Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-08-31, n. 201603750

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-08-31, n. 201603750
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201603750
Data del deposito : 31 agosto 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/08/2016

N. 03750/2016REG.PROV.COLL.

N. 00795/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 795 del 2015, proposto da CLASSIC CLUB CIRCOLO ARCI, in persona del legale rappresentante p.t., e dai signori P D e A S, rappresentati e difesi dall’avvocato A M, con domicilio eletto presso lo studio Grez &
Associati S.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18,

contro

il COMUNE DI RIMINI, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato M A F, con domicilio eletto presso l’avv. Maria Teresa Barbantini in Roma, via Caio Mario, 7,

per la riforma

della sentenza del T.A.R. dell’Emilia – Romagna, Sezione Prima, n. 1048/2014 in data 9 ottobre 2014 e depositata il 4 novembre 2014, che ha deciso respingendolo con condanna dei ricorrenti alle spese, il ricorso di primo grado nr. 137/2014 proposto dal signor A S e dal Classic Club Circolo Arci e dal suo Presidente signor P D anche in proprio, per ottenere l’annullamento del provvedimento intitolato “ ordinanza ingiunzione di demolizione di opere abusive ex art. 31 D.p.R. 380/01 e 13 l.r. 23/04 ” del Dirigente del Settore Sportello Unico per l’Edilizia del Comune di Rimini (ing. Chiara Dal Piaz) e firmato altresì dal Responsabile U.O. Servizi Giuridico Amministrativi dello stesso Comune di Rimini, nr. 225814 in data 13 dicembre 2013, pratica amm. reg. 4296/1345 notificato a S Alberto il 16 dicembre 2013 e a D Paolo il 17 dicembre 2013, con il quale si è ingiunto ai ricorrenti di demolire le opere abusive indicate nel provvedimento sotto comminatoria in caso di mancata attuazione dell’acquisizione gratuita al patrimonio dell’Amministrazione comunale di Rimini di una superficie di terreno da determinarsi, non superiore a dieci volte quella della superficie utile complessivamente costruita, nonché dei presupposti verbali di accertamento tecnico del 28 febbraio 2013 prot. n. 38352, del 10 maggio 2013 prot. n. 85273 e relazione tecnica del 30 maggio 2013 prot. n. 98918, ai quali fa riferimento il detto provvedimento di ordinanza.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rimini;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 21 luglio 2016, il Consigliere Fabio Taormina;

Uditi l’avv. Mantero per gli appellanti e l’avv. Luigi Fedeli Barbantini (su delega dell’avv. Fontemaggi) per il Comune di Rimini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe appellata n. 1048/2014 il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna – sede di Bologna – ha respinto il ricorso di primo grado, proposto dai signori A S e P D volto ad ottenere l’annullamento della ordinanza di ingiunzione di demolizione di opere abusive n. 225814 del 13 dicembre 2013, nonché dei verbali di accertamento tecnico prot. 38352 del 28 febbraio 2013, prot. 85273 del 10 maggio 2013 e della relazione tecnica prot. 98918 del 30 maggio 2013.

Dette opere abusive erano consistenti, in parte, in ampliamenti e diverse distribuzioni interne di edifici già oggetto di sanatoria n. 6192/2009, e in parte in opere già oggetto di dinieghi di condono in data 21 novembre 2009 (impugnati con ricorsi R.G. 896/10, 897/10 e 898/10, chiamati alla stessa pubblica udienza) tutte afferenti i locali del Circolo

ARCI

Classic Club e complessivamente definite dal Comune come intervento di nuova costruzione senza titolo.

2. I predetti signori S e D erano insorti deducendo plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere, che sono state analiticamente vagliate – e respinte - dal Tar.

3. L’intimato Comune di Rimini si era costituito chiedendo la reiezione del ricorso, in quanto infondato.

4. Il Tar ha innanzitutto rammentato che la legittimazione passiva del proprietario sig. S, (contestata con il primo motivo in quanto dal 1988 tutti i locali erano detenuti in sublocazione dal circolo) si radicava sul carattere permanente dell’illecito e sul carattere ripristinatorio della sanzione, a prescindere da colpa o dolo: il proprietario doveva subire l’effetto traslativo dell’inottemperanza anche se non era committente degli abusi (salvo che avesse dimostrato positivamente la sua opposizione e dissociazione).

