Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-05, n. 202205593

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-05, n. 202205593
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202205593
Data del deposito : 5 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/07/2022

N. 05593/2022REG.PROV.COLL.

N. 04670/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4670 del 2019, proposto da
Società Agricola Agave S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati M B ed E G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Rescaldina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F F F ed E G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F F F in Roma, via G. P. Da Palestrina, n. 19;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 595/2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Rescaldina;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 giugno 2022 il Cons. Giovanni Pascuzzi e uditi per le parti gli avvocati E G e F F F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso del 2017, la Società Agricola Agave S.r.l. (avente qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale - IAP) aveva impugnato dinanzi al Tar per la Lombardia:

- l’ordinanza 3 ottobre 2017 n. 65 con la quale il Comune di Rescaldina le aveva ordinato la demolizione e rimozione delle opere e degli interventi realizzati in assenza di titolo e con variazioni essenziali al permesso di costruire in sanatoria n. 130/2009-4 del 15/04/2015 prot. n. 4821, con conseguente ripristino dello stato autorizzato ex art. 31 del d.p.r. 380/2001 e s.m.i.;

- ogni ulteriore atto preordinato presupposto e/o comunque connesso.

Veniva anche chiesta la condanna dell’Amministrazione resistente al risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla ricorrente per effetto del provvedimento impugnato.

1.1 L’impugnato provvedimento 65/2017 ordinava alla Società Agave e al suo legale rappresentante la demolizione ovvero la rimozione delle opere e degli interventi irregolari realizzati in assenza di titolo abilitativo e con variazioni essenziali ai titoli abilitativi rilasciati, avendo comportato la trasformazione d’uso dell’unità immobiliare identificata catastalmente al Foglio n. 17, mappale n.476, da agricola a commerciale;
con conseguente rimessa in pristino dello stato autorizzato e della destinazione d’uso agricola.

Nel citato provvedimento, gli interventi stigmatizzati erano così specificati:

« Aree esterne di pertinenza del fabbricato agricolo ricadenti sul mappale n.476 (attività agricolo-florovivaistica):

1. È stato realizzato, senza titolo abilitativo, un impianto di illuminazione per le aree esterne localizzate a nord (lungo la viabilità e parcheggi interni al lotto), a ovest (lungo la viabilità interna al lotto), a sud (nelle aree esterne di carico/scarico, di stoccaggio, di vivaio all’aperto) e ad est (nelle aree esterne a vivaio) del fabbricato, con posa di complessivi n. 24 pali di illuminazione e relativo impianto connesso. I pali di illuminazione di cui sopra sono localizzati in “Zone E - Agricole” del P.G.T. vigente, tranne un palo posto in “Zona Boscata” a ridosso delle aree vincolate a Bosco dal P.T.C.P.

2. Lungo il confine sud-ovest (confine con il mappale n.310) e sud-est (confine comunale con Uboldo) del lotto è stata realizzata, senza titolo abilitativo, una recinzione con pannelli in rete metallica e paletti in ferro nella porzione del mappale azzonata dal P.G.T. vigente come “Zone E2 – Aree Boscate”.

3. Le fasce laterali poste lungo la viabilità interna di accesso/uscita dal lotto agricolo localizzate a nord-est del mappale sono state trattate con ghiaietto, in difformità da quanto previsto nel progetto di “Impianto arboreo a mitigazione ed a compensazione della struttura edificatoria e trattamento a prato delle aree pertinenziali del fabbricato ad uso produttivo agricolo” approvato con il Permesso di Costruire in sanatoria n.130/2009-4 rilasciato in data 15/04/2015 prot. n.4821, che prevedeva aree a verde trattate a prato con arbusti.

4. Nelle aree ad est del fabbricato agricolo ed affiancate al vivaio all’aperto è stata realizzata, senza titolo abilitativo, una recinzione in pali in legno e rete metallica a contenimento dello spazio allestito ad “Agility Dog”, con la presenza all’interno della recinzione di attrezzature per tale funzione ed una tettoia appoggiata al suolo.

Fabbricato agricolo-produttivo ricadente sul mappale n.476 (serre produttive florovivaistiche ed infrastruttura produttiva florovivaistica):

5. Gli spazi identificati come “serra di produzione a temperatura 1” negli elaborati grafici allegati al Permesso di Costruire in sanatoria n.130/2009-4 del 15/04/2015 prot. n.4821 e meglio descritti nelle relazioni presentate, non risultano utilizzati per l’attività produttivo-agricola e nello specifico non hanno funzione di “serra di produzione” come da progetto autorizzato, sono invece utilizzati - in difformità ai titoli - per l’esposizione e vendita di articoli e prodotti per “Casa e Decor” (come da cartellonistica presente all’interno di tale ambiente), quali prodotti per la cura della persona, candele, profumatori, deodoranti per ambienti, fiori finti, fiori essiccati, ceste di vimini, vasi da arredo casa, prodotti antizanzare, ecc. , oltre alle presenza di casse per il pagamento degli acquisti.

6. Gli spazi identificati come “infrastruttura produttiva florovivaistica” negli elaborati grafici allegati al Permesso di Costruire in sanatoria n.130/2009-4 del 15/04/2015 prot. n.4821 (dichiarati dal richiedente nell’istanza per “stock fattori produttivirinvaso-confezionamento-logistica-ricovero attrezzi”), non risultano utilizzati per l’attività produttivo-agricola, sono invece utilizzati - in difformità ai titoli - per l’esposizione e vendita di articoli e prodotti per “Casa e Decor” / “Giardinaggio” /“Zoogarden” (come da cartellonistica presente all’interno di tali spazi), quali oggettistica e complementi d’arredo per la casa e gli spazi esterni, mobili per gli esterni (sedute, tavoli, ombrelloni ecc.), ceste di vimini, articoli per il campeggio e per il mare, prodotti e mangimi per animali domestici, articoli per il giardinaggio, cappelli, ciabatte, tovaglie e tappeti, ecc.

