Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-08-05, n. 202004929
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Pubblicato il 05/08/2020
N. 04929/2020REG.PROV.COLL.
N. 04762/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4762 del 2018, proposto dalla signora S G, rappresentata e difesa dall’avvocato D M T, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 68 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
- il Comune di Cerreto Guidi, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito nel presente grado di giudizio;
- il signor C M, rappresentato e difeso dagli avvocati M G e G G ed elettivamente domiciliato presso lo Studio Grez &Associati S.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Sez. III, 14 marzo 2018 n. 390, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del signor C M e i documenti prodotti;
Vista l’ordinanza della Sezione 15 luglio 2019 n. 4985 con la quale è stata disposta verificazione e il deposito della relazione conclusiva del verificatore con i documenti allegati;
Esaminate le ulteriori memorie depositate da entrambe le parti, anche di replica ed i nuovi documenti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 14 maggio 2020 (svolta secondo la disciplina prevista dall’art. 84 comma 5, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa) il Cons. Stefano Toschei;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso in appello la signora S G ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Sez. III, 14 marzo 2018 n. 390, con la quale sono stati in parte accolti e in parte dichiarati improcedibili i ricorsi (riuniti nn. R.g. 1025/2017 e 1334/2017) che, in antagonismo tra di loro, avevano proposto la signora S G e il signor C M ai fini di vedere annullata (quanto al ricorso n. R.g. 1025/2017) l’ordinanza 6 maggio 2017 n. 10, con la quale il responsabile dell’Area tecnica del Comune di Cerreto Guidi ha ordinato alla signora S G di demolire una autorimessa di circa mq 15 posta al piano seminterrato dell’edificio sito in via di Corliano, nel predetto comune di Cerreto, con rimessione in pristino stato dell’immobile nonché (quanto al ricorso n. R.g. 1334/2017) per la parziale riforma della suddetta ordinanza n. 10 del 2017 nella parte in cui afferma di non poter applicare la sanzione di cui all’art. 196 l.r. Toscana 65/2014 e dunque implicitamente afferma che l’opera realizzata dalla Signora G, in forza della SCIA 53/2016, sia qualificabile come opera di ristrutturazione edilizia e non come intervento di sostituzione edilizia, dovendosi invece ritenere l’integrale illegittimità del fabbricato realizzato dalla signora G in forza della SCIA 53/2016, in quanto opera realizzata in totale assenza del permesso di costruire-
2. - La documentazione prodotta in giudizio dalle parti controvertenti in sede di appello (nonché nel giudizio di primo grado) consente di ricostruire la vicenda contenziosa come segue, limitatamente alle questioni fatte oggetto di ricorso in primo grado e decise con la sentenza della quale qui si chiede la riforma:
- la signora S G è proprietaria di un fabbricato, costituente in origine un annesso agricolo, sito nel Comune di Cerreto Guidi (Firenze), via di Corliano, in area sottoposta a vincolo ex art. 136, comma 1, lett. c) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 che è stato interessato da numerosi interventi edilizi e da ultimo da un ulteriore intervento per il quale ella, in data 18 marzo 2016, presentava la SCIA n. 53/2016 per realizzare una “ ristrutturazione edilizia e cambio di destinazione d’uso di porzione di annesso agricolo per realizzazione di fabbricato residenziale ”;
- in particolare si trattava della demolizione di una porzione del piano seminterrato del fabbricato e la ricostruzione, in parte nella medesima collocazione e in parte al di sopra del piano terreno, così da creare un (nuovo) piano mansarda nonché la realizzazione di un’autorimessa di circa 15 mq. al piano seminterrato;
- con riguardo a tale opera e alla relativa segnalazione certificata presentata dalla signora G, un proprietario finitimo, signor C M, chiedeva al Comune di Cerreto Guidi di esercitare il potere di verifica e controllo ai sensi dell’art. 19, comma 6- ter , l. 7 agosto 1990, n. 241 sollecitando gli uffici comunali con una diffida nella quale segnalava che la realizzazione dell’intervento edilizio oggetto di SCIA di presentava in contrasto con la normativa di settore, trattandosi di sostituzione edilizia per la quale l’art. 18, comma 3, delle NTA del regolamento urbanistico comunale nonché l’art. 23 dell’Appendice B2 del predetto regolamento, impongono la previa presentazione di un piano di recupero:
