TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2023-01-26, n. 202301388

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2023-01-26, n. 202301388
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202301388
Data del deposito : 26 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/01/2023

N. 01388/2023 REG.PROV.COLL.

N. 03536/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3536 del 2016, proposto da
Soc Contourglobal Sarda III S.r.l., ora Officine Solari Aquila S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A C, T M, E G, con domicilio eletto presso lo studio Studio Legale Gianni, Origoni, Grippo&Partners in Roma, via delle Quattro Fontane n.20;

contro

G.S.E. S.p.A. - Gestore dei Servizi Energetici, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A P, A S, M A F, con domicilio eletto presso lo studio A S in Roma, via Panama, 68;

per la dichiarazione di nullità o per l'annullamento

- della nota del GSE S.p.A. prot. n. GSE/P20160003994 – 26/01/2016, recante “Impianto fotovoltaico denominato Asi Cagliari, di potenza pari a 995,40 kW, ubicato in Nc, Snc - Comune di Uta, identificato con il numero di pratica 9535, Soggetto Responsabile Contourglobal Sarda Iii Convenzione n. I08C02030306 – Sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 4 maggio 2012 – Esclusione della rivalutazione

ISTAT

2005 dal riconoscimento della tariffa incentivante – Conclusione del procedimento avviato in data 07/04/2015 e comunicazione di attivazione del recupero maggiori somme a titolo di rivalutazione ISTAT”, ricevuta in data 5 febbraio 2016;
- della nota del GSE S.p.A. prot. n. GSE/P20150047573 – 05/05/2015, recante “Impianto fotovoltaico denominato ASI CAGLIARI, di potenza pari a 995,40 kW, ubicato in NC, SNC, - Comune di UTA, località - identificato con il numero di pratica 9535, Soggetto Responsabile CONTOURGLOBAL SARDA III – Sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 4 maggio 2012 – Esclusione della rivalutazione

ISTAT

2005 dal riconoscimento della tariffa incentivante – Avvio del procedimento per la rideterminazione della tariffa e recupero”;

- di ogni altro atto precedente, conseguente e comunque connesso;

nonché per l’accertamento del diritto

- anche nell’ambito della giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. o), c.p.a., del diritto dell’impresa ricorrente alla rivalutazione ISTAT della tariffa incentivante prevista dalla Convenzione n. I08C02030306, con conseguente diritto al mantenimento delle somme ricevute a titolo di rivalutazione ISTAT oltre alle ulteriori somme dovute per la rivalutazione ISTAT per gli anni 2013 e 2014 mai corrisposte dal GSE.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Gestore dei Servizi Energetici Gse Spa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2023 la dott.ssa E Sizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - Con il ricorso all’esame parte ricorrente, titolare di un impianto fotovoltaico ammesso a godere degli incentivi di cui al D.M. 28 luglio 2005 (I Conto Energia) a seguito di istanza presentata e ritenuta ammissibile dal Gestore dei Servizi Energetici –GSE S.p.A. (d’ora innanzi GSE o Gestore) prima dell’adozione del D.M. 6 febbraio 2006, destinataria del gravato provvedimento di attivazione del recupero delle maggiori somme corrisposte a titolo di rivalutazione Istat, procede alla preliminare illustrazione del contenuto delle disposizioni contenute nel I e II Conto Energia con riferimento all’adeguamento ISTAT delle tariffe e dell’interpretazione che ne è stata fatta in sede giurisprudenziale, esponendo in particolare che:

- l’art. 6, comma 6, D.M. 28 luglio 2005 prevedeva l’aggiornamento ISTAT delle tariffe incentivanti a decorrere dal primo gennaio di ogni anno;

- l’art. 4, comma 1, del D.M. 6 febbraio 2006, frattanto approvato, aveva stabilito che il predetto adeguamento tariffario non avrebbe più operato per gli incentivi già concessi e così per tutta la durata ventennale della Convenzione, ma avrebbe riguardato unicamente la determinazione iniziale della tariffa;

- ai sensi dell’art. 8 del D.M. 6 febbraio 2006 la modifica suddetta avrebbe trovato applicazione con riguardo a tutte le domande di ammissione al beneficio presentate dopo l’entrata in vigore del D.M. 28 luglio 2005, tra le quali anche quelle formulate dalla ricorrente;

- quest’ultima disposizione veniva annullata dal T.A.R. Lombardia, con le sentenze nn. 2124, 2125 e 2126 del 2006, la seconda delle quali (n. 2125/06) confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1435/2008, la terza (n. 2126/06) e la prima (n. 2124/06), invece, rispettivamente riformate con sentenze n. 9/ 2012 dell’Adunanza Plenaria e n. 3990/2013 della Sesta Sezione;

