Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-05-24, n. 202204107
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Pubblicato il 24/05/2022
N. 04107/2022REG.PROV.COLL.
N. 09118/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9118 del 2020, proposto da
Sii Servizio Idrico Integrato S.C.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato G R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Panama n. 86;
contro
Comune di Terni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato P G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
per la revocazione della Sentenza del Consiglio di Stato – Sezione Quinta, n. 4598 del 17 luglio 2020 (mai notificata), resa tra le parti, con la quale, è stato respinto il ricorso in appello Rgn 8/2020 proposto dalla società consortile SII Servizio Idrico Integrato S.c.p.a avverso la Sentenza del Tar Umbria n. 624 pubblicata il 9 dicembre 2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Terni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2022 il Cons. Diana Caminiti e Viste le conclusioni, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Viene in decisione il ricorso per revocazione avverso la sentenza di questa Sezione , n. 4598/2020, pubblicata il 17 luglio 2020, con cui è stato respinto l’appello proposto da SII - Servizio Idrico Integrato S.C.P.A, confermando la sentenza di prima grado del Tar Umbria, n. 624, pubblicata il 9 dicembre 2019, che aveva ritenuto tardivo il ricorso proposto avverso “il provvedimento prescrittivo e modale” del Comune di Terni relativo all’occupazione degli spazi pubblici all’interno dell’area turistica della Cascata delle Marmore con fissazione di dettagliate condizioni - tra cui il pagamento dell’importo di euro 480.600,00 per l’occupazione dei suddetti spazi – in quanto ritenuto “meramente esecutivo” rispetto a pregresse delibere di Consiglio e Giunta, tardivamente gravate, impositive dell’obbligo di pagamento.
2. Come emergente dagli atti di causa e dalla motivazione della sentenza d’appello oggetto di impugnativa per revocazione, Servizio idrico integrato s.c.p.a., società consortile a prevalente capitale pubblico (d’ora in avanti per brevità SII) gestisce, per conto dell’A.t.o. – Autorità territoriale ottimale “Umbria 2” (divenuta poi A.t.i. 4 , infine, A.u.r.i. – Autorità umbra rifiuti e idrico), il servizio idrico integrato sulla base della convenzione stipulata il 28 dicembre 2001 (aggiornata nel 2007) il cui art. 24 dispone “ il Gestore si obbliga a realizzare quanto previsto nel programma degli interventi, allegato al disciplinare assieme al piano finanziario ed al connesso modello gestionale e organizzativo. Il piano finanziario indica le risorse disponibili, quelle da tariffa e quelle da reperire a cura del Gestore. (…) Il suolo ed il sottosuolo pubblico nella disponibilità degli enti locali costituenti l’Autorità, occorrenti per l’esecuzione del programma degli interventi, verranno concessi gratuitamente al Gestore per tutto il periodo di gestione del servizio, a ciò obbligandosi l’Autorità. E’ stabilito comunque che tasse o canoni per l’occupazione del suolo e del sottosuolo, corrisposte dal Gestore a terzi, concorreranno a determinare gli adeguamenti tariffari ”.
Nell’ambito del programma degli interventi 2014 – 2031, approvato con delibera assembleare dell’A.t.i. 4 28 marzo 2014, era prevista la progettazione ed esecuzione di lavori sul sistema acquedottistico Scheggino – Pentima con la previsione di interventi nell’area della Cascata delle Marmore, ricadente nel territorio del Comune di Terni.
Con nota 3 novembre 2015 SII, pertanto, inviava al Comune di Terni istanza di approvazione del progetto definitivo, nonché istanza di approvazione del progetto esecutivo ai sensi dell’art. 212 (Attività edilizia delle pubbliche amministrazioni e opere di interesse pubblico) l. reg. Umbria 21 gennaio 2015, n. 1 (Testo unico governo del territorio e materie correlate).