7. Gli spazi identificati come “serra produttiva a temperatura 2”, “serra produttiva a temperatura 3” e “serra laterale non riscaldata per ricovero piante esemplari e per la protezione dal freddo delle essenze del vivaio” negli elaborati grafici allegati al Permesso di Costruire in sanatoria n.130/2009-4 del 15/04/2015 prot. n.4821 e meglio descritti nelle relazioni presentate, sono utilizzati - in difformità ai titoli - anche per l’esposizione e vendita di prodotti per il giardinaggio, vasi e ceste, ombrelloni e gazebi, ecc. con una “area confezioni” ed una “area caffè” (come da cartellonistica presente all’interno di tale ambiente).

8. Gli spazi identificati negli elaborati grafici allegati al Permesso di Costruire in sanatoria n.130/2009-4 del 15/04/2015 prot. n.4821 come “serra laterale non riscaldata per ricovero piante esemplari e per la protezione dal freddo delle essenze del vivaio” e meglio descritti nelle relazioni presentate, sono utilizzati anche per l’esposizione e vendita di vasi in terracotta e plastica, altri prodotti per il giardinaggio, griglie e tralicci per rampicanti, ecc.

9. I locali al piano primo del fabbricato, autorizzati con Permesso di Costruire in sanatoria n.130/2009-4 del 15/04/2015 prot. n.4821 come “serra di germogliazione” e meglio descritti nelle relazioni presentate, non risultano utilizzati per l’attività produttivo-agricola, sono invece destinati - in difformità ai titoli - ad uffici. Negli stessi locali, sono inoltre stati realizzati, una parete vetrata divisoria e controsoffitti senza titolo abilitativo ».

Nella ridetta ordinanza si leggeva, inoltre, quanto segue:

« Per quanto riscontrato nel corso del sopralluogo e sopra relazionato, si desume che l’organismo edilizio ha un utilizzo in prevalenza differente da quanto autorizzato con i titoli abilitativi rilasciati, in quanto è destinato in prevalenza per l’esposizione, la commercializzazione e la vendita di prodotti/beni che risultano estranei all’attività produttivo-agricola “florovivaistica”, determinando pertanto una modifica della destinazione d’uso del fabbricato, in difformità a quanto disposto dal “Titolo III - Norme in materia di edificazione nelle aree destinate all’agricoltura” della legge regionale 11 marzo 2005 n. 12 e s.m.i. e dell’articolo 2135 del codice civile per gli ambiti agricoli, rilevando l’evidente utilizzo ai fini commerciali.

Dato atto che le difformità sopra riscontrate sono state realizzate senza titolo e hanno comunque determinato una variazione essenziale rispetto ai titoli abilitativi rilasciati, in quanto le variazioni accertate hanno comportato il verificarsi della seguente condizione: “mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standard previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968” come disposto dall’art.32 del d.p.r. n.380/2001 e s.m.i. / “mutamento delle destinazioni d’uso che determini carenza di aree per servizi e attrezzature di interesse generale” come disposto dall’art. 54 della l.r. n.12/2005 e s.m.i.

Sulla base dei documenti agli atti d’ufficio e per quanto riscontrato durante il sopralluogo, si ritiene pertanto che le opere di cui ai punti n.1-2-3-4-9 e le modifiche dell’utilizzo e di conseguenza della relativa destinazione d’uso di cui ai punti n.5-6-7-8-9 siano qualificabili in “Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”, trovando applicazione il disposto di cui all’art. 31 del d.p.r. n.380/2001 e s.m.i. ».

2. A sostegno dell’impugnativa venivano proposti i seguenti motivi di ricorso:

a) Sul preteso mutamento di destinazione d’uso del fabbricato.

a1. Violazione e falsa applicazione artt. 31 e 32 d.p.r. n. 380/01. Violazione e falsa applicazione art. 54 l.r. n. 12/05. Violazione e falsa applicazione art. 2135 c.c.. Violazione e falsa applicazione art. 4 d.lgs. n. 228/01 e s.m.i.. Violazione e falsa applicazione art. 23- ter d.p.r. n. 380/01. Violazione e falsa applicazione d.lgs. n. 114/1998. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento, illogicità, difetto dei presupposti. Sviamento.

Si sosteneva che:

- l’attività di un’impresa agricola e, parallelamente, la destinazione agricola dei terreni e dei relativi fabbricati non può essere ridotta (e dunque limitata) alla mera attività produttiva di coltivazione;

- al contrario, sin dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 228/01, la legge garantisce all’imprenditore agricolo la possibilità di svolgere, sulla medesima area (e non solo) ove egli esercita l’attività di coltivazione, anche un’attività complementare di vendita dei propri prodotti agricoli (nel caso dell’attività florovivaistica: coltivazione e vendita di piante e fiori), nonché di ulteriori prodotti purché non in maniera prevalente;

- conferma di ciò deriva dalla disciplina di cui all’articolo 2135 del codice civile, all’art. 59 l.r. 12/2005 e all’art. 4, comma 8- ter , d. lgs. 228/2001.

Si sosteneva inoltre che:

- non era veritiera l’affermazione secondo cui erano posti in vendita prodotti che risultavano estranei all’attività produttivo agricola “florovivaistica” visto che la società coltivava oltre 18.500 piante;

- i prodotti messi in vendita fossero connessi e/o complementari ad una piena valorizzazione e sfruttamento del ciclo produttivo agricolo di coltivazione di piante e alla loro vendita diretta senza intralcio dell’attività agricola aziendale;

- la facoltà di vendita di tali prodotti anche di terzi e non provenienti dall’azienda agricola è ammessa, ove strumentale ad un completo e pieno sfruttamento del ciclo produttivo, dall’art. 4 d.lgs. n. 228/2001;

- lo stesso modulo predisposto dal SUAP del Comune di Rescaldina e messo a disposizione della cittadinanza al fine di comunicare l’avvio di una attività agricola sul territorio comunale indicava la possibilità di vendita, in via residuale, anche di “altri prodotti” funzionali alla valorizzazione e del ciclo produttivo;

- nessuna delle opere citate nell’ordinanza poteva essere ritenuta funzionale ad un preteso mutamento di destinazione d’uso verso una funzione commerciale.

a2. Ulteriore violazione e falsa applicazione artt. 31 e 32 d.p.r. n. 380/01. Violazione e falsa applicazione art. 54 l.r. n. 12/05. Violazione e falsa applicazione art. 2135 c.c.. Violazione e falsa applicazione art. 4 d.lgs. n. 228/01 e s.m.i.. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento, illogicità. Sviamento.

Si sosteneva che la motivazione del provvedimento disvelava un travisamento della disciplina legislativa in tema di vendita diretta, giacché travisava il significato del termine prevalenza utilizzato dal legislatore al fine di stabilire il limite entro il quale è consentita la vendita diretta dell’imprenditore agricolo e dunque il limite entro cui la vendita non integra una attività commerciale, risultando invero quale attività “connessa” all’attività agricola.

a3. Violazione e falsa applicazione artt. 31 e 32 d.p.r. n. 380/01. Violazione e falsa applicazione art. 54 l.r. n. 12/05. Violazione d.lgs. n. 114/1998. Violazione art. 4 d.lgs. n. 228/01 e violazione art. 2135 c.c.. Violazione artt. 59 e ss. l.r. n. 12/05. Violazione dell’art. 1 l. n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e violazione del principio di proporzionalità. Sviamento.

Si sosteneva che non sussistendo il mutamento di destinazione d’uso il Comune avrebbe al più (ove avesse verificato sussistenti i presupposti) esercitare non già i poteri sanzionatori previsti dalla disciplina normativa in materia edilizia, ma da quella in materia commerciale di cui al d.lgs. n. 114/1998, con il risultato che al più si sarebbe potuto vietare la vendita di taluni prodotti. L’Amministrazione non aveva esercitato il potere sanzionatorio nel rispetto del principio proporzionalità, vale a dire utilizzando lo strumento più efficace per il perseguimento dell’interesse pubblico (nella specie impedire la vendita di prodotti asseritamente non agricoli) con il minor pregiudizio degli interessi privati coinvolti.

B) Sulle opere asseritamente eseguite in assenza di titolo edilizio e/o con variazioni essenziali.

b4. Violazione e falsa applicazione artt. 31 e 32 d.p.r. n. 380/01. Violazione e falsa applicazione art. 54 l.r. n. 12/05. Violazione e falsa applicazione artt. 3 e 6 d.p.r. n. 380/01. Violazione e falsa applicazione art. 60 l.r. n. 12/05. Eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità, difetto dei presupposti. Sviamento.

Si sosteneva che:

- in relazione alla contestazione inerente la realizzazione di opere senza titolo abilitativo (punti 1, 2, 3 e 4 dell’ordinanza) esse non avrebbero potuto giustificare l’adozione di un provvedimento sanzionatorio ai sensi dell’art. 31 e/o 32 d.p.r. n. 380/01, trattandosi di opere per le quali non si rendeva necessario il rilascio di titolo abilitativo né tali opere potevano dirsi eseguite con variazioni essenziali;

- in relazione alla contestazione di cui al punto 9 dell’ordinanza, la realizzazione della vetrata e delle controsoffittature non avevano determinato una variazione essenziale rispetto al titolo rilasciato, risultando al più una mera parziale difformità sanzionabile ai sensi dell’art. 34 d.p.r. n. 380/01.

b5. Violazione e falsa applicazione artt. 27, 31, 32, 34, 37 d.p.r. n. 380/01. Violazione art. 97 Cost. e art. 1 l. n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, violazione del principio di proporzionalità. Sviamento.

Si sosteneva che in presenza di una pluralità di opere (che non hanno una qualche interrelazione se non quella di rendere più funzionale l’attività florovivaistica) il Comune avrebbe dovuto valutare singolarmente le opere e sanzionarle in relazione alla loro specificità di unitaria applicazione senza applicare la sanzione ai sensi dell’art. 31 cit. per opere tra loro indipendenti e non connesse. Ne derivava la violazione del principio di proporzionalità.

b6. Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 27, 31, 32, 34, 37 d.p.r. n. 380/01. Violazione art. 3 l. n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria.

Si contestava l’omessa indicazione delle ragioni per le quali si riteneva che la totalità delle opere dovesse esser sanzionata ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n. 380/01.

Veniva quindi formulata la domanda di risarcimento del danno.

3. Si costituiva in giudizio il Comune di Rescaldina chiedendo il rigetto del ricorso.

4. Con sentenza n. 595 del 19 marzo 2019 il Tar per la Lombardia, Sezione Seconda:

- ha accolto parzialmente il ricorso annullando il provvedimento impugnato nella sola parte in cui imponeva la demolizione della recinzione con pannelli in rete metallica e paletti in ferro e dell’impianto di illuminazione esterno;

- ha respinto per il resto il ricorso;

- ha rigettato la domanda di risarcimento del danno.

A sostegno della propria decisione il primo giudice ha addotto le seguenti motivazioni.

a) In relazione ai primi tre motivi di ricorso (rivolti contro la parte dell’ordinanza impugnata volta a ripristinare la destinazione agricola del compendio che il Comune aveva ritenuto alterata) il Tar per la Lombardia ha ritenuto che:

- il potere esercitato dal Comune non si fondava sulla ritenuta violazione di regole volte a regolare l’attività commerciale ma, al contrario, di regole di matrice urbanistica che, del pari, limitano l’attività dell’imprenditore agricolo (argomentando ex artt. 59 e 69 della l.r. 12/2005);

- il legislatore mira a coniugare le esigenze della produzione con le esigenze di mantenimento della destinazione agricola delle aree, evitando che la produzione agricola e le attività connesse divengano un indebito meccanismo di trasformazione della destinazione da “agricola” a “commerciale” o, comunque, di tipo diverso;

- tale conclusione poggia sull’articolo 2135 del codice civile (richiamato dalla normativa urbanistica regionale) che richiede, pertanto, la ricorrenza di due presupposti, rispettivamente di carattere soggettivo e oggettivo: 1) l’attività deve essere svolta « dallo stesso soggetto già qualificabile come imprenditore agricolo in quanto svolge in forma di impresa l'attività principale di coltivazione del fondo, di allevamento di animali o di selvicoltura »;
2) le attività devono avere un collegamento oggettivo e ricondursi ad una delle due tipologie indicate dal legislatore: a) attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali;
b) attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge;

- il quadro si completa, inoltre, con le previsioni relative alla commercializzazione diretta contenute nel d.lgs. 228 del 2001 e, in particolare, con la previsione contenuta nell’articolo 4 (che consente la vendita diretta al dettaglio di tutti i prodotti « provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità ») e con quella contenuta nell’articolo 5 (che estende la disciplina anche al caso di vendita di « prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell'impresa »);

- la valutazione effettuata dal Comune risultava pienamente legittima anche in considerazione della specifica natura del provvedimento adottato che non mira ad inibire la vendita di alcune tipologie di prodotti ma, al contrario, ad imporre il rispetto della normativa urbanistica e, in particolare, della destinazione agricola dell’area. Destinazione che viene, al contrario, alterata attraverso attività di vendita diretta estranea dalla nozione di “attività agricole connesse” quale è la vendita di prodotti per la cura della persona, candele, profumatori, deodoranti per ambienti, oggettistica e complementi d’arredo per la casa e gli spazi esterni, mobili per gli esterni (sedute, tavoli, ombrelloni ecc.), articoli per il campeggio e per il mare, cappelli, ciabatte, tovaglie e tappeti, ombrelloni e gazebi: tutti prodotti non agricoli (né, ovviamente, derivanti dall’attività agricola) e nemmeno derivanti dall’attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzata al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell'impresa o, comunque, strumentale a quest’ultima;

- in ogni caso l’esecuzione del provvedimento impugnato consiste nella reintegrazione della precedente destinazione del compendio e, quindi, nella mera eliminazione delle sole attività non propriamente agricole: l’attività agricola principale e le attività di vendita di prodotti agricoli e di prodotti destinati al ciclo produttivo agricolo (come strumenti di irrigazione, concimi, insetticidi o strumenti per l'immediato utilizzo della terra) sarebbero integre in quanto non mutano la destinazione del compendio;
il ripristino della destinazione imponeva l’eliminazione di tutte le ulteriori attività che sono estranee al dato normativo;

- il solo intervento demolitivo che si impone (e che, invero, la parte ha dedotto di aver già posto in essere) riguarda la destinazione dei locali al piano primo del fabbricato, autorizzati con permesso di costruire in sanatoria n.130/2009-4 del 15/04/2015 prot. n.4821 come “serra di germogliazione” e che non possono utilizzarsi indebitamente come uffici, con conseguente necessità anche della rimozione delle opere ivi realizzate (parete vetrata divisoria e controsoffitti).

b) In relazione ai motivi 4, 5 e 6 di ricorso il Tar per la Lombardia ha ritenuto che:

- con riferimento al punto 3 dell’ordinanza di demolizione il provvedimento comunale sfugge alle censure di parte ricorrente perché, diversamente da quanto imposto dal titolo in sanatoria, è stata realizzata una trasformazione permanente del suolo che, come tale, necessita di un apposito titolo;

- con riferimento al punto 4 dell’ordinanza di demolizione si tratta di manufatto che necessita di un apposito titolo edilizio determinando una stabile e significativa alterazione dei luoghi. L’organismo in questione consiste, infatti, in una recinzione in pali in legno e rete metallica volta a contenere uno spazio allestito come “Agility Dog” (in sostanza, un ricovero temporaneo per animali), con la presenza di attrezzature per lo svolgimento di tale funzione e una tettoria appoggiata al suolo. Dalla documentazione fotografica emerge, inoltre, che l’opera ha dimensioni certamente non esigue e, anche per tale ragione, necessita di un titolo che non era stato richiesto, legittimando, così, l’intervento repressivo del Comune;

- alla luce delle considerazioni svolte e della qualificazione degli interventi effettuato è legittimo il ricorso allo strumento di cui all’articolo 31 del d.p.r. 380 del 2001 trattandosi di opere prive del necessario permesso di costruire;

- un diverso discorso vale per l’impianto di illuminazione e per la rete metallica posizionata dalla società: essi, pur considerati congiuntamente, non determinano alcuna rilevante alterazione sull’assetto del territorio proprio per la modestia delle opere prese in considerazione, con l’effetto di rendere parzialmente accogliibili i tre motivi di ricorso sub 4-6 con riferimento all’ordine di demolizione della rete metallica e dell’impianto di illuminazione.

Il primo giudice ha quindi respinto la domanda di risarcimento del danno in ragione della riscontrata legittimità dei provvedimenti impugnati con conseguente carenza del requisito dell’ingiustizia del danno, essenziale per integrare la fattispecie di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. La domanda è stata respinta anche in relazione alla parte del provvedimento annullata in ragione del difetto di evidenze in ordine al pregiudizio patito dalla parte che deve ritenersi insussistente stante la sospensione dell’efficacia del provvedimento (disposta in sede cautelare) e, quindi, la non rimozione delle due opere.

5. Avverso la sentenza del Tar per la Lombardia ha proposto appello Società Agricola Agave S.r.l. per i motivi che saranno più avanti esaminati.

6. Si è costituito in giudizio il Comune di Rescaldina chiedendo il rigetto dell’appello.

7. All’udienza del 9 giugno 2022 l’appello è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

2. Il primo motivo d’appello è rubricato: « Erroneità del capo della sentenza appellata portante il rigetto dei primi tre motivi di ricorso (congiuntamente esaminati): circa l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio impugnato con riguardo sia al ritenuto mutamento della destinazione d’uso (da agricola a commerciale), pur in totale assenza di opere edilizie, sia allo svolgimento di un’attività commerciale non consentita (vendita di prodotti non agricoli) ».

Nel motivo:

- si critica il paragrafo 2 della parte in diritto della sentenza impugnata (laddove il primo giudice afferma che il provvedimento adottato non mirava ad inibire la vendita di alcune tipologie di prodotti ma ad imporre il rispetto della normativa urbanistica e, in particolare, della destinazione agricola dell’area);

- si rileva la non conferenza al caso di specie del precedente richiamato dal primo giudice;

- si riporta il paragrafo 2.8 della sentenza impugnata (nel quale il primo giudice ha affermato che l’esecuzione del provvedimento consiste nella reintegrazione della precedente destinazione del compendio e, quindi, nella mera eliminazione delle sole attività non propriamente agricole) come prova della illegittimità dell’atto gravato denunciata con il terzo motivo di ricorso in primo grado nel quale si sosteneva che non sussistendo il mutamento di destinazione d’uso il Comune avrebbe dovuto esercitare non già i poteri sanzionatori previsti dalla disciplina normativa in materia edilizia, ma quelli previsti dalla disciplina prettamente commerciale di cui al d.lgs. n. 114/1998, con il risultato che al più si sarebbe potuto vietare la vendita di taluni prodotti;

- si sostiene che a fronte di un mero mutamento d’uso (senza opere), andava al più applicato l’art. 53, comma 2, della l.r. Lombardia n. 12/2005;

- si afferma che il primo giudice non avrebbe esaminato i primi due specifici motivi di ricorso che pure vengono ristrascritti;

- si afferma che la sentenza impugnata non avrebbe esaminato la censura contenuta nella parte finale del terzo motivo di ricorso relativa alla violazione del principio di proporzionalità.

Il motivo è infondato.

2.1 Prima di affrontare le singole censure è opportuno svolgere alcune considerazioni di carattere generale.

« La destinazione d'uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. Essa individua il bene sotto l'aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona. L'organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d'uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull'organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale. Lo strumento urbanistico rappresenta l'atto di destinazione generica ed esso trova attuazione nelle prescrizioni imposte dal titolo che abilita a costruire, quale atto di destinazione specifica che vincola il titolare ed i suoi aventi causa. Possono conseguentemente distinguersi: a) una destinazione d'uso urbanistico, riferita alle categorie specificate dalla legge e dal d.m. n. 1444 del 1968;
b) una destinazione d'uso edilizio, che attiene al singolo edificio ed alle sue capacità funzionali. Duplice è, dunque, l'esigenza correlata al controllo della destinazione d'uso degli immobili: da un lato quella di assicurare tutela alla zonizzazione funzionale, dall'altro quella di consentire l'applicazione della normativa sugli standard, regolatrice della differenziazione infrastrutturale del territorio
» (Cass. Penale, Sez. III, 5 marzo 2009 n. 9894).

2.1.1 Sotto un primo profilo, come detto, la destinazione d’uso è un istituto di natura urbanistica. Esso, infatti:

a) consente la puntuale zonizzazione funzionale del territorio (ad esempio, attribuendo destinazioni d'uso predeterminate, con esclusione o limitazione delle altre, il pianificatore può far sviluppare, in una determinata area, un quartiere residenziale ed in un'altra area un polo terziario-direzionale);

b) incide in maniera determinante sul calcolo degli oneri di urbanizzazione (l'art. 16, 4° comma, d.p.r. n. 380/2001 recita: « L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione […] c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti ». Di conseguenza, costruire un determinato immobile destinandolo all'uso commerciale può risultare molto più oneroso, a parità di cubatura e superficie, rispetto alla scelta di una destinazione agricola);

c) definisce i contenuti degli standard urbanistici (a norma del d.m. 1444/1968 i « Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti », non operano in modo uniforme su tutto il territorio comunale, ma secondo zone territoriali omogenee individuate dallo stesso decreto);

d) funge da parametro per la valutazione del carico urbanistico connesso ad un determinato intervento (secondo il quadro delle definizioni uniformi allegato allo schema di regolamento edilizio tipo approvato in attuazione dell’art. 4, comma 1- sexies del d.p.r. 380/2001, per carico urbanistico si intende il fabbisogno di dotazioni territoriali di un determinato immobile o insediamento in relazione alla sua entità e destinazione d’uso;
costituiscono variazione del carico urbanistico l’aumento o la riduzione di tale fabbisogno conseguenti all’attuazione di interventi urbanistico-edilizi ovvero a mutamenti di destinazione d’uso).

2.1.2 Sotto un diverso profilo la destinazione d’uso è un istituto di natura edilizia che attiene al singolo edificio e alle sue capacità funzionali.

Tradizionalmente si usa distinguere tra mutamenti di destinazione all’interno della stessa categoria funzionale di riferimento e mutamenti che segnano il passaggio da una categoria ad un'altra. Un’altra distinzione che si usa fare è tra mutamenti di destinazione accompagnati dalla realizzazione di opere (mutamento strutturale) e mutamenti di destinazione senza realizzazione di opere (mutamento funzionale).

Di recente il legislatore è intervenuto per aggiungere un nuovo tassello alla tassonomia appena abbozzata ovvero la distinzione tra mutamento di destinazione d’uso “urbanisticamente rilevante” e mutamento di destinazione d’uso “urbanisticamente irrilevante”. In particolare la distinzione è stata introdotta con il d.l. 133/2014 che ha aggiunto al testo unico per l’edilizia l’articolo 23- ter che così recita:

« Art. 23-ter Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante.

1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

a) residenziale;

a-bis) turistico-ricettiva;

b) produttiva e direzionale;

c) commerciale;

d) rurale.

2. La destinazione d'uso dell'immobile o dell'unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all'articolo 9-bis, comma 1-bis.

3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito ».

Detta norma (che, sia detto per inciso, al comma primo canonizza la distinzione tra mutamenti con e mutamenti senza opere, e al comma 3 canonizza la distinzione tra mutamenti entro la stessa categoria funzionale e mutamenti tra categorie funzionali diverse) segna uno snodo molto importante anche se pone problemi di coordinamento con le altre disposizioni del d.p.r. 380/2001. Si veda, a titolo di esempio, la diversità definitoria delle categorie funzionali contenute da un lato nella ridetta norma (residenziale;
turistico-ricettiva;
produttiva e direzionale;
commerciale;
rurale) e dall’altro nell’articolo 32 dello stesso d.p.r. 380/2001 che definisce variazione essenziale il mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standard previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 (d.m. che individua sei zone territoriali ma non le nuove macro-categorie “turistico-ricettiva” e “produttiva e direzionale” previste nell’articolo 23- ter del d.p.r. 380/2001).

Come detto esistono problemi di coordinamento tra l’articolo 23- ter del testo unico per l’edilizia e altre norme dello stesso d.p.r. 380/2001 rimaste immodificate e segnatamente:

- art. 3 (definizione degli interventi edilizi e, segnatamente, la nozione di « interventi di nuova costruzione »);

- art. 10 (interventi subordinati a permesso di costruire);

- art. 22 (interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività);

- art. 32 (determinazioni delle variazioni essenziali).

Un dato però emerge chiaramente dall’analisi dell’articolo 23- bis del d.p.r. 380/2001.

Posto che esiste una differenza netta tra mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale (che è sempre consentito: cfr. comma 3, della norma) e cambio di destinazione d’uso che operi un passaggio tra diverse categorie funzionali (ad esempio: da rurale a commerciale) il cambio di destinazione tra diverse categorie, anche se operato in assoluta carenza di opere, è riconducibile alla categoria degli « interventi di nuova costruzione » di cui alla lettera e) dell’art. 3 del d.p.r. 380/2001 (ovvero « interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti »), con necessario assoggettamento a permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. a), dello stesso testo unico e al relativo regime contributivo e sanzionatorio.

Inequivoco sul punto Consiglio di Stato, Sez. VI, 04/03/2021, n. 1857 « Il mutamento della destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria ». Questo perché il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra una vera e propria modificazione edilizia che, incidendo sul carico urbanistico, necessita di un previo permesso di costruire, non assumendo rilevanza l'avvenuta esecuzione di opere (Consiglio di Stato, Sez. VI, 12/10/2020, n. 6097).

2.1.3 È appena il caso di rilevare che le disposizioni di cui all’art. 23- ter del d.p.r. 380/2001 hanno portata vincolante per le regioni. Con riguardo alla disciplina del governo del territorio, la Corte costituzionale ha più volte affermato che « sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali (così Corte cost. n. 309 del 2011), sicché la definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta allo Stato (sentenze n. 102 e n. 139 del 2013) » (sentenza n. 259 del 2014). Lo spazio di intervento che residua al legislatore regionale è quello di « esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali », a condizione, però, che tale esemplificazione sia « coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia » (sentenza n. 49 del 2016). Tali principi sono stati di recente ribaditi da Corte Cost. n. 68/2018 che ha dichiarato incostituzionale una norma di una legge regionale dell’Umbria che aveva disatteso proprio il contenuto dell’art. 23- ter del d.p.r. 380/2001.

2.1.4 In sintesi. La disciplina del mutamento della destinazione d’uso è uno dei perni attraverso i quali è possibile operare un effettivo governo del territorio. Se l’ordinamento restasse indifferente ai cambi di destinazione d’uso dei singoli immobili si finirebbe per vanificare la zonizzazione, l’equa distribuzione degli oneri di urbanizzazione, l’effettiva applicazione degli standard urbanistici, la razionale allocazione dei carichi urbanistici. In una parola si renderebbe inutile ogni tentativo di governo del territorio.

Certo esistono anche altre esigenze importanti. Ad esempio quella di non ostacolare ed anzi valorizzare le attività economiche. Una riprova dell’importanza di tale esigenza si rinviene nella copiosa normativa tesa a semplificare e liberalizzare gli adempimenti anche in campo edilizio. È sempre difficile trovare un punto di equilibrio appagante. Cionondimeno esistono situazioni che lasciano intendere quando il legislatore ritiene fondamentale difendere un ordinato (e, per ciò stesso, economicamente efficiente) sviluppo del territorio. La disciplina del mutamento della destinazione d’uso è una di quelle situazioni.

2.2 Le considerazioni svolte rappresentano la cornice entro la quale inquadrare l’analisi delle censure mosse dall’appellante.

2.2.1 Infondata è la critica rivolta al paragrafo 2 della parte in diritto della sentenza impugnata laddove il primo giudice ha affermato che il provvedimento adottato non mirava ad inibire la vendita di alcune tipologie di prodotti ma ad imporre il rispetto della normativa urbanistica e, in particolare, della destinazione agricola dell’area.

Correttamente il primo giudice ha ritenuto che l’ordinanza impugnata non mirasse ad inibire la vendita di alcune tipologie di prodotti ma, al contrario, ad imporre il rispetto della normativa urbanistica e, in particolare, della destinazione agricola dell’area. Questo è il punto chiave della vicenda che appare cristallino nella sua consistenza alla luce delle considerazioni svolte al punto 2.1.

Il Tar Lombardia ha correttamente acclarato che nel compendio di cui si discute venivano posti in vendita, tra gli altri, prodotti per la cura della persona, candele, profumatori, deodoranti per ambienti, oggettistica e complementi d’arredo per la casa e gli spazi esterni, mobili per gli esterni (sedute, tavoli, ombrelloni ecc.), articoli per il campeggio e per il mare, cappelli, ciabatte, tovaglie e tappeti, ombrelloni e gazebi.

Dopo aver analiticamente analizzato la normativa che direttamente o indirettamente disciplina le attività commerciali esperibili dall’imprenditore agricolo (artt. 59 e 60 della legge regionale della Lombardia n. 12/2005;
art. 2135 del codice civile;
artt. 4 e 5 del d. lgs. 228/2001) il primo giudice ha concluso che quelli elencati non sono prodotti agricoli (né derivanti dall’attività agricola) e neppure prodotti che derivano dall’attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzata al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell'impresa o, comunque, strumentale a quest’ultima. Nella specie si è di fronte attività di vendita diretta estranea dalla nozione di “attività agricole connesse”.

Correttamente il primo giudice ha ritenuto che deve ritenersi un inammissibile cambio della destinazione agricola la realizzazione di spazi commerciali volti alla vendita di prodotti che, come quelli esemplificativamente indicati, non presentano alcun reale e diretto collegamento con l’attività agricola.

Ciò che viene in rilievo non è l’autorizzazione alla vendita di singoli prodotti ma il vincolo derivante dalla destinazione impressa (oggetto, tra l’altro, di specifici atti di impegno) e che deve ricondursi all’attività agricola e non può, quindi, estendersi ad attività commerciali ultronee.

2.2.2 Infondate sono anche le considerazioni svolte dall’appellante circa la non conferenza al caso di specie del precedente richiamato dal primo giudice (Cons. Stato, Sez. V, 18 gennaio 2016, n. 131).

Va innanzitutto rilevato che si tratta di un obiter dictum , come tale senza valenza diretta di affermazione decisoria.

In ogni caso il giudice ha citato quella decisione al mero fine di evidenziare che ci sono prodotti che certamente non possono rientrare in alcun modo tra quelli che un imprenditore agricolo può vendere.

