Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-09-24, n. 201906412
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Pubblicato il 24/09/2019
N. 06412/2019REG.PROV.COLL.
N. 10438/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10438 del 2018, proposto da
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Monopoli di Stato - Amministrazione Autonoma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
M P L, rappresentato e difeso dagli avvocati S C, G R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) n. 01432/2018, resa tra le parti, concernente Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
DEPOSITO APPELLO AVVERSO SENTENZA
Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da LAVIA MARIA PIA il 12\3\2019 :
Azione risarcimento danni derivante da atto amministrativo illegittimo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 settembre 2019 il Cons. L M e uditi per le parti gli avvocati Fabrizio Zito su delega di S C e di G R e l'Avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con l’atto n. 17490 del 26 ottobre 2011, l’Agenzia Autonoma dei Monopoli di Stato ha revocato la concessione in precedenza rilasciata alla appellata (e appellante incidentale) ed ha disposto l’immediata chiusura della rivendita di tabacchi da lei gestita nel territorio del Comune di Rende, per violazione dell’art. 34, n. 9, della legge n. 1293 del 1957.
Tale atto è stato annullato da questa Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1134 del 2015, emessa al termine di un giudizio di impugnazione nel quale è stata dapprima respinta la domanda cautelare della interessata (con l’ordinanza del TAR per la Calabria, Sede di Catanzaro, n. 20 del 2012) ed è stato respinto il ricorso di primo grado (con la sentenza del medesimo TAR n. 1140 del 2013, riformata con la citata sentenza n. 1134 del 2015).
2. Con il ricorso di primo grado n. 1276 del 2015 (proposto al TAR per la Calabria, Sede di Catanzaro), l’odierna appellata (e appellante incidentale) ha chiesto il risarcimento dei danni derivanti dalla chiusura dell’esercizio, disposta in esecuzione dell’atto annullato con la sentenza di questa Sezione n. 1134 del 2015.
3. Il TAR, con la sentenza n. 1432 del 2018, ha in parte accolto la domanda risarcitoria ed ha condannato l’Amministrazione al pagamento delle spese del giudizio.
In particolare, il TAR non ha individuato elementi ‘che valgano ad escludere la colpa in capo all’Amministrazione’ e ha disposto la condanna al pagamento di euro 72.835,93, oltre gli accessori di legge, a fronte di una richiesta dell’interessata avente per oggetto un importo superiore.
4. Con l’appello principale in esame, il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle dogane e dei monopoli hanno impugnato la sentenza del TAR, chiedendo che in sua riforma il ricorso di primo grado sia respinto e, in subordine, che la condanna al risarcimento sia disposta per un importo più contenuto, rispetto a quello determinato dal TAR.
L’appellata in data 12 marzo 2019 ha notificato un atto di appello principale, con cui ha dapprima controdedotto ai motivi dell’appello principale (v. pp. 1-10) e poi ha chiesto che – in parziale riforma della sentenza del TAR – la condanna al risarcimento del danno sia disposta per complessivi euro 118.847,31, oltre alla rivalutazione dal 2 aprile 2014 al 6 marzo 2015 e agli interessi legali con decorrenza dal 2 aprile 2014.
5. Con il primo motivo del proprio atto d’appello (il cui esame va effettuato con priorità), le Amministrazioni statali soccombenti in primo grado hanno dedotto che il TAR avrebbe erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per ravvisare la loro responsabilità e, in particolare, avrebbe erroneamente ravvisato la loro colpa.
Le Amministrazioni:
- hanno richiamato le varie fasi del giudizio di impugnazione dell’atto di revoca, segnalando che la sua illegittimità è stata ravvisata da questo Consiglio n. 1134 del 2015, in riforma della sentenza del TAR allora impugnata;
- hanno evidenziato che l’atto di revoca ha tenuto conto di particolari e complesse circostanze di fatto e che non vi è stata alcuna violazione ‘grave’ di regole o principi, potendosi ravvisare anche un errore scusabile;
- hanno rimarcato che l’atto di revoca aveva dato seguito a ‘reiterate violazioni accertate e contestate’ dall’Agenzia, con gli atti nn. 2363, 7862 e 11085 del 2011 (che hanno disposto sanzioni pecuniarie, seguite dal pagamento dei relativi importi) e che, dunque, ‘il comportamento della titolarità della rivendita è stato determinante per l’azione amministrativa contestata.