Nella fattispecie egli aveva proseguito nei rapporti contrattuali con gli altri soggetti coinvolti, per cui non poteva invocare la propria estraneità.

Quanto al sig. D, detentore dal 1988 in quanto gestore del circolo, non risultava che si fosse adoperato per impedire l’attività edilizia non consentita: egli aveva titolo ad eseguire l’ordinanza, senza esporsi a responsabilità contrattuale verso il proprietario, proprio in quanto destinatario dell’ordine di ripristino (ed avendo già la disponibilità materiale dei locali).

Con la sentenza, impugnata, in sintesi, il Tar ha rilevato che:

a ) per tabulas non sussisteva illegittimità derivata dai dinieghi di condono impugnati (con le presupposte determinazioni degli oneri) con i ricorsi pregiudiziali R.G. 896, 897 e 898/2010, (chiamati e trattenuti in decisione dal Tar alla stessa pubblica udienza) in quanto questi ultimi erano stati rigettati;

b ) meritava altresì di essere disatteso, il terzo motivo di gravame: ivi era stata contestata la qualificazione del complesso degli interventi abusivi, quale intervento di nuova costruzione sprovvisto del permesso di costruire, ai fini della applicazione di un diverso regime sanzionatorio ad alcune delle opere abusive che (secondo la critica della odierna parte appellante) possedendo tale caratteristica, sarebbero state assentibili mediante semplice d.i.a;

b1 ) in particolare ostava all’accoglimento della censura, la consolidata tesi secondo cui il complesso delle opere abusive contestuali, l’una funzionale all’altra, doveva essere considerato come unica attività di trasformazione edilizia ed era attratto interamente nel regime concessorio delle opere che erano sono soggette, senza possibilità di scomporre una parte insuscettibile di utilizzazione isolata, per assoggettarla a d.i.a.;

c ) non era accoglibile neppure la tesi della ricorrenza di una difformità solo parziale dal permesso di costruire (non eliminabile senza pregiudizio della parte conforme) non risultando nella fattispecie essere stato rilasciato alcun permesso di costruire rispetto al quale potesse essere valutabile l’entità degli scostamenti.

5. L’odierna parte appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

Ha in particolare sostenuto che (primo motivo di censura) la pendenza di ricorsi in appello avverso i dinieghi di condono avrebbe obbligato il Tar a sospendere il processo.

Con la seconda censura – entrando nel merito delle contestazioni - ha ribadito la tesi per cui erano stati realizzati abusi “minori” non arbitrariamente unificabili in una unica attività di trasformazione edilizia.

6. In data 13 marzo 2015 si è costituito in giudizio il Comune di Rimini depositando atto di stile e chiedendo la reiezione del ricorso in quanto inammissibile od infondato.

7. Alla camera di consiglio del 24 febbraio 2015 fissata per la delibazione dell’istanza di sospensione della provvisoria esecutività dell’impugnata decisione la Sezione, con l’ordinanza n. 849/2015 ha respinto l’istanza cautelare alla stregua della considerazione per cui “ Rilevato che l’appello cautelare non appare fornito del prescritto fumus, avuto riguardo alla formulazione tassativa dell’art. 18, comma 8, della L. 47/85 (oggi art. 30 del D.P.R. 380/01) per cui, ove non ne fosse intervenuta la revoca entro 90 giorni, ‘le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui sindaco deve provvedere alla demolizione delle opere’;
rilevato che, parimenti, la avvenuta reiezione dei ricorsi proposti avverso i dinieghi delle richieste di condono priva di fondatezza il petitum cautelare
”.

8. In data 17 giugno 2016 parte appellante ha depositato una memoria puntualizzando le proprie difese.

9. In data 17 giugno 2016 il Comune di Rimini ha depositato una memoria puntualizzando le proprie difese.

10. In data 30 giugno 2016 parte appellante ha depositato una memoria puntualizzando le proprie difese.

11. In data 7 luglio 2016 l’appellante ha depositato una ordinanza resa dal Tribunale di Rimini che ha disatteso il reclamo proposto dal Comune in sede di giudizio possessorio (causa n. 4909/2015 RG).

