Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-07-10, n. 201804211

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-07-10, n. 201804211
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201804211
Data del deposito : 10 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/07/2018

N. 04211/2018REG.PROV.COLL.

N. 03583/2016 REG.RIC.

N. 04267/2016 REG.RIC.

N. 04364/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3583 del 2016, proposto da:
INDUSTRIE ELETTROMECCANICHE EUROPEE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati R P, A P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni D’Amato in Roma, via Calabria, n. 56;

contro

AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

AEG S.R.L., non costituito in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 4267 del 2016, proposto da:
PIAGGIO &
FIGLI SERVICE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco D’Alberti, Arturo Cancrini, Francesco Vagnucci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Arturo Cancrini in Roma, piazza San Bernardo, n. 101;

contro

AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, presso cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

ELETTROMECCANICA PM S.R.L., P.M. &
C. SCARL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giovanni Pascone, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Pascone in Roma, via Simeto, n. 12;
APPLICAZIONI ELETTRICHE GENERALI SRL, DAMIANO MOTOR'S SPA, ELETTROMECCANICA CAMPANA SPA, FIREMA TRASPORTI SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, ELETTROMECCANICA DI CLAVO ANNA &
C. SNC, ELETTROMECCANICA SRL, MOTORTECNICA SRL, RETAM SUD INDUSTRIA ELETTROMECCANICA SPA, ELETTROMECCANICA SOELTA SRL, INDUSTRIA ELETTROMECCANICHE EUROPEE SRL, FIREMA TRASPORTI SPA, non costituiti in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 4364 del 2016, proposto da:
MEIS ELETTROMECCANICA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A G, Andrea Zincone, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A G in Roma, via del Plebiscito, n. 112;

contro

AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, non costituiti in giudizio;

nei confronti

TRENITALIA SPA, FIREMA TRASPORTI SPA in amministrazione straordinaria, non costituiti in giudizio;

per la riforma

- quanto al ricorso n. 4364 del 2016, della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma n. 2668 del 2016;

- quanto al ricorso n. 4267 del 2016, della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma n. 2673 del 2016;

- quanto al ricorso n. 3583 del 2016, della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma n. 2674 del 2016;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, di Elettromeccanica P.M. s.r.l. e di P.M. &
C. Scarl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2017 il Cons. D S e uditi per le parti gli avvocati R P, Marco D’Alberti, A G, M V L e S F dell’Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con il provvedimento 27 maggio 2015 n. 25488, deliberava che le società Damiano Motor’s s.p.a., El.Ca. Elettromeccanica Campana s.p.a., Elettromeccanica Pm s.r.l., Elettromeccanica So.El.Ta. s.r.l., Firema Trasporti s.p.a. in amministrazione straordinaria, G.M.G. Elettromeccanica di Clavo Anna &
C. s.n.c., M.e.i.s. Elettromeccanica s.r.l., Motortecnica s.r.l., Piaggio &
Figli Service s.r.l., P.M. &
C. s.c.a.r.l. in liquidazione, Retam Sud Industria Elettromeccanica s.p.a. in liquidazione, e Industrie Elettromeccaniche Europee s.r.l. avevano posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza, consistente in una complessa pratica concordata volta a distorcere i meccanismi di confronto concorrenziale di 24 procedure di gara indette da Trenitalia s.p.a., principalmente per l’approvvigionamento di beni e servizi elettromeccanici ad uso ferroviario.

In considerazione della gravità e della durata dell’infrazione, l’Autorità irrogava nei confronti delle società partecipanti all’intesa le seguenti sanzioni: Meis € 403.878,30;
IEE € 388.865,10;
Dmotor € 5.280,00;
Elca € 210.597,30;
El-Pm € 90.361,47;
Soelta € 8.095,21;
Firema € 234.642,48;
Gmg € 87.971,70;
Motortecnica € 119.919,81;
Piaggio € 402.090,00;
PM € 12.622,81;
Retam € 22.983,00.

2.‒ Avverso l’anzidetto provvedimento le imprese sanzionate proponevano separate impugnazioni. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con sentenze n. 2668, n. 2673 e n. 2674 del 2016, respingeva i ricorsi proposti rispettivamente dalle società Meis, Piaggio, e IEE.

3.‒ Le società indicate in epigrafe hanno quindi sollevato appello, riproponendo sostanzialmente i motivi di ricorso già formulati in primo grado.

4.‒ Si è costituita in giudizio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, insistendo per il rigetto del gravame.

5.‒ All’udienza del 14 dicembre 2017 e nella successiva camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2018, le cause sono state discusse e trattenute per la decisione.

DIRITTO

1.‒ Va pregiudizialmente disposta la riunione degli appelli in epigrafe, atteso che gli stessi sono stati proposti avverso tre sentenze del giudice di primo grado aventi ad oggetto il medesimo provvedimento di accertamento dell’intesa restrittiva, formulando motivi di gravame in buona parte sovrapponibili.

2.‒ Secondo l’ipotesi accusatoria formulata dall’Autorità ‒ e confermata dalle sentenze impugnate ‒ le imprese sanzionate avrebbero costituito, nel quadriennio 2008-2011, un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza, attuata nella forma della pratica concordata in relazione alle procedure di gara indette dalla stazione appaltante Trenitalia s.p.a. In particolare, i membri del cartello si sarebbero ripartiti il mercato delle commesse aggiudicate da Trenitalia, tramite accordi funzionali a predefinire, sia le offerte dell’aggiudicatario di volta in volta designato, sia le offerte degli altri partecipanti non designati, dimodoché queste ultime risultassero artificialmente meno convenienti delle prime.