- in seguito all’inerzia degli uffici comunali in merito alla suindicata diffida, il signor M agiva ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana che decideva favorevolmente il giudizio con sentenza di accoglimento n. 1197/2017;
- nondimeno, nelle more del suddetto giudizio, il Comune di Cerreto Guidi adottava (dopo una interlocuzione con la signora G costituita dalla comunicazione delle contestazioni e dalle osservazioni in risposta da parte della interessata) l’ordinanza n. 10 del 6 maggio 2017 con la quale disponeva, a carico della signora G, la demolizione delle opere realizzate in seguito alla presentazione della SCIA n. 53/2016 limitatamente all’autorimessa di circa mq 15 posta al piano seminterrato dell’edificio oltre alla eliminazione di alcune altre difformità riscontrate in sede di controllo (nello specifico, due setti murari realizzati di lato all’ingresso principale, un lucernario e un’apertura su uno dei prospetti laterali, in quanto opere realizzate senza titolo in area paesaggisticamente vincolata);
- nello stesso tempo gli uffici comunali, rispetto alla platea delle contestazioni sollevate dal signor M nella diffida, ritenevano di non condividere la denuncia di abusività dell’intero intervento edilizio, perché realizzato senza il previo rilascio del titolo edilizio (asseritamente) necessario (il permesso di costruire), sul presupposto che l’intervento edilizio andava più correttamente ricondotto alla categoria delle “sostituzioni edilizie”, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere realizzato non a seguito di SCIA ma di permesso di costruire nonché previa approvazione di un piano di recupero, ai sensi dell’art. 18, comma 3, delle NTA del regolamento urbanistico.
3. - Sia la signora G che il signor M impugnavano, ovviamente per motivi opposti e con separati ricorsi, il provvedimento di demolizione n. 10/2017.
Il Tribunale amministrativo regionale, riuniti i ricorsi e dopo avere superato (oltre ad altre eccezioni preliminari) l’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione attiva del ricorso presentato dal signor M, scrutinando per primo detto ricorso, lo accoglieva “ in quanto l’intervento posto in essere ha comportato la ricostruzione con diversa sagoma di un preesistente fabbricato sito in zona soggetta a vincolo paesaggistico ed è pertanto inquadrabile nella categoria della sostituzione edilizia (soggetta a permesso) e non in quella della ristrutturazione edilizia ai sensi di quanto prevede l’art. 134 comma 2 lett. l) della l.r.t. 65 del 2014 ” (così, testualmente, a pag. 7 della sentenza qui oggetto di appello).
Precisando poi che la ulteriore domanda di accertamento presentata dal signor M, volta ad ottenere dal giudice amministrativo la dichiarazione di abusività dell’intero fabbricato, non ha valenza autonoma in quanto l’annullamento dell’ordine di demolizione, perché recante un effetto sanzionatorio limitato ad alcune delle opere realizzate con la SCIA n. 53/2016, fa sì che “ l’accertamento del carattere abusivo dell’opera (sia) già contenuto nella parte della pronuncia che dispone l’annullamento del provvedimento impugnato, così come l’obbligo del comune di attivare le conseguenti misure repressive (fatti salvi ovviamente gli esiti relativi ad eventuali domande di sanatoria laddove possibile) discende dall’effetto conformativo che essa produce ” (così, testualmente, a pag. 9 della sentenza qui oggetto di appello).
Di conseguenza veniva dichiarato improcedibile, dal Tribunale amministrativo regionale, il ricorso proposto dalla signora G.
Fin qui i fatti che hanno preceduto la proposizione del ricorso in sede di appello.
4. – La signora G propone ora appello sostenendo la erroneità della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana n. 390/2018, prospettando, in primo luogo, tre complessi motivi di appello ai fini della riforma della pronuncia di primo grado nella parte in cui ha superato alcune eccezioni di inammissibilità del ricorso proposto dal signor M, disattese dal giudice di primo grado e nella parte in cui non ha ritenuto di accogliere i principali motivi di doglianza dedotti nei confronti dell’ordinanza 10/2017. In secondo luogo la predetta appellante ha riproposto tre motivi di ricorso dedotti in primo grado e dichiarati assorbiti dal Tribunale amministrativo regionale, mentre non ha riproposto altre censure dedotte in primo grado in quanto ha, nel frattempo, spontaneamente demolito alcune delle opere contestate.