12. Alla odierna pubblica udienza del 21 luglio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e deve essere disatteso.

1.1. Preliminarmente il Collegio evidenzia che:

a ) a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, comma 1, c.p.a., farà esclusivo riferimento ai mezzi di gravame posti a sostegno del ricorso in appello, senza tenere conto di ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive, violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 30 dicembre 2015, n. 5865);

b ) nella memoria depositata in data 17 giugno 2016 l’appellante ha tuttavia posto due questioni, connesse, che sarebbero rilevabili ex officio : quella della pendenza di un giudizio civile di usucapione sull’area da parte dell’originario proprietario signor S e quella relativa alla possibile incostituzionalità (e/o contrasto con la Cedu) delle disposizioni del T.U. Edilizia che non consentirebbero il perfezionarsi dell’usucapione in capo al soggetto che è rimasto in possesso dell’immobile abusivo;

c ) sebbene la memoria depositata sia identica a quella depositata nelle cause distinte ai nn. 3219/2009, 794/2015 e 793/2015 del pari chiamate in decisione alla odierna udienza pubblica, e sebbene l’appellante abbia fatto presente che le questioni ivi poste riverberano i loro effetti nella causa n. 794/2015, ad ogni buon conto evidenzia il Collegio che entrambe le problematiche sono palesemente infondate, e non legittimano la sospensione – neppure parziale - dell’odierno processo in quanto:

I) da un canto non si ravvisa alcun rapporto di pregiudizialità necessaria con il giudizio civile successivamente proposto (e non pendente in grado di appello, comunque) né tra la prima ordinanza e la seconda ordinanza di ingiunzione emessa dall’Amministrazione: se e quando eventualmente l’odierno appellante dovesse avere riconosciuto il proprio possesso valido per la usucapione in sede civile, si potrebbe porre un problema di legittimità dei provvedimenti medio tempore resi;
la problematica, allo stato, oltre a non essere stata dedotta nell’odierno grado di giudizio, né in precedenza, se non con la memoria depositata il 16 maggio 2016 è del tutto inattuale;

II) il supposto contrasto del T.U. Edilizia con le norme Cedu e/o con la Costituzione è del tutto inconsistente, e palesemente dilatorio: in sostanza l’appellante, muovendo dalla eccezionale possibilità di “acquisizione” di cui all’art. 42- bis del T.U. Espropri (i cui ristrettissimi limiti sono stati a più riprese chiariti: cfr. Cons. Stato, Ad pl., 9 febbraio 2016, n. 2, nonché Corte cost., 30 marzo 2015, n. 71) si duole della circostanza che analoga possibilità non sia consentita al privato, che in spregio a plurimi provvedimenti amministrativi rimasti inottemperati non abbia provveduto a demolire le opere, a rilasciare l’immobile etc, con ciò obliando:

1) che la fattispecie di lottizzazione abusiva (sanzionata penalmente) impone la confisca obbligatoria;

2) la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui: i) esiste un principio di carattere generale desumibile dalla normativa - sia urbanistica, che espropriativa (cfr. art. 16, comma 9, l. 22 ottobre 1971, n. 865) - per cui il proprietario non può trarre beneficio alcuno dalla sua attività illecita (cfr. Cass. civ., nn. 17881/2004, 26260/ 2009 e 4206/2011, nonché sez. un. n. 9341/2003);
ii) il manufatto abusivo è nella sostanza incommerciabile ( ex aliis , arg. Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2012, n. 17028);
la eventuale alienazione a terzi di esso non incide sulla oggettiva abusività del bene medesimo e sulla necessità che sia demolito ( ex aliis ancora di recente Cass. pen., sez. III, 29 marzo 2007, n. 22853);
esso non dovrebbe esistere: ove vi sia, ciò significa che si versa in stato di irregolarità, posto che invece, il manufatto avrebbe già dovuto essere abbattuto;
detta situazione di illecito ha natura permanente (si veda ex aliis Cons. Stato, sez. VI, 18 settembre 2013, n. 4651, sul carattere permanente degli abusi edilizi) e comporta che il decorso del tempo non spieghi alcuna efficacia sanante nei confronti degli abusi stessi, tanto che, si è detto (Cass. civ., sez. I, 18 luglio 2013, n. 17604) “ in tema di espropriazione per p.u., gli immobili costruiti abusivamente non sono suscettibili di indennizzo, a meno che alla data dell’evento ablativo non risulti già rilasciata la concessione in sanatoria ”.