- a seguito della pronuncia dell’Adunanza Plenaria il GSE dapprima sospendeva l’erogazione degli ulteriori aumenti ISTAT, corrispondendo per gli anni 2013 e 2014 la tariffa nella misura risultante dall'ultimo aggiornamento precedente la sentenza, relativo all'anno 2012, e successivamente, dal 1° gennaio 2015, provvedeva invece alla corresponsione della tariffa nella misura inizialmente prevista dalle Convenzioni, priva cioè dell’adeguamento;

- successivamente il Gestore avviava il procedimento di recupero delle somme erogate a titolo di rivalutazione ISTAT, il quale si concludeva con l’emanazione del gravato provvedimento – meglio descritto in epigrafe nei suoi estremi – con il quale, facendo applicazione dei principi affermati dalla citata decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, veniva disposto l’integrale recupero delle somme versate a tale titolo, individuate nella somma di € 547.407,40.

Avverso tale provvedimento parte ricorrente ha dedotto censure con le quali ha contestato, in sintesi:

a) la nullità del provvedimento per violazione del giudicato e, in particolare, della sentenza del Consiglio di Stato n. 1435/2008 con cui era stato annullato il D.M. 6 febbraio 2006, nella parte in cui negava retroattivamente l’aggiornamento ISTAT delle tariffe incentivanti, con effetti erga omnes;

b) l’illegittimità delle modalità di recupero, avuto particolare riguardo alla disposta compensazione degli importi da recuperare con le somme da versare alla ricorrente sulla base della Convenzione, stante l’assenza dei relativi presupposti;

c) la violazione dei principi generali di certezza del diritto, irretroattività, tutela del legittimo affidamento, ragionevolezza, proporzionalità e tutela dell’iniziativa economica privata, derivante dall’intervento sostanzialmente retroattivo posto in essere dal D.M. 6 febbraio 2006 e dai successivi provvedimenti del GSE, tenuto conto del lungo tempo intercorso, in violazione dei presupposti di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990;

d) la violazione del termine di 60 giorni per la conclusione del procedimento;

e) l’assenza di motivazione, anche con riferimento alle osservazioni procedimentali presentate.

Si è costituito in resistenza il GSE, il quale ha depositato documentazione e memorie difensive, sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Si è altresì costituito, con memoria di stile, il Ministero dello Sviluppo Economico.

Alla pubblica udienza del 18 gennaio 2023, in vista della quale parte ricorrente ha depositato memoria di replica, insistendo nelle proprie richieste ed ulteriormente argomentando – chiedendo al Giudice di discostarsi dagli approdi dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2012 invocando, al riguardo, il principio del prospective overruling e l’applicabilità dei principi della Plenaria solo alla rivalutazione Istat successiva alla sua adozione - la causa è stata trattenuta in decisione.

2 - I motivi di ricorso non possono essere condivisi, non avendo la Sezione ragioni per discostarsi dai numerosi precedenti (tra le tante, da ultimo sentenze nn. 1450, 1458, 1460, 2088, 2089, 2090, 11649, 13583 e 13575 del 21 ottobre 2022;
in precedenza: 1242, 1261, 7293 del 2017;
n. 9370 del 2021, n. 12881 e 12882 del 2020,) con i quali le questioni all’odierno esame sono state ampiamente delibate e non favorevolmente valutate;
precedenti che in questa sede devono essere richiamati ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 74 e art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.

Né parte ricorrente ha dedotto la sussistenza di elementi di peculiarità del caso in esame rispetto a quelli già esaminati dal Collegio, tali da giustificare un diverso orientamento del Collegio;
di tali elementi in ogni caso non emerge, dagli atti di causa, la presenza.

Ciò posto, i motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, stante la loro stretta connessione logica, la cui delibazione transita attraverso la preliminare ricognizione del quadro normativo di riferimento.

2.1 - In tale direzione, come già illustrato nella pronuncia della sezione 9370/2021 citata, deve rilevarsi che:

- l’art. 7 d.lgs. n. 387/2003 (applicabile ratione temporis al caso in esame), nel demandare a “uno o più decreti” ministeriali la definizione dei “criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare” (comma 1), ha previsto che tali criteri (tra l’altro): “stabiliscono le modalità per la determinazione dell’entità dell'incentivazione. Per l’elettricità prodotta mediante conversione fotovoltaica della fonte solare prevedono una specifica tariffa incentivante, di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio” (comma 2, lett. d). Il D.M. 28 luglio 2005, emanato in attuazione dell’art. 7 d.lgs. cit., agli artt. 5 e 6, ha indicato per l’appunto le “modalità per la determinazione dell’entità dell’incentivazione”, distinguendo tra impianti di potenza inferiore (art. 5) o superiore (art. 6) a 20 kW e, nell’ambito di ciascuna delle predette categorie, tra impianti la cui domanda d’incentivazione è stata proposta negli anni 2005/2006 o negli anni successivi.