I tre principali motivi di appello possono così sintetizzarsi:
1) Violazione o falsa applicazione dell’art. 19 e 21- nonies l. 241/1990 ed Erronea motivazione su un punto decisivo della controversia. Con il primo motivo l’appellante, anche riproponendo buona parte delle censure dedotte in primo grado, ritiene che il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, nella sentenza qui appellata, non abbia tenuto in debito conto la fondamentale circostanza che il comune ha fatto esercizio del potere repressivo oltre i termini e in assenza dei presupposti di cui all’art. 19, comma 4, l. 241/1990, che rimanda ai principi previsti dall’art. 21- nonies della medesima legge per l’annullamento in autotutela di un provvedimento illegittimo. Inoltre il TAR per la Toscana ha erroneamente affermato che per l’intervento edilizio fatto oggetto della SCIA n. 53/2016 sarebbe stato necessario richiedere il rilascio del permesso di costruire in quanto avrebbe comportato la demolizione e “ la ricostruzione con diversa sagoma di un preesistente fabbricato in zona soggetta a vincolo paesaggistico ”, costituendo, quindi, un intervento di “sostituzione edilizia” ai sensi dell’art. 134, comma 2, lett. l), l.r. Toscana 10 novembre 2014, n. 65, quanto invece l’intervento edilizio in questione andava più correttamente inquadrato quale “ristrutturazione edilizia conservativa”, assoggettato dall’art. 135, comma 2, lett. d), della legge regionale citata alla presentazione di una SCIA. D’altronde la richiesta presentata al comune dal signor M di “ demolizione delle opere realizzate a seguito della s.c.i.a. è (…) inammissibile, giacchè è volta a sollecitare l’emanazione di un provvedimento di riduzione in pristino sic et simpliciter, e non l’esercizio del potere di riesame in autotutela dell’intervento ” (così, testualmente, a pag. 13 dell’atto di appello);
2) Violazione o falsa applicazione degli artt. 134 e 135 l.r. 65/2014. Erronea motivazione su un punto decisivo della controversia. Errore di fatto. Erronea valutazione delle prove raccolte nel giudizio di primo grado. Con il secondo motivo di appello la signora G ribadisce che erroneamente il Tribunale amministrativo regionale ha accolto il primo motivo di ricorso dedotto dal signor M con il quale quest’ultimo sosteneva che l’intervento edilizio realizzato non consisteva in un intervento di ristrutturazione edilizia, ma nella realtà si compendiava in una sostituzione edilizia, sottoposta, come tale, non a SCIA, ma a permesso di costruire (ai sensi dell’art. 134, comma 2, lett. l), l.r. Toscana 65/2014), avendo provocato la ricostruzione con diversa sagoma di un preesistente fabbricato in zona soggetta a vincolo paesaggistico. L’errore nel quale sarebbe incorso il primo giudice, prima ancora che di diritto, si appalesa come errore di fatto, non essendosi avvisto che, in conformità al progetto approvato, l’edificio realizzato dalla odierna appellante non è stato fatto oggetto di integrale demolizione e ricostruzione, bensì di demolizione solo parziale, con la conseguenza che l’intervento edilizio può essere ricompreso nella categoria della “sostituzione edilizia” e quindi come intervento di “ristrutturazione edilizia conservativa”, disciplinato dall’art. 135, comma 2, lett. d), l.r. Toscana 65/2014. La dimostrazione della demolizione solo parziale è offerta dalla documentazione depositata, in particolare nelle Tavole allegate alla SCIA, nelle quali è possibile scorgere che la demolizione dell’edificio interessa solo una porzione del piano seminterrato (raffigurata nella Tav. 06 allegata alla SCIA con il colore giallo), mentre il piano terreno è stato conservato. Il volume demolito è stato in parte ricostruito nella medesima collocazione e in parte traslato al di sopra del piano interrato, in modo da formare un primo piano mansardato. Peraltro, per come si evince anche dalla Relazione tecnica allegata alla SCIA, il volume demolito non è neppure la metà di quello preesistente rispetto all’intervento, coincidente con il piano seminterrato e il piano terreno dell’edificio;
3) (in subordine) Violazione o falsa applicazione dell’art. 19 e 21- nonies l. 241/1990. Il primo giudice, nel corpo della sentenza qui oggetto di appello, ha espressamente affermato che, in esecuzione della stessa, il comune dovrebbe “ attivare le conseguenti misure repressive ”, ma ciò confligge con il dettato di cui agli artt. 19 e 21- nonies l. 241/1990, atteso che nei casi in cui l’interessato può realizzare interventi edilizi con SCIA l’amministrazione potrà inibire detta realizzazione e disporre la demolizione delle opere realizzate in base alla SCIA solo “ sussistendone le ragioni di interesse pubblico ”, entro il termine di 18 mesi dalla presentazione della SCIA e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, circostanze che non si manifestano nel caso in esame.