Il Comune di Terni, con delibera di Giunta 20 novembre 2015, n. 356, approvava per quanto di sua competenza il progetto definitivo ed esecutivo e precisava che “ ai fini dell’occupazione degli spazi pubblici ricadenti nell’area turistica e naturalistica della Cascata delle Marmore, il Servizio Idrico Integrato scpa dovrà richiedere ed ottenere un successivo provvedimento prescrittivo e modale indispensabile per la risoluzione delle interferenze e per garantire il rispetto dell’accessibilità minima e la tutela del sito, dopo la consegna dei lavori e prima di allestire la porzione di cantiere temporaneo ”, aggiungendo che “ Per l’occupazione degli spazi si applicano le tariffe previste nell’allegato alla D.C.C. nr. 359 del 6.8.2015 (rif. Pagina 30 – “Tariffe e contribuzioni relative ai servizi a domanda individuale e della percentuale di copertura dei costi dei servizi”) pari ad € 20,00 al mq al giorno nei giorni feriali e € 35,00 al giorno nei giorni festivi e pre – festivi. L’importo del canone dovrà essere determinato con successivo provvedimento di competenza del Dirigente della Direzione Lavori Pubblici e Manutenzioni Patrimonio, sulla base dell’effettivo cronoprogramma delle lavorazioni determinato. In base al regolamento vigente, il canone è soggetto ad una maggiorazione del 40% per le occupazioni continuative superiori a 7 giorni ”.
Con decreto 22 dicembre 2016, n. 34 l’A.t.i. 4 approvava infine il progetto definitivo.
Con istanza 24 ottobre 2017 SII, in dichiarata ottemperanza alle disposizioni contenute nella delibera giuntale 356 del 2015, trasmetteva il progetto di dettaglio per la risoluzione delle interferenze all’interno del sito turistico della Cascata delle Marmore. Seguiva, dopo interlocuzione che coinvolgeva anche la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria, la determinazione dirigenziale 22 gennaio 2018 n. 10737, di rilascio del provvedimento prescritto e modale ai fini dell’occupazione degli spazi pubblici ricadenti nell’area turistica e naturalistica Cascata delle Marmore con fissazione di dettagliate condizioni, tra le quali, in particolare, il pagamento dell’importo di € 480.600,00 per l’occupazione degli spazi all’interno dell’area in applicazione delle tariffe indicate dalla delibera consiliare 6 agosto 2015, n. 359 e in ragione del crono – programma esecutivo trasmesso.
3. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria SII domandava l’annullamento del predetto provvedimento prescrittivo e modale, unitamente alle delibere di Giunta comunale 20 novembre 2015, n. 356 e del Consiglio comunale 6 agosto 2015, n. 359, e l’accertamento del suo diritto ad essere esentata dal pagamento del canone concessorio, ai sensi dell’art. 24, comma 6, della
convenzione intervenuta con l’A.t.o. “Umbria 2”.
3.1. Il ricorso era fondato su tre motivi: con il primo motivo era contestata la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 della convenzione stipulata con l’A.t.o. “Umbria 2” il 28 dicembre 2001 in combinato con l’art. 151 d.lgs. n. 152 del 2006: il citato articolo della convenzione, al comma 6, stabiliva che l’occupazione del suolo di proprietà del Comune di Terni per la realizzazione dell’opera fosse esente da contribuzione e/o tariffa;con il secondo motivo il provvedimento impugnato era ritenuto viziato per violazione e falsa applicazione dell’art. 6 d.l. 55 del 1983 conv. in l. n. 131 del 1983, nonché per eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti e travisamento dei fatti: l’occupazione temporanea del suolo comunale per la realizzazione dell’opera idrica non rientrava in nessuna delle attività suscettibili di applicazione della tariffa e/o contribuzione per il decreto legge n. 55 del 1983;infine, con il terzo motivo era dedotta la violazione dell’art. 153 d.lgs. n. 152 del 2006 in combinato con l’art. 49 d.lgs. n. 507 del 1993, nonché il difetto di motivazione e istruttoria: l’esenzione da qualsiasi onere economico derivante dall’uso e dall’occupazione di suolo pubblico discendeva, altresì, dall’art. 49, lett. e) d.lgs. n. 503 del 1997, per il quale non v’è applicazione della tassa di occupazione in caso di “impianti adibiti ai servizi pubblici nei casi in cui ne sia prevista, all’atto della concessione o successivamente, la devoluzione gratuita al comune o alla provincia al termine della concessione medesima”.
3.2. Si costituiva in giudizio il Comune di Terni, che eccepiva l’inammissibilità del ricorso, e concludeva per il rigetto nel merito.
