TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2012-04-03, n. 201201542
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N. 01542/2012 REG.PROV.COLL.
N. 04304/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4304 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
C R, rappresentato e difeso dagli avv. G F e R C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giuseppe Fava, in Napoli, via S.G. dei Capri, 139;
contro
Comune di Napoli in Persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, A A, E C, B C, A C, A I F, G P, A P, B R, G R, G T, con domicilio presso l’Avvocatura Municipale, in Napoli, p.zza S. Giacomo;
per l'annullamento
- con il ricorso principale
della disposizione dirigenziale n. 1104 del 22.12.2008 di demolizione di opere abusive;
- con ricorso per motivi aggiunti
della comunicazione di motivi ostativi prot. n. 3185 del 2009;
- con ricorso per ulteriori motivi aggiunti
della disposizione dirigenziale n. 592 del 4.12.2009 di rigetto di istanza di sanatoria e rinnovo dell’ordine di demolizione di opere abusive;
- con ricorso per ulteriori motivi aggiunti
della disposizione dirigenziale n. 421 del 21.10.2010 di acquisizione gratuita al patrimonio comunale;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli in Persona del Sindaco P.T.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2012 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Comune di Napoli, con Disposizione Dirigenziale n. 1104 del 22.12.2008, ordinava alla parte ricorrente, in qualità di responsabile, la demolizione di opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi ed, in particolare, di “1. modificazione della destinazione d’uso di un terreno agricolo di circa 1.200 mq. a parcheggio auto mediante posa di conglomerato bituminoso al calpestio, griglie per la raccolta di acqua piovana e muratura di recinzione alta circa m. 2,50 e due cancelli in ferro di accesso;2. Manufatto in muratura di circa m. 140 x H m. 2,80 coperto da lamiere coibentate;sottoposto al piano stradale di circa m. 1,30”, realizzate senza premesso di costruire in Napoli, Via Aldo Cocchia, posteriormente un preesistente corpo di fabbrica costituito da 5 piani al numero civico 22.
Parte ricorrente impugnava la suindicata Disposizione Dirigenziale, nonché ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, per i seguenti motivi:
1) Lamentava parte ricorrente che solo una piccola parte dell’area in questione avrebbe avuto una destinazione “nE componenti strutturali la conformazione del territorio” mentre la maggior parte rientrerebbe sotto la classificazione di “zona C ristrutturazione urbanistica”.
Deduceva, altresì, parte ricorrente che per il cambio di destinazione d’uso sarebbe stata presentata una D.I.A. mentre il secondo cancello, oltre quello preesistente, sarebbe stato regolarmente autorizzato.
Si doleva, ancora, per il difetto di motivazione per non aver il provvedimento gravato evidenziato le ragioni per la scelta del provvedimento demolitorio e della mancata applicazione di una misura sanzionatoria pecuniaria, anche ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. 380/01.
2) Lamentava, inoltre, parte ricorrente, la violazione dell’art.7 della legge n.241/90 per aver l’amministrazione omesso la comunicazione di avvio del procedimento che ha portato al provvedimento gravato.
Si costituiva il Comune intimato formulando argomentazioni difensive.
Parte ricorrente presentava, in data 9.7.2009 (bolletta n. 113295), un’istanza di sanatoria ex art. 37 D.P.R. n.380/01 relativa alle opere in questione.
Il Comune in questione non provvedeva e parte ricorrente, con ricorso per motivi aggiunti notificato il 2.11.2009, impugnava il silenzio rigetto a suo dire formatosi sull’istanza di sanatoria, nonché la nota del Comune di Napoli che comunicava la futura adozione di un provvedimento di rigetto ex art. 10 bis legge n. 241/90, chiedendone l’annullamento.
Interveniva la Disposizione Dirigenziale n. 592 del 4.12.2009 di rigetto di istanza di sanatoria e rinnovo dell’ordine di demolizione di opere abusive.
