Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-05-14, n. 201903121

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-05-14, n. 201903121
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903121
Data del deposito : 14 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/05/2019

N. 03121/2019REG.PROV.COLL.

N. 08511/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8511 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati S F e M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio della prima, in Roma in via Ovidio, 20;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la reiezione dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana avanzata dalla parte appellante.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti l’Avvocato Francesco Anelli su delega di M M e l'Avvocato dello Stato Bruno Dettori;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. E’ controversa la legittimità del provvedimento di diniego dell’istanza di naturalizzazione presentata dall’appellante in data 14 gennaio 2008, ai sensi dell'art. 9 comma 1, lettera f della l.

5.2.1992 n. 91, disposizione riferita all’ipotesi dello straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.

2. Il provvedimento, datato 25 ottobre 2011, è motivato sulla base di elementi ritenuti indicativi di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale e di una conseguente dissociazione tra l’interesse pubblico e quello del richiedente al conseguimento dello status civitatis italiano.

3. Dal certificato del casellario giudiziale relativo alla parte istante è infatti emersa una condanna per incauto acquisto ai sensi dell’art. 712 c.p. (pronunciata in data 1.4.2009 e divenuta irrevocabile il 16.7.2009) alla pena di €. 2.280,00 di ammenda, adottata in quanto lo straniero, nel marzo del 2008, aveva acquistato, senza prima averne accertata la legittima provenienza, un computer, poi risultato provento di furto, vendutogli in un ristorante da un soggetto a lui sconosciuto.

4. Nel giudizio di primo grado il ricorrente ha denunciato l’illegittimità del decreto impugnato:

- perché adottato oltre il termine di due anni dalla produzione dell’istanza, dal che consegue che l’amministrazione, se avesse definito nei termini prescritti il procedimento, non avrebbe potuto tener conto della condanna del 2009 in quanto “ divenuta irrevocabile, e quindi rilevante ai fini amministrativi, solo nel luglio successivo ”;

- perché impostato sulla valenza totalizzante e dirimente della condanna per un reato di natura contravvenzionale di scarsa entità e, comunque, già estinto alla data della determinazione conclusiva assunta dall’amministrazione.

5. Il giudice di primo grado, con la qui appellata sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso, ritenendo, quanto alla prima censura, che l’obbligo gravante sulla p.a. di pronunciarsi entro il termine di 730 giorni dalla presentazione dell’istanza di naturalizzazione (ai sensi della disciplina regolamentare di cui al d.P.R. n.362/1994 e al d.m. n.228 del 1995) “ non comporta la consumazione del potere della stessa di determinarsi, né da luogo ad un provvedimento favorevole per silentium (c.d. “silenzio assenso), a tanto ostandovi la puntuale preclusione sancita dall’art.20 c.4 della legge n.241 del 1990. Più semplicemente la mancata conclusione del procedimento in questione si traduce nel c.d. “silenzio inadempimento” che abilita all’attivazione dei mezzi di tutela previsti dall’art.117 del C.p.a. e dei quali l’interessato, nel caso di specie, non risulta essersi avvalso ”.

Quanto alla seconda censura, il T ha osservato che “ il comportamento dell’istante rimane - contrariamente a quanto assunto in gravame - valutabile come fatto storico e, quindi, può essere sempre ragionevolmente considerato come indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e delle regole di civile convivenza ”;
e che l’amministrazione è chiamata ad “ apprezzare, nell’esercizio dell’ampio potere discrezionale che le compete, la sussistenza di tutti gli elementi che possono incidere e consentire quello che è, non un mero atto autorizzatorio amministrativo ma, una provvedimento di concessione avente natura di c.d. “alta amministrazione” (cfr., ex plurimis, C.d.S., sez. VI, 4862/2010), affidato ad una valutazione ampiamente discrezionale, rispetto alla quale il controllo demandato al giudice, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913) ”.

6. L’atto di appello, avviato alla notifica il 17 settembre 2015, si fonda sui due motivi di censura di seguito riportati.

7. L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio con memoria di stile, senza svolgere deduzioni difensive.

8. In assenza di istanza cautelare, la causa è stata discussa e posta in decisione all’udienza pubblica del 9 maggio 2019.

DIRITTO

1. Come esposto in premessa, lo straniero è risultato gravato da un decreto penale di condanna emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lucca in data 1 aprile 2009 e divenuto irrevocabile il 16 luglio successivo, con il quale egli è stato ritenuto responsabile del reato punito dall'art. 712 c.p. e, quindi, condannato alla pena € 2.280 di ammenda.

Trascorsi più di due anni dalla condanna, la parte ha presentato istanza di estinzione del reato ex art. 460, comma 5, c.p.p., accolta dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lucca nell’agosto 2011.

Di tale sopravvenienza lo straniero ha dato atto all’amministrazione, con memoria depositata in data 3 agosto 2011 nel corso del procedimento per il rilascio della cittadinanza.

Lo stesso procedimento si è concluso con un provvedimento con il quale, datosi atto della autonomia del piano valutativo amministrativo rispetto a quello penale, il Ministero ha ritenuto che la condanna subita dal richiedente costituisse indice di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, tale da determinare la mancata coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza.

2. Il ricorrente premette di risiedere interrottamente in Italia da oltre 20 anni, unitamente al coniuge e ai figli nati dal matrimonio;
di essere in possesso di regolare permesso di soggiorno/carta di soggiorno a tempo indeterminato;
di lavorare con contratto a tempo indeterminato con la qualifica di operaio di settimo livello.

2.1. Ciò posto, l’appellante con un primo motivo osserva come l'atto di concessione della cittadinanza, pur connotato da forte discrezionalità, sia pur sempre scrutinabile con riferimento ai canoni della ragionevolezza, coerenza e adeguatezza, in quanto parametri informatori di qualsiasi attività amministrativa, anche se qualificata di alta amministrazione.

Proprio se riguardato sotto questo specifico profilo, il diniego avversato non potrebbe non rivelarsi come afflitto da carenza di istruttoria e di motivazione, oltre che da irragionevolezza e abnormità dei contenuti, in quanto unicamente fondato su un decreto penale di condanna risalente al 2009 e oggetto di estinzione, originato da un fatto di lieve entità, cui ha fatto seguito una condotta immediatamente partecipativa del reo, che si è subito presentato agli uffici della Polizia postale, riconsegnando l'oggetto e rendendosi immediatamente disponibile a riferire sui fatti che gli venivano contestati.

Sarebbe dunque mancata da parte dell’amministrazione una adeguata ponderazione della personalità del soggetto, dei suoi trascorsi, della sua condizione di piena e stabile integrazione lavorativa, del pieno inserimento anche della famiglia nella compagine sociale (scolastica, lavorativa) italiana.

2.2. Con un secondo motivo, l’appellante rileva che a pag. 2 della sentenza impugnata si fa riferimento ad un presunto motivo di censura che, in realtà, mai è stato inserito nel ricorso dinanzi al T.A.R. Lazio, il quale ha quindi confuso la violazione dell'art. 3 L. 241/90 con la violazione dell'art. 3 D.P.R. 362/94, quest'ultima al contrario effettivamente dedotta. Tale refuso sarebbe sintomatico di una scarsa considerazione del caso concreto e di una decisione assunta in base a (pre)giudizi già formulati.

3. L’appello è fondato, per le ragioni e nei limiti che si vanno di seguito a precisare.

3.1. La Sezione ritiene innanzitutto di richiamare la pacifica giurisprudenza secondo la quale la concessione della cittadinanza italiana è atto ampiamente discrezionale, che non solo deve tenere conto di fatti penalmente rilevanti, esplicitamente indicati dal legislatore, ma che deve valutare anche l'area della loro prevenzione e, più in generale, della prevenzione di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale.

3.2. Il portato di discrezionalità che connota l’atto in questione implica accurati apprezzamenti da parte dell’amministrazione sulla personalità e sulla condotta di vita dell'interessato e si esplica in un potere valutativo circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta (cfr., ex multis , Cons. Stato, sez. III, 6 settembre 2018 n. 5262 e 12 novembre 2014, n. 5571;
Id., sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913, 10 gennaio 2011, n. 52 nonché 26 gennaio 2010, n. 282).

3.3. La sintesi che può trarsi da tali principi è quella per cui l'inserimento dello straniero nella comunità nazionale è legittimo allorquando quest'ultimo dimostri di possedere ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità e sia detentore di uno status illesae dignitatis morale e civile, nonché di un serio sentimento di italianità che escluda interessi personali e speculativi sottostanti alla richiesta di naturalizzazione.