6. L’appellata – nel proprio atto notificato in data 12 marzo 2019 – ha sottolineato che:
– con la sentenza n. 1134 del 2015, questa Sezione ha constatato che si era trattato di ‘violazioni di lieve entità, di per sé inidonee a supportare un provvedimento di revoca’ e neppure vi era stata ‘la sequenza temporale della norma affinché possa procedersi alla revoca della gestione’.
- vi sarebbe stata una ‘illegittimità procedimentale grave e manifesta’, per l’evidente violazione del principio di proporzionalità.
6. Così riassunte le contrapposte posizioni delle parti, ritiene la Sezione che l’appello principale sia fondato e vada accolto.
Come hanno correttamente evidenziato le Amministrazioni appellanti, non sussiste alcun elemento per ravvisare la loro rimproverabilità (indispensabile per ravvisare la responsabilità amministrativa, quando sia stato leso un interesse legittimo con un atto annullato in sede giurisdizionale: cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 1047 del 2005;n. 4297 del 2006;n. 3521 del 2013;n. 5611 del 2015;n. 5531 del 2018).
6.1. Come si desume anche dalla lettura delle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato, che si sono occupate dall’impugnazione dell’atto emesso il 26 ottobre 2011, l’Agenzia appellante ha disposto la revoca dell’originario titolo abilitativo, dopo che erano stati emessi precedenti atti sanzionatori (in data 18 febbraio 2011, 30 maggio 2011 e 14 luglio 2011), per due chiusure non autorizzate dell’esercizio e per una violazione delle norme in materia di orari.
In sede di ispezione avvenuta in data 20 luglio 2011, ‘la rivendita veniva rinvenuta aperta, ma al suo interno identificati due assistenti in prova, essendo assente la titolare’.
Tali fatti ad avviso del TAR avevano giustificato l’emanazione dell’atto di revoca (v. la sentenza n. 1140 del 2013), mentre in sede d’appello questo Consiglio ne ha ravvisato l’illegittimità, escludendo la gravità delle violazioni (per il fatto che erano state disposte in precedenza sanzioni pecuniarie) e ritenendo non sussistenti quattro violazioni ‘della stessa indole’ (come disciplinate dall’art. 34, n. 8, della legge n. 1293 del 1957), in ragione dell’invio, sia pure ritardato di una idonea giustificazione medica che avevano impedito alla titolare la gestione temporanea della rivendita.
6.2. Stando così le cose, ritiene la Sezione che proprio le circostanze evidenziate dalla sentenza n. 1134 del 2015 inducono ad escludere la rimproverabilità dell’Agenzia.
Questa ha emanato l’atto di revoca poi annullato, in considerazione di violazioni oggettive della normativa di settore, per di più accertate e che avevano condotto alla irrogazione di sanzioni rimaste incontestate.
La circostanza che il provvedimento di revoca sia stato annullato – per sostanziale violazione del principio di proporzionalità, come segnalato dall’appellata, ma anche in considerazione della giustificazione medica – non può indurre di per sé a ritenere che sussistano anche profili di responsabilità.
Nella specie, l’atto di revoca è stato sì annullato perché risultato emesso in violazione dell’art. 34 della legge n. 1293 del 1957, ma ciò è avvenuto in quanto sono state ritenute insufficienti – sotto il profilo numerico – le oggettive violazioni commesse dalla interessata, avendo altresì ‘rilevanza ai fini del decidere’ (come espressamente rilevato dalla stessa sentenza n. 1134 del 2015) il fatto che ‘le certificazioni mediche vantate dalla ricorrente per giustificare le proprie assenze non sono state rimesse con immediatezza all’amministrazione né essa ha provveduto alla tempestiva nomina di sostituti autorizzati’.
Dunque, malgrado la constatata illegittimità dell’atto di revoca, nessun elemento è emerso per considerare rimproverabile il complessivo comportamento dell’Agenzia.
7. Per le ragioni che precedono, il primo motivo d’appello risulta fondato, sicché, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado, perché è infondata la domanda risarcitoria proposta.
Diventano pertanto improcedibili il secondo motivo del ricorso principale e l’appello incidentale, proposti in modo contrapposto dalle parti per la determinazione dell’importo da liquidare nel caso di condanna.
Le spese dei due gradi del giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.