1.2. Le questioni poste oltre che genericamente evocate, sono all’evidenza infondate, se non anche temerarie.

Non è neppure con chiarezza evocato il parametro Cedu violato, e non si tiene conto che la eccezionale previsione di cui all’art. 42- bis del T.U. Espropri è finalizzata ad un (eccezionale, nuovamente) soddisfacimento de facto dell’interesse pubblico: elemento del tutto mancante nella presente fattispecie: il Collegio non intende decampare dai principi di cui a Cons. Stato, sez. IV, 10 gennaio 2014, n. 46: entrambe le eccezioni vanno disattese.

1.2.1. Il Collegio condivide il costante orientamento della giurisprudenza di primo grado ( ex aliis

T.A.R. Palermo, sez. II, 5 ottobre 2015, n. 2420) secondo cui “ il tempo intercorso non elide, né aggrava quanto a motivazione, il doveroso e imprescrittibile esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’amministrazione pubblica: invero, l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare ”.

E peraltro per la costante giurisprudenza penale (cfr. Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 2012, n. 29124;
id., sez. V, 6 marzo 2014, n. 15394) la fattispecie lottizzatoria abusiva impone la confisca obbligatoria e soltanto il terzo estraneo al reato può far valere il diritto alla restituzione con la proposizione di incidente di esecuzione, nell’ambito del quale, escluso che possano essere rivalutate le ragioni della confisca, può dimostrare la sussistenza del diritto di proprietà e l’assenza di ogni addebito di negligenza.

L’appellante, poi, oblia il costante opinamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 novembre 1998, n. 1595) mentre l’efficacia acquisitiva della proprietà dell’edificio abusivo è riconnessa dall’art. 7, comma 4, l. n. 47/1985 al mero decorso del termine di novanta giorni assegnati dall’ordinanza di demolizione rimasta ineseguita da parte del responsabile dell’abuso, l’atto d’accertamento dell’inottemperanza ha natura effettivamente provvedimentale (e, come tale, è immediatamente impugnabile davanti al giudice amministrativo), spiegando il duplice effetto costitutivo di legittimare il Comune all’immissione in possesso del manufatto illecito ed alla trascrizione del titolo d’acquisto nei registri immobiliari.

In nessun caso, insomma, la tesi dell’appellante potrebbe a questi giovare, né ha alcuna parvenza di fondatezza (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 12 giugno 2006, n. 4497: “ la circostanza che dopo un ventennio dal trasferimento fallimentare, il ricorrente abbia acquistato la proprietà dei capannoni per usucapione ordinaria ex art. 1158 c.c. e che detta usucapione sia stata dichiarata dal giudice non muta né sana l’originaria abusività edilizia dei manufatti, poiché la titolarità civilistica di un edificio non coincide con la sua legittima edificazione e, come noto, ove legittima edificazione non vi sia stata, la natura permanente dell’abuso edilizio non esclude le relative sanzioni demolitorie, anche se relative ad abusi del precedente proprietario ”).

1.3. Per altro verso, la circostanza che sia stata emessa una nuova ingiunzione non determina l’improcedibilità dell’odierno processo: le questioni proposte con la memoria di parte appellante vanno pertanto disattese.

2. Nel merito, si osserva che il Tar ben poteva – e doveva - decidere la causa: i ricorsi avverso i dinieghi di condono ed in punto di determinazione degli oneri concessori sono stati respinti. Come è noto, le sentenze sono provvisoriamente esecutive, e quindi nessuna norma obbligava il Tar a sospendere. La sospensione facoltativa (che, sarà consentito osservare per incidens , neppure sarebbe stato corretto concedere, a fronte di una pluralità di impugnazioni dal palese intento defatigatorio) rientra nella latissima discrezionalità del giudicante: nessun profilo di abnormità è ravvisabile nella decisione del Tar (che, anzi, il Collegio condivide integralmente) per cui l’appello è in parte qua infondato, se non anche inammissibile.