L’art. 6, comma 6 prevede che “l’aggiornamento delle tariffe incentivanti di cui all’art. 5, comma 2, e all’art. 6, commi 2 e 3, viene effettuato a decorrere dal primo gennaio di ogni anno sulla base del tasso di variazione annuo, riferito ai dodici mesi precedenti, dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rilevati dall’Istat”.

Tale disposizione è stata sostituita dall’art. 4, comma 1, del D.M. 6 febbraio 2006, a mente del quale “l’aggiornamento delle tariffe incentivanti di cui all’art. 5, comma 2, lettera b), all’art. 6, comma 2, lettera b), e all’art. 6, comma 3, lettera b), viene effettuato per ciascuno degli anni successivi al 2006 sulla base del tasso di variazione annuo, riferito ai dodici mesi precedenti, dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rilevati dall’Istat”.

L’art. 8, comma 1, D.M. 6 febbraio 2006 ha sancito, infine, che la modifica in questione si applica “alle domande inoltrate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto 28 luglio 2005”.

Per effetto delle disposizioni sopra richiamate, come già affermato da questo TAR (sentenze 2 dicembre 2020 nn. 12881/2020 e 12882/2020) con orientamento che non si ha ragione di rimeditare, l’aggiornamento Istat è escluso per le tariffe riconosciute sulla base di domande presentate negli anni 2005 e 2006 (artt. 5, comma 2, lett. a, e 6, commi 2 e 3, lettere a, D.M. 28 luglio 2005).

Come già chiarito nei citati precedenti giurisprudenziali, se è vero che il T.A.R. Lombardia ha annullato l’art. 8, comma 1, del D.M. 6 febbraio 2006 con sentenza n. 2125/2006, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1435/2008, è altresì vero che la sentenza n. 2126/2006 del medesimo Tribunale – di identico tenore - è stata invece riformata in appello dalla sentenza n. 9/2012 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che ha ritenuto legittimo l’operato dell’Amministrazione sulla scorta delle seguenti argomentazioni:

- l’art. 7 d.lgs. n. 387/2003, “in quanto fonte primaria legittimante l’adozione dei decreti ministeriali e perciò norma sovraordinata che fissa gli scopi che i decreti devono conseguire con la disciplina di attuazione, e quindi avente valenza di parametro vincolante per l’interpretazione del loro contenuto”, dispone che l’importo della tariffa incentivante è decrescente (comma 2, lett. d), “per cui appare logico ritenere che i decreti ministeriali attuativi debbano in linea di principio essere idonei ad assicurare tale risultato. Ciò comporta che deve ritenersi più coerente con la norma citata il fatto che la tariffa resti fissa nel suo valore nominale per il periodo in cui è riconosciuta ed erogata poiché ciò comporterebbe in termini reali un andamento appunto decrescente”;

- “è sulla base di questo presupposto che va valutato l’art. 6, comma 6, del decreto ministeriale 28 luglio 2005”;
in questa ottica, con il d.m. 6.2.2006 “è stata data l’interpretazione autentica del testo del detto comma del d.m. del 2005, nel momento in cui è precisato che l’aggiornamento delle tariffe per gli impianti di cui alla lettera b) ‘viene effettuato per ciascuno degli anni successivi al 2006’, essendo altresì convergente con ciò l’ulteriore previsione, di cui all’art. 8, comma 1, dello stesso d.m., per il quale la suddetta modifica si applica ‘alle domande inoltrate successivamente alla data di entrata in vigore del D.M. 28 luglio 2005’. Tale soluzione, peraltro, è la più favorevole per gli operatori tra quelle consentite dall’art. 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387: il vincolo del carattere decrescente della tariffa viene infatti assicurato mantenendola fissa a livello nominale e lasciandola decrescente solo in termini reali”;

- “appurata la natura meramente interpretativa e non innovativa del decreto ministeriale impugnato, deve escludersi la violazione del principio di retroattività”;

- “da questa conclusione discende altresì che non può configurarsi un legittimo affidamento da parte dei soggetti che abbiano presentato domande negli anni 2005 e 2006, a fronte di una interpretazione del testo del d.m. del 2005 obiettivamente già in atto individuabile, prioritaria in ragione della sua diretta rispondenza alla norma di legge, di conseguenza, di certo riconoscibile da parte di operatori esperti del settore”;

- a fronte dell’ambiguità del testo normativo che genera incertezze interpretative, potendo la previsione dell’aggiornamento dal primo gennaio di ogni anno essere riferito sia alle tariffe fissate negli anni precedenti, sia alla determinazione iniziale della tariffa, non è incompatibile con il testo della norma una interpretazione secondo cui l’aggiornamento con il tasso di inflazione sia da applicare solo in sede di definizione delle tariffe da riconoscere agli impianti realizzati successivamente al 2006, e che una volta riconosciuta la tariffa questa debba rimanere nominalmente fissa per 20 anni.

