Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-05-13, n. 202103779
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Pubblicato il 13/05/2021
N. 03779/2021REG.PROV.COLL.
N. 05551/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5551 del 2020, proposto dalla società Inerti Adinolfi S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato M F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la Regione Campania, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato M I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, n. 487 dell’11 maggio 2020, resa tra le parti;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 25 marzo 2021 – tenutasi in videoconferenza da remoto ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020 – il consigliere Silvia Martino;
Viste le note di udienza presentate dall’avvocato M I ai sensi e per gli effetti delle citate disposizioni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Le vicende per cui è causa possono essere riassunte nei seguenti termini.
1.1. In riscontro all’istanza di prosecuzione, ampliamento e recupero ambientale, ai sensi dell’art. 38 ter della l. r. Campania n. 54 del 1985, presentata dalla società odierna appellante il 23 giugno 1995, il Dirigente dell’Unità Operativa Dirigenziale (UOD) Genio Civile di Salerno, con decreto n. 1005/343 del 1° aprile 2003, dichiarava legittima l’attività estrattiva esercitata dalla richiedente presso l’area di cava in sua proprietà, ubicata in Battipaglia, località Castelluccia, limitatamente ad una superficie pari a mq 10.000, mentre respingeva l’istanza anzidetta in relazione alla complessiva superficie di progetto, pari a mq 95.800 (di cui mq 45.800 per sistemazione e coltivazione e mq 49.900 per recupero ambientale), contestualmente disponendo la sospensione dei lavori sull’intera superficie di escavazione (pari a mq 125.300).
1.2. A seguito dell’emanazione del Piano Regionale delle Attività Estrattive (PRAE) della Regione Campania, la cava gestita dalla Inerti Adinolfi (identificata col codice 6501402) veniva classificata come ricadente in “zona altamente critica” (ZAC), con conseguente vincolo di dismissione.
Tale provvedimento, nella parte in cui estendeva la sospensione dei lavori anche alla porzione di cava legittimata alla coltivazione, veniva sospeso negli effetti dal Consiglio di Stato, sez. V, con ordinanza cautelare n. 3872/2003, pronunciata in riforma dell’ordinanza reiettiva del TAR n. 992/2003 (a sua volta, pronunciata nel giudizio introdotto dal ricorso iscritto al n. di RG 2041/2003, poi dichiarato perento con decreto presidenziale del TAR di Salerno n. 5189/2012).
1.3. Successivamente, in esito al sopralluogo effettuato il 19 settembre 2006 dai funzionari dell’UOD Genio Civile di Salerno, emergeva che l’attività estrattiva era stata svolta anche al di fuori del perimetro consentito.
Di qui il nuovo decreto dirigenziale (d.d.) dell’UOD Genio Civile di Salerno n. 133 del 10 ottobre 2006, recante l’ordine di sospensione dei lavori ed ancora una volta sospeso negli effetti dal TAR con ordinanza cautelare n. 1285/2006 (pronunciata nel giudizio introdotto dal ricorso iscritto a R.G. 1899/2006, poi dichiarato perento con decreto presidenziale n. 562/2015), laddove riferito anche alla porzione di cava legittimata alla coltivazione.
Quest’ultima, come si evince dal contenuto del d.d. dell’UOD Genio Civile di Salerno n. 121/876 del 19 aprile 2018, è stata successivamente trasformata in uliveto, viabilità di accesso ed area di manovra.
1.4. Con istanza del 13 ottobre 2006 (prot. n. 845305), la società chiedeva di proseguire l’attività estrattiva ai sensi dell’art. 1 della l. r. Campania n. 14/2008.
Con istanza del 4 febbraio 2009 (prot. n. 94015) ai sensi dell’art. 28, commi 6 e ss., delle Norme di attuazione (NA) del PRAE, chiedeva altresì di espletare le attività di ricomposizione e riqualificazione dell’area di cava in dismissione e di delocalizzare l’attività di cava sul fondo limitrofo, ubicato a monte di quest’ultima (sempre in località Castelluccia).