3.3. Il giudice di primo grado, con sentenza sez. I, 9 dicembre 2019, n. 624, dichiarava inammissibile il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
3.4. Accogliendo l’eccezione formulata dal Comune, il Tar riteneva infatti che la lesione alla situazione soggettiva fatta valere con il ricorso si fosse verificata già con la delibera di Giunta n. 356 del 2015, avendo il provvedimento prescrittivo e modale del 22 gennaio 2018 valenza prettamente esecutiva rispetto a quanto già stabilito dall’amministrazione comunale con la predetta delibera (e con quella del Consiglio comunale n. 359 del 2015), per essere ivi definito il mero conteggio numerico di applicazione della tariffa approvata nel 2015, sulla base dello spazio utilizzato per i lavori svolti secondo il crono – programma trasmesso;SII era tenuta, pertanto, ad impugnare nei termini di legge la delibera giuntale, avendo perduto interesse, in mancata di tale tempestiva impugnazione, a contestare gli atti successivi.
3.5. Con il ricorso in appello SII aveva censurato la sentenza di prime cure per aver affermato che fosse suo onere impugnare gli atti comunali entro l’ordinario termine decadenziale, laddove, nella prospettazione dell’appellante, la convenzione intervenuta con l’A.t.o. “Umbria 2” il 28 dicembre 2001 costituiva un accordo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 11 l. 7 agosto 1990, n. 241 devoluta ex 133, comma 1, lett. a) n. 1, cod. proc. amm. alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto fonte di diritti soggettivi, con conseguente esclusione di termini decadenziali per l’impugnazione degli atti amministrativi consequenziali, a nulla rilevando la circostanza che la convenzione fosse stata sottoscritta dall’Autorità d’ambito, e non dal Comune di Terni, facendo quest’ultimo parte dell’Autorità d’ambito ed ora dell’Autorità regionale per il servizi idrici e per il servizio rifiuti ai sensi della l. reg. Umbria n. 11 del 2013.
Né secondo SII poteva condividersi il ragionamento del giudice di prime cure laddove aveva erroneamente qualificato il provvedimento modale come mero atto esecutivo, contenente il solo conteggio numerico di applicazione della tariffa, essendo, invece, l’atto effettivamente lesivo, per essere ivi contenuta l’imposizione del pagamento della tariffa e la quantificazione della stessa in ragione dell’avvenuta concessione dell’occupazione; pertanto il ricorso era stato tempestivamente proposto nel termine di sessanta giorni dalla conoscenza del provvedimento modale;ciò senza considerare che le delibere richiamate dal giudice di primo grado erano da considerarsi irrilevanti: quella consiliare n. 359 del 2015 poiché si era limitata ad approvare le tariffe per costi di servizi senza alcun riferimento al progetto da realizzare e quella giuntale n. 356 del 2015 per essere atto endoprocedimentale rispetto al quale sussisteva unicamente l’onere di tempestiva ed autonoma impugnazione e non anche l’obbligo, con conseguente maturazione di decadenze, tanto più che detta delibera non aveva neppure una valenza decisoria autonoma in relazione all’approvazione del progetto, poiché l’autorità preposta all’approvazione del progetto definitivo era solo l’Autorità territoriale d’ambito.
3.6. Questa Sezione con l’impugnata sentenza ha rigettato il ricorso in appello, ritenendo corretto il ragionamento del giudice di prime cure che aveva ravvisato l’atto immediatamente lesivo da impugnarsi a pena di decadenza nella delibera giuntale n. 356 del 2015.
4. La società ricorrente, lamentando che il Consiglio di Stato, al pari del tar Umbria, non si sarebbe pronunciato sull’accertamento del suo diritto di esenzione al pagamento del canone o tariffa di occupazione dell’area Cascata delle Marmore sulla base dell’art. 24, co. 6 della Convenzione di gestione del servizio idrico integrato sottoscritto con l’Autorità d’Ambito di Bacino – A.T.O. “Umbria 2” (oggi AURI) e, comunque, in relazione alla natura dell’occupazione e dell’opera pubblica in questione, ha proposto il presente ricorso per revocazione, deducendo, quanto alla fase rescindente:
a) “errore di fatto” per omessa pronuncia, essendovi violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 cpc) - in specie quanto alla domanda di accertamento del diritto di esenzione al pagamento del canone o tariffa di occupazione dell’area Cascata delle Marmore - a suo dire rientrante per costante giurisprudenza nell’errore revocatorio (pag. 13);
b) “errore revocatorio” incentrato sulla pretesa violazione degli artt. 151 e 158 del d.l.vo n. 152/2006, per aver il Giudice dell’Appello, a suo dire, omesso di considerare il soggetto effettivamente competente ad approvare il progetto definitivo (ATI n. 4 e non Comune di Terni) e la natura di atto endoprocedimentale della delibera di giunta comunale n. 365/2015.