2.2 - Alla luce di tali principi, che il Collegio reputa pienamente attinenti anche al caso di specie, i motivi di ricorso non possono essere accolti.

Deve essere in primo luogo ribadito che dal recupero degli importi indebitamente versati dal GSE a titolo di rivalutazione ISTAT “esulano profili involgenti la sfera di discrezionalità del Gestore, chiamato unicamente ad applicare la disciplina di riferimento alla luce del ricordato indirizzo dell’Adunanza Plenaria” e che “le maggiori somme erogate dal GSE, infatti, integrano altrettante obbligazioni restitutorie, riconducibili alla comune fattispecie di indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.:“chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”)”, così che il provvedimento di recupero deve ritenersi avere natura vincolata e non discrezionale, essendo in re ipsa l'interesse pubblico ad evitare un danno erariale con il recupero di somme indebitamente attribuite, con conseguente superfluità di ogni richiamo all’affidamento del percipiente, non ostativo al recupero, e al tempo trascorso (sentenza n. 1242/ 2017 citata, che sul punto richiama Cons. Stato sez. V n. 127/2016;
Cons. Stato sez. III n. 5486/2015;
Cons. Stato sez. III n. 201/2015), non potendo quindi ritenersi integrata la denunziata violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 sia quanto al decorso del termine ragionevole, sia quanto ad affidamento del privato e comparazione tra i contrapposti interessi.

Il Collegio reputa, inoltre, opportuno richiamare sul punto l’ulteriore affermazione della già citata sentenza n. 1242/2017, secondo cui il recupero di somme pubbliche indebitamente corrisposte assume una rilevanza ancora più pregnante nel settore degli incentivi per le energie rinnovabili “in cui la corretta allocazione delle risorse pubbliche risponde all’esigenza, tutelata dal legislatore comunitario e nazionale, di incentivare i soli impianti che rispondano ai requisiti previsti dalla normativa vigente e che, come tali, consentano di raggiungere gli obiettivi, in termini di produzione di energia rinnovabile, posti a carico del nostro Paese dai trattati internazionali”.

Non può dunque configurarsi, nel caso di specie, alcun affidamento meritevole di tutela, essendo stata dalla sopra richiamata giurisprudenza più volte affermata la natura non innovativa, bensì interpretativa, delle disposizioni del D.M. 6 febbraio 2006 recanti l’esclusione dell’aggiornamento ISTAT per le tariffe attribuite agli interessati sulla base di domande presentate negli anni 2005 e 2006 (cfr. artt. 6, comma 6, D.M. 28 luglio 2005 e art. 4, comma 1, D.M. 6 febbraio 2006).

Al riguardo, la citata sentenza dell’Adunanza Plenaria ha precisato che:

- il criterio dell’importo decrescente della tariffa incentivante, sancito dall’art. 7 d.lgs. n. 387/2003, comporta che “deve ritenersi più coerente con la norma citata il fatto che la tariffa resti fissa nel suo valore nominale per il periodo in cui è riconosciuta ed erogata poiché ciò comporterebbe in termini reali un andamento appunto decrescente”;

- il D.M. 6 febbraio 2006 ha fornito l’interpretazione autentica dell’art. 6, comma 6, D.M. 28 luglio 2005, laddove si precisa che l’aggiornamento delle tariffe per gli impianti di cui alla lettera b) “viene effettuato per ciascuno degli anni successivi al 2006” (soluzione “più favorevole per gli operatori tra quelle consentite dall’art. 7 [d.lgs. n. 387/03]: il vincolo del carattere decrescente della tariffa viene infatti assicurato mantenendola fissa a livello nominale e lasciandola decrescente solo in termini reali”);

- la natura “meramente interpretativa e non innovativa” delle pertinenti previsioni del D.M. 6 febbraio 2006 consente di escludere la violazione del principio di retroattività, non potendo nemmeno “configurarsi un legittimo affidamento da parte dei soggetti che abbiano presentato domande negli anni 2005 e 2006, a fronte di una interpretazione del testo del d.m. del 2005 obiettivamente già in atto individuabile, prioritaria in ragione della sua diretta rispondenza alla norma di legge, di conseguenza, di certo riconoscibile da parte di operatori esperti del settore” (sent. 7293/2017, che richiama i precedenti 1242/2017e 1261/2017).