5. – La odierna appellante riproduce inoltre, nel caso in cui i motivi di appello sopra tratteggiati non dovessero essere ritenuti meritevoli di accoglimento, i primi tre motivi (dichiarati assorbiti dal primo giudice) del ricorso n. R.g. 1025/2017. In sintesi ripropone le ulteriori ragioni per le quali l’ordinanza n. 10/2017 sarebbe illegittima e andrebbe annullata e quindi:
1) Violazione e falsa applicazione artt. 27, 31, 32, 37 d.P.R. 380/2001;degli artt. 145, 193, 196, 200 l.r. Toscana 65/2014;degli artt. 3 e 19 l. 241/1990;degli artt. 5 e 7 d.P.R. 10 settembre 2010, n. 160;dell’art. 10 d.P.G.R. 11 novembre 2013, n. 64/R. Difetto dei presupposti, carenza della motivazione e dell’istruttoria. Contraddittorietà. Il comune nell’ordinanza impugnata sostiene che il garage sarebbe stato realizzato senza titolo, ma ciò risulta essere errato, in quanto il garage è stato espressamente oggetto della SCIA, nella quale era indicata la sua superficie, oltre al fatto che il tecnico ha specificato che il volume finale sarebbe stato inferiore rispetto a quello preesistente;
2) Violazione e falsa applicazione artt. 27, 31, 32, 37 d.P.R. 380/2001;degli artt. 145, 193, 196, 200 l.r. 65/2014;degli artt. 3 e 19 l. 241/1990;degli artt. 5 e 7 d.P.R. 160/2010;dell’art. 10 d.P.G.R. 64/2013. Difetto dei presupposti, carenza della motivazione e dell’istruttoria. Contraddittorietà. A fronte della assenza di una specifica norma che imponga al soggetto che presenta una SCIA l’onere della dimostrazione del rispetto della vigente normativa in materia, il comune nell’ordinanza n. 10/2017 non indica quali siano state le disposizioni normative violate con la presentazione della SCIA dalla signora G. Inoltre il Comune di Cerreto Guidi non ha chiesto integrazioni documentali né ha formulato alcun rilievo all’indomani della presentazione della SCIA, sicché non è legittimo sostenere l’abusività delle opere dopo altre un anno da detta presentazione;
3) Violazione e falsa applicazione artt. 27, 31, 32, 37 d.P.R. 380/2001;degli artt. 145, 193, 196, 200 l.r. 65/2014;degli artt. 3 e 19 l. 241/1990;degli artt. 5 e 7 d.P.R. 160/2010;dell’art. 10 d.P.G.R. 64/2013. Difetto dei presupposti e dell’istruttoria. Contraddittorietà. Le opere edilizie eseguite in conformità ad una SCIA (perché in essa rappresentate) non possono essere considerate come realizzate in assenza di titolo e ciò è quel che erroneamente il comune ha invece sostenuto nell’adottare l’ordinanza di demolizione n. 10/2017. In sintesi: “ Il Comune ha avviato il procedimento repressivo a distanza di oltre cinque mesi dalla presentazione della SCIA (e, quindi, ampiamente dopo il termine per l’esercizio del potere di controllo sulla legittimità dell’intervento), a lavori pressoché ultimati;ha adottato l’atto impugnato (oltre un anno dopo la presentazione della Scia) sulla base di un rilievo soltanto formale, che avrebbe potuto (e dovuto) formulare nei trenta giorni successivi alla presentazione della segnalazione;non ha individuato alcun contrasto tra l’intervento realizzato e la disciplina vigente;non ha indicato l’interesse pubblico perseguito ” (così, testualmente, a pag 28 dell’atto di appello).