Ed invero secondo la società ricorrente la predetta delibera era stata assunta dal Comune di Terni quale ente territoriale interessato dalla realizzazione dell’opera (ed anzi beneficiario della stessa) in veste:
“ 1) di socio dell’ATO 2 (poi ATI 4), che ha approvato le modifiche alla convenzione (Delibera del 2.7.2007, doc. 5 allegato al ricorso di primo grado) alle quali il Comune stesso è assoggettato;
2) di ente locale che ha approvato il progetto in una fase prettamente istruttoria, riconoscendo che lo stesso fa parte del Programma degli Interventi approvato nell’ambito del Piano Regolatore Regionale Acquedotti con Delibera dell’AEEG del 2013 (atti citati sia nelle premesse della DGC 356/2015, sia nelle premesse della Determina di approvazione del progetto dell’ATI 4 n. 34/2016. Si noti che la SII ha chiesto l’emissione del provvedimento modale al Comune di Terni solo dopo che l’ATI n. 4 aveva approvato il progetto e sulla base di tale progetto;senza ivi fosse prevista l’applicazione della tariffa/canone di occupazione imposto solo nel 2018 dal Comune di Terni” .
Quanto alla fase rescissoria pertanto SII ha insistito nell’accoglimento del ricorso di prime cure , non esaminato stante l’(erronea) declaratoria di tardività.
5. Si è costituito il Comune di Terni, con articolata memoria difensiva, instando per la declaratoria di inammissibilità del presente ricorso per revocazione, cui ha replicato la società ricorrente con memoria difensiva depositata in data 8 novembre 2021, deducendo ulteriormente l’omessa pronuncia relativa alla domanda di “ accertamento del diritto della società odierna ricorrente di essere esentata - sulla base dell’art. 24, co. 6 della Convenzione di gestione del servizio idrico integrato sottoscritto con l’Autorità d’Ambito di Bacino – A.T.O. “Umbria 2” (oggi AURI) e, comunque, in relazione alla natura dell’occupazione e dell’opera pubblica in questione - dal pagamento della tariffa prevista dalla Delibera del Consiglio Comunale di Terni n. 359 del 6 agosto 2015”;ovvero di “l’accertamento del diritto della società odierna ricorrente ad ottenere gratuitamente, per il periodo previsto per l’esecuzione dei lavori come da cronoprogramma fornito al Comune di Terni in data 24 ottobre 2017, gli spazi all’interno dell’area della Cascata delle Marmore di cui al Provvedimento del Comune di Terni del 22.1.2018 ”.
SII in particolare evidenzia che tali domande (ulteriori rispetto al giudizio impugnatorio) non erano state valutate dal Tar Umbria e che erano state riproposte nel ricorso in appello (cfr. pag. 2 ove è trascritta la suddetta domanda di accertamento e motivazione pagg. 11-12 ove è stato affermato «[..] caso di specie, il Comune di Terni ha chiesto il pagamento della tariffa per l’occupazione di modesti spazi esterni alla Cascata delle Marmore in riferimento al periodo in cui l’occupazione (per un brevissimo tempo) si è resa necessaria per l’esecuzione di lavori compresi nell’opera prevista nel programma d’interventi delle opere idriche previste nel Piano d’Ambito. Si tratta, quindi, di attività comprese nella Convenzione del 2 luglio 2007, (doc. B all. 4), fatta propria dalla Convenzione di aggiornamento del 2015. Tali Convenzioni sono riconducibili, dunque, agli accordi amministrativi. Inoltre, gli obblighi derivanti da tale Convenzione (soggetti alla cognizione della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativa) determinano l’insorgenza di diritti che escludono ipotesi decadenziali ”.
5.1 Il Comune di Terni ha infine replicato a tali deduzioni, con memoria difensiva depositata in data 8 novembre 2021, con cui ha insistito ulteriormente per la declaratoria di inammissibilità del presente mezzo d’impugnazione.
6. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 10 febbraio 2022.
7. Giova premettere, prima di delibare il presente ricorso, che il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e per consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, V, 5 maggio 2016, n. 1824) l’errore di fatto idoneo a fondare la relativa domanda, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395 n. 4 Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti:
a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431).
Inoltre, l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006).
La giurisprudenza ha pertanto elaborato i seguenti principi in ordine all’ammissibilità del ricorso per revocazione per errore di fatto revocatorio:
a) l’errore di fatto, idoneo a costituire un vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., è identificabile con l’errore di percezione sull’esistenza o sul contenuto di un atto processuale, che si traduca nell’omessa pronuncia su una censura o su un’eccezione (per lo meno a far tempo da Cons. Stato, Ad. plen., 22 gennaio 1997, n. 3, ribadita da Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5;successivamente cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099;sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5347;sez. IV 28 ottobre 2013, n. 5187;6 agosto 2013, n. 4156;sez. III 29 ottobre 2012, n. 5510;sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 587);
b) conseguentemente, non costituisce motivo di revocazione per errore di fatto la circostanza che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni proposte dalla parte a sostegno delle proprie censure (Cons. Stato, Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 21);
c) non può giustificare la revocazione, inoltre, una contestazione sull’attività di valutazione del giudice, perché essa riguarderebbe un profilo diverso dall’erronea percezione del contenuto dell’atto processuale, in cui si sostanzia l’errore di fatto (Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852;sez. V 12 maggio 2015, n. 2346;sez. III 18 settembre 2012, n. 4934);di conseguenza, il vizio revocatorio non può mai riguardare il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono “fatti” ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e perché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass. 22 marzo 2005, n. 6198);
d) non può giustificare la revocazione, altresì, una contestazione concernente il mancato esame di un qualsivoglia documento (come, ad es., di un allegato a una relazione istruttoria) o di qualsiasi altra prova offerta dalle parti, dal momento che in casi del genere si potrebbero configurare soltanto errores in iudicando, non contemplati dall’art. 395 c.p.c. quale motivo di ricorso per revocazione (Cons. Stato, Ad. plen., 11 giugno 2001, n. 3);
e) affinché possa dirsi sussistente il vizio revocatorio contemplato dalla norma è inoltre necessario che l’errore di fatto si sia dimostrato determinante, secondo un nesso di causalità necessaria, nel senso che l’errore deve aver costituito il motivo essenziale e determinante della decisione impugnata per revocazione. È stato puntualizzato che il nesso causale non inerisce alla realtà storica, ma costituisce un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della lite deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto, e non degli accadimenti concreti (Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 826);la falsa percezione della realtà processuale deve dunque riguardare un punto decisivo, anche se non espressamente controverso della causa (Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099);
f) l’errore deve poi essere caduto su un punto non espressamente controverso della causa e in nessun modo deve coinvolgere l’attività valutativa svolta dal giudice circa situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5).
Alla stregua di tali principi l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.
Insomma, l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali;ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n.1640).
Così, si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4 Cod. proc. civ. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, III, 24 maggio 2012, n. 3053);ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita.
In tutti questi casi non sarà possibile censurare la decisione tramite il rimedio - di per sé eccezionale - della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento (ex multis, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2015, n. 5657;IV, 26 agosto 2015, n. 3993;III, 8 ottobre 2012, n. 5212;IV, 28 ottobre 2013, n. 5187)” (così, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 15.2.2022 n. 1106).
8. Operata la ricognizione dei fondamentali principi suesposti, può procedersi all’esame delle doglianze proposte che si rilevano inammissibili alla stregua degli indicati principi di diritto.
8.1. Il dedotto abbaglio dei sensi non risulta invero configurabile, ai fini della rescissione della pronuncia, avuto riguardo al primo motivo di ricorso, atteso che nella sentenza è stata esattamente considerata la domanda di accertamento del diritto soggettivo invocato da parte ricorrente come evincibile al paragrafo 2 della sentenza, dove in punto di fatto si afferma che “ Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria SII domandava l’annullamento del predetto provvedimento prescrittivo e modale, unitamente alle delibere di Giunta comunale 20 novembre 2015, n. 356 e del Consiglio comunale 6 agosto 2015, n. 359, e l’accertamento del suo diritto ad essere esentata dal pagamento del canone concessorio ai sensi dell’art. 24, comma 6, della convenzione intervenuta con l’A.t.o. “Umbria 2 ”.
Cionondimeno si è ritenuto che detta domanda non potesse formare oggetto del contenzioso instaurato al fine di contrastare la pretesa del Comune di Terni al pagamento della tariffa, vertendo la stessa su un interesse legittimo e non sul preteso diritto soggettivo, sulla base dei seguenti rilievi: “ Il rapporto obbligatorio di cui si discute non ha titolo nella convenzione stipulata con l’A.t.o. “Umbria 2” il 28 dicembre 2001, ma nel provvedimento amministrativo con il quale il Comune di Terni ha richiesto il pagamento di una somma per l’occupazione di spazi pubblici;di tale provvedimento la ricorrente contesta la legittimità per contrasto con le previsioni contenute nell’art. 24, comma 6, della predetta convenzione, asseritamene prescrittive della gratuità dell’occupazione motivata dall’esecuzione degli interventi programmati a carico del gestore del servizio idrico.
La legittimità del provvedimento comunale costituisce, dunque, l’oggetto del presente giudizio (secondo l’insegnamento di Adunanza plenaria, 27 aprile 2015, n. 5).
Risulta irrilevante, allora, la qualificazione giuridica della convenzione intervenuta tra l’A.t.o. “Umbria 2” e SII s.c.p.a. perché estranea all’oggetto del giudizio (e richiamata solo per far valere il contrasto del provvedimento impugnato con le prescrizioni ivi contenute), come pure l’ulteriore profilo della rimessione alla giurisdizione del giudice amministrativo delle controversie derivanti dalla sua esecuzione.
A completamento del ragionamento, va aggiunto che l’atto impugnato ha (anche) natura concessoria in quanto consente l’occupazione del suolo pubblico dietro pagamento di corrispettivo (il canone di concessione, diverso dalla tassa di occupazione di suolo pubblico, cfr. Cass. civ., sez. 5, 2 ottobre 2019, n. 24541).
Definendo i limiti della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – che l’art. 133, comma 1, lett. c) cod. proc. amm. esclude in relazione alle “controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi” – è stato precisato che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio ha la consistenza di un interesse legittimo qualora sia contestato l’esercizio del potere autoritativo di carattere discrezionale dell’amministrazione in relazione alla previsione di un canone a corrispettivo della concessione, disciplinando l’amministrazione in questo modo un aspetto del rapporto con il privato nell’esercizio del potere regolatorio (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 4 settembre 2018, n. 21597;12 ottobre 2011, n. 20939;Cons. Stato, sez. V, 1 luglio 2020, n. 4190;V, 22 ottobre 2015, n. 4857;V, 2 luglio 2010, n. 7323, nonché con particolare riferimento all’applicazione del canone) e non intervenendo su di un rapporto paritetico di credito – debito già esistente .
Ne segue l’onere di impugnazione entro il termine ordinario posto dall’art. 29 cod. proc. amm. e, di seguito, in caso di mancata impugnazione nei termini di legge, l’inoppugnabilità del provvedimento, che rende non più contestabile il titolo dell’obbligazione e preclusa ogni ulteriore azione giudiziale, anche di mero accertamento, finalizzata a contestare l’esistenza della pretesa dell’amministrazione
a richiedere le somme e il correlativo obbligo di pagamento.
Diversamente, sarebbero agevolmente elusi i termini di impugnazione degli atti amministrativi ogniqualvolta siano in essi previsti obblighi (anche di pagamento delle somme) a carico dei loro destinatari” .
Pertanto il motivo revocatorio cade su punto espressamente controverso della lite e preso in esame nella sentenza e si traduce nella richiesta di rivalutazione dell’iter logico seguito dalla sentenza impugnata, con conseguente sua inammissibilità (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 8063 del 2021;n. 1251 del 2020).
8.2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, atteso che anche rispetto a quanto dedotto con esso non è ravvisabile alcun “abbaglio dei sensi”, venendo in rilievo una questione espressamente presa in considerazione nella sentenza ma ritenuta irrilevante.