2.3 – Ciò posto, va altresì ribadita l’insussistenza della lamentata violazione del giudicato formatosi sull’annullamento dell’art. 8 del D.M. 6 febbraio 2006 conseguente alle pronunce del TAR Lombardia, Milano, nn. 2124, 2125 e 2126 del 2006, la seconda delle quali (n. 2125/06) confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1435/2008, la quale avrebbe efficacia erga omnes in ragione della natura regolamentare della disposizione, e dunque la ritenuta illegittimità del recupero disposto dal GSE sulla base di una normativa espunta dall’ordinamento.

Osserva al riguardo il Collegio che l’Adunanza Plenaria e, prima ancora, la sezione rimettente, non hanno ritenuto di dichiarare il ricorso al proprio esame improcedibile stante l’intervenuto annullamento erga omnes dell’art. 8 del D.M. 6 febbraio 2006, procedendo invece all’esame del merito delle questioni e giungendo alle conclusioni sopra illustrate in merito al vincolo del carattere decrescente della tariffa, che viene nella specie assicurato mantenendo la stessa fissa a livello nominale, lasciandola decrescente solo in termini reali, essendo la non spettanza della maggiorazione ritenuta di per sé desumibile già dal D.M. 28 febbraio 2005 e dai criteri direttivi di cui all’art. 7, del d.lgs. n. 387/2003, sull’assunto che le diposizioni del D.M. 6 febbraio 2006 non modificano retroattivamente il Primo Conto Energia, ma si limitano a fornirne l’esatta interpretazione, chiarendo che l’adeguamento della tariffa va effettuato al momento di ammissione alle tariffe ed è valido per tutto il periodo ventennale di incentivazione.

Peraltro la stessa Adunanza Plenaria n. 9/2012 ha chiaramente affermato che la tesi “secondo cui l’art. 6, comma 6, del decreto ministeriale 28 luglio 2005 avrebbe riconosciuto il diritto all’aggiornamento annuale delle tariffe incentivanti sulla base del tasso di inflazione annuo, darebbe luogo ad una tariffa crescente in termini nominali e costante in termini reali” che si porrebbe in contrasto con l’art. 7 del d.lgs. n. 387/2003 che – come già puntualizzato – ha configurato un sistema di incentivazione ad importi decrescenti, e che la soluzione adottata dal d.m. 6 febbraio 2006 è, invero, la più favorevole tra quelle ipoteticamente configurabili in attuazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 387/2003, giacché il carattere decrescente del meccanismo viene assicurato mantenendo fisso l’importo nominale e lasciandolo decrescere solo sul piano reale, come parimenti più volte affermato dalla richiamata giurisprudenza.

2.4 - Per le ragioni innanzi esposte non si ravvisano nemmeno violazioni della normativa europea e internazionale per sopravvenuta lesione di una situazione giuridica soggettiva di vantaggio (diritto di percepire gli incentivi rivalutati) in realtà (ab origine) insussistente (in tal senso, sentenza n. 1261/2017), né sussistono profili di incostituzionalità della normativa presupposta alla richiesta del GSE di restituzione della rivalutazione ISTAT, considerato altresì che, secondo il principio più volte ribadito nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, non è configurabile una lesione della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. quando l’apposizione di limiti al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, purché l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex multis, Corte Costituzionale, sentenza n. 16/2019, in materia di rimodulazione delle tariffe incentivanti per gli impianti fotovoltaici);
condizioni che, per quanto finora detto, risultano entrambe rispettate.

2.5 - Quanto al contrasto tra giudicati discendenti dalle sentenze del Consiglio di Stato, il Collegio non intende trascurare la peculiarità della vicenda, in cui il massimo Consesso si è espresso con orientamenti radicalmente opposti, anche successivamente all’intervenuto giudicato di annullamento del citato D.M. 6 febbraio 2006, ma non può che prendere atto della decisione della Plenaria alla quale va riconosciuta prevalenza sulle altre diverse pronunce.

Ciò, non solo in quanto organo avente funzione nomofilattica, secondo la funzione attribuitagli dall’ordinamento che ne giustifica la relativa composizione, ma anche perché cronologicamente successiva;
sul punto deve infatti darsi atto che “la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che, ove sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere occorre fare riferimento al criterio temporale, nel senso che il secondo prevale sul primo in ogni caso, sempre che la seconda sentenza, contraria alla precedente, non sia stata sottoposta a revocazione (impugnazione consentita solo laddove quest’ultima non abbia pronunciato sull’eccezione di giudicato)” (Cons. Stato, sez. V, 9 giugno 2003, n. 3239;
Cass. civ. Sez. III Ord., 08/11/2018, n. 28506, Cass. civ. Sez. VI - Ord., 31/05/2018, n. 13804 e Cass. civ. Sez. Unite, 18/11/2015, n. 23538;
da ultimo: Tar Lazio, II bis, 21 gennaio 2021, n. 870;
Sez. III ter, 17 agosto 2021, n. 9370).