3.4. Quanto all’onere motivazionale, la giurisprudenza ha più volte rilevato che il provvedimento di diniego della richiesta cittadinanza italiana non deve necessariamente riportare analiticamente le notizie sulla base delle quali si è addivenuti al giudizio di sintesi finale, essendo sufficiente quest'ultimo laddove una più particolareggiata ostensione dei dati rilevanti potrebbe in qualche modo compromettere l'attività preventiva o di controllo da parte degli organi a ciò preposti ed anche le connesse esigenze di salvaguardia della incolumità di coloro che hanno effettuato le indagini (cfr., ex plurimis , Cons. Stato, Sez. III, 6 settembre 2018 n. 5262;
Id., 29 maggio 2018, n. 3206).

3.5. Tuttavia, se è l’attenzione alla salvaguardia delle attività preventive e di indagine che giustifica una esplicazione in termini sintetici dell’onere motivazione, deve per contro ritenersi che - nei casi in cui tale preminente esigenza non si ponga - l’obbligo ex art. 3 L. 241/1990 torni a vigere nella sua più ordinaria dimensione e, quindi, in termini proporzionati alla varietà delle circostanze meritevoli di considerazione nel giudizio discrezionale dell’amministrazione.

3.6. Tale conclusione si pone in linea di assoluta coerenza con l’ulteriore e reiterata affermazione di principio secondo la quale il provvedimento di relativo diniego della concessione non è sindacabile per i profili di merito della valutazione dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 settembre 2016, n. 3819;
Sez. III, 25 agosto 2016, n. 3696;
Sez. III, 11 marzo 2016, n. 1874) – mentre lo è invece, e pienamente, per i suoi eventuali profili di eccesso di potere, tra i quali è tradizionalmente annoverata l’inadeguatezza della motivazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2006, n. 3456;
sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4498).

3.7. Nel senso di una esplicazione dell’onere motivazionale proporzionata e coerente alle specifiche emergenze del caso, questa sezione si è di recente nuovamente pronunciata, ribadendo che:

- il parametro della “motivazione sufficiente” non ha carattere rigido né assoluto, ma si presta ad essere adeguatamente calibrato in funzione, anche, della delicatezza degli interessi, pubblici e privati, coinvolti, che potrebbero ricevere pregiudizio già per effetto di un indiscriminato ed incontrollato palesamento dei fatti accertati dall’Amministrazione e degli strumenti istruttori utilizzati;

- si legittima pertanto un assolvimento “attenuato” dell’obbligo esplicativo delle ragioni del provvedimento, da parte dell’Amministrazione, quando una più ampia disclosure , già nel contesto del provvedimento medesimo, dei dati e delle informazioni in possesso dell’Amministrazione, potrebbe costituire un attentato alla segretezza connaturata allo svolgimento di investigazioni particolarmente penetranti ed in ambiti estremamente rischiosi;

- nella medesima ottica funzionale, risulta ineludibile la distinzione tra motivazione del provvedimento di diniego, la cui estensione, ai fini della valutazione della sua sufficienza in concreto, deve essere perimetrata alla stregua dei principi che precedono, e sindacato di legittimità secondo il paradigma dell’eccesso di potere, al cui esercizio concorrono tutti gli elementi istruttori acquisiti ed acquisibili, anche nell’esercizio dei poteri istruttori spettanti al giudice amministrativo ovvero nel quadro dell’esercizio del diritto di accesso da parte dell’interessato (Cons. Stato, sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102).

4. Il provvedimento ministeriale qui controverso non fa alcun cenno né al particolare disvalore della condotta sanzionata rispetto ai principî fondamentali della convivenza sociale e alla tutela anticipata della incolumità pubblica;
né alla condizione sociale dello straniero, limitandosi a constatare in modo meccanicistico, a fronte del fatto storico di reato e nonostante la intervenuta estinzione, la mancata coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza italiana sul rilievo che « la condanna subita è comunque indice di inaffidabilità del richiedente e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale desumibile anche dal rispetto delle norme penali ».

4.1. Risulta del tutto obliterata, dunque, la valutazione degli elementi riportati in sede procedimentale dall’odierno appellante e rappresentativi della sua prolungata permanenza in Italia in condizione di piena e sana integrazione nel tessuto sociale.