Deriva da quanto sopra la erroneità della sentenza qui oggetto di appello e la illegittimità dell’ordinanza di demolizione n. 10/2017.
6. – Nel silenzio processuale, nel presente grado di giudizio, del Comune di Cerreto Guidi, si è costituito nel processo di appello il signor C M contestando analiticamente i motivi di appello dedotti e i motivi di censura già presentati in primo grado e qui riproposti dalla signora G. L’appellato ha specificato le ragioni che militano per la correttezza della sentenza del primo giudice, chiedendo la reiezione dell’appello proposto.
Nel corso del processo di appello, con ordinanza 15 luglio 2019 n. 4985, la Sezione ha disposto “ una verificazione tendente ad accertare nel dettaglio quali parti del fabbricato per cui è causa siano state demolite e se le demolizioni operate risultino o meno conformi a quelle assentite col titolo edilizio (SCIA) rilasciato all’appellante, evidenziando, se del caso, le eventuali difformità riscontrate ” (così, testualmente, nella citata ordinanza istruttoria), affidandola al responsabile del Provveditorato interregionale (OO.PP.) per la Toscana, le Marche e l'Umbria – Uff2 Firenze.
L’appellante nominava consulente tecnico di parte l’architetto Antonio Bova.
Il verificatore stendeva la relazione conclusiva con allegati in data 5 novembre 2019, depositandola quindi nel fascicolo digitale del processo presso la segreteria sezionale.
Le parti depositavano ulteriori memorie, anche di replica e note d’udienza con documenti, nelle quali confermavano le conclusioni già formulate negli atti processuali.
7. – Pare evidente che la soluzione della controversia qui in grado di appello è caratterizzata, anzitutto, dalla corretta individuazione delle opere edilizie realizzate dalla odierna appellante al fine di poter indicare quale tipologia di titolo abilitativo fosse necessaria, per la normativa di settore, per la legittima edificazione delle stesse nonché, in immediata successione, se vi siano contrasti o differenziazioni tra il progetto allegato alla SCIA n. 53/2016 e le opere effettivamente realizzate.
Per fotografare al meglio possibile la situazione di fatto la Sezione, per come si è sopra anticipato, ha ritenuto necessario disporre una verificazione.
Dalla relazione del verificatore emerge, in sintesi, quanto segue:
A) il confronto tra il progetto allegato alla SCIA n. 53/2016 e l’esecuzione delle opere conduce ad evidenziare l’esistenza di numerose difformità;
B) in particolare (sempre dal confronto tra l’ipotesi progettuale allegata alla SCIA presentata con il n. prot. 5391 del 16 marzo 2016 e l’esecuzione dell’opera) emerge che, contrariamente a quanto previsto in progetto, sono state demolite le murature interne ai due vani sul lato ovest dell’edificio (nella sua consistenza prima delle opere), comprese le murature delimitanti un piccolo vano interno;
C) inoltre risulta che siano stati demoliti tutti i tratti di muratura residuale di scarsa consistenza sul fronte Nord del vano ripostiglio;
D) la demolizione operata nella zona di muratura a Nord si sviluppa per un tratto più esteso rispetto a quanto indicato nel progetto, per circa mt. 1,45, mentre nel tratto di muratura interna posizionata nel mezzo del vano ed ortogonale alla muratura Ovest è stata operata una demolizione per una estensione di mt. 0,32, mentre il progetto ne prevedeva il completo mantenimento;
E) i pilastri di spigolo Sud-Ovest e Nord-Ovest sono stati realizzati esternamente alla sagoma muraria esistente, mentre il progetto ne prevedeva l’inserimento all’interno della muratura stessa;
F) la casseratura dei pilastri intercalati nelle murature (per come si evince dalle foto prodotte dalle parti) hanno comportato una demolizione di muratura maggiore della dimensione dei pilastri stessi, con ampiezze che raggiungono almeno i 70 cm., mentre il progetto contemplava la demolizione del solo ingombro del pilastro;
G) le murature conservate hanno subito una demolizione orizzontale di circa 40 cm. in corrispondenza dell'intradosso del primo solaio e sono state poi sormontate da una fila di mattoni doppio Uni e dal cordolo in calcestruzzo del solaio stesso, ripristinando ex novo i suddetti 40 cm.;
H) difformemente dal progetto che prevedeva il mantenimento del piano di calpestio esistente nel piano seminterrato sul lato Ovest, è stata realizzata una nuova pavimentazione sopraelevata e poggiante sul pavimento esistente.
Il verificatore nella sua relazione finale ricorda che, ciò che è stato descritto nella relazione è fotografato dal confronto tra la TAV. A, relativa alle previsioni progettuali di cui alla SCIA n. 53/2016 e la TAV. C (situazione verificata il 12 settembre 2019). Inoltre, da un confronto con il progetto di variante alla SCIA originaria, depositato il 23 giugno 2016 esiste difformità limitata alla sola zona di muratura Nord dove la demolizione ha riguardato il tratto più esteso di muratura, rispetto al progettato, per circa mt. 1,45, ed il tratto di muratura interna posizionata nel mezzo del vano ed ortogonale alla muratura Ovest che è stato demolito per un'estensione di mt. 0,32, mentre il progetto ne prevedeva il completo mantenimento. Per contro sul lato Sud la demolizione della parete prevista dal progetto di variante non è stata effettuata.
In conclusione il verificatore afferma che le demolizioni difformi dal progettato risultano largamente compensate, dal punto di vista quantitativo tra previsioni progettuali conservative e realtà, dal mantenimento dell’ultimo tratto di muratura Sud che la variante vedeva completamente demolito. Infatti il mantenimento, difformemente dal progettato, del tratto Sud suddetto di muratura per un'estensione di mt. 3,50 risulta superiore alle maggiori demolizioni operate (mt.1,45+mt.0.32=mt.1,77).
Nondimeno è degna di segnalazione la difformità dei pilastri di spigolo Sud-Ovest e Nord-Ovest che sono stati realizzati esternamente alla sagoma muraria esistente, mentre anche il progetto in variante ne riporta, come stato di fatto, l'inserimento all'interno della muratura stessa. Così come l’innalzamento del piano di calpestio che il progetto di variante, nello stato di fatto, riporta come inesistente.
8. – Con riferimento alle conclusioni del verificatore il Collegio rileva come, ovviamente, le parti controvertenti attribuiscono alle espressioni utilizzate dall’ausiliario di questo giudice significati opposti. La riproduzione di alcune disposizioni normative qui rilevanti può, dunque, agevolare la considerazione dell’utilità dei risultati della verificazione per la soluzione della presente controversia.
L’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come vigente all’epoca dei fatti, ma oggi modificato dall’art. 10, primo comma, lett. b), n.2) del decreto-legge 16 luglio 2020 n. 76 (di cui si dovrà tenere conto in sede di esecuzione della presente decisione, con le eventuali modifiche a seguito di conversione), definisce come segue gli interventi di ristrutturazione edilizia: “ gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente ”.
La nozione di “ristrutturazione edilizia” ha subito nel tempo modifiche e aggiustamenti, sempre funzionali alla finalità ad essa naturaliter sottesa di incoraggiare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, così da ricomprendervi espressamente anche la ricostruzione conseguente a previa demolizione, in passato affidata all’elaborazione pretoria. Benché, in particolare, detta ipotesi di ricostruzione sia stata espressamente inserita nel d.P.R. 380/2001 solo a seguito della novella allo stesso apportata ad opera della l. 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, essa risultava già ammessa in ambito pretorio, ancorché con precise delimitazioni oggettive. Ciò in ragione del ricordato scopo, fatto proprio dal legislatore, di agevolare il recupero estetico e funzionale di manufatti già inseriti nel tessuto edilizio, senza determinare un incremento del carico urbanistico dell'area considerata.
In tale contesto, tuttavia, pur in assenza di esplicita previsione, la possibilità di qualificare come ristrutturazione edilizia anche la ricostruzione conseguente a previa demolizione, è sempre stata subordinata al necessario rispetto della sagoma e del volume preesistenti, oltre che all’unitarietà temporale dell'intervento (cfr., ex plurimis , Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2005 n. 4011 nonché Sez. V, 15 febbraio 2000 n. 1906, 27 settembre 1999 n. 1183 e 24 febbraio 1999 n. 197).