Il rigetto veniva motivato in base alla circostanza che l’intervento sarebbe consistito nella costruzione di un immobile adibito a deposito costituito dal solo piano terra di mq. 140 e che da un fascicolo di contenzioso amministrativo(n. 7l7/07) risulterebbe che vi sarebbe stato il cambio di destinazione del terreno ad uso agricolo mediante la posa di conglomerato bituminoso al calpestio e muratura di recinzione con due cancelli di accesso.
La sanatoria non sarebbe stata quindi concedibile in quanto in zona Bb gli art. 31 e 33 della variante generale al PRG consentirebbero solo interventi di ristrutturazione edilizia a parità di volume e non la realizzazione di nuovi volumi.
Parte ricorrente, con ulteriore ricorso per motivi aggiunti notificato l’8.2.2010, impugnava anche questo provvedimento, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
1) Il diniego sarebbe intervenuto tardivamente ed inoltre risulterebbe illegittimo in quanto il manufatto ricadrebbe per la maggior parte in zona B agglomerati urbano di recente formazione, sottozona Bb espansione recente, in cui sarebbe consentito dagli strumenti urbanistici vigenti il cambio di destinazione d’uso;
2) Le opere di recinzione e delimitazione del lotto, nonché l’apertura di un nuovo accesso carrabile sarebbero legittime in quanto oggetto di D.I.A..
Il Comune di Napoli, con Disposizione Dirigenziale n. 421 del 21.10.2010, comunicava l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive e della relativa area di sedime, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/01.
Parte ricorrente, con ricorso per ulteriori motivi aggiunti, impugnava anche quest’ultimo provvedimento, chiedendone l’annullamento, oltre che per illegittimità derivata, per i seguenti motivi:
1) Lamentava la mancata notifica al ricorrente dell’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, ritenuta causa di illegittimità del provvedimento di acquisizione gravato;
2) Deduceva la genericità dell’ordinanza di acquisizione che non avrebbe specificato in maniera precisa le opere da acquisire né la relativa area di sedime.
L’adito T.A.R., con ordinanza sospensiva n. 1736/2011 “Atteso che, prima facie, il ricorso appare sfornito di fumus boni iuris, in quanto la D.I.A. presentata da parte ricorrente aveva ad oggetto il completamento del muro di recinzione ed un cancello e non prevedeva opere comportanti cambio di destinazione d’uso del terreno;Rilevato che l’istanza di accertamento di conformità aveva ad oggetto la costruzione di un deposito seminterrato;Considerato che, in base ad una prima sommaria delibazione, il diniego di accertamento di conformità appare immune dai vizi dedotti perché gli strumenti urbanistici vigenti non consentivano la realizzazione di nuovi volumi, né sussisteva alcun titolo per le opere comportanti il cambio di destinazione;Ritenuto, inoltre, che la notifica del verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione, non ha alcun contenuto dispositivo, limitandosi a constatare l’inadempimento all’ordine di demolizione, e, quindi, non è necessario che lo stesso venga notificato al responsabile dell’abuso prima di adottare il provvedimento con cui si dispone l’acquisizione gratuita (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 19 gennaio 2010, n. 195) e che, nel caso di specie, non si ravvisa l’indeterminatezza dell’area da acquisire;Considerato, inoltre che, prima facie ed in attesa la necessità di eventuali ulteriori accertamenti sulla natura degli interventi, paiono ricorrere profili di accoglibilità dell’istanza cautelare per la sola parte relativa alla realizzazione della recinzione e dei relativi cancelli”, accoglieva la domanda cautelare per la sola parte relativa alla recinzione ed ai cancelli.
DIRITTO
1) Il ricorso principale è in parte infondato ed, in parte, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Il Comune ha ordinato la riduzione in pristino (i) della modificazione della destinzione d’uso di un terreno agricolo di circa 1.200 mq. a parcheggio auto, mediante posa di conglomerato bituminoso al calpestio, griglie per la raccolta di acqua piovana e muratura di recinzione alta circa m. 2,50 e due cancelli in ferro di accesso e (ii) del Manufatto in muratura di circa m. 140 x H m. 2,80 coperto da lamiere coibentate;sottoposto al piano stradale di circa m. 1,30”, in quanto realizzate senza premesso di costruire.
In riferimento a tale motivazione parte ricorrente ha dedotto di aver presentato una D.I.A..
La D.I.A. però risulta essere riferita esclusivamente ad “opere di recinzione a delimitazione del lotto di proprietà, interno al lotto comune già recintato ed all’apertura di un vano carrabile su via tiglio per l’accesso al lotto di proprietà” ed, in particolare, come indicato nella relazione tecnica descrittiva asseverata, “interventi relativi alla recinzione con muratura di tufo a delimitazione del lotto di proprietà”, con il “completamento del muro di cinta per la delimitazione del lotto, con realizzazione di un nuovo acceso carrabile con cancello ad apertura automatizzata .
La stessa pertanto non riguardava né il cambio di destinazione d’uso del terreno in parcheggio auto (con la posa di conglomerato bituminoso al calpestio, griglie per la raccolta di acqua piovana) né il manufatto in muratura di circa m. 140 x H m. 2,80.
La parte ha successivamente presentato (come indicato nella parte in fatto) una istanza di sanatoria che, però, aveva ad oggetto la sola costruzione del manufatto (definito deposito seminterrato).
1.1) Alla luce di quanto indicato, pertanto il ricorso si rivela improcedibile per la sola parte che riguarda l’ordine di demolizione e riduzione in pristino del manufatto in muratura.
Il Collegio aderisce all'orientamento giurisprudenziale secondo cui la presentazione di un'istanza di sanatoria in epoca successiva all'adozione dell'ordinanza di demolizione ha automatico effetto caducante sull'ordinanza di demolizione, rendendola inefficace.
La presentazione di una siffatta domanda di sanatoria produce, quindi, l'effetto di rendere improcedibile l'impugnazione contro l'atto sanzionatorio per sopravvenuta carenza di interesse, posto che il riesame dell'abusività dell'opera, provocato dall'istanza, sia pure al fine di verificarne l'eventuale sanabilità, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito o implicito (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa.
Nel senso dell'improcedibilità si è già peraltro più volte espressa la giurisprudenza anche di questo tribunale amministrativo con riferimento sia alle istanze di condono edilizio, sia alle richieste di accertamento di conformità ex art. 36 TU 6.6.2001 n. 380, presentate dopo l'ordinanza di demolizione (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 7 novembre 2008, n. 1482;T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 22 ottobre 2008 , n. 17688;T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 18 settembre 2008, n. 10346;T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 16 settembre 2008 , n. 10220;T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 18 marzo 2008, n. 1399;TAR Lombardia - Milano, Sez.II, 30.1. 2008 n. 255/08;TAR Lombardia - Milano, Sez.II, 27. 2. 2008 n. 545/08;Consiglio Stato, sez. V, 26 giugno 2007, n. 3659).
Tale istanza, inoltre, è stata negativamente decisa con l'anzidetta Disposizione Dirigenziale n. 4118 del 10.12.2009, impugnata con motivi aggiunti, che ha contestualmente rinnovato l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi.
Il nuovo ordine di demolizione si presenta, quindi, come un nuovo provvedimento demolitorio sostitutivo del provvedimento gravato nel presente giudizio.
Ciò comporta, quindi, il venir meno dell'interesse di parte ricorrente a proseguire il giudizio per ottenere l'annullamento del provvedimento di demolizione originario.
La lesione alla sfera giuridica del ricorrente deriva, difatti, unicamente dal nuovo ordine di demolizione (cfr. Tar Campania Napoli, sez. III, sent. n. 2579/04).
Per quanto anzidetto il ricorso principale risulta allo stato improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse per la parte relativa all’ordine di demolizione e riduzione in pristino del manufatto in muratura.
1.2) Il ricorso si palesa infondato per la parte riguardante la modificazione della destinazione d’uso del terreno e la muratura di recinzione alta circa m. 2,50 e due cancelli in ferro di accesso.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente ha asserito che solo una piccola parte dell’area in questione avrebbe avuto una destinazione “nE componenti strutturali la conformazione del territorio” mentre la maggior parte rientrerebbe sotto la classificazione di “zona C ristrutturazione urbanistica”.