Tale istanza veniva rigettata, con decreto n. 145 del 9 giugno 2009, dal Dirigente dell’UOD Genio Civile di Salerno, in base al rilievo che il sito di cui trattasi (pari a complessivi mq 198.000, a fronte dei soli mq 10.000 legittimati), non presentava il requisito richiesto dalla norme di attuazione del PRAE, costituito dall’autorizzazione dell’attività estrattiva, la quale, nella specie, era risultata in larga prevalenza abusiva.
1.5. In data 25 settembre 2009 (prot. n. 82662), la società richiedeva il riesame di tale provvedimento.
1.6. Il Dirigente dell’UOD Genio Civile di Salerno, sul rilievo che « i lavori previsti consistono essenzialmente in operazioni di scavo e di riporto, da realizzarsi esclusivamente all’interno dell’area di cava », e che, quindi, « trattasi di un intervento di solo recupero ambientale del sito di cava abusivamente escavato », accoglieva tale istanza e, quindi autorizzava, con decreto n. 118 del 12 marzo 2010, la progettata ricomposizione-riqualificazione del sito per un periodo di 3 anni, espressamente vietando la commercializzazione dei materiali rivenienti dalle attività di ricomposizione.
1.7. In accoglimento di apposite istanze della società, i suddetti interventi di recupero ambientale venivano poi prorogati per complessi 10 anni con decreti del Dirigente dell’UOD Genio Civile di Salerno n. 78/799 del 15 aprile 2016 e n. 121/876 del 19 aprile 2018.
1.8. Nelle more delle programmate attività di ricomposizione e riqualificazione ambientale, la ditta, in data 11 maggio 2011 reiterava la già denegata istanza di delocalizzazione dell’area di cava ai sensi dell’art. 28 delle norma di attuazione del PRAE.
Tale istanza veniva nuovamente rigettata, con decreto n. 138 del 13 aprile 2015, dal Dirigente dell’UOD Genio Civile di Salerno.
1.9. Il TAR di Salerno, con sentenza n. 1629 del 2016, respingeva il ricorso proposto dalla società avverso siffatta determinazione.
1.10. Sempre nelle more delle programmate attività di ricomposizione-riqualificazione ambientale, la ditta, in data 7 ottobre 2014 (prot. n. 663310), richiedeva alla Regione Campania la VIA concernente il progetto di potenziamento di un impianto per il trattamento di rifiuti speciali non pericolosi da sottoporre alle operazioni di recupero R12 e R5 presso l’area ubicata in Battipaglia, località Castelluccia, e censita in catasto al foglio 2, particelle 1109 (ex 32), 33, 1110, 103 e 104.
In esito all’interlocuzione con l’interessata, nonché a specifici approfondimenti istruttori (ove, alla stregua dei ragguagli forniti dall’UOD Genio Civile di Salerno nella nota dell’8 aprile 2016, prot. n. 243470, emergeva che l’area di intervento era ricompresa nel perimetro di cava), il Dirigente dell’UOD Valutazioni Ambientali della Regione Campania, con nota del 22 luglio 2016, prot. n. 504107, e successivo decreto n. 267 del 7 ottobre 2016, disponeva l’arresto procedimentale dell’avviato procedimento di VIA, argomentandolo in ragione dell’abusività dell’attività estrattiva, ostativa all’applicabilità dell’art. 19, comma 3, della l. r. Campania n. 54/1985 (invocata ai fini della realizzazione in sito del progettato impianto di trattamento rifiuti).
1.11. Siffatta determinazione veniva, però, annullata per acclarato difetto di istruttoria e di motivazione, dal TAR di Salerno con sentenza n. 1361 del 29 agosto 2017.
1.12. Successivamente, in relazione all’istanza di VIA prot. n. 164821 dell’8 marzo 2017 (CUP 8033), concernente il progetto di delocalizzazione dell’attività estrattiva nell’ambito dell’area ubicata in Battipaglia, località Castelluccia, e censita in catasto al foglio 2, particelle 1393P e 1395P, il Dirigente della Direzione per il Ciclo Integrato delle Acque e dei Reflui, Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali della Regione Campania, col decreto n. 125 del 13 settembre 2018, si pronunciava in senso preclusivo, sulla scorta delle risultanze dei verbali della Commissione regionale VIA – VAS – VI del 12 dicembre 2017 e del 26 giugno 2018, ove si stigmatizzava l’abusività della cava esistente in loco .
