TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2020-11-16, n. 202005269
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 16/11/2020
N. 05269/2020 REG.PROV.COLL.
N. 06224/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6224 del 2015, proposto da
A B e P A L, rappresentati e difesi dall'avvocato F G, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, Segreteria T.A.R.;
contro
Comune di Barano d'Ischia, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato C R, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, Segreteria T.A.R.;
per l'annullamento
- dell’ordinanza di demolizione n. 51/2015 del dirigente dell’UTC, Responsabile del Settore-Ufficio Tecnico Settore Edilizia Privata ed urbanistica del Comune di Barano d’Ischia del 24.09.2015 notificata in data 1.10.2015;
- di tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali, ivi compresi quelli richiamati nel provvedimento sub a), comunque lesivi della posizione giuridica dei ricorrenti
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Barano d'Ischia in persona del Sindaco pro tempore ;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’articolo 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e il Decreto del Presidente del T.A.R. Campania, sede di Napoli, n. 31 del 30 ottobre 2020;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2020 il dott. Carlo Buonauro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Dal maggio 2012 i ricorrenti sono proprietari di un fabbricato ubicato in Barano d’Ischia riportato in catasto al foglio 13, p.lla 55, ove risiedono.
Il plesso, legittimato con il rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 7/2007, poiché difforme, in precedenza, dalla concessione 118/1983, risulta costituito da due piani destinati ad abitazione civile, collegati attraverso scala esterna, e da una zona di terreno annessa.
A seguito di sopralluogo, il T.C., con rapporto n. 4780/2015, ha contestato ai ricorrenti molteplici interventi ritenuti abusivi come riportato nell’ordinanza di demolizione ex art. 31 T.u.Ed. n. 51/2015 del 24.09.2015.
Risultando pendente al tempo del provvedimento un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 T.u.Ed, e di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 D.lgs. 42/2004, e ritenendo infondati i rilievi dell’amministrazione comunale, i proprietari impugnano l’ordine demolitorio con ricorso depositato in data 16.12.2015.
Si costituiva l’amministrazione intimata, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del ricorso.
All’odierna udienza la causa veniva spedita in decisione.
Il ricorso introduttivo non può essere accolto per le ragioni che seguono.
Con il primo motivo si evidenzia violazione dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, eccesso di potere per carenza dei presupposti e difetto di motivazione ed istruttoria atteso che il provvedimento repressivo non fornisce una qualificazione dell’abuso tale da consentirne l’immediata riferibilità alla norma applicata;violazione artt. 27, travisamento dei fatti, violazione dell’art. 44 legge 47/1985 e della legge regionale 19/2001.
Il motivo non può essere accolto.
Parte ricorrente ricostruisce la propria tesi su un’errata lettura dei fatti nonché su una giurisprudenza risalente e non attuale al caso di specie. Invero, i riferimenti al difetto di motivazione non sono condivisibili: il provvedimento demolitorio contiene una precisa elencazione delle opere costruite in assenza di titolo abilitativo, in ragione del sopralluogo effettuato, ed è corroborato da una motivazione specifica in diritto con riferimento all’art. 3 del T.u.Ed. (interventi di nuova costruzione), e 10 (subordinati al rilascio del permesso di costruire).
Si rileva agli atti che fra le opere, inter alia, sono compresi: un locale caldaia, poi adibito a wc;all’esterno è stato realizzato un manufatto in muratura diviso in due ambienti di 5mq ed alti 2,40 metri, muniti di ingresso e adibiti a deposito;all’interno del cortile risulta realizzata una soletta occupante una superficie di 9,80mq ed alta 2,90 metri con annessa rampa di scale recante al terrazzo sovrastante in cemento armato;una pavimentazione con massetto occupante 170mq ed un muro di contenimento lungo 21,50 metri ed alto 3,30.
Sul punto, il principio enunciato dall’A.P. 9/2017 sancisce che il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, ovvero il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
L’errata lettura del provvedimento, che si evince nell’argomentazione del primo motivo, destituisce di fondamento la censura relativa alla adozione delle più gravosa misura demolitoria in luogo di quella pecuniaria dal momento che l’ordine di demolizione non abbisogna di motivazioni particolari costituendo lo strumento tipico di risposta alla violazione dell’assetto urbanistico edilizio voluto dall’ordinamento, in ragione dell’attività di vigilanza generale di cui all’art. 27 T.u.Ed.
Ciò, soprattutto, in presenza di un intervento di trasformazione del territorio realizzato in assenza di permesso di costruire in area sottoposta a vincolo paesaggistico. In tal senso, con riferimento alle opere realizzate in violazione del vincolo di cui al P.T.P dell’isola d’Ischia approvato con D.M. 8.2.1999, il procedimento dell’impugnata ordinanza di demolizione è da ritenersi rigidamente vincolato nelle conseguenze sanzionatorie.
In diritto, scorporando l’art. 3 del T.u.Ed., si evince che sono interventi di manutenzione straordinaria le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Inoltre, alle lettere e.1) ed e.6), sono considerati interventi di nuova costruzione quelli relativi a manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, nonché gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione.
Infine, in comb. disp. con l’art. 10, costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:
a) gli interventi di nuova costruzione;
b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;
c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
In fatto sono state accertate plurime trasformazioni, cambi di destinazione d’uso e ampliamenti volumetrici più o meno consistenti non ammessi in assenza di titolo abilitativo, e non trattandosi né di “opere di ammodernamento” né di “interventi di recupero”, come sostenuto dal ricorrente.
Con il secondo motivo si lamentano manifesta illegittimità ed improcedibilità dell’ordinanza di demolizione per falsa applicazione dell’art. 36 T.u.Ed. e violazione degli artt. 38 e 44 della legge 47/1985.
La prospettazione di parte è inapplicabile al caso di specie, avendo egli formulato, in data 27.11.2015, istanza di accertamento di conformità, e non di condono edilizio.
In presenza di un abuso edilizio la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all’autorità comunale, prima di emanare l’ordinanza di demolizione, di verificare la sanabilità ai sensi dell’art. 36 d.p.r. n. 380/2001.
Tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31 d.P.R. n. 380 del 2001 che, in tal caso, obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità;nonché dallo stesso art. 36 che rimette all’esclusiva iniziativa della parte interessata l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica ivi disciplinato (Tar Napoli, sez. VI, sent. n. 123/2014;n. 3309/2014).
Su questo specifico motivo, non si ignora quel diffuso orientamento giurisprudenziale secondo cui ogni procedimento sanzionatorio in materia edilizia deve restare sospeso qualora risulti presentata istanza di concessione in sanatoria fino alla definizione di detta istanza da parte del Comune, senza che il giudice possa in ogni caso sostituirsi a tale effetto di sospensione, nemmeno per una valutazione in via incidentale dell’eventuale condonabilità delle opere di cui si tratta (cfr. ex multis Tar Campania, VI Sezione, sentenza n. 2244 del 30 aprile 2013;n. 3500 del 04/07/2013;Consiglio Stato sez. IV, 04 novembre 2005 , n. 5273;sez. IV, 03 maggio 2005 , n. 2137).
Ciò nondimeno, l’avvenuta presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, non incidendo sull’efficacia o sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione precedentemente emanata, per le ragioni su esposte, determina comunque la validità del provvedimento e la sua esecutività.
Il Consiglio di Stato, con sentenza 18 marzo 2020 n. 1925, ha infatti statuito che quando è emesso un ordine di demolizione e l’interessato proponga un’istanza di sanatoria, il provvedimento repressivo continua a produrre effetti, sicché, da un lato, il soggetto sanzionato mantiene l’interesse a proporre ricorso (quindi su di lui grava un onere di tempestiva impugnazione) e, dall’altro, l’amministrazione può portare senz’altro ad esecuzione il proprio provvedimento, anche se costituisce una regola di buona amministrazione (al fine evitare responsabilità ove sia demolito un manufatto assentibile ex post ) che l’esecuzione materiale dell’atto sia preceduta dalla reiezione dell’istanza di sanatoria, il che non comporta tuttavia sul piano squisitamente giuridico la neutralizzazione dell’efficacia dell’ordine di demolizione.
