Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-11-04, n. 201907495

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-11-04, n. 201907495
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201907495
Data del deposito : 4 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/11/2019

N. 07495/2019REG.PROV.COLL.

N. 03635/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3635 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G C, con domicilio eletto presso lo studio A Placidi s.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini, 30;

contro

Ministero della Giustizia, C.S.M. - Consiglio Superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Commissione Esaminatrice del -OMISSIS-, non costituita in giudizio;

nei confronti

Peruzzo Valeria, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione I quater) n. -OMISSIS-, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del C.S.M. - Consiglio Superiore della Magistratura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il Cons. S F e uditi per le parti gli avvocati Ceceri Giuseppe, dello Stato De Nuntis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Il dott. -OMISSIS- ha interposto appello nei confronti della sentenza 30 gennaio 2018, n. 1085 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I quater, che ha respinto il suo ricorso avverso il giudizio di non ammissione alle prove orali del concorso per il conferimento di -OMISSIS-

Espone di avere conseguito il voto di 12 al compito di diritto civile ed a quello di diritto penale, mentre l’elaborato di diritto amministrativo è stato valutato “non idoneo”, con conseguente non ammissione alla prova orale.

2. - Con il ricorso in primo grado ha impugnato il giudizio di non ammissione deducendo, anche mediante i successivi motivi aggiunti, una pluralità di censure, in sintesi volte a contestare la non adeguatezza, sotto il profilo motivazionale, della valutazione di “non idoneità”, “assiologia valutativa” a suo dire, prevista dall’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 160 del 2006, anche sotto il profilo della compatibilità con l’art. 296, comma 2, T.F.U.E. e con l’art. 41 della Carta fondamentale dei diritti dell'Unione europea, nonché in relazione alla circostanza per cui la norma che contempla tale giudizio appare avere ecceduto dalla legge di delega;
altre censure contestano poi vizi in tema di correzione della prova di diritto amministrativo e della relativa verbalizzazione delle operazioni di scrutinio, in quanto per l’elaborato in questione è stata riportata una prima annotazione di sufficienza (voto 12) e poi la sovrascrittura “non idoneo” senza interlineatura e sigla dell’autore della correzione, e senza la possibilità di inferire la sequenza cronologica delle attività materiali compiute.

3. - Con ordinanza 20 luglio 2016, n. 4107 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, favorevolmente delibando la censura di violazione dei principi in tema di verbalizzazione, ha disposto la ripetizione della correzione dell’elaborato valutato non idoneo da parte della Commissione esaminatrice in diversa composizione, con modalità idonee a garantire l’anonimato. Tale misura cautelare è stata confermata da questo Consiglio di Stato, V, con ordinanza 20 ottobre 2016, n. 4714.

4. - Con provvedimento in data 17 novembre 2016 la Commissione, nella composizione scelta dal presidente, disattesa l’istanza di astensione ai sensi dell’art. 51 Cod. proc. civ., all’esito della rinnovata correzione dell’elaborato di diritto amministrativo, ha ritenuto l’appellante “non idoneo”.

5. - La sentenza appellata ha respinto il ricorso e quattro atti di motivi aggiunti, estesi anche alla fase della rinnovazione della correzione dell’elaborato. Ha ritenuto in particolare che la ricorrezione della prova non possa essere affidata ad organo collegiale diverso da quello che ha provveduto alla prima valutazione a pena di violazione della par condicio tra i concorrenti;
ha altresì precisato che non era ravvisabile un obbligo di astensione in capo ai componenti della Commissione esaminatrice ed escluso che la nuova valutazione sia avvenuta in violazione dei principi di imparzialità, neutralità e terzietà, oltre che del principio dell’anonimato. La sentenza di prime cure ha altresì ritenuto legittima l’espressione del giudizio mediante la formula sintetica “non idoneo”, in conformità di quanto disposto dall’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 160 del 2006, in ragione della irrilevanza dell’attribuzione di un voto numerico ad elaborati giudicati inferiori alla soglia della sufficienza, stante anche l’adeguatezza dei parametri di valutazione che la Commissione ha enucleato nella seduta del 17 luglio 2015.

6.- Con il ricorso in appello il -OMISSIS- ha dedotto l’erroneità della sentenza di prime cure, censurando anzitutto la mancata disamina del ricorso introduttivo, non superato dalle censure svolte avverso il rinnovato giudizio di non idoneità, e poi i capi della sentenza che hanno escluso l’illegittimità delle operazioni di ricorrezione, reiterando altresì i motivi non esaminati dalla sentenza.