1.13. In relazione, poi, all’istanza di VIA prot. n. 663310 del 7 ottobre 2014 (CUP 7212), concernente il progetto di potenziamento dell’ impianto per il trattamento di rifiuti speciali non pericolosi da sottoporre alle operazioni di recupero R12 e R5, nonché in esecuzione della sentenza n. 1392 dell’8 ottobre 2018, il Dirigente della Direzione Generale per il Ciclo Integrato delle Acque e dei Reflui, Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali della Regione Campania, col decreto n. 159 del 15 novembre 2018, si pronunciava in senso nuovamente preclusivo, sulla scorta delle risultanze del verbale della Commissione regionale VIA – VAS – VI del 24 luglio 2018.
Tale determinazione era motivata in considerazione:
- dell’abusività della cava gestita dalla ditta, impeditiva della progettata riconversione funzionale degli impianti esistenti;
- del mancato completamento delle opere di ricomposizione ambientale del sito, parimenti impeditivo della progettata riconversione degli impianti esistenti;
- della finalizzazione industriale di tale riconversione incompatibile con quella naturalistico-paesaggistica all’uopo prescritta dagli artt. 33, comma 2, e 67, comma 5, delle NA del PRAE, oltre che con la destinazione agricola riservata dal vigente strumento urbanistico generale all’area di intervento.
1.14. Il ricorso iscritto al n. di RG n. 1631 del 2018 del TAR per la Campania riguarda la domanda di annullamento del diniego di VIA sull’istanza di delocalizzazione (prot. n. 125 del 13 settembre 2018).
All’uopo, in primo grado, la società deduceva:
- la violazione del giudicato di cui alla sentenza del TAR Campania n. 1361 del 29 agosto 2017 e comunque per l’erroneità del profilo di abusività opposto dall’amministrazione;
- la violazione delle Norme di attuazione del P.R.A.E della Regione Campania, e, in particolare, degli articoli 28, commi 6 e 12 poiché la ricorrente aveva la disponibilità di una cava ricompresa in un’area suscettibile di nuova estrazione, confinante con l’attuale area di cava oggetto di un programma di dismissione e riqualificazione ambientale regolarmente assentito;
- che comunque l’amministrazione non aveva considerato che la ricorrente era autorizzata anche alla coltivazione, ai sensi dell’art. 36 della l.r. n. 54/1985;
- che con decreto n. 118 del 2000 l’Amministrazione aveva comunque dato atto della piena legittimità, quantomeno, di un’area pari a mq. 10.000;
- che il diniego si sarebbe fondato su rilievi ulteriori rispetto a quelli rappresentati nel preavviso di rigetto.
1.15. Il ricorso iscritto al n. di RG del TAR di Salerno n. 1916 del 2018 riguarda il diniego di VIA in relazione al progetto di “ Impianto per il trattamento di rifiuti speciali non pericolosi da sottoporre alle operazioni di recupero R12 e R5 Viale della Pace loc. Castelluccia ”.
Ai fini dell’annullamento di tale provvedimento, la società deduceva:
- la violazione del giudicato di cui alla sentenza dello stesso TAR n. 1361 del 2017;
- la violazione dell’art. 10 – bis della l. n. 241/90;
- la violazione dell’art. 19, comma 3, della legge della Regione Campania n. 54 del 1985.
2. Il TAR – nella resistenza della Regione Campania:
I) ha riunito i ricorsi ex art. 70 c.p.a.;
II) ha respinto tutti i motivi a sostegno dei due ricorsi;
III) ha respinto la domanda di risarcimento del danno per lite temeraria proposta dalla Regione (capo non impugnato);
IV) ha condannato ditta alle spese di lite (6.000 euro).
3. La sentenza è stata impugnata dalla ditta Inerti Adinolfi, rimasta soccombente, la quale ha dedotto nove mezzi di gravame che possono essere così sintetizzati:
I. Error in iudicando – Violazione di legge (artt. 39 e 70 del d.lgs. n. 140 del 2010).
L’appellata ha anzitutto criticato il fatto che il TAR abbia riunito i ricorsi n. 1631/2018 e n. 1916/2018 poiché essi riguarderebbero vicende distinte.