3. Quanto alla seconda censura, investente il nodo centrale della causa, osserva il Collegio che la tesi dell’appellante sul necessario frazionamento “atomistico” dell’abuso collide con una condivisibile opposta tesi giurisprudenziale, che è jus receptum e da cui non ci si intende discostare.

Si è detto infatti ( ex aliis sentenza di questa Quarta Sezione n. 3381/2012) che “ …L’art. 30 del D.P.R. 380/2001, al comma 1, dispone che: ‘si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione;
nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio’.

Appare evidente che la lottizzazione abusiva presuppone opere (c.d. lottizzazione materiale) o iniziative giuridiche (c.d. lottizzazione cartolare) che comportano una trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni urbanistiche.

Al fine di valutare un’ipotesi di lottizzazione abusiva c.d. materiale, appare necessaria una visione d’insieme dei lavori, ossia una verifica nel suo complesso dell'attività edilizia realizzata, atteso che potrebbero anche ricorrere modifiche rispetto all’attività assentita idonee a conferire un diverso assetto al territorio comunale oggetto di trasformazione.

Proprio in quanto sussiste lottizzazione abusiva in tutti i casi in cui si realizza un’abusiva interferenza con la programmazione del territorio, deve rilevarsi, ad avviso del Collegio, che la verifica dell’attività edilizia realizzata nel suo complesso può condurre a riscontrare un illegittimo mutamento della destinazione all’uso del territorio autoritativamente impressa anche nei casi in cui le variazioni apportate incidano esclusivamente sulla destinazione d’uso dei manufatti realizzati.

Ciò perché è proprio la formulazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/01 che impone di affermare che integra un’ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l’assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un carico urbanistico che necessita adeguamento degli standards. Come già affermato dalla giurisprudenza di merito il concetto di ‘opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia’ dei terreni deve essere, dunque, interpretato in maniera ‘funzionale’ alla ratio della norma, il cui bene giuridico tutelato è costituito dalla necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all’Amministrazione nonché l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè il Comune), al fine di garantire una ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standards compatibile con le esigenze di finanza pubblica.

Ciò che rileva è il concetto di ‘trasformazione urbanistica ed edilizia’ e non quello di ‘opera comportante trasformazione urbanistica ed edilizia’.

Ne discende, ad avviso del Collegio, che il mutamento di destinazione d’uso di edifici già esistenti può influire sull’assetto urbanistico dei terreni sui quali essi insistono e può altresì comportare nuovi interventi di urbanizzazione.

Il concetto di ‘opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia’ dei terreni, lo si ribadisce, deve quindi essere interpretato in maniera ‘funzionale’ alla ratio della norma (il cui bene giuridico tutelato è costituito, come si diceva in precedenza, dalla necessità di preservare la potestà pianificatoria attribuita all’amministrazione nonché l’effettivo controllo del territorio da parte del Comune), che tende, lo si diceva, appunto, a garantire una ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standards compatibili con le esigenze di finanza pubblica.

Ne consegue che la verifica circa la conformità della trasformazione realizzata e la sua rispondenza o meno alle previsioni delle norme urbanistiche vigenti deve essere effettuata con riferimento non già alle singole opere in cui si è compendiata la lottizzazione, eventualmente anche regolarmente assentite (giacché tale difformità è specificamente sanzionata dagli artt. 31 e ss. D.P.R. n. 380/2001), bensì alla complessiva trasformazione edilizia che di quelle opere costituisce il frutto, sicché essa conformità ben può mancare anche nei casi in cui per le singole opere facenti parte della lottizzazione sia stato rilasciato il permesso di costruire.

Tenuto conto della natura del provvedimento impugnato in primo grado (ordinanza di sospensione per lottizzazione abusiva) cadono quindi tutte le censure fondate sulla mancata definizione delle domande di condono dei singoli – e reiterati - abusi realizzati, in quanto non incidenti sulla riscontrabilità di una condotta lottizzatoria materiale abusiva ”.

Parimenti, ivi è stato condivisibilmente rilevato che “ può integrare un’ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l’assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto) ma anche soltanto un carico urbanistico che necessita di adeguamento degli standards e rimarcare che, avuto riguardo alla tipologia dei reiterati abusivi interventi realizzati, ove unitariamente considerati, questa è l’evenienza realizzatasi nel caso di specie ”.

