicità del procedimento di gara (a non essere, in particolare, assoggettati ad una serie di adempimenti gravosi, anche sotto il profilo strettamente economico, come la prova documentale di stati e qualità personali, che potrebbero risultare inutili o ininfluenti) e quello pubblico, delle amministrazioni appaltanti, di poter verificare con immediatezza e tempestività se ricorrono ipotesi di condanne per reati gravi che incidono sulla moralità professionale, potendo così evitarsi ritardi e rallentamenti nello svolgimento della procedura ad evidenza pubblica di scelta del contraente, così realizzando quanto più celermente possibile l'interesse pubblico perseguito proprio con la gara di appalto (Cons. St., sez. V, 1378 del 6 marzo 2013;
sez. VI, 10 dicembre 2012, n. 6291;
sez. III, 17 agosto 2011, n. 4792), così che la sola mancata dichiarazione dei precedenti penali o di anche solo taluno di essi, indipendentemente da ogni giudizio sulla loro gravità, rende legittima l'esclusione dalla gara (Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2012, n. 1646;
sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2597)
” (così Cons. Stato, n. 5972 del 2014, cit.).

Da ciò discende la manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale prospettati dalla ricorrente.

24. In conclusione, alla luce di tutto quanto sin qui esposto, tutti i motivi di impugnazione vanno respinti.

25. Dal mancato accoglimento della domanda di annullamento discende anche il rigetto della domanda risarcitoria.

26. Valutate, peraltro, tutte le circostanze, e tenuto conto degli specifici profili della vicenda amministrativa, va disposta la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

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