Il rispetto dell’identità tra sagoma e volume, cioè, distingueva la ristrutturazione dalla nuova costruzione anche prima del 2001, per cui secondo la giurisprudenza si restava nell'ambito della ristrutturazione solo quando ad un manufatto preesistente fossero apportate modifiche qualitative inidonee ad incidere sulla volumetria, sulla superficie e sulla sagoma del fabbricato ovvero quando, a seguito della demolizione di un manufatto precedente, ne venisse realizzato, a breve distanza di tempo, uno nuovo, purché tuttavia uguale per sagoma, volume e superficie. Negli altri casi si cadeva nell'ambito della nuova costruzione (cfr., più di recente, Cons. Stato, Sez. II, 26 agosto 2019 n. 5871).
L’art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. 380/2001 pretendere il rilascio del permesso di costruire per “ gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni ”.
Secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza, tra la prima norma (di definizione della ristrutturazione edilizia) e la seconda (relativa agli interventi soggetti a concessione edilizia), non vi è contraddizione, facendo riferimento a due tipologie di ristrutturazione edilizia, la ristrutturazione edilizia c.d. ricostruttiva, realizzata anche con la integrale demolizione e ricostruzione del fabbricato con il rispetto della sagoma e del volume originari, nonché in caso di interventi di ristrutturazione edilizia c.d. conservativa, anche con l'inserimento di nuovi elementi e modifiche della sagoma e del volume (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20 aprile 2017 n. 1847 e 2 febbraio 2017 n. 443).
Peraltro, l’orientamento giurisprudenziale consolidato di questo Consiglio ritiene che l’elemento che, in linea generale, contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione debba rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio, mediante una edificazione di cui si conservi la struttura fisica, sia pure con la sovrapposizione di un “ insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ” ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita con ricostruzione rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. IV, 1 settembre 2015 n. 4077, 12 maggio 2014,n. 2397 e 30 marzo 2013 n. 2972).
La ristrutturazione edilizia è, quindi, una attività di edificazione che conserva la struttura fisica dell'immobile preesistente, sia pure con la sovrapposizione di un insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in parte diverso dal precedente. È necessario, quindi, affinché rilevi una ristrutturazione, che tra la vecchia e la nuova edificazione sussista un evidente rapporto di continuità, anche laddove vi sia una trasformazione dell'immobile preesistente (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 18 novembre 2014 n. 5662). Ne deriva che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 380/2001, come vigente all’epoca dei fatti, non sarebbe stata configurabile la ristrutturazione edilizia in presenza di demolizione e ricostruzione comportanti modifica della volumetria e della sagoma.
La normativa regionale della Toscana ricalca quanto si è già sopra indicato ed è stabilito nella normativa nazionale. In particolare, per quanto qui rileva, ai sensi dell’art. 134, comma 4, lettera l), secondo periodo, l.r. Toscana 10 novembre 2014, n. 65, “ Ove riguardanti immobili sottoposti ai vincoli di cui al Codice, gli interventi di demolizione e ricostruzione di cui alla lettera h), punto 2, comportanti modifiche alla sagoma preesistente, costituiscono interventi di sostituzione edilizia ancorché eseguiti senza contestuale incremento di volume ”.
9. – Orbene, applicando le disposizioni normative sopra riprodotte nonché i riferiti orientamenti giurisprudenziali consolidati, risulta evidente che l’intervento concretamente realizzato non possa che configurarsi come nuova costruzione, non avendo rispettato la sagoma preesistente.
Se infatti, per un verso, dalla relazione di verificazione risulta che “(…) le demolizioni difformi dal progettato risultano largamente compensate, dal punto di vista quantitativo tra previsioni progettuali conservative e realtà (…) ”, per altro verso emerge che “(…) I pilastri di spigolo Sud-Ovest e Nord-Ovest sono stati realizzati esternamente alla sagoma muraria esistente, mentre il progetto ne prevedeva l'inserimento all'interno della muratura stessa (…) ”, denotandosi quindi “ (…) la difformità dei pilastri di spigolo Sud-Ovest e Nord-Ovest che sono stati realizzati esternamente alla sagoma muraria esistente (…) ”.