3.‒ Le numerose censure vanno scrutinate in ordine di successione logico-giuridica.

4.‒ La società Meis lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha accertato il contrasto tra il procedimento dettato dal d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217 (Regolamento in materia di procedure istruttorie di competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato) e l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in considerazione delle ridotte garanzie di imparzialità dell’organo decidente, dovute alla commistione tra funzioni istruttorie e funzioni giudicanti.

La censura ‒ più volte esaminata da questa Sezione ‒ non può essere accolta.

4.1.‒ L’art. 6 CEDU prevede che, per aversi equo processo, «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge».

Come è noto, questa disposizione si applica anche in presenza di sanzioni amministrative di natura afflittiva, alle quali deve essere riconosciuta natura sostanzialmente penale. La Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri al fine di stabilire la natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione. In particolare, sono stati individuati tre criteri, costituiti: i ) dalla qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, con la puntualizzazione che la stessa non è vincolante quando si accerta la valenza “intrinsecamente penale” della misura; ii ) dalla natura dell’illecito, desunta dall’ambito di applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito; iii ) dal grado di severità della sanzione ( ex plurimis , sentenze 4 marzo 2014, r. n. 18640/10, nella causa Grande Stevens e altri c. Italia;
10 febbraio 2009, ric. n. 1439/03, resa nella casua Zolotoukhine c. Russia), che è determinato con riguardo alla pena massima prevista dalla legge applicabile e non di quella concretamente applicata.

All’interno della più ampia categoria di accusa penale così ricostruita, la giurisprudenza della Corte EDU ha distino tra un diritto penale in senso stretto (“hard core of criminal law”) e casi non strettamente appartenenti alle categorie tradizionali del diritto penale.

Al di fuori del c.d. hard core, le garanzie offerte dal profilo penale non devono necessariamente essere applicate in tutto il loro rigore, in particolare qualora l’accusa all’origine del procedimento amministrativo non comporti un significativo grado di stigma nei confronti dell’accusato. La pragmaticità dell’approccio della Corte europea dei diritti dell’uomo ha dunque portato quest’ultima a riconoscere che non tutte le prescrizioni di cui all’art. 6, par. 1, CEDU devono essere necessariamente realizzate nella fase procedimentale amministrativa, potendo esse, almeno nel caso delle sanzioni non rientranti nel nocciolo duro della funzione penale, collocarsi nella successiva ed eventuale fase giurisdizionale (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo 23 novembre 2006, caso n. 73053/01, J c. Finlandia ).

È, pertanto, ritenuto compatibile con l’art. 6, par. 1, della Convenzione che sanzioni penali siano imposte in prima istanza da un organo amministrativo – anche a conclusione di una procedura priva di carattere quasi giudiziale o quasi-judicial, vale a dire che non offra garanzie procedurali piene di effettività del contraddittorio – purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinnanzi ad un giudice munito di poteri di “piena giurisdizione”, e, quindi, le garanzie previste dalla disposizione in questione possano attuarsi compiutamente quanto meno in sede giurisdizionale (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 marzo 2016, n. 1164;
Sez. VI, 26 marzo 2015 n. 1595 e n. 1596).

4.2.‒ Nella fattispecie in esame, la sanzione dell’AGCM, avuto riguardo ai criteri di identificazione sopra esposti e, in particolare, al grado di severità della stessa, ha natura afflittiva e “sostanzialmente” penale (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza Menarini, 27 settembre 2011, n. 43509/08).

Nondimeno, a prescindere dall’effettiva difformità del regolamento di procedura rispetto al parametro convenzionale, le garanzie imposte dall’art. 6 sono rispettate nel presente giudizio di “piena giurisdizione”. Il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato comporta infatti la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento (cfr. Cassazione, Sez. Un., 20 gennaio 2014, n. 1013;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 febbraio 2017, nn. 927 e 928 e 20 febbraio 2017).

A ciò si aggiunga che l’appellante comunque non ha indicato in che modo, in concreto, l’asserito “scarto” tra garanzie assicurate dalle norme internazionali e quelle previste dalla norma nazionale regolamentare abbia pregiudicato il proprio diritto di difesa.

5.‒ Con un ulteriore motivo di appello, la società Meis ripropone l’eccezione di intervenuta prescrizione delle condotte relative alle gare antecedenti il 2009.

Anche tale censura è infondata.

5.1.‒ Quando viene contestata l’esistenza di un’intesa unica e continuativa ‒ come accade nella fattispecie in esame riguardante svariate procedure di gara dal 2008 fino al 2011 ‒ non è consentito di parcellizzare i comportamenti costitutivi dell’unitaria infrazione, assoggettandoli a termini di prescrizione distinti.

Difatti ‒ mentre nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione della lesione del bene tutelato ‒ nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui la condotta illecita si è manifestata per la prima volta, fino alla cessazione dell’infrazione complessivamente considerata.

Tale assunto è del resto confermato dall’art. 8 del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, il quale ‒ sia pure con riferimento al termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da illecito antitrust ‒ prevede che esso «non inizia a decorrere prima che la violazione del diritto della concorrenza sia cessata».

6.‒ Ancora in via preliminare, la società Meis eccepisce che l’Autorità sarebbe decaduta dal potere di sