Trib. Roma, sentenza 08/04/2024, n. 4131

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Roma, sentenza 08/04/2024, n. 4131
Giurisdizione : Trib. Roma
Numero : 4131
Data del deposito : 8 aprile 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
II SEZIONE LAVORO
nella persona del Giudice dott. O P ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 9306 del ruolo generale per l'anno 2023 all'esito della camera di consiglio dell'udienza dell'8 aprile 2024 e vertente
TRA
, elettivamente domiciliato in Roma, via Ciro Menotti, 24, presso Parte_1
lo studio dell'avv. P C che lo rappresenta e lo difende con l'avv. L
C in forza di procura in atti
RICORRENTE
E
Controparte_1
in persona del pro tempore,rappresentato e difeso ex lege
[...] CP_2
dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, siti in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12, è domiciliato.
RESISTENTE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 16 marzo 2023, il ricorrente, premesso di essere stato detenuto in vari istituti carcerari e di aver prestato, dal mese di novembre 2012 al mese di settembre 2017, attività lavorativa, dettagliatamente descritta con riferimento alle mansioni ed agli orari di lavoro osservati, ha dedotto che solo a far data dall'ottobre 2017 il aveva provveduto ad adeguare parzialmente le mercedi CP_1
versate in ragione di quanto dovuto secondo la normativa legale e contrattuale in materia;
che non erano stati corrisposti sia i lavori pregressi prima dell'ottobre 2017 che il trascinamento a tutte le voci retributive variabili e non predeterminabili come tredicesima, TFR, ecc. Concludeva chiedendo la condanna del al CP_1
versamento delle differenze maturate nella misura di € 1.769,49 oltre interessi e rivalutazione.
Costituitosi in giudizio, il convenuto ha eccepito: a) l'integrale pagamento CP_1
del compenso spettante al ricorrente a seguito dell'adeguamento degli importi riconosciuti ai detenuti nell'ottobre 2017 per cui nessun'altra pretesa poteva essere avanzata da controparte con riferimento alle prestazioni eseguite dall'ottobre 2017 in avanti, già integralmente remunerate, b) l'indeterminatezza della pretesa in quanto la controparte non aveva specificato le ragioni alla base della – peraltro marginale – differenza tra quanto riconosciuto dall'Amministrazione e quanto richiesto a titolo di retribuzione dovuta;
c) l'erroneità dei conteggi avversari in quanto i calcoli dell'indennità di ferie, che esso aveva correttamente effettuato, come CP_1
risultava dalle buste paga prodotte in giudizio dalla controparte;
d) la prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 c.c. con riferimento alle prestazioni lavorative eseguite dal ricorrente nel periodo antecedente il quinquiennio dalla notifica del ricorso introduttivo, avvenuta il 17 aprile 2023, in quanto dalla cessazione di ciascun rapporto di lavoro era iniziato a decorrere il dies a quo utile, ai fini prescrizionali, in quanto il ricorrente non aveva notificato all'Amministrazione alcuna diffida, medio tempore, interruttiva del decorso del termine di prescrizione quinquennale, avendo
notificato solo il 17 aprile 2023 e poiché ogni singolo periodo lavorativo doveva essere considerato autonomamente, anche in ragione del fatto che a ciascuno di essi corrispondeva una diversa mansione svolta dal ricorrente, con la conseguenza che la prescrizione doveva farsi decorrere, comunque, dalla fine di ciascun intervallo;
e) la prescrizione presuntiva triennale ex art. 2956 c.c. del diritto vantato dal ricorrente.
Concludeva per l'accertamento e la declaratoria dell'intervenuta prescrizione quinquennale del diritto vantato dal ricorrente con riferimento alle prestazioni lavorative eseguite in epoca antecedente al quinquennio della notifica del ricorso introduttivo avvenuta in data 14 aprile 2023 (pertanto, ante 17 aprile 2018) o, eventualmente, per la declaratoria della prescrizione triennale, ai sensi dell'art. 2956
c.c.;
per il rigetto, comunque, del ricorso in quanto infondato in fatto e diritto;
con vittoria delle spese di lite.
All'odierna udienza la causa viene decisa con sentenza contestuale di cui viene data lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere affermata la competenza funzionale del giudice del lavoro trattandosi di controversia relativa al pagamento della retribuzione spettante al detenuto, alla stregua della pronuncia della Corte costituzionale n.341 del 2006, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69 della Legge n. 354 del 1975
(Cass. n.21573/2007).
Inoltre, sussiste la competenza territoriale di questo Tribunale, stante l'applicabilità alla fattispecie dell'art.413 comma 2 c.p.c. e non del successivo comma 5. Al riguardo la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che "Nelle controversie relative al rapporto di lavoro delle persone detenute all'interno degli istituti penitenziari, non è applicabile il criterio di competenza territoriale di cui all'art. 413, quinto comma, cod. proc. civ., da intendersi specificamente riferito ai rapporti di lavoro pubblico, mentre sono applicabili i criteri previsti dall'art. 413, secondo comma, cod. proc. civ., svolgendosi tali prestazioni di lavoro - sia pure per il perseguimento dell'obbiettivo di fornire alle persone detenute occasioni di lavoro - nell'ambito di una struttura aziendale finalizzata alla produzione di beni per il soddisfacimento di commesse pubbliche ed anche private, il cui carattere limitato non ne impedisce
l'utilizzazione come criterio per radicare la competenza territoriale. Ne consegue che, intercorrendo il rapporto di lavoro con il , il quale, per Controparte_1
il tramite del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, esercita un ruolo fondamentale su rilevanti aspetti organizzativi dell'attività produttiva realizzata nei singoli istituti, e, quindi, va considerato quale centro di direzione e coordinamento delle strutture aziendali che fanno capo ai singoli istituti, in applicazione del criterio di collegamento stabilito dall'art. 413, secondo comma, cod. proc. civ. costituito dalla sede dell'azienda (ossia del luogo in cui l'azienda viene gestita), sussiste la competenza del Tribunale di Roma, ferma restando l'operatività degli altri due fori alternativi, ivi enunciati, a scelta della parte attrice." (Cass. n.18309/2009 e nello stesso senso Cass. Civ. Sez. Lav., Ordinanza n. 12205 dell'8 maggio 2019, Cass. Civ.
Sez. Lav., Ordinanza n. 12306 del 9 maggio 2019 e Cass. Civ. Sez. Lav., Ordinanza
n. 12307 del 9 maggio 2019).
La prescrizione presuntiva triennale eccepita dalla parte resistente non è applicabile nel caso di specie, essendo incompatibile con la negazione del diritto effettuata dal
convenuto nelle sue difese di merito, avendo l'Amministrazione ammesso CP_1
in giudizio che l'obbligazione non è stata estinta ed avendo dedotto, piuttosto, che le maggiori retribuzioni azionate non sono dovute. (cfr. tra le altre Cass. Civ. Sez. Lav.,
Sentenza n. 5910 del 14 giugno 1999 e nello stesso senso Cass Civ. Sez. Lav.,
Sentenza n. 21107 del 2 ottobre 2009;
Cass Civ. Sez. II, Sentenza n. 14927 del 21 giugno 2010;
Cass Civ. Sez. II, Sentenza n. 2977 del 16 febbraio 2016). Deve, a questo punto, esaminarsi l'eccezione di prescrizione quinquennale, sollevata dalla parte resistente in riferimento all'art2948 c.c. Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità (Cassazione n. 9969 del 26 aprile 2007,
Cassazione n. 22077 del 22/10/2007, Cassazione n. 24642 del 27 novembre 2007,
Cassazione n. 21573 del 15 ottobre 2007 e Cassazione n. 480 del 14 gennaio 2010) che le oggettive caratteristiche del lavoro carcerario presentano tratti comuni a quelli che in altri rapporti di lavoro giustificano la non decorrenza del termine prescrizionale dei diritti del lavoratore durante lo svolgimento del rapporto, e che non si identifica necessariamente col timore di rappresaglie da parte del datore. Nelle predette sentenze è stato ribadito che "la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto di lavoro dei detenuti possono non coincidere con quelle che contrassegnano il lavoro libero, se ciò risulta necessario per mantenere integre le modalità essenziali di esecuzione della pena e per assicurare le corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria" (così Corte Costituzionale n. 341 del 2006), ciò che può determinare del lavoratore una situazione di metus giustificativa della sospensione della prescrizione (in tal senso, Corte di Appello di Roma, sentenza n. 3377/2018 del
26/9/2018). Pertanto, deve condividersi il principio, reiteratamente espresso dalla
Corte di legittimità, secondo cui: “In tema di lavoro carcerario, il termine di prescrizione dei diritti del lavoratore non decorre durante lo svolgimento del rapporto, essendo il rapporto privo di stabilità ed atteso che le particolarità del lavoro carcerario - nel quale la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto possono non coincidere con quelli che contrassegnano il lavoro libero in considerazione delle modalità essenziali di esecuzione della pena e delle corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria - possono determinare nel lavoratore una situazione di "metus" giustificativa della sospensione della prescrizione” (cfr.
Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 21573 del 15/10/2007). Tuttavia, “la sospensione della prescrizione permane solo fino alla cessazione del rapporto di lavoro in quanto, in assenza di specifiche disposizioni, non può estendersi all'intero periodo di detenzione” (cfr. Cass. Civ., Sezione Lavoro, sentenza n. 27340 del 24 ottobre 2019 e Cass. Civ., Sezione Lavoro, sentenza n. 2696 del 11 febbraio 2015).In conseguenza, non è condivisibile la tesi secondo cui la sospensione del termine
prescrizionale dovrebbe estendersi all'intero periodo di detenzione e dunque permanere una volta che il rapporto di lavoro sia cessato e si protragga invece il rapporto detentivo, dovendo decorrere il termine prescrizionale solo dalla cessazione della detenzione;
tale tesi, infatti, non trova fondamento in disposizioni normative, mentre il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità è chiaramente da intendersi nel limitato senso della sospensione con riferimento al rapporto di lavoro, a nulla rilevando la condizione di detenuto, restando quest'ultimo gravato degli oneri probatori afferenti qualsivoglia credito e pretesa (cfr. Cass. Civ., Sezione Lavoro,
Sentenza n. 27340 del 24 ottobre 2019). Ne consegue che, per ogni rapporto di lavoro instaurato con l'Amministrazione della giustizia, deve ritenersi sorto un autonomo diritto a conseguire i relativi crediti, sicché alla cessazione di ciascun rapporto inizia il decorso del termine prescrizionale relativo ai crediti del detenuto lavoratore (cfr.
Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 2696 del 11/02/2015, cit.). Peraltro, ai fini di stabilire il decorso o meno della prescrizione, in una situazione di detenzione prolungata, non risulta comprensibile il concetto di cessazione del rapporto di lavoro, non sussistendo un rapporto lavorativo stabile tra le parti ma soltanto un diritto dovere al lavoro in relazione alle necessità e alla graduatoria. In ogni caso, l'esistenza di fatti estintivi del “rapporto di lavoro carcerario”, atti ad interrompere il regime di sospensione del termine prescrizionale, va provata da chi la deduce. Tuttavia, nel caso in esame, il ricorrente ha domandato la corresponsione delle differenze retributive maturate nel periodo dal mese di novembre 2012 al mese di settembre
2017. L'Amministrazione, costituendosi in giudizio, ha eccepito la prescrizione quinquennale dei crediti, per il quinquennio antecedente alla notifica del ricorso, perfezionata il 17 aprile 2023. Ciò comporta che, non avendo il ricorrente, a fronte della specifica eccezione di prescrizione del , dedotto specificamente e CP_1
fornito la prova che il rapporto lavorativo sia in qualche modo continuato dopo il mese di settembre 2017 (addirittura la sussistenza di successivi periodi lavorativi a pagina 1 del ricorso viene prospettata come eventuale), deve ritenersi che il termine di prescrizione sia decorso, per cui le somme rivendicate non spettino al lavoratore.
Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, sulla scorta del valore della controversia e dei minimi tariffari, ridotti del 30% in considerazione della serialità del contenzioso e del disposto di cui all'art. 4 comma 4 D.M. 55/2014.
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