Conseguentemente, chiarito che l’indagine che qui rileva è solo relativa all’oggetto del giudizio di primo grado riferibile al ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana dalla signora G, con la quale quest’ultima censurava l’ordinanza demolitoria n. 10/2017 e che, inoltre, nessun rilievo ha in questa sede (né nella verificazione svolta) la presentazione di una successiva SCIA in variante da parte della stessa signora G, può in conclusione riassumersi che:
- è indubbio che l’area in questione sia gravata da vincolo paesaggistico, costituendone dimostrazione l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di Cerreto Guidi 1 settembre 2008 n. 40 (atto depositato già nel giudizio di primo grado);
- è altrettanto indubbio che la SCIA n. 53/2016 (16 marzo 2016) è stata presentata dalla signora G per effettuare un intervento di ristrutturazione edilizia “ con cambio d’uso di un immobile esistente, per realizzare una casa di civile abitazione ” (così, testualmente, nella descrizione dell’intervento recato dalla suddetta SCIA), quindi senza modifica della sagoma, posto che l’art. 10 d.P.R. 380/2001 impone il rilascio di un permesso di costruire allorquando l’intervento edilizia venga realizzato su area paesaggisticamente vincolata e preveda la modifica della sagoma;
- tuttavia, all’esito della verificazione, si è potuto appurare che l’intervento edilizio realizzato non rispetta integralmente la sagoma preesistente, per come invece era stato assicurato nel progetto allegato alla SCIA:
- da ciò deriva che le opere sono state realizzate senza un titolo idoneo per quelle parti difformi rispetto a quanto è realizzabile con SCIA in ragione della normativa vigente.
Ne deriva ancora che, in virtù di quanto sopra, le illegittimità contestate nei confronti dell’ordinanza comunale impugnata n. 10/2017 non si presentano fondate, con riferimento alla normativa applicabile ratione temporis .
10. - Da ultimo va rammentato, con specifico riferimento alla censura con la quale si sostiene la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 19 e 21- nonies l. 241/1990, il consolidato orientamento di questo Consiglio a mente del quale (cfr., per tutte, Cons. Stato, Ad. pl. 17 ottobre 2017 n. 8), l’onere dell’amministrazione di motivare adeguatamente la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento in autotutela, tenuto anche conto degli interessi dei privati coinvolti, risulta attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, come accade nella presente fattispecie, in quanto relativa ad interventi edilizi abusivi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Detto onere può considerarsi pienamente assolto con il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio dello ius poenitendi .
Inoltre, “ la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo al medesimo una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte ”.
Secondo tali principi, anche nel caso della SCIA, pur non costituendo quest’ultima un provvedimento amministrativo, ma avendo comunque voluto il legislatore estendere i principi di cui all’art. 21- nonies l. 241/1990 agli interventi inibitori e ripristinatori nei confronti della SCIA illegittimamente presentata, il termine ragionevole per l’adozione dell'atto di annullamento d’ufficio (nelle ipotesi, come quella che viene in rilievo ai fini della presente decisione, successive alla novella provocata dall’art. 6 l. 8 agosto 2015, n. 124) è di diciotto mesi dalla presentazione della SCIA e, nel caso in esame, tale arco temporale non si era ancora maturato.
Anche sotto tale profilo l’appello non può trovare accoglimento, dovendosi ritenere confermato anche l’assorbimento dei motivi già assorbiti nel corso del primo grado.
11. – Si precisa, comunque, che la presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 27 aprile 2015 n. 5 nonché Cassazione civ., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni - e quindi di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sulla eccepita inammissibilità dell'appello per sopravvenuto difetto di interesse provocato dalla presentazione da parte dell’appellante della domanda di accertamento di conformità nonché sulla violazione del divieto dei “ nova ” in appello e di risolvere la lite nel merito.
Inoltre, le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. , in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016 n. 3176). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
12. - In ragione delle suesposte osservazioni l’appello va respinto, confermandosi la sentenza fatta oggetto di appello nonché la reiezione del ricorso proposto dalla signora G in primo grado.
Le spese di giudizio del grado di appello seguono la soccombenza, per il noto principio di cui all’art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., di talché le stesse vanno imputate a carico della parte appellante signora S G ed in favore della parte appellata, signor C M, nella misura complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge. Nulla va disposto per le spese con riferimento al Comune di Cerreto Guidi che non si è costituito nel presente grado di giudizio.
Quanto alle competenze riconosciute al verificatore, esse sono imputate a carico della parte appellante, già onerata del pagamento dell’anticipo di € 2.000,00 (euro duemila/00) in virtù dell’ordinanza della Sezione n. 4985/2019, secondo quanto sarà indicato dal verificatore e liquidate con separato provvedimento.