Infatti nella sentenza impugnata si è evidenziato che “ Il Comune di Terni, con delibera di Giunta 20 novembre 2015, n. 356, approvava il progetto definitivo ed esecutivo e precisava che “ai fini dell’occupazione degli spazi pubblici ricadenti nell’area turistica e naturalistica della Cascata delle Marmore, il Servizio Idrico Integrato scpa dovrà richiedere ed ottenere un successivo provvedimento prescrittivo e modale indispensabile per la risoluzione delle interferenze e per garantire il rispetto dell’accessibilità minima e la tutela del sito, dopo la consegna dei lavori e prima di allestire la porzione di cantiere temporaneo”, aggiungendo che “Per l’occupazione degli spazi si applicano le tariffe previste nell’allegato alla D.C.C. nr. 359 del 6.8.2015 (rif. Pagina 30 – “Tariffe e contribuzioni relative ai servizi a domanda individuale e della percentuale di copertura dei costi dei servizi”) pari ad € 20,00 al mq al giorno nei giorni feriali e € 35,00 al giorno nei giorni festivi e pre – festivi. L’importo del canone dovrà essere determinato con successivo provvedimento di competenza del Dirigente della Direzione Lavori Pubblici e Manutenzioni Patrimonio, sulla base dell’effettivo cronoprogramma delle lavorazioni determinato. In base al regolamento vigente, il canone è soggetto ad una maggiorazione del 40% per le occupazioni continuative superiori a 7 giorni ” precisando successivamente che “ Con decreto 22 dicembre 2016, n. 34 l’A.t.i. 4 approvava il progetto definitivo ”.
Inoltre nella medesima sentenza è stata ben compresa la doglianza di parte ricorrente, riproposta in questa sede quale errore di fatto revocatorio, laddove si è precisato, nell’esporre la medesima: “ D’altronde, le delibere richiamate dal giudice di primo grado andrebbero considerate irrilevanti: quella consiliare n. 359 del 2015 poiché si limita ad approvare le tariffe per costi di servizi senza alcun riferimento al progetto da realizzare e quella giuntale n. 356 del 2015 per essere atto endoprocedimentale rispetto al quale sussiste unicamente l’onere di tempestiva ed autonoma impugnazione e non anche l’obbligo con conseguente maturazione di decadenze, tanto più che detta delibera non aveva neppure una valenza decisoria autonoma in relazione all’approvazione del progetto, poiché l’autorità preposta all’approvazione del progetto definitivo era solo l’Autorità territoriale d’ambito ”.
Pertanto - premesso che nella sentenza gravata si era ben compreso che l’approvazione da parte del Comune del progetto definitivo ad opera della delibera di Giunta 20 novembre 2015, n. 356 non potesse che afferire a quanto di competenza del Comune, essendo stato il progetto definitivo approvato infine con decreto 22 dicembre 2016, n. 34 dell’A.t.i. 4 - la pretesa natura istruttoria della delibera di Giunta 20 novembre 2015, n. 356 quanto all’approvazione del progetto definitivo da parte del Comune di Terni, evidenziata anche nella presente sede, è stata ritenuta irrilevante rispetto alle conclusioni, di inammissibilità del ricorso di prime cure , cui è pervenuto il giudice di appello, afferente alla pretesa del Comune circa la debenza della tariffa per l’occupazione di suolo pubblico, in quanto a chiare lettere affermata con detta delibera di Giunta, ritenuta pertanto dal medesimo Giudice di appello come atto immediatamente lesivo in parte qua della posizione della società ricorrente (non solo evidentemente quanto all’ an della pretesa, ma anche in ordine al quantum , facilmente determinabile con il rinvio in esso contenuto alle tariffe previste nell’allegato alla D.C.C. nr. 359 del 6.8.2015), risolvendosi pertanto il provvedimento prescrittivo e modale in un atto meramente esecutivo.
Pertanto anche tale secondo motivo risulta inammissibile, non ricorrendo alcun “abbaglio dei sensi” secondo le coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza, quale innanzi indicate, e comunque non potendo portare l’asserito (ed invero inesistente) vizio revocatorio ad una diversa pronuncia, stante l’assenza di nesso eziologico tra lo stesso e la conclusione cui è pervenuto il giudice di appello, che la parte ricorrente intenderebbe revocare nella presente sede, con “invito” a seguire un diverso iter logico.
9. In conclusione il ricorso per revocazione è inammissibile.
10. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.