In particolare, vista la puntuale descrizione degli interventi eseguiti sine titulo , che riflette con assoluta evidenza la rilevanza edilizia dei contestati abusi, fatta palese dalla chiara attitudine dei suddetti interventi suscettibili di determinare una significativa alterazione dell’originario stato dei luoghi, non si vede come siano conformabili ex post attesa la “doppia” conformità di cui all’art. 36.
Pertanto, il motivo con il quale il ricorrente si duole del fatto che il provvedimento impugnato sia stato adottato senza una preventiva valutazione della sanabilità delle opere risulta non può essere accolto.
Dal chiaro tenore letterale dell'articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001 (che ha sostituito l'art. 13 della legge n. 47/1985) si desume che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria consegue necessariamente ad un'istanza dell'interessato, mentre al Comune compete, ai sensi dell'art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, l'esercizio della vigilanza sull'attività urbanistico - edilizia che si svolge nel territorio comunale. Ne consegue che una volta accertata l'esecuzione di opere in assenza del prescritto permesso di costruire l'Amministrazione comunale deve disporne senz’altro la demolizione, non essendo tenuta a valutare preventivamente la sanabilità delle stesse.
A ciò va aggiunto che i manufatti in esame ricadono in zona assoggettata a vincolo paesaggistico.
Per cui, stante la qualificata alterazione dell’aspetto esteriore dei luoghi che ne è conseguita, gli interventi in questione, per il solo fatto di insistere in zona vincolata, risultavano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica.
In proposito, la giurisprudenza ha statuito anche che ove gli interventi edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione, con la conseguenza che quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o e, quindi, assentibili con mera segnalazione, l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica (T.A.R. Napoli, Sez. IV, 23 ottobre 2013 n. 4676;Sez. VI, sent. n. 1633/2019).
Sul punto, a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo o corretto per realizzare l’intervento edilizio in zona vincolata (scia o permesso di costruire), ciò che rileva è il fatto che lo stesso sia stato posto in essere in assoluta carenza di titolo abilitativo e, pertanto, ai sensi degli artt. 27 e/o 31 d.P.R. n. 380/2001, deve essere sanzionato (Cons. Stato sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 62).
Del tutto assorbite le successive censure, condividendo la prospettazione di parte resistente con particolare riferimento all’attività vincolata, nelle conseguenze, e discrezionale, nelle valutazioni tecnico-edilizie;nonché riguardo alla mancata previa acquisizione del parere della commissione edilizia in ragione dell’orientamento secondo il quale il parere non è necessario in sede di emanazione dell’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata, dal momento che l’ordine di ripristino discende direttamente dall’applicazione della disciplina edilizia vigente e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio e, in quanto, sempre nelle condizioni date, non vi è alcun obbligo di far luogo ad accertamenti di danni ambientali, essendo esclusa dalla legge l’applicazione di sanzioni pecuniarie alternative ( ex multis , Tar Napoli, Sez VI, n. 106/2014;n. 4679/2013).
Per le ragioni su esposte anche la censura relativa alla violazione dell’art. 7 e ss. della L. 241/1990 è infondata, in quanto per il provvedimento demolitorio di abusi edilizi (a maggior ragione se effettuati su un territorio paesaggisticamente protetto come quello del Comune di Barano d’Ischia) non occorre la comunicazione di avvio del procedimento perché trattasi di provvedimento tipizzato e vincolato che presuppone un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime. Esso, pertanto costituisce atto doveroso e vincolato nel contenuto, per cui la sua adozione non abbisogna di essere preceduta dall’avviso di avvio del relativo procedimento (cfr. T.A.R. Napoli, Sez. VI, 1073/2017).
In definitiva, il ricorso deve essere respinto in quanto supportato da non condividili censure.
Nelle peculiarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa, tuttavia, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c., eccezionali ragioni per l'integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.