Il criterio temporale, che vale per risolvere il conflitto tra giudicati riguardanti il medesimo atto e le medesime parti, non può che valere – e a maggior ragione – allorquando i giudicati contrastanti riguardino parti diverse e si invochi l’estensione erga omnes dei relativi effetti.

Va, peraltro, rilevato, che l’Adunanza Plenaria si è pronunciata nel senso sopra illustrato pur essendo a conoscenza, per il tramite dell’ordinanza di rimessione, dell’annullamento parziale confermato con la precedente sentenza della Sezione VI del Consiglio di Stato n. 1435/2008, ritenendo, nonostante ciò, di non prendere atto dell’efficacia erga omnes dell’intervenuto annullamento del D.M. 6 febbraio 2012 e delle relative conseguenze in termini processuali, ma previo esame delle questioni prospettate, delibare per la legittimità delle previsioni con lo stesso introdotte.

In tal modo è stato limitato l’effetto dell’annullamento del D.M. 6 febbraio 2006 alle sole parti del giudizio, scindendone gli effetti, il che ha consentito la prosecuzione del giudizio di merito, in luogo di dichiararne l’improcedibilità per intervenuto annullamento erga omnes del D.M. 6 febbraio 2006.

Va ricordato che la medesima Sezione VI del Consiglio di Stato, pur avendo definito il giudizio di appello della sentenza n. 2125/2006 con decisione del 4 aprile 2008, n. 1435, confermando la pronuncia di primo grado, ha successivamente deliberato di deferire all’Adunanza Plenaria la decisone sull’analogo giudizio di appello della sentenza n. 2126/2006, ritenendo di discostarsi da quanto in precedenza deciso e di non riconoscere un effetto erga omnes dell’intervenuto annullamento, in parte qua, del D.M 6 febbraio 2006, ormai coperto da giudicato.

Impostazione condivisa dalla Plenaria che, come illustrato, ha proceduto all’esame del merito delle questioni sollevate.

Dalla funzione nomofilattica delle pronunce della Plenaria, discende, al fine di assicurare uniformità alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, nonché certezza alle posizioni giuridiche sottostanti, la prevalenza delle relative decisioni, con conseguente onere di conformazione successiva da parte delle Sezioni semplici, salvo il potere di nuova rimessione in caso di non condivisione del principio di diritto enunciato.

In conformità al suddetto vincolo, il Consiglio di Stato, con la successiva sentenza del 30 luglio 2013, n. 3990, si è adeguato a quanto statuito dall’Adunanza Plenaria, ribadendone i principi.

A fronte di tale orientamento giurisprudenziale, pur non potendosi negare come l’intervenuto precedente annullamento del D.M. 6 febbraio 2006 – nelle previsioni interessate – dovrebbe spiegare, sulla base dei principi generali, effetti erga omnes, la successiva pronuncia della Plenaria, che ha attribuito natura interpretativa a dette norme, sancendone la legittimità, non può che vincolare il giudice – e prima di lui il GSE - nel ritenere, secondo quanto stabilito in detta pronuncia, in ogni caso come non dovuta la rivalutazione ISTAT già alla luce delle previsioni del Primo Conto Energia.

Non può difatti ritenersi illegittimo il contestato recupero in via derivata da quella del combinato disposto dell’art. 4, comma 1 e dell’art. 8 del D.M. 6 febbraio 2006, avendo la richiamata giurisprudenza precisato che le norme contenute in quest’ultimo D.M. non modificano retroattivamente il Primo Conto Energia, ma si limitano a fornirne l’esatta interpretazione, chiarendo che l’adeguamento della tariffa va effettuato al momento di ammissione alle tariffe ed è valido per tutto il periodo ventennale di incentivazione.

Peraltro, anche a voler ritenere l’efficacia erga omnes dell’intervenuto annullamento del D.M. 2006, attribuendo allo stesso, in conformità a quanto statuito dalla Plenaria, mera natura interpretativa, nessun effetto utile deriverebbe a parte ricorrente, in quanto la natura interpretativa della norma presuppone l’autosufficienza contenutistica della norma da interpretare, la quale, in caso di oscurità o polisemia, andrebbe comunque letta congiuntamente – nel caso di specie – all’art. 7 del D.Lgs. n. 387/2003, ai sensi del quale la tariffa deve avere un andamento decrescente, e tale carattere va attribuito alla tariffa riconosciuta al singolo impianto, e non già alle tariffe stabilite dai conti energia che si sono succeduti nel tempo.

Correttamente, quindi, il GSE, già nella comunicazione di avvio del procedimento di recupero, nel riconoscere la valenza generale delle statuizioni dell’Adunanza Plenaria, ha deciso di darvi uniforme applicazione per esigenze di razionalità ed omogeneità nella corresponsione degli incentivi.

Va, al riguardo, ulteriormente precisato come a seguito delle sentenze del TAR Lombardia n. 2125 e 2126 del 2006, il GSE, stante la conseguente incertezza sul regime dell’aggiornamento ISTAT, con comunicato del 26 gennaio 2009, ha ritenuto di estendere provvisoriamente erga omnes, anche a chi non era parte dei giudizi, gli effetti di tali pronunce in attesa dell’esito dell’appello presentato avverso le stesse, con espressa riserva di ripetizione di quanto riconosciuto in caso di riforme delle sentenze di primo grado.

Ne discende il carattere di provvisorietà dell’avvenuta estensione degli effetti delle pronunce del TAR Lombardia anche ai soggetti che non erano stati parte dei relativi giudizi – con conseguente incisione negativa sulla possibilità della maturazione di un legittimo affidamento - con successiva presa d’atto, da parte del GSE, del regime dell’aggiornamento ISTAT per come chiarito dall’Adunanza Plenaria, di cui ha dato puntuale, vincolata applicazione.

La natura interpretativa attribuita al D.M. 6 febbraio 2006, oltre a porsi in linea di coerenza con il principio di andamento decrescente della tariffa di cui al D.Lgs. n. 387 del 2003, invece disatteso da un’applicazione dell’aggiornamento Istat anno per anno, con conseguente aumento esponenziale anche degli oneri di sistema a carico della bolletta elettrica, crea anche uniformità di trattamento tra gli operatori, non discriminati in ragione della data di presentazione della domanda di incentivazione, altrimenti verificandosi il riconoscimento di un aggiornamento annuale solo per le domande presentate in data antecedente l’entrata in vigore del D.M. 6 febbraio 2006, a differenza delle domande successive, per le quali l’entità della tariffa va adeguata al tasso di inflazione maturato dal momento della presentazione dell’istanza alla data di entrata in esercizio e da cui decorre l’incentivazione;
disparità che viene invece evitata escludendo per tutti l’indicizzazione annuale per ciascun anno di corresponsione dell’incentivo, risultando comunque garantita l’equa remunerazione degli investimenti.

Il carattere provvisorio dell’aggiornamento annuale ISTAT precedentemente riconosciuto – espressamente sottoposto a riserva di ripetizione all’esito del giudizio di appello – esclude che il successivo provvedimento di recupero rivesta natura ablatoria di un beneficio già concesso, trattandosi di mera applicazione del criterio di aggiornamento come chiarito dal D.M. 6 febbraio 2006, di natura interpretativa – per come ricostruito dall’Adunanza Plenaria - in senso aderente e coerente con la fonte legislativa primaria, nella quale non si rinviene alcuna norma che possa legittimare il riconoscimento di una indicizzazione annuale della tariffa, con la conseguenza che una fonte secondaria che tale modalità di adeguamento avesse introdotto si sarebbe posta in contrasto con la norma attributiva del potere.

Deve aggiungersi che a seguito delle statuizioni della Plenaria, con delibera dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas n. 40/2006 è stata modificata la precedente deliberazione n. 188/2005, proprio al fine di recepire i principi della Plenaria, secondo cui il riconoscimento del diritto all’aggiornamento annuale delle tariffe incentivanti sulla base del tasso di inflazione annuo, darebbe luogo ad una tariffa crescente in termini nominali e costante in termini reali, che si porrebbe in contrasto con l’art. 7 del d.lgs. n. 387/2003 che – come già puntualizzato – ha configurato un sistema di incentivazione ad importi decrescenti, e che la soluzione adottata dal D.M. 6 febbraio 2006 è, invero, la più favorevole tra quelle ipoteticamente configurabili in attuazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 387/2003, giacché il carattere decrescente del meccanismo viene assicurato mantenendo fisso l’importo nominale e lasciandolo decrescere solo sul piano reale.

3 - Quanto all’invocata applicazione dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria solo alla rivalutazione Istat maturata successivamente alla adozione di detta decisione, invocando al riguardo parte ricorrente il principio del prospective overruling – in disparte l’inammissibilità del capo di domanda in quanto introdotto con memoria di replica e non con atto ritualmente notificato – deve osservarsi, a meri fini di completezza della trattazione, la non pertinenza del richiamo al principio del prospective overruling – la cui operatività è limitata al campo del diritto processuale, con preclusione alla sua estensione nell’ambito del diritto sostanziale (Cassazione, Sezioni Unite n. 4134 del 2019).

Inoltre – ed avuto anche riguardo alla richiesta di decorrenza delle statuizioni dell’Adunanza Plenaria solo per il futuro, in disparte l’inammissibilità della domanda - l’avvenuta estensione solo in via provvisoria, per come sopra già illustrato, degli effetti delle sentenze di annullamento del TAR Lombardia preclude il positivo riscontro di una situazione di legittimo affidamento consolidato sulla base di un diritto vivente sul quale abbia inciso un imprevedibile mutamento privo di elementi anticipatori.

4 – Avuto riguardo alla censura con la quale parte ricorrente lamenta l’illegittimità delle modalità di recupero delle somme versate a titolo di rivalutazione Istat, con particolare riferimento alla disposta compensazione con le diverse somme spettanti alla ricorrente sulla base della Convenzione stipulata con il GSE, rileva il Collegio come, per giurisprudenza ormai consolidata, al Gestore è normativamente attribuito il potere di individuare, in relazione alle peculiarità del caso concreto, le specifiche modalità attraverso le quali procedere al recupero, tra le quali deve intendersi compresa la compensazione con eventuali crediti vantati nei propri confronti dal soggetto che abbia percepito incentivi non dovuti, costituente peraltro la via più immediata per soddisfare l’interesse pubblico sotteso al recupero medesimo.

L’art. 11 comma 3 del d.m. 31 gennaio 2014 attribuisce infatti al GSE, in caso di violazioni o inadempimenti che rilevano sulla quantificazione degli incentivi ovvero dei premi, il potere di disporre le prescrizioni più opportune, nonché di rideterminare l'incentivo “in base alle caratteristiche rilevate a seguito del controllo e alla normativa applicabile, recuperando le sole somme indebitamente erogate”.

Tale disposizione fonda, in primo luogo, l’obbligo del GSE di provvedere al recupero delle somme indebitamente erogate, costituenti risorse pubbliche;
la stessa conferisce, inoltre, al Gestore poteri ampiamente discrezionali in merito alle modalità di quantificazione e recupero, ivi comprese le operazioni di elisione tra contrapposte partite di dare e avere, che il GSE può operare nell'ambito dei rapporti di incentivazione ai fini del recupero dei benefici indebitamente percepiti (in corretta estrinsecazione della doverosa funzione di controllo e ripetizione prevista dall'art. 42 del d.lgs. n. 28/2011).

Trattasi di modalità riconducibili alla c.d. compensazione impropria (o meramente contabile;
in proposito, v. ex multis ordinanza TAR Lazio, 25 ottobre 2018, n. 6404, e arresti ivi richiamati, nonché sentenza 7 maggio 2018, n. 5045, e sentenza 23 maggio 2016, n. 6058), dovendo pertanto ritenersi corretto il “contegno del Gestore che intenda soddisfare le proprie pretese restitutorie (ascrivibili alla categoria della condictio indebiti) mediante il ricorso alla compensazione c.d. impropria, che si ha «quando i rispettivi diritti scaturiscono dal medesimo rapporto contrattuale da cui è sorto il relativo debito […]. Con la specificazione che in quest'ultimo caso, la valutazione delle reciproche pretese comporta semplicemente l'accertamento del dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza» (v., tra le altre, sentenza 9 luglio 2015, n. 9269), di talché, una volta determinata la quota di benefici in eccesso, non è censurabile la condotta del Gestore che ha recuperato gli incentivi non dovuti con dette modalità (TAR Lazio, III ter, 7 maggio 2018, n. 5045).

La compensazione impropria (o anche atecnica o contabile), si differenzia da quella in senso proprio (caratterizzata dal fatto che i contrapposti crediti e debiti delle parti scaturiscono da autonomi rapporti giuridici e dunque le reciproche obbligazioni non risultano legate da nesso di sinallagmaticità) perché i rispettivi diritti scaturiscono dal medesimo rapporto contrattuale da cui è sorto il relativo debito, sicché la valutazione delle reciproche pretese comporta semplicemente l'accertamento del dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza (TAR Lazio, III ter, 22 giugno 2017, n. 7293;
9 luglio 2015, n. 9269, che richiama Cass. civ., sez. II, 29 agosto 2014, n. 18452;
Consiglio di Stato, sez. VI, 2 maggio 2016, n. 1672;
sulla compensazione impropria, Consiglio di Stato, sez. III, 2 febbraio 2015, n. 487).

In presenza dei caratteri di omogeneità, liquidità, esigibilità e certezza del credito con riferimento a prestazioni aventi origine nel medesimo titolo, deve quindi ritenersi operante la modalità di soddisfazione della pretesa creditoria attraverso l'estinzione per compensazione del credito del Gestore nei confronti della ricorrente per le quantità corrispondenti ai sensi dell’art. 1241 c.c.

5 - In conclusione, in ragione delle superiori considerazioni, i motivi di ricorso devono possono essere rigettati.

6 - Le spese di lite, tenuto conto della peculiarità della controversia e delle articolate difese di parte ricorrente, anche successive alla maturazione dell’orientamento giurisprudenziale della Sezione, possono essere equamente compensate tra le parti.

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