A. SULLA DELOCALIZZAZIONE
II. Error in iudicando – Violazione di legge (art. 28, commi 6, 12 e 13 delle norme di attuazione del Piano regionale delle attività estrattive della Regione Campania in relazione all’art. 20 del d.lgs. n. 152 del 2006 – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, arbitrarietà, erroneità manifesta, illogicità, travisamento).
L’appellante ha riproposto la tesi secondo cui ai sensi dell’art. 3, comma 2, del PRAE della Regione Campania rientrerebbe nel concetto di cava “autorizzata” anche quella autorizzata al solo recupero ambientale, come nella fattispecie avvenuto con decreto dirigenziale n. 118/541 del 12 marzo 2010.
Né saremmo di fronte alla ricomposizione ambientale di una cava abusiva poiché il recupero ambientale rappresenta comunque la fase finale del relativo sfruttamento.
Il che renderebbe applicabile anche l’art. 28, comma 12, delle NTA del PRAE con conseguente diritto alla delocalizzazione;
III. Error in iudicando – Violazione di legge (art. 28, commi 6, 12 e 13 delle Norme di attuazione del Piano regionale delle attività estrattive della Regione Campania in relazione all’art. 20 del d. lgs. n. 152 del 2006 – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, arbitrarietà, erroneità manifesta, illogicità, travisamento).
Quanto all’area di 10.000 mq per cui il Consiglio di Stato ha riconosciuto la sussistenza dell’autorizzazione, sarebbe stato comunque possibile un assenso parziale alla delocalizzazione, a nulla rilevando il fatto che essa sia stata già recuperata. Peraltro la cava di cui trattasi è espressamente individuata dall’art. 28, comma 3 del PRAE (codice 65014/02 – Battipaglia / Castelluccio);
IV. Error in iudicando – Violazione di legge (art. 28, commi 6, 12 e 13 delle norme di attuazione del Piano regionale delle attività estrattive della Regione Campania in relazione all’art. 20 del d.lgs. n. 152 del 2006 – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, arbitrarietà, erroneità manifesta, illogicità, travisamento).
Il TAR avrebbe dovuto quanto meno distinguere la parte di cava sicuramente legittima.
La sentenza n. 1629 del 2016, richiamata dal primo giudice a sostegno delle proprie statuizioni, è stata impugnata anch’essa innanzi al Consiglio di Stato ed è tuttora sub iudice ;
B. SULL’IMPIANTO DI RECUPERO DI RIFIUTI SPECIALI NON PERICOLOSI
V. Error in iudicando – Violazione di legge (art. 19, comma 3, della legge della Regione Campania n. 54/1985 in relazione alla sentenza resa dal TAR di Salerno n. 1361 del 2017). Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, arbitrarietà, erroneità manifesta, illogicità, travisamento).
L’art. 19, comma 3 della legge della Regione Campania n. 54 del 1985 è chiaro nel prevedere che anche “ dopo la cessazione della cava ” è “ fatta salva la facoltà di una diversa utilizzazione consentita dagli strumenti urbanistici ”.
Nella specie, l’impianto in oggetto:
- è stato originariamente realizzato in quanto collegato e funzionale all’attività estrattiva;
- dopo la cessazione di tale attività, ha conseguito il titolo edilizio per una diversa utilizzazione (cfr. provvedimento unico n. 30/2013).
Del tutto inconferente sarebbe poi il richiamo operato dal TAR all’art. 9 bis della succitata legge regionale, in tema di riutilizzo delle cave dismesse;
VI. Error in iudicando – Violazione di legge (artt. 5 e 19, comma 3, della legge della Regione Campania n. 54 del 1985 in relazione alla sentenza resa dal TAR di Salerno n. 1361 del 2017). Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, arbitrarietà, erroneità manifesta, illogicità, travisamento).
Sarebbe poi evidente la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del TAR n. 1361 del 2017 nella parte in cui la stessa avrebbe sostenuto che le pregresse vicende dalla cava non rileverebbero ai fini dell’applicazione delle norme in rubrica e quindi ad un diverso utilizzo dei manufatti esistenti nell’area della cava dismessa;
VII. Error in iudicando – Violazione di legge (artt. 5 e 19, comma 3 della legge della Regione Campania n. 54 del 1985 in relazione alla sentenza resa dal TAR di Salerno n. 1361 del 2017) – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, arbitrarietà, erroneità manifesta, illogicità, travisamento) .
Secondo l’art. 5, comma 3, della legge della Regione Campania n. 54 del 1985 l’autorizzazione del complesso estrattivo riguarda anche i “connessi impianti di trattamento di materiali”.
Tale norma è volta a consentire, in costanza dell’attività di cava, la realizzazione degli impianti all’uopo necessari. E ciò, a prescindere dalla destinazione di zona. Muovendo da tale presupposto, l’art. 19, comma 3 succitato è volto, invece, a consentire la conservazione degli impianti qualora conformi alla disciplina di zona ed all’uopo assentiti;
VIII. Error in iudicando – Violazione di legge (artt. 5 e 19, comma 3 della legge della Regione Campania n. 54 del 1985 in relazione alla sentenza resa dal TAR di Salerno n. 1361 del 2017) – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, arbitrarietà, erroneità manifesta, illogicità, travisamento).
L’impianto di cui trattasi, autorizzato dal punto di vista edilizio nel 2013, sarebbe conforme alla disciplina urbanistica. Né sarebbe dato comprendere perché mai l’utilizzo di un impianto urbanisticamente conforme debba essere subordinato all’ultimazione della ricomposizione ambientale. L’impianto, comunque, si troverebbe al di fuori dell’area di cava;
IX. Error in iudicando – Violazione di legge (art. 10 bis e 21 octies, comma 2, della l. n. 241/90) – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, arbitrarietà, erroneità manifesta, illogicità, travisamento).
Il solo fatto che al privato sia stata data la possibilità di interloquire non sarebbe sufficiente al soddisfacimento delle finalità cui mira la disposizione in rubrica.
4. Si è costituita, in resistenza, la Regione Campania, che ha articolato le proprie difese con memoria depositata il 7 settembre 2020.
5. Alla camera di consiglio del 10 settembre 2020 l’esame della domanda cautelare, su istanza congiunta delle parti, è stato rinviato alla udienza pubblica destinata alla trattazione del merito della causa.
6. La ditta appellante ha depositato una memoria di replica in data 4 marzo 2021.
7. L’appello, è passato in decisione alla pubblica udienza del 25 marzo 2021, ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020.
7.1. In via preliminare va dato atto che l’esame dell’istanza cautelare non è stato ulteriormente coltivato dalla società appellante.
8. E’ poi infondato il primo mezzo dell’appello poiché la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice.
Tanto può desumersi dalla formulazione testuale dell’art. 70 del c.p.a. (“1. Il collegio può, su istanza di parte o d'ufficio, disporre la riunione di ricorsi connessi ”), con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 4071 del 2018;n. 2366 del 2018).
9. Poiché in appello è stato devoluto l’intero thema decidendum trattato in primo grado, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, il Collegio esaminerà direttamente i motivi originari posti a sostegno dei ricorsi di primo grado che, per altro verso, perimetrano obbligatoriamente il processo di appello ex art. 104 c.p.a. (sul principio e la sua applicazione pratica, fra le tante, cfr. Sez. IV, n. 1137 del 2020, n. 1130 del 2016, Sez. V, n. 5868 del 2015;Sez. V, n. 5347 del 2015).
10. Il d.d. n. 125 del 13 settembre 2018, impugnato in primo grado, ha dichiarato improcedibile l’istanza presentata dall’odierna appellante ai fini della verifica di assoggettabilità a VIA della delocalizzazione dell’attività estrattiva, in quanto “ l’area di cava per la quale si chiede la delocalizzazione è abusiva ”.
Al riguarda giova ricordare che l’art. 28 delle NTA del Piano regionale delle attività estrattive della Campania disciplina le attività di dismissione e di delocalizzazione delle attività di cava situate nelle c.d. z.a.c., zone altamente critiche.
Questa procedura presuppone, logicamente e testualmente, il possesso, da parte del richiedente, di una autorizzazione estrattiva ancora efficace (cfr. l’art. 28, comma 1, secondo cui “ la dismissione controllata dell’attività estrattiva ” deve essere attuata “ entro il termine di scadenza dell’autorizzazione e, comunque, entro il termine massimo di 24 mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore del P.R.A.E .”.