2.2.3. Infondata è la censura che muove dal paragrafo 2.8 della sentenza impugnata (nel quale il primo giudice ha affermato che l’esecuzione del provvedimento consiste nella reintegrazione della precedente destinazione del compendio e, quindi, nella mera eliminazione delle sole attività non propriamente agricole) per dimostrare l’illegittimità dell’atto gravato denunciata con il terzo motivo di ricorso in primo grado nel quale si sosteneva che non sussistendo il mutamento di destinazione d’uso il Comune avrebbe dovuto esercitare non già i poteri sanzionatori previsti dalla disciplina normativa in materia edilizia, ma quelli previsti dalla disciplina prettamente commerciale di cui al d.lgs. n. 114/1998, con il risultato che al più si sarebbe potuto vietare la vendita di taluni prodotti.

Si è già ripetuto che nella specie il tipo di attività di vendita posto in essere (su una superficie molto ampia) ha radicalmente messo in discussione la vocazione agricola dell’area su cui il compendio insiste stravolgendo la finalità per le quali i diversi titoli edilizi erano stati rilasciati.

Il Comune ha agito per imporre il rispetto della destinazione agricola dell’area.

Nella astratta ipotizzabilità di una pluralità di poteri di vigilanza esercitabili, il Comune ha esercitato quelli propri dell’interesse pubblico primario violato.

2.2.4 Infondata è la censura con la quale si sostiene che a fronte di un mero mutamento d’uso (senza opere), andava al più applicato l’art. 53, comma 2, della l.r. Lombardia n. 12/2005.

Si è già citata la genesi e la nozione di mutamento d’uso urbanisticamente rilevante introdotta dall’art. 23- ter del d.p.r. 380/2001 ovvero del tipo di mutamento che si è verificato nella specie dove si è passati dalla categoria funzionale rurale a quella commerciale.

E si sono già citati gli effetti di quella norma sia sul piano prescrittivo che sul piano sanzionatorio evidenziando i poteri concretamente esercitabili dalle regioni.

Nella specie, l’ordinanza impugnata in primo grado ha correttamente applicato l’art. 32 del d.p.r. 380/2001.

2.2.5 Infondata è la censura con la quale si afferma che il primo giudice non avrebbe esaminato i primi due specifici motivi di ricorso in primo grado che sono stati ritrascritti.

2.2.5.1 Come riportato in narrativa, con il primo motivo di ricorso in primo grado si sosteneva che:

- l’attività di un’impresa agricola e, parallelamente, la destinazione agricola dei terreni e dei relativi fabbricati non può essere ridotta (e dunque limitata) alla mera attività produttiva di coltivazione;

- al contrario, sin dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 228/01 la legge garantisce all’imprenditore agricolo la possibilità di svolgere, sulla medesima area (e non solo) ove egli esercita l’attività di coltivazione, anche un’attività complementare di vendita dei propri prodotti agricoli (nel caso dell’attività florovivaistica: coltivazione e vendita di piante e fiori), nonché di ulteriori prodotti purché non in maniera prevalente;

- conferma di ciò deriva dalla disciplina di cui all’articolo 2135 del codice civile, all’art. 59 l.r. 12/2005 e all’art. 4, comma 8-ter, d. lgs. 228/2001.

Si sosteneva anche che;

- non era veritiera l’affermazione secondo cui erano posti in vendita che risultavano estranei all’attività produttivo agricola “florovivaistica” visto che la società coltivava oltre 18.500 piante;

- i prodotti messi in vendita fossero connessi e/o complementari ad una piena valorizzazione e sfruttamento del ciclo produttivo agricolo di coltivazione di piante e alla loro vendita diretta senza intralcio dell’attività agricola aziendale;

- la facoltà di vendita di tali prodotti anche di terzi e non provenienti dall’azienda agricola è ammessa ove strumentale ad un completo e pieno sfruttamento del ciclo produttivo dal citato art. 4 d.lgs. n. 228/2001;

- lo stesso modulo predisposto dal SUAP del Comune di Rescaldina e messo a disposizione della cittadinanza al fine di comunicare l’avvio di una attività agricola sul territorio comunale indicava la possibilità di vendita, in via residuale, anche di “altri prodotti” funzionali alla valorizzazione e del ciclo produttivo;

- nessuna delle opere citate nell’ordinanza poteva essere ritenuta funzionale ad un preteso mutamento di destinazione d’uso verso una funzione commerciale.

Come detto le censure sono infondate.

Il primo giudice ha esplicitamente analizzato tutte le normative citate dall’appellante in primo grado giungendo alle conclusioni opposte (e condivisibili) che sono già state espresse.

Nessuno discute che l’imprenditore agricolo possa anche vendere determinati prodotti. Nella specie sono stati posti in vendita, in maniera significativa, prodotti che nulla hanno a che fare con l’attività dell’imprenditore agricolo. E come già detto, l’attività di vendita di quei prodotti in quella forma ha radicalmente mutato, nei fatti, la destinazione d’uso dell’area.

2.2.5.2 Come riportato in narrativa, con il primo motivo di ricorso in primo grado si sosteneva che la motivazione del provvedimento disvelava un travisamento della disciplina legislativa in tema di vendita diretta, giacché travisava il significato del termine prevalenza utilizzato dal legislatore al fine di stabilire il limite entro il quale sia consentita la vendita diretta dell’imprenditore agricolo e dunque il limite entro cui la vendita non integra una attività commerciale, risultando invero quale attività “connessa” all’attività agricola.

La censura è priva di pregio.

Nella specie l’interesse preso in considerazione dall’Amministrazione non era la tutela del commercio (rispetto al quale potrebbe avere rilevanza il parametro del fatturato invocato dall’appellante) ma l’interesse al corretto sviluppo del territorio. La superficie destinata alla vendita di beni che l’imprenditore agricolo non può vendere era tale da integrare un mutamento della destinazione dell’area in spregio alla disciplina sul governo del territorio. È questo dato a rendere legittimo l’intervento.

2.2.6 Infondata è la censura con la quale si afferma che la sentenza impugnata non avrebbe esaminato la censura contenuta nella parte finale del terzo motivo di ricorso relativa alla violazione del principio di proporzionalità.

Nella specie sono stati esercitati correttamente i poteri di vigilanza e sanzionatori inerenti il tipo di infrazione rilevata.