Ha, altresì, dedotto che per il cambio di destinazione d’uso sarebbe stata presentata una D.I.A. mentre il secondo cancello, oltre quello preesistente, sarebbe stato regolarmente autorizzato mediante un’autorizzazione all’apertura di un passo carrabile.
1.2.1) Ora per quanto riguarda il cambio di destinazione d’uso del terreno a parcheggio auto, mediante posa di conglomerato bituminoso al calpestio e griglie per la raccolta di acqua piovana, il Collegio osserva che il motivo dell’ordinanza di demolizione e ripristino è l’assenza del permesso di costruire, tant’è che la stessa è stata emessa ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 che si riferisce appunto agli “Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”, comminando la sanzione ripristinatoria.
Rispetto a tale motivo non assume rilevanza che solo una piccola parte dell’area in questione avrebbe avuto una destinazione nE.
Tale circostanza, anche qualora confermata, non toglierebbe valore alla motivazione del provvedimento relativo all’assenza di titolo edilizio per la realizzazione degli interventi.
In tal senso, peraltro, tale intervento non era stato nemmeno oggetto di D.I.A., riferita al solo completamento del muro di recinzione ed ad un cancello, né è rientrato nell’oggetto dell’istanza di accertamento di conformità ed, in ogni caso, la tipologia delle opere (cambio di destinazione di uso con rilevanti opere di trasformazione dell’area) avrebbero necessitato il permesso di costruire.
Inoltre è pacifico in giurisprudenza che, una volta accertata l'illecita esecuzione delle opere per l’assenza del permesso di costruire, ne deve essere disposta la demolizione indipendentemente dalla verifica della loro eventuale conformità allo strumento urbanistico e della loro sempre eventuale sanabilità (Consiglio Stato, sez. V, 9 gennaio 1996, n. 29).
La doglianza si rivela quindi infondata.
Sotto tale profilo pertanto il provvedimento gravato si palesa legittimo.
1.2.2) Allo stesso modo la doglianza si rivela infondata per la parte relativa alla muratura di recinzione ed ai cancelli in ferro di accesso oggetti di D.I.A. e di una supposta autorizzazione.
L’intervento in questione si presenta strumentale al cambio di destinazione d’uso e, pertanto, ne deve seguire il regime sanzionatorio presentandosi tra le opere poste in essere in funzione della trasformazione del terreno a parcheggio.
Ciò è peraltro sostanzialmente indicato nel provvedimento gravato che indica l’intervento sulla muratura di recinzione e sui cancelli tra le opere i tra gli interventi con i quali si è modificata la destinazione d’uso del terreno, senza che peraltro parte ricorrente abbia contestato tale strumentalità limitandosi a sostenere l’esistenza di titoli edilizi puntuali per la realizzazione di questi interventi.
Il Collegio, fermo quanto anzidetto, evidenzia, infine, come la realizzazione del muro di recinzione in muratura necessiti del titolo edilizio del permesso di costruire e non sia sufficiente, a questo proposito, la presentazione di una D.I.A..
La giurisprudenza prevalente, difatti, cui il Collegio aderisce, considera che la valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione vada effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 3 luglio 2007, n. 5968;T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 23 settembre 2003 , n. 6196).
Di conseguenza, si ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 4 luglio 2007, n. 6458;T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 8 maggio 2007, n. 4821;T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, 26 gennaio 2007, n. 82;T.A.R. Veneto Venezia, sez. II, 7 marzo 2006, n. 533);al contrario occorre il permesso di costruire, quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (T.A.R. Basilicata Potenza, 19 settembre 2003, n. 897) o da opera muraria (Cassazione penale , sez. III, 13 dicembre 2007, n. 4755).
Nel caso di specie, considerata la natura e le dimensioni della recinzione in questione (fatta in muratura ed alta circa m. 2,50), il muro di recinzione richiedeva il permesso di costruire.
Ora parte ricorrente, sebbene abbia depositato la D.I.A. relativa agli interventi modificativi di un muro di recinzione, anche costruzioni di parti di muratura in tufo, non ha allegato alcun titolo idoneo a giustificare la realizzazione della originaria recinzione e, pertanto, anche in tal senso il provvedimento si presenta legittimo.
1.2.3) Infondata è, altresì, la censura, sempre contenuta nel primo motivo di ricorso, relativa alla mancata evidenziazione da parte del provvedimento gravato delle ragioni per la scelta del provvedimento demolitorio e della mancata applicazione di una misura sanzionatoria pecuniaria, anche ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. 380/01.
I provvedimenti che irrogano sanzioni previste dalla legge in materia edilizia non necessitano, difatti, di alcuna specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico a disporre il ripristino della situazione conforme a legge (è controversa in giurisprudenza la sola ipotesi in cui tra l’illecito e la sanzione demolitoria sia decorso un notevole lasso di tempo TAR Veneto, Sez. II - sentenza 13 marzo 2008 n. 605;TAR Veneto, Sez. II - sentenza 26 febbraio 2008, n. 454;.TAR Lombardia - Milano, Sez. II - sentenza 8 novembre 2007 n. 6200), né il Comune ha discrezionalità nello stabilire le sanzioni derivanti dall’inosservanza della normativa urbanistica e di tutela ambientale.
Allo stesso modo, per diversi ordini di motivi, è priva di fondamento è la censura basata sulla mancata applicazione dell’art. 34, D.P.R. 380/01.
In primo luogo l’impossibilità di porre in essere il ripristino senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, di cui all’art. 34, comma 2, D.P.R. 380/01, può essere rilevata d'ufficio o fatta valere dall'interessato solo nella fase esecutiva, e, non come nel caso di specie in relazione all'ingiunzione, a carattere diffidatorio contenuta nel provvedimento gravato, che precede l'ordine di demolizione (Consiglio Stato, sez. V, 21 maggio 1999 , n. 587;T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 05 giugno 2008, n. 5244).
La valutazione della possibilità o meno del ripristino deve infatti essere compiuta, ad opera dell’ufficio tecnico comunale, in sede di esecuzione dell’ingiunzione di demolizione.
Detta conclusione risulta condivisa dalla giurisprudenza, sia in relazione all’applicazione dell’art. 33, comma 2, D.P.R. 380/01 (cfr T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 17 aprile 2007, n. 3327 secondo cui “la sanzione pecuniaria per interventi ristrutturativi risulta essere misura eccezionale, alternativa alla demolizione solo ove risulti l'impossibilità del ripristino. Detta impossibilità può essere rilevata d'ufficio o fatta valere dall'interessato, ma comunque in una fase successiva all'ingiunzione, a carattere diffidatorio, che precede l'ordine di demolizione - quest'ultimo da emettere sulla base di specifici accertamenti dell'ufficio tecnico comunale, chiamato ad intervenire nella fase esecutiva - cfr. in tal senso TAR Lombardia, Brescia, 9.12.2002, n. 2213”), sia in relazione all’applicazione dell’art. 34, comma 2, D.P.R. 380/01 (Consiglio Stato, sez. V, 21 maggio 1999 , n. 587;T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 05 giugno 2008, n. 5244).
Pertanto l’ordine di demolizione adottato nei confronti del responsabile dell’opera abusiva, affinchè provveda spontaneamente alla eliminazione della situazione illegittima nel termine prefissato nell’ordinanza sindacale – ora dirigenziale – ha natura di atto di diffida, prodromico alle valutazioni e alle determinazioni che la p.a. dovrà adottare nell’eventualità che il destinatario non ottemperi spontaneamente (C.d.S, sez. VI, 28 febbraio 2000, n. 1055;T.A.R. Calabria, 2 giugno 1999, n. 735;T.A.R. Sardegna, 10 giugno 1999, n. 767).