Nel caso di specie risulta dagli atti di causa che l’attività estrattiva svolta dall’odierna appellante era in gran parte abusiva e che con decreto n.118 del 12 marzo 2010 era stata autorizzata la sola ricomposizione ambientale dell’area suddetta, senza commercializzazione del materiale escavato.
Tanto è avvenuto ai sensi dell’art. 33, comma 1, del PRAE della Campania, secondo cui “ Per le cave abusive è previsto l’obbligo per il trasgressore di ricomposizione ambientale del sito nel rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 28 comma 1 della L.R. n. 54/1985 e s.m.i. ”.
10.1 Relativamente all’istanza di VIA sulla “delocalizzazione” dell’attività estrattiva, è anzitutto infondata l’eccezione di violazione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 1361 del 2017 del TAR di Salerno, la quale, peraltro, riguarda la parallela ma distinta procedura ambientale attivata dalla medesima società finalizzata alla realizzazione di un “ Impianto per il trattamento di rifiuti speciali non pericolosi da sottoporre alle operazioni di recupero R13 e R5 ”.
Tale pronuncia si è infatti limitata a rilevare un difetto di motivazione della precedente declaratoria di improcedibilità espressa dalla competente struttura regionale, in ordine al carattere abusivo della cava di cui trattasi.
Viceversa, il giudicato formatosi sulla sentenza della sez. V di questo Consiglio di stato, n. 7456 del 27 novembre 2020 (che ha confermato la citata sentenza del TAR di Salerno, n. 1629 del 2016), ha assodato il carattere abusivo dell’attività svolta su gran parte del sedime gestito dalla ditta Inerti Adinolfi (accertamento peraltro contenuto già nei numerosi provvedimenti sopra citati, intervenuti negli anni e mai impugnati).
10.2. Per quanto riguarda, invece, l’area “regolare” di 10.000 mq, in disparte quanto fatto rilevare dal TAR circa il fatto che essa è ormai da tempo “recuperata”, il richiamato giudicato del 2020 ha accertato anche l’intervenuta decadenza del rapporto concessorio per inosservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzatorio ex art. 13, lett. d) della l.r. 54 del 1985.
Sicché deve ritenersi venuta meno anche ogni possibilità dell’ipotizzata “delocalizzazione parziale”.
10.3. Né rileva che la cava di cui trattasi sia espressamente individuata dall’art. 28, comma 3 del PRAE con il codice 65014/02 – Battipaglia / Castelluccio.
In disparte il fatto che, come già ricordato, una parte, seppur minima, dell’area in questione era stata in passato regolarmente autorizzata (il che ne spiega l’inclusione nel Piano), non vi è alcuna ragione per attribuire a tale menzione una valenza autorizzatoria (in sanatoria) di eventuali attività estrattive svolte abusivamente.
10.4. La censura di violazione del giudicato derivante dalla sentenza del TAR di Salerno n. 1361 del 2017 è poi infondata anche in relazione all’impugnativa del D.D. n. 159 del 15 novembre 2018, con cui l’U.O.D. Valutazioni ambientali si è rideterminato sull’ istanza di VIA relativa alla progettata realizzazione di un “ Impianto per il trattamento di rifiuti speciali non pericolosi da sottoporre alle operazioni di recupero R13 e R5 da realizzarsi in Viale della Pace loc. Castelluccia – Battipaglia (SA) ”.
Tale sentenza, come detto, si era infatti limitata a rilevare un difetto di motivazione del precedente parere di “improcedibilità” opposto dall’Amministrazione, pur esso fondato sul carattere abusivo dell’attività estrattiva.
Quest’ultimo esclude ogni possibilità di applicazione dell’art. 19, comma 3 della l.r. n. 54 del 1985 in quanto tale disposizione, ai fini della concessione della facoltà di una diversa autorizzazione dei “manufatti” e degli “impianti” collegati all’attività di cava presuppone la cessazione di una attività estrattiva regolarmente autorizzata (“ Tali manufatti e impianti dovranno essere asportati o demoliti dopo la cessazione dell'attività autorizzata, fatta salva la facoltà di una diversa utilizzazione consentita dagli strumenti urbanistici vigenti ”).