Nella detta decisione è stato parimenti rimarcato che “ …La giurisprudenza della Corte di cassazione penale è ormai stabilmente orientata all’affermazione di detto principio.

Si rammenta in proposito (la fattispecie è speculare a quella in esame) quanto ripetutamente sostenuto da questa giurisprudenza, cioè che: ‘In materia edilizia, il reato di lottizzazione abusiva mediante modifica della destinazione d’uso da alberghiera a residenziale è configurabile, nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico generale consenta l’utilizzo della zona ai fini residenziali, in due casi: a) quando il complesso alberghiero sia stato edificato alla stregua di previsioni derogatorie non estensibili ad immobili residenziali;
b) quando la destinazione d’uso residenziale comporti un incremento degli ‘standards’ richiesti per l’edificazione alberghiera e tali ‘standars’ aggiuntivi non risultino reperibili ovvero reperiti in concreto.’ (Cassazione penale, sez. III, 07 marzo 2008, n. 24096).

In detta pronuncia, in particolare, si è condivisibilmente affermato che il problema della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva - allorquando il bene suddiviso consista non in un terreno inedificato, bensì in un immobile già regolarmente edificato - deve essere affrontato anche alla stregua della legislazione urbanistica regionale in materia di classificazione delle categorie funzionali della destinazione d’uso e correlato precipuamente alle previsioni della pianificazione comunale, alle quali deve essere raffrontata, in termini di ‘compatibilità’, la effettuata trasformazione del territorio.

Ad avviso della Corte di Cassazione, in particolare, ‘può integrare il reato di lottizzazione abusiva, il mutamento della destinazione d’uso di un immobile che alteri il complessivo assetto del territorio messo a punto attraverso gli strumenti urbanistici, dovendosi considerare, quanto alla individuazione di siffatta ‘alterazione’, che l’organizzazione del territorio comunale si attua con il coordinamento delle varie destinazioni d’uso, in tutte le loro possibili relazioni, e con l’assegnazione ad ogni singola destinazione d’uso di determinate qualità e quantità di servizi.

L’assetto territoriale, pertanto, può essere alterato anche allorché significativamente si incida sulle dotazioni degli standards di zona.’.

Ciò appare peraltro coerente con quanto sin da epoca risalente affermato dalla giurisprudenza amministrativa.

Il Consiglio di Stato (sez. 5^, 3.1.1998, n. 24) ha rimarcato, al riguardo, che ‘la richiesta di cambio della destinazione d’uso di un fabbricato, qualora non inerisca all’ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un’alterazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede’ (nella specie è stato affermato che legittimamente un Comune aveva respinto l’istanza per il cambio di destinazione d’uso di un complesso immobiliare, relativamente ad uso esclusivamente residenziale, del tutto incompatibile con la destinazione di zona).

Quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l’ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza (ipotesi ricorrente nella vicenda in esame), si configura in ogni caso un’ipotesi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di ‘un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente’.

La dedotta circostanza che, a particolari condizioni, possa conseguirsi la sanatoria degli immobili abusivamente edificati - (principio costantemente affermato dalla Corte di Cassazione:

‘In tema di reati edilizi, l’inapplicabilità della disciplina sul condono edilizio prevista dall’art. 39 L. 23 dicembre 1994, n. 724 al reato di lottizzazione abusiva (art. 18 L. 28 febbraio 1985 n. 47), non esclude l’applicabilità di tale disciplina ai singoli manufatti abusivamente eseguiti, i quali sono suscettibili di condono previa valutazione globale dell’attività lottizzatoria secondo il meccanismo previsto dal combinato disposto degli articoli 29 e 35, comma tredicesimo, L. 28 febbraio 1985, n. 47.”- Cassazione penale , sez. III, 21 novembre 2007 , n. 9982;
e confermato pure dalla giurisprudenza amministrativa di merito: si veda T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 27 agosto 2010 , n. 17263) - non inficia la legittimità dell’ordinanza di sospensione gravata, posto che lo stesso principio non può precludere all’amministrazione comunale la ravvisabilità di una fattispecie di lottizzazione materiale abusiva, né l’adozione dei provvedimenti ad essa consequenziali.