4.2. Va inoltre considerato che la fattispecie di cui all’art. 712 c.p. non rientra in alcune delle ipotesi ostative di cui all’art. 6, comma 1, della l. n. 92 del 1991 ed è pertanto necessaria una valutazione in concreto del fatto di reato.

In relazione a fattispecie non automaticamente preclusive come quella che qui rileva, una volta accertata la situazione pericolosa tipica e l’offesa ad essa sottesa, resta sempre uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della specifica manifestazione del fatto incriminato e al solo fine della ponderazione in ordine alla gravità dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale nel quale la condotta si inserisce e, di conseguenza, il concreto possibile impatto pregiudizievole che essa può assumere nel giudizio di meritevolezza al conseguimento dello status invocato.

4.3. Sotto questo profilo non può non rilevarsi come, nel caso di specie, l’incauto acquisto sia avvenuto con modalità (per l’oggetto e il contesto di luogo) che connotano di oggettiva lievità la contravvenzione;
che nell’immediatezza della contestazione il ricorrente ha tenuto una condotta pienamente collaborativa con l’autorità inquirente, presentandosi subito agli uffici della Polizia postale e riconsegnando l'oggetto acquistato;
che al di fuori della contravvenzione sanzionata nel 2009, e poi dichiarata estinta, l’istante non annovera altri precedenti pregiudizievoli o fatti di rilievo in grado di macchiarne la condotta civile.

4.4. In siffatto contesto, l’amministrazione non poteva, nel denegare il riconoscimento della cittadinanza per naturalizzazione richiesto ai sensi dell’art. 9 della l. n. 92 del 1991, fondare il proprio giudizio di mancato inserimento sociale sull’astratta tipologia del reato e sulla sua pericolosità, astratta o presunta, senza apprezzare tutte le circostanze del fatto concreto e, benché la sua valutazione sia finalizzata a scopi autonomi e diversi da quella del giudice penale che ha concesso l’estinzione del reato, esimersi da una considerazione in concreto della condotta sanzionata, delle sue modalità, del suo effettivo disvalore come anche della personalità del soggetto (Cons. Stato. Sez. III, 20 marzo 2019, n. 1837).

4.5. Non giova neppure invocare, come fa il TAR, l’ineliminabile “storicità” della condanna e dell’illecito dell’appellante, in quanto tale principio, in sé corretto, non esaurisce la complessità della questione fatta constare nei suoi elementi essenziali nel corso del procedimento e prima che intervenisse il diniego. A dimostrazione dell’uso incompleto della potestà discrezionale da parte dell’amministrazione depone, dunque, l’assenza di ogni valutazione in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società, rapportata ai suoi legami familiari, alla sua attività lavorativa, al suo reale radicamento al territorio, alla sua complessiva condotta che, per quanto non totalmente irreprensibile sul piano morale, deve comunque mostrare, perlomeno e indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento, di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.

5. Pertanto, in riforma della sentenza impugnata, l’appello deve essere accolto, con il conseguente annullamento del decreto ministeriale qui impugnato per le ragioni sopra esposte, da ritenersi assorbenti, per la loro integrale satisfattività, anche di tutte le altre censure formulate dall’odierno interessato.

5.1. A fronte del difetto motivazionale sin qui evidenziato e del conseguente annullamento del provvedimento di diniego, restano salvi gli ulteriori e successivi provvedimenti della pubblica amministrazione la quale dovrà rivalutare, nei sensi sopra chiariti, l’effettiva pericolosità dello straniero senza preconcetti e immotivati apriorismi.

5.2.In particolare, il Ministero dell’Interno è chiamato a rivalutare se il comportamento dell’odierno appellante, per le concrete modalità del fatto contravvenzionale in ordine al quale è intervenuta estinzione, sia concretamente indice di un mancato inserimento sociale e, quindi, di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale o se, al contrario, simile comportamento, tenuto conto, nel complesso, delle entità violazione oltre che della sua condotta di vita, della sua permanenza sul territorio nazionale, dei suoi legami familiari, della sua attività lavorativa e di tutti gli elementi ritenuti rilevanti a tal fine, non debba reputarsi insufficiente a denotare quella mancata adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento giuridico che preclude il rilascio della cittadinanza.

6. Le spese del doppio grado del giudizio, attesa la delicatezza degli interessi coinvolti che devono essere attentamente riesaminati dal Ministero dell’Interno alla luce dei principî sin qui affermati, possono essere interamente compensate.

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