7. - Si sono costituiti in resistenza il Ministero della Giustizia ed il C.S.M.-Consiglio Superiore della Magistratura puntualmente controdeducendo ai motivi di ricorso e chiedendone la reiezione.

8. - All’udienza pubblica del 9 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Il primo motivo di appello critica la sentenza per avere ritenuto non suscettibili di disamina il ricorso introduttivo ed i primi motivi aggiunti, atteso che, all’esito della rinnnovata correzione dell’elaborato, è intervenuto un nuovo giudizio di inidoneità, che, sostituendo il primo, costituisce ormai l’atto lesivo dell’interesse del ricorrente;
assume l’appellante che in tale modo risulta violato il principio di corrispondenza tra i chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 Cod. proc. civ., avendo egli chiesto in via principale l’annullamento della valutazione negativa del compito di diritto amministrativo e, per l’affetto, l’ammissione diretta alle prove orali.

Il motivo è infondato.

Ed invero la sentenza ha chiarito che « l’esito della ricorrezione dell’elaborato disposta in via giudiziale ha sostituito l’originario giudizio negativo gravato con l’atto introduttivo del giudizio e con l’atto di motivi aggiunti depositato il 4 giugno 2016, con l’avvertenza che le censure svolte nei predetti atti sono state pressocchè tutte riproposte negli ulteriori mezzi aggiunti svolti avverso il nuovo giudizio negativo ».

Peraltro, anche a voler seguire la prospettazione di parte appellante, il motivo non è meritevole di positiva valutazione, non essendo permesso al giudice amministrativo sostituirsi alle valutazioni riservate all’amministrazione, con la conseguenza che anche l’ipotetico annullamento del giudizio di inidoneità non avrebbe consentito l’ammissione del candidato alla prova orale, senza una rinnovata valutazione della prova scritta in conformità della pronuncia cautelare, e dunque, essenzialmente, all’esito di una nuova correzione degli elaborati, emendata dai vizi riscontrati.

In tale senso depone anche la previsione di cui all’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm., alla cui stregua il giudice amministrativo non può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, disposizione che assume una portata paradigmatica in presenza di provvedimenti discrezionali ed, ancora più, espressione di valutazione tecnica irripetibile, quale è l’attività di correzione di elaborati concorsuali.

Ne consegue che, sul piano formale, è venuto meno l’interesse a coltivare il ricorso ed i motivi aggiunti esperiti nei confronti del primo giudizio di non ammissione alle prove orali.

2. - Ciò esime anche dalla disamina dell’ottavo mezzo di gravame, che, appunto, è riproduttivo degli otto motivi del ricorso originario e dei quattro motivi dedotti con il primo ricorso di motivi aggiunti. Giova peraltro osservare, ad escludere qualsivoglia limitazione del diritto di difesa, che è lo stesso appellante a chiarire che si tratta di motivi in buona sostanza riproposti attraverso le argomentazioni svolte nei paragrafi IV, V e VI del presente appello.

3. - Con il secondo motivo l’appellante critica la statuizione di primo grado che ha ritenuto legittima l’operazione di ricorrezione affidata alla Commissione d’esame originaria, seppure in diversa composizione, in conformità di quanto disposto dall’ordinanza cautelare 20 luglio 2016, n. 4107 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio;
allega l’appellante che una diversa Commissione avrebbe garantito maggiore indipendenza di giudizio e maggiore imparzialità, senza affatto violare il principio di par condicio tra i concorrenti, che è garantita dal rispetto di criteri di valutazione oggettivi ed uniformi (di cui al verbale n. 8 del 17 luglio 2015);
non rileverebbbe la circostanza che la stessa Commissione sia prevista dall’ordinanza del Tribunale amministrativo, in quanto solo successivamente al dictum cautelare sarebbero emerse le ragioni poste a base dell’istanza di astensione, in particolare la relazione del 19 maggio 2016 con cui il presidente della Commissione confermava il giudizio di non idoneità, sollecitando l’amministrazione ad appellare l’ordinanza cautelare, al contempo asseritamente dimostrando che l’intera Commissione era a conoscenza dell’elaborato, e così (evidenziando) i motivi integranti le condizioni dell’obbligo di astensione di cui all’art. 51 nn. 1 e 3 Cod. proc. civ.

Anche tale motivo è infondato.

La sentenza ha sottolineato la necessità che venga preservata l’identità dell’organo collegiale giudicante prescelto per la specifica selezione;
ha poi ritenuto non applicabile alla Commissione la fattispecie dell’interesse alla causa di cui all’art. 51 n. 1 Cod. proc. civ. quale obbligo di astensione, concernente un’ipotesi di interesse personale, né quella di cui all’art. 51 n. 3 Cod. proc. civ., relativo alla grave inimicizia, non postulabile con riguardo ad un contenzioso amministrativo originato proprio dallo svolgimento della procedura selettiva in relazione alla quale viene esercitata la ricusazione, ma implicante un rapporto preesistente.

Si tratta di un corredo motivazionale condivisibile sul piano del diritto positivo che non contempla, salve disposizioni speciali, la regola per cui la rinnovazione dell’attività debba essere compiuta da altro collegio, salvo che il vizio non riguardi proprio la composizione della Commissione. Non è dunque evincibile nell’ordinamento un principio generale per cui, a seguito dell’annullamento giurisdizionale di atti si debba procedere, per ciò solo, al mutamento del titolare dell’organo che li abbia adottati al fine della loro rinnovazione (Cons. Stato, VI, 30 giugno 2011, n. 3896).

Siffatto principio o criterio è stato ribadito anche nella materia dei procedimenti di gara, in cui erano insorti dubbi interpretativi;
l’art. 77, comma 11, del d.lgs. n. 50 del 2016 stabilisce infatti apertis verbis che, in caso di rinnovazione del procedimento a seguito di annullamento dell’aggiudicazione o dell’esclusione di taluno dei concorrenti, è riconvocata la medesima Commissione, fatto salvo il caso in cui l’annullamento sia derivato proprio da un vizio nella composizione della Commissione stessa.

Il fondamento di razionalità di tale soluzione è, in analisi ultima, quello per cui la garanzia di imparzialità scaturisce dalla qualità di pubblici ufficiali dei commissari, i quali, nello svolgimento della loro attività, sono tenuti ad operare nel rispetto dei principi dell’ordinamento e sono responsabili di eventuali danno arrecati al candidato od all’amministrazione per la quale operano.

Giova aggiungere ancora che la relazione del presidente della Commissione non costituisce una sopravvenienza rispetto alla fase cautelare, nella quale era stato disposto che la ripetizione dell’elaborato valutato non idoneo fosse effettuato da parte della Commissione esaminatrice in diversa composizione, e con l’adozione di modalità idonee a garantire l’anonimato.

Deve dunque ritenersi che l’amministrazione non poteva che attenersi al dictum cautelare anche in relazione alle modalità di rinnovazione dell’attività di correzione dell’elaborato.

Quanto, poi, alle cause di incompatibilità denunciate dall’appellante, di cui all’art. 51, nn. 1 e 3, Cod. proc. civ., occorre considerare che, per costante giurisprudenza, “l’interesse nella causa” deve essere personale e concreto e, nella fattispecie in esame, il giudizio di inidoneità non è stato espresso dalla totalità dei componenti della Commissione, ma solamente da coloro che hanno partecipato alla seduta di correzione del 12 gennaio 2016.

Né può configurarsi un obbligo di astensione “per grave inimicizia”, la quale deve essere reciproca ed originata da rapporti privati, e non è integrata neppure dalla contrapposizione riconducibile alla qualità di parti nell’ambito di un processo (amministrativo) originato proprio dallo svolgimento della procedura selettiva in cui si esplica la ricusazione, dovendo preesistere, normalmente, allo svolgimento dell’attività valutativo/decisionale, cioè configurarsi come autonomamente insorta da rapporti interpersonali legati a vicende della vita estranee alle funzioni esercitate dai decidenti (in termini Cons. Stato, V, 7 febbraio 2012, n. 650).

4. - Il terzo motivo deduce la violazione del principio di anonimato, che, ad avviso dell’appellante, è provata dalla relazione del 19 maggio 2016, cui l’elaborato è allegato, e deve essere stato conosciuto da tutti i componenti per consentire loro di esprimere la propria opinione.

Il motivo è infondato.

Appare assorbente, ai fini del decidere, la considerazione che, come si evince dall’allegato 1 al verbale n. 370 del 17 novembre 2016, avente efficacia probatoria fino a querela di falso, i componenti della Commissione in diversa composizione hanno respinto l’istanza di astensione presentata dall’appellante, affermando espressamente di non avere mai letto l’elaborato per cui è causa e di non avere partecipato a riunioni per decidere sull’appello cautelare.

In ogni caso, la relazione del 19 maggio 2016 risulta sottoscritta dal solo presidente della Commissione esaminatrice, senza concreta dimostrazione del coinvolgimento degli altri componenti nella sua redazione (alcun valore inferenziale può assumere l’uso della formula di stile “ad avviso della Commissione”).

5. - Il quarto, articolato, motivo si appunta sulla richiesta di astensione del 15 novembre 2016 decisa autonomamente dal presidente, senza attendere il decreto del Ministro della Giustizia, previa delibera del C.S.M., come prescritto dall’art. 5 del d.lgs. n. 160 del 2006 (e come era accaduto per la precedente istanza di ricusazione);
critica altresì la sentenza che ha ritenuto non viziate le modalità di individuazione dei componenti della Commissione incaricata della ricorrezione, e legittimo l’avere reso anonimi solo dieci compiti di diritto amministrativo, e non anche quelli di diritto civile e penale. Lamenta, ancora, l’appellante che non sono state indicate le modalità di ricorrezione, sì che non è dato evincere se la Commissione abbia deliberato a maggioranza od all’unanimità, come pure se i compiti siano stati letti coralmente od individualmente.

Il motivo è infondato.

Procedendo per ordine, va anzitutto ravvisato che l’art. 5 del d.lgs. n. 160 del 2006 non prevede espressamente che sull’istanza di astensione debba decidere il Ministro, a seguito di conforme delibera del C.S.M.;
tale procedura è prevista, dal comma 1 della predetta norma, per la nomina della Commissione esaminatrice. In ogni caso la similarità contenutistica (in relazione ai presupposti) e prossimità temporale tra istanza di ricusazione ed istanza di astensione giustificano che la seconda istanza non sia stata riproposta agli organi ordinari dell’amministrazione.

Gli ulteriori pretesi vizi del procedimento di ricorrezione non sono tali, in quanto non si fondano su violazioni di norme, né appaiono sintomatici di un uso sviato del potere amministrativo. In particolare, sotto quest’ultimo profilo, non vi è inerenza con il rispetto dell’anonimato della pretesa di rendere anonime le prove di diritto civile e penale dei dieci candidati rivalutati. Ancora una volta, in assenza peraltro di indicazioni, rileva che nei verbali nn. 369 e 370 si dia espressamente atto che l’attribuzione dei voti è avvenuta in condizioni di anonimato, all’esito della lettura degli elaborati. E’ altresì condivisibile la statuizione di primo grado che precisa, in conformità della prevalente giurisprudenza, come laddove il verbale non contenga precisazioni sul punto, né indichi l’espressione di un dissenso, deve ritenersi che la deliberazione sia avvenuta all’unanimità.

6. - Con il quinto motivo si critica la sentenza che ha ritenuto non inficiato dal punto di vista del deficit motivazionale il giudizio di “non idoneo”, il quale, seppure conforme a quanto previsto dall’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 160 del 2006, è incapace di dare conto del rispetto dei criteri di valutazione cui la Commissione esaminatrice si è autovincolata nella seduta del 17 luglio 2015. Peraltro, ad avviso dell’appellante, l’onere di adeguata motivazione si rendeva tanto più necessario in ragione della genericità dei criteri valutativi predisposti, e comunque deve essere garantito il sindacato giurisdizionale, anche intrinseco, delle valutazioni tecniche. Nella specie, l’elaborato di diritto amministrativo dell’appellante era aderente ai parametri del verbale n. 8 del 2015, come confermato da due pareri, e ciò varrebbe ad evidenziare l’illogicità del giudizio di “non idoneo”. L’art. 2, comma 1, lett. d), della legge delega n. 150 del 2005 pone solo il criterio che la correzione degli elaborati scritti e lo svolgimento delle prove orali devono intervenire in un tempo non superiore a nove mesi, ma alcuna deroga apporta alla regola desumibile dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990;
ne consegue che l’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 160 del 2006 non ha alcuna copertura nella legge di delega.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

Viene in rilievo la previsione di cui all’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 160 del 2006 a mente del quale « agli effetti di cui all’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza è motivata con la sola formula “non idoneo” ».

Osserva il Collegio che naturalmente l’interessato può dimostrare la manifesta illogicità del giudizio espresso dalla Commissione esaminatrice, fermo restando comunque il limite della relatività delle valutazioni tecniche, potendo il giudice amministrativo censurare la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, poiché altrimenti all’apprezzamento opinabile dell’amministrazione sostituirebbe quello proprio ed altrettanto opinabile (Cons. Stato, VI, 30 giugno 2011, n. 3896). Ma va detto che in tale sede l’appellante non ha assolto a tale onere probatorio, risultando inidonei allo scopo i pareri pro veritate versati in atti, atteso che spetta in via esclusiva alla Commissione giudicare lo sviluppo logico del ragionamento giuridico, la maturità di pensiero e la completezza degli argomenti posti a sostegno delle tesi sostenute (in termini Cons. Stato, IV, 11 gennaio 2008, n. 71). L’amministrazione ribadisce anche negli scritti difensivi il giudizio negativo sulla prova concernente la natura del ricorso straordinario al Capo dello Stato, e dei connessi rimedi, evidenziando anche gli argomenti non trattati.

Con tale premessa, occorre peraltro considerare che è ormai consolidata la giurisprudenza nel ritenere che in materia di valutazione delle prove scritte concorsuali deve ritenersi sufficientemente motivato il giudizio della Commissione limitato alla mera apposizione della formula “non idoneo”, trattandosi di esplicitazione di discrezionalità tecnica, coerente con il dettato normativo (Cons. Stato, IV, 5 settembre 2013, n. 4457).

Del resto, anche la Corte cost., con sentenza 30 gennaio 2009, n. 20, ha preso atto del “diritto vivente”, affermando l’insussistenza di un obbligo di motivazione dei punteggi attribuiti in sede di correzione delle prove d’esame per l’abilitazione alla professione forense, e l’idoneità del punteggio numerico a rappresentare una valida motivazione del provvedimento di inidoneità.

7. - Il sesto motivo reitera la censura di illegittimità comunitaria (per violazione dell’art. 296, comma 2, T.F.U.E. e dell’art. 41 della Carta di Nizza) e costituzionale (per violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost) dell’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 160 del 2006 che ritiene assolto l’obbligo motivazionale, in caso di insufficienza, con la mera formula “non idoneo”.

Anche tale motivo è infondato.

Quanto al profilo comunitario, è sufficiente ricordare la sentenza della Corte Giust. U.E. 21 dicembre 2011, n. 482, che ha sottolineato come l’art. 1 della legge n. 241 del 1990, nel richiamare i principi del diritto dell’Unione, non ha inteso, con riferimento all’obbligo di motivazione, realizzare un rinvio al contenuto delle disposizioni degli artt. 296, comma 2, T.F.U.E. e 41 n. 2, lett. c), della Carta o ad altre disposizioni del diritto dell’Unione inerenti all’obbligo di motivazione dei provvedimenti, al fine di applicare un trattamento identico alle situazioni interne ed a quelle disciplinate dal diritto dell’Unione.

In altri termini, la Corte Giust. U.E. ha chiarito come l’obbligo di motivazione di cui all’art. 41 della Carta attiene alla sfera dei poteri amministrativi esercitati dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione, non anche a quella di istituzioni ed organi degli Stati membri, e quindi che la questione della disciplina normativa della motivazione dei provvedimenti amministrativi emanati da organi degli Stati membri è puramente interna (così Cons. Stato, IV, 13 marzo 2014, n. 1235).

Quanto al profilo di illegittimità costituzionale, si tratta di un motivo manifestamente infondato, come già ritenuto dalla Corte cost. con la sentenza 8 giugno 2011, n. 175 concernente il giudizio con punteggio numerico del provvedimento di non ammissione dei candidati che partecipano agli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense.

Deduce l’appellante che successivamente a tale pronuncia sono intervenute norme che in altri settori dell’ordinamento hanno previsto un più stringente obbligo di motivazione del giudizio : in particolare in materia di esame di Stato per l’esercizio della professione forense l’art. 46, comma 5, della legge n. 247 del 2012, ovvero, in materia di concorso notarile, l’art. 11 del d.lgs. n. 166 del 2006, od ancora, con riguardo agli esami di maturità, l’art. 197 del d.lgs. n. 297 del 1994. Si tratta peraltro di disposizioni che riguardano fattispecie differenti, rispetto alle quali non è neppure ipotizzabile una situazione di disparità di trattamento o di irragionevolezza.

8. - In conclusione, alla stregua di quanto esposto, l’appello va respinto, in ragione dell’infondatezza dei motivi dedotti.

La particolare complessità delle questioni trattate integra tuttavia le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

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