In secondo luogo l’impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi non può assumere alcuna valenza per le opere oggetto dell’ingiunzione di demolizione in questione, in quanto la stessa è stata emessa ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/01 che non contempla al riguardo l’irrogazione di una sanzione pecuniaria alternativa rispetto all’ingiunzione di demolizione ( T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 5 giugno 2008, n. 5244) e che pertanto la stessa non può trovare applicazione rispetto agli interventi, come quello in esame, caratterizzato dalla mancanza del permesso di costruire (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 4 aprile 2008 , n. 1883;T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 28 dicembre 2007 , n. 16550).
L’invocato art. 34 del D.P.R. n. 380/01 si riferisce difatti esclusivamente alla differente situazione di opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire.
In terzo luogo, la censura è stata formulata in modo del tutto generico non specificando in alcun modo le ragioni per cui la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, né tantomeno quale sarebbe la parte eseguita in conformità, non avendo quindi in alcun caso la parte non ha assolto in modo idoneo all’onere di allegazione.
1.3) Infondato appare il secondo motivo relativo alla violazione dell’art.7 della legge n.241/90 per aver l’amministrazione omesso la comunicazione di avvio del procedimento che ha portato al provvedimento gravato.
Il Collegio evidenzia, al riguardo, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in ragione del contenuto rigidamente vincolato che li caratterizza, gli atti sanzionatori in materia edilizia, tra cui l'ordine di demolizione di costruzione abusiva, non devono essere preceduti dalla comunicazione d'avvio del relativo procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7129).
In ogni caso il Collegio, in considerazione delle espresse ragioni di rigetto degli altri motivi di ricorso, ritiene applicabile al caso in esame il disposto dell’art. 21 octies della legge n.241/90, ai sensi del quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, vertendosi in ambito provvedimentale vincolato e risultando che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
2) Il primo ricorso per motivi aggiunti è in parte inammissibile ed in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Il ricorso per motivi aggiunti in questione difatti era volto alla duplice impugnativa (i) del silenzio rigetto formatosi, ai sensi del medesimo art. 36 D.P.R. n.380/01, sull’istanza di accertamento di conformità, (ii) della nota del Comune di Napoli che comunicava la futura adozione di un provvedimento di rigetto ex art. 10 bis legge n. 241/90.
2.1) Ora la comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10 bis legge n. 241/90 è chiaramente un atto endoprocedimentale non lesivo e, come tale, non autonomamente impugnabile e, pertanto, il ricorso per tale parte deve dichiararsi inammissibile.
2.2) Quanto al silenzio rigetto risulta determinante la circostanza che il Comune ha, successivamente all’introduzione del ricorso per motivi aggiunti, deciso espressamente in senso negativo l’istanza di accertamento di conformità, con Disposizione Dirigenziale n. 592 del 4.12.2009 (poi impugnata con ulteriori motivi aggiunti), che ha, altresì, rinnovato l’ordine di demolizione di opere abusive.
Ne consegue che nessuna utilità deriverebbe ai ricorrenti dall'accoglimento del ricorso introduttivo.
Occorre, in particolare, evidenziare che con il diniego espresso, il rigetto tacito, formatosi a seguito del decorso del termine di sessanta giorni previsto dall'art. 36 del citato D.P.R., deve intendersi superato, con la conseguenza che l'unico atto lesivo della sfera giuridica degli interessati resta il provvedimento espresso.
Al riguardo, infatti, si evidenzia che, anche a seguito del formarsi del silenzio-rigetto sulla domanda di accertamento di conformità, l'Amministrazione conserva il potere di provvedere in via esplicita in ordine alla conformità delle opere ed, in ipotesi di rigetto dell'istanza medesima, l'atto in quanto emesso a seguito di istruttoria e dotato di motivazione esplicita, non può intendersi come meramente confermativo del diniego formatosi in via tacita (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 13 luglio 2010, n. 16689).
Il primo ricorso per motivi aggiunti, per la parte relativa all’impugnativa del silenzio rigetto formatosi sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica risulta quindi, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
3) Il secondo ricorso per motivi aggiunti, con il quale è stata impugnata la Disposizione Dirigenziale n. 592 del 4.12.2009 di rigetto di istanza di sanatoria e rinnovo dell’ordine di demolizione di opere abusive, risulta essere in parte inammissibile ed in parte infondato.