In ogni caso il primo giudice ha esplicitamente tracciato il confine tra lecito e illecito affermando (punto 2.8 della motivazione della sentenza di primo grado):

« Ne consegue che l’esecuzione del provvedimento (e, quindi, della decisione giudiziale) consiste nella reintegrazione della precedente destinazione del compendio e, quindi, nella mera eliminazione delle sole attività non propriamente agricole. Pertanto l’attività agricola principale e le attività di vendita di prodotti agricoli (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 9) e di prodotti destinati al ciclo produttivo agricolo (come strumenti di irrigazione, concimi, insetticidi o strumenti per l'immediato utilizzo della terra;
cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, 18 gennaio 2016, n. 131) rimangono integre in quanto non mutano la destinazione del compendio. Al contrario, il ripristino della destinazione impone l’eliminazione di tutte le ulteriori attività che, come spiegato, sono estranee al dato normativo
».

3. Il secondo motivo d’appello è rubricato: « Erroneità del capo della sentenza appellata portante il parziale rigetto dei motivi di ricorso nn.4-6 (congiuntamente esaminati): circa l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio impugnato con riguardo alla posa di ghiaietto sulle aree pertinenziali esterne e di una recinzione con tettoia/gazebo per area esterna attrezzata (ricovero provvisorio per cani) e circa l’esecuzione di opere interne al piano primo ».

Il motivo è infondato.

3.1 Sotto un primo profilo si critica il paragrafo 3.2 della parte in diritto dell’appellata sentenza, laddove il primo giudice ha ritenuto che la posa di c.d. “ghiaietto” sulle fasce laterali poste lungo la viabilità interna dell’area pertinenziale del fabbricato de quo costituisca una trasformazione permanente del suolo che, come tale, necessita di permesso di costruire.

Viene riproposto quanto era stato esposto nel quarto motivo del ricorso di primo grado. Viene richiamato anche l’art. 6, comma 1, lett. e- ter ), d.p.r. n.380/2001 che esenta dal titolo abilitativo “le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta”, laddove la non contestata possibilità di vendita dei prodotti agricoli presuppone sempre e comunque la possibilità per i “clienti” di accedere al fondo e parcheggiare all’interno dello stesso.

La prospettazione è infondata.

Come chiarito da Cons. Stato, Sez. II, 01/07/2019, n. 4475: l'attività di pavimentazione e spargimento di ghiaia sul terreno deve essere autorizzata dal Comune, in quanto trattasi di attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, pur consistendo solo nella modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo, qualora appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso.

Nella specie sussiste la modifica della destinazione d’uso: ne deriva l’applicabilità del principio appena richiamato.

Correttamente, peraltro, il primo giudice ha ritenuto che tale trasformazione non può ritenersi marginale e non essenziale per la presenza di arbusti che, invero, sono collocati solo in altra parte dell’area. La parte interessata dal provvedimento è, invece, interamente ricoperta da ghiaia e, pertanto, nettamente difforme da quanto previsto dal titolo.

3.2 Sotto un diverso profilo si critica il paragrafo 3.3 della parte in diritto dell’appellata dove si afferma che il permesso di costruire è necessario anche per la struttura indicata al numero 4 dell’ordinanza impugnata. Si sostiene che si tratta di attività edilizia libera.

La censura è infondata.

La nozione di costruzione si configura in presenza di opere che comportino la trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi. In altri termini non è necessario che l'alterazione dello status quo ante dell'assetto urbano avvenga mediante realizzazione di opere murarie: le opere preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale, incidenti sul tessuto urbanistico ed edilizio, a prescindere dal materiale impiegato – sia esso metallo, laminato di plastica, legno o altro materiale – sono subordinate al rilascio del titolo edilizio. L'avvenuta realizzazione senza permesso di costruire della tettoia sorretta da pilastrini in ferro, per caratteristiche funzionali e dimensionali determina una significativa e permanente alterazione dello stato dei luoghi, e comporta l'applicazione delle sanzioni previste dagli artt. 31 e ss. d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 (Cons. Stato, Sez. II, 25/05/2020, n. 3329).

Nella specie il manufatto consiste in una recinzione in pali in legno e rete metallica volta a contenere uno spazio allestito come ricovero temporaneo per animali con la presenza di attrezzature per lo svolgimento di tale funzione e una tettoria appoggiata al suolo. Si configura, alla luce del principio richiamato, una trasformazione edilizia del territorio con perdurante modifica dello stato dei luoghi.

3.3 Sotto un ulteriore profilo si afferma che avendo la sentenza impugnata affermato la non necessità del permesso di costruire per l’impianto di illuminazione e per la recinzione non si comprenderebbe perché analoghe considerazioni non debbano valere per analoghi interventi minori.

La censura è priva di pregio.

Il primo giudice ha valutato in maniera approfondita le diverse situazioni giungendo a soluzioni diverse quando le situazioni stesse, come nei due casi evocati, erano diverse.

3.4 Ancora, si sostiene che il primo giudice non avrebbe esaminato la censura svolta in primo grado a proposito della contestazione contenuta nel punto 9 dell’ordinanza impugnata. Si ribadisce che si tratta di opere interne non necessitanti del permesso di costruire e che non possono essere considerate variazione essenziale a norma dell’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001. Il primo giudice non avrebbe considerato che non integra la fattispecie del mutamento della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante (e dunque sanzionabile come variazione essenziale) l’utilizzo (con opere o senza) di taluni spazi in modo difforme dal titolo ma sempre in funzione ovvero al servizio della destinazione prevalente o principale.

La censura è priva di pregio.

La sentenza impugnata, al punto 2.8 della motivazione, prende esplicitamente in considerazione i locali al piano primo del fabbricato, autorizzati con Permesso di Costruire in sanatoria n.130/2009-4 del 15/04/2015 prot. n.4821 come “serra di germogliazione”. Il primo giudice ha rilevato che non risultano utilizzati per l’attività produttivo-agricola essendo invece destinati indebitamente ad uffici in difformità ai titoli. E proprio in virtù di tale analisi afferma la conseguente necessità anche della rimozione delle opere ivi realizzate: parete vetrata divisoria e controsoffitti. Peraltro nell’atto di appello si ribadisce che si tratta di opere già rimosse.

I titoli avevano legittimato la realizzazione di una serra di germogliazione. L’aver realizzato in sua vece uffici ha comportato un evidente cambio di destinazione non consentito alla luce delle considerazioni ampiamente svolte.

3.5 Si afferma, infine, che il Tar, nel dichiarare inizialmente «di poter operare una trattazione congiunta delle censure articolate nei motivi nn.

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