Non è chiaro, d’altro canto, perché la disciplina regionale avrebbe dovuto consentire la riconversione di impianti strumentali ad un’attività cavatoria priva di qualsivoglia autorizzazione.
Né è stato efficacemente contrastato dalla società il dato di fatto, sottolineato dalla Regione in primo grado, secondo cui dalla “planimetria quotata stato di fatto” (Tav, 2), allegata al D.D. n. 118/2010, si evince pianamente che l’impianto ricade nell’ambito entro il quale è stata esercita l’attività abusiva e per il quale era stata pertanto autorizzata la sola attività di ricomposizione ambientale.
Né, invero, ai fini di cui trattasi, può assumere rilievo dirimente il provvedimento autorizzativo unico del 15 ottobre 2013, prot. n. 70528, rilasciato dal SUAP ai sensi dell’art. 7 del d.P.R.n. 160/2020, ai soli fini dell’ammodernamento funzionale e tecnologico dello stabilimento.
Anche sotto il profilo urbanistico – peraltro – l’istruttoria condotta dal Comune di Battipaglia, versata in atti dalla Regione, conferma che l’impianto di cui trattasi ricade in una zona classificata come agricola dal vigente strumento urbanistico sicché anche l’ipotizzata “diversa utilizzazione” non sarebbe comunque con essa compatibile.
L’analisi della disciplina regionale in materia conferma peraltro quanto sottolineato dalla difesa della Regione, secondo cui la possibilità di una diversa utilizzazione degli impianti strumentali all’attività di escavazione, ove consentita dagli strumenti urbanistici vigenti, attiene alla sfera del “riuso” dei siti di cava, che è possibile solo a valle della ricomposizione delle stesse.
Per le cave abusive, le norme di attuazione del PRAE, tuttavia, consentono esclusivamente il “ Riuso naturalistico e/o paesaggistico (oasi naturalistiche, aree naturali di pregio e/o di fruizione naturalistica) ”, ovvero il “ Riuso agroforestale (colture e annessi) ” (art. 33, comma 2) e non certo un insediamento del tipo in esame.
12. Relativamente alla pretesa violazione dell’art. 10 – bis della l. n. 241/90, infine, sono rimaste prive di idonea critica le statuizioni del TAR il quale ha fatto osservare - con riferimento al d.d. n. 125 del 13 settembre 2018 – che l’abusività dell’attività estrattiva era stata già contestata all’interessata in sede di comunicazione dei motivi ostativi all’istanza di VIA prot. n. 164821 dell’8 marzo 2017 (nota del 3 gennaio 2018, prot. n. 3059);tale abusività costituisce un rilievo dirimente, che attesta, l’“ insussistenza di un requisito di legittimità propedeutico al merito valutativo di qualsivoglia progetto insediativo ”.
Con riferimento, invece, al d.d. n. 159 del 15 novembre 2018, giova rammentare che tale provvedimento è stato adottato in esecuzione della sentenza dello stesso TAR n. 1361 del 2017, la quale aveva semplicemente individuato un difetto di motivazione in ordine al rilievo del carattere abusivo dell’attività estrattiva, senza tuttavia esplicitare alcuna particolare indicazione conformativa in ordine alla riedizione del potere amministrativo.
L’esercizio di quest’ultimo, come correttamente fatto osservare dal primo giudice, si pone peraltro a valle di una defatigante vicenda procedimentale e processuale “in cui la ricorrente ha avuto ampio modo di interloquire sia in sede amministrativa (per effetto della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di VIA prot. n. 663310 del 7 ottobre 2014, evasa con nota del 22 luglio 2016, prot. n. 504107) sia in sede contenziosa (nel giudizio instaurato col ricorso iscritto a r.g. n. 1474/2017). Per modo che, al momento dell’adozione del provvedimento anzidetto, le garanzie partecipative ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 erano da intendersi già apprestate e consumate ex ante in favore dell’interessata, non residuando ulteriori margini di contraddittorio nella fase di esecuzione conformativa della sentenza n. 1361 del 29 agosto 2017, ove la Regione Campania si è limitata a rimediare all’acclarato deficit motivazionale della precedente determinazione giurisdizionalmente annullata, sulla scorta degli stessi elementi istruttori e valutativi ”.
13. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello deve essere respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del Regolamento n. 55 del 2014.