Al riguardo il Collegio puntualizza preliminarmente come l’istanza di accertamento di conformità riguardasse il solo immobile adibito a deposito costituito da un’unità al piano terra di mq. 140.
Ciò risulta chiaramente dalla domanda di sanatoria ed è in conformità con il tenore del provvedimento gravato, che da conto che l’intervento eseguito riguarda l’immobile adibito a deposito, indicando poi l’esistenza di un fascicolo di contenzioso amministrativo (n. 7l7/07) nell’ambito del quale era stata emessa un’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi concernente un cambio di destinazione del terreno mediante la posa di conglomerato bituminoso al calpestio e muratura di recinzione con due cancelli di accesso.
Oggetto di controversia sul diniego può essere quindi l’esistenza dei requisiti per l’accertamento di conformità del solo immobile adibito a deposito.
3.1) Nel primo motivo di ricorso parte ricorrente ha lamentato che diniego sarebbe intervenuto tardivamente, dopo lo spirare del termine previsto per la formazione del silenzio sulle istanze di sanatoria dal D.P.R. 380/2001, e che il manufatto ricadrebbe per la maggior parte in zona B agglomerati urbano di recente formazione, sottozona Bb espansione recente che consentirebbe il cambio di destinazione d’uso.
3.1.1) La censura di tardività risulta infondata in quanto spirare del termine previsto dall’art. 36, comma 3, del D.P.R. 380/2001 per il formarsi del silenzio rigetto non consuma il potere dell’Amministrazione di adottare una decisione espressa sull’istanza di sanatoria.
Il decorso del termine di sessanta giorni sull'istanza di accertamento di conformità ha, difatti, valore di silenzio rigetto ai sensi dell'art. 36 comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, con la conseguente formazione di un provvedimento tacito impugnabile negli ordinari termini di impugnazione (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 11 gennaio 2010 , n. 28;T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 10 maggio 2010 , n. 3488).
Anche a seguito del formarsi del silenzio-rigetto sulla domanda di accertamento di conformità, però, l'Amministrazione conserva il potere di provvedere in via esplicita in ordine alla conformità delle opere e, in ipotesi di rigetto dell'istanza medesima, l'atto in quanto emesso a seguito di istruttoria e dotato di motivazione esplicita, non può intendersi come meramente confermativo del diniego formatosi in via tacita (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 13 luglio 2010 , n. 16689).
3.1.2) Anche la censura basata sulla circostanza che la maggior parte del terreno ricadrebbe in zona B agglomerati urbano di recente formazione, sottozona Bb, è infondata.
In tale censura parte ricorrente ha dedotto che la destinazione urbanistica del terreno avrebbe consentito cambi di destinazione d’uso.
Il Collegio ha però già indicato come l’istanza di sanatoria avesse riguardato solo l’immobile adibito a deposito.
Rispetto a quest’ultimo del tutto legittimo si palesa il diniego perché basato proprio sul ricadere la zona in questione in zona Bb, nell’ambito della quale gli art. 31 e 33 della variante generale al PRG consentono solo interventi di ristrutturazione edilizia a parità di volume e non la realizzazione di nuovi volumi operata con la realizzazione del deposito oggetto dell’stanza di sanatoria.
3.2) Inammissibile e, comunque, infondato risulta essere anche il secondo motivo di ricorso per motivi aggiunti con cui parte ricorrente ha dedotto l’illegittimità dell’ordine di demolizione laddove disposto anche nei confronti delle opere di recinzione e delimitazione del lotto, nonché dell’apertura di un nuovo accesso carrabile sarebbero legittime in quanto tali interventi sarebbero stati oggetto di D.I.A..
L’istanza di sanatoria, difatti, riguardava, come indicato, il solo immobile deposito e non le opere di recinzione e apertura ingressi, di tal che il rinnovo dell’ordine di ripristino deve intendersi come meramente confermativo e, pertanto, il ricorso risulta come inammissibile.
In ogni caso la censura risulterebbe infondata alla luce dei motivi già esposti in sede di scrutinio del ricorso principale.
4) Il terzo ricorso per motivi aggiunti, relativo al provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive e della relativa area di sedime, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/01, si palesa infondato.
4.1) Infondati sono i profili di illegittimità derivata del provvedimento di acquisizione relativi all’illegittimità dell’originario provvedimento di demolizione, del silenzio rigetto dell’istanza di accertamento di conformità e del provvedimento di diniego dell’accertamento di conformità che, alla luce di quanto indicato in ordine al ricorso principale ed ai ricorsi per motivi aggiunti già scrutinati, si palesano non sussistenti.
4.2) Privo di pregio è il primo motivo di ricorso incentrato sulla mancata notifica al ricorrente dell’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, ritenuta causa di illegittimità del provvedimento di acquisizione gravato, ai sensi dell’art. 31, comma 4, D.P.R. n. 380/2001.
Rileva il Collegio che, come già indicato nel provvedimento cautelare, che la notifica del verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione, non ha alcun contenuto dispositivo, limitandosi a constatare l’inadempimento all’ordine di demolizione, e, quindi, non è necessario che lo stesso venga notificato al responsabile dell’abuso prima di adottare il provvedimento con cui si dispone l’acquisizione gratuita (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 19 gennaio 2010, n. 195), rilevando l'adempimento della notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza, unicamente idoneo a consentire all'ente l'immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari del titolo dell'acquisizione (Consiglio Stato, sez. V, 12 dicembre 2008 , n. 6174;Cassazione penale , sez. III, 28 novembre 2007 , n. 4962).
La norma sull’acquisizione è chiara nel disporre che, decorso infruttuosamente il termine di legge, l'acquisizione gratuita del bene abusivo al patrimonio del Comune avviene di diritto e, quindi, automaticamente, vale a dire prescindendo dalla data di adozione del successivo atto di accertamento dell'inottemperanza.
Il presupposto giuridico dell'acquisizione de iure è, dunque, rappresentato dal fatto dell'inottemperanza all'ingiunzione a demolire, scaduto il termine di novanta giorni per provvedere in tal senso, ne consegue pertanto che l'effetto costitutivo dell'istituto acquisitivo discende direttamente dall'inutile scadenza del predetto termine, laddove la constatazione dell'inottemperanza si pone necessariamente alla stregua di un mero atto ricognitivo, con efficacia dichiarativa ed a contenuto vincolato.
La previa notifica all'interessato costituisce quindi solo un adempimento strumentale alla trascrizione ed all'immissione nel possesso del bene (Consiglio Stato, sez. V, 12 dicembre 2008 , n. 6174).
4.3) Infondato è il secondo motivo relativo ala genericità dell’ordinanza di acquisizione che non avrebbe specificato in maniera precisa le opere da acquisire e la relativa area di sedime.
Il provvedimento di acquisizione, difatti, individua sufficientemente le opere descrivendone la consistenza da acquisire e le relative aree di sedime individuata mediate le particelle catastali (p.lle 1029 e 1032 fg 10 del N.C.T.).
Infine, sempre nel secondo motivo di ricorso, parte ricorrente ha ribadito alcune ragioni relative alla non abusività delle opere in questione ed all’illegittimità del rigetto dell’istanza di accertamento di conformità.
Ora risultando essere l’atto di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime meramente consequenziale rispetto all’ordine di demolizione, tali vizi non possono essere fatti valere in via autonoma nell’ambito di questo ricorso ma possono valere solo quali illegittimità derivata all’esito dei ricorsi contro l’atto che ha disposto la demolizione.
Per le suindicate ragioni pertanto:
1) ricorso principale deve essere dichiarato in parte infondato ed, in parte, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
2) Il primo ricorso per motivi aggiunti deve essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
3) Il secondo ricorso per motivi aggiunti deve essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato.
4) Il terzo ricorso per motivi aggiunti deve dichiararsi infondato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in favore del Comune resistente come da dispositivo.