Nel caso di specie peraltro, la fattispecie ‘unica’ racchiude in realtà due condotte parimenti illegali: la abusiva edificazione di svariati manufatti (lottizzazione materiale) e la avvenuta adibizione degli stessi, unitamente al pregresso ed originario corpo di fabbrica, ad attività incompatibile (lottizzazione abusiva mercé modifica della destinazione d’uso )”.

3.1. I principi contenuti nella citata sentenza, di recente ribaditi da questa Sezione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19/ giugno 2014, n. 3115) e coerenti con le affermazioni giurisprudenziali del giudice ordinario, di legittimità (cfr. Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2008, n. 24096) e di merito (cfr. Tribunale Grosseto, 9 novembre 2006) si attagliano perfettamente al caso di specie in quanto:

a ) la sussistenza di una lottizzazione materiale e la legittimità della presupposta ordinanza di lottizzazione del 1988 è stata confermata anche in appello (sentenza n. 3642/04 del T.A.R. e sentenza n. 3531/05 di questo Consiglio di Stato, da intendersi integralmente richiamata in questa sede);

b ) per altro verso, la tesi a più riprese affermata dall’appellante (e ribadita anche nell’ambito del ricorso n. 3219/2019 avverso la sentenza n. 3475/2008 del Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna, del pari chiamata in decisione alla odierna udienza pubblica) secondo la quale ci si trovava in presenza di impianti di interesse collettivo è smentita dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 febbraio 2016, n. 595: l’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione, prevista dall’art. 17, comma 3, lett. c ), d.P.R. n. 380/2001, è dovuta anche per un’opera di interesse generale realizzata da un privato per conto di un ente pubblico, ma solo se esso abbia agito quale organo indiretto dell’Amministrazione, come nella concessione o nella delega).

Contrariamente a quanto espressamente sostenutosi nell’appello, la giurisprudenza ha sempre sostenuto (cfr. ex aliis Cons. Stato, sez. IV, 8 novembre 2011, n. 5903) che “ ai sensi dell’art. 9 comma 1, lett. f), l. 28 gennaio 1977 n. 10, debbono concorrere due requisiti per fondare lo speciale regime di gratuità della concessione edilizia e precisamente: un requisito di carattere oggettivo, attinente al carattere pubblico o comunque di interesse generale delle opere da realizzare;
un requisito di carattere soggettivo, in quanto le opere debbono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente, ovvero da soggetti anche privati che non agiscano per scopo di lucro ovvero abbiano un legame istituzionale con l’azione dell'Amministrazione volta alla cura di interessi pubblici
”.

E ciò in quanto la strumentalità rispetto all’esercizio di un servizio pubblico non è sufficiente ad integrare la nozione di “ impianti, attrezzature, opere pubbliche o di interesse generale ”, di cui all’art. 9, comma 1, lett. f ), della l. n. 10 del 1977 (ora art. 17, comma 3, lett. c ), del d.P.R. n. 380 del 2001), in quanto l’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione vale per la struttura che realizza o contribuisce con vincolo indissolubile all’erogazione diretta del servizio, come, a titolo meramente esemplificativo, nell’ipotesi di un impianto tecnico, ma non per un bene la cui strumentalità dipende da scelte discrezionali e, quindi, revocabili, della società, dovendosi dunque concludere che a rilevare non è la destinazione che soggettivamente s’intende dare alla struttura, bensì la sua natura oggettiva: solo laddove l’opera non possa, neppure in astratto, avere una destinazione diversa da quella pubblica si potrà dunque configurare il presupposto per l’esonero dal pagamento del contributo di costruzione.

Nel caso di specie, a tacere d’altro, manca del tutto il requisito soggettivo, ed è altresì assente alcuna parvenza di indissolubilità della destinazione a fini “pubblici”, per cui la censura va disattesa.

4. Conclusivamente, l’appello va respinto, e la sentenza confermata.

4.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).

4.2. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

5. Quanto alle spese del grado, esse seguono la soccombenza, e pertanto parte appellante va condannata in solido a corrisponderle all’appellata Amministrazione comunale di Rimini, nella misura che appare equo quantificare in euro tremila (€ 3000,00) oltre agli oneri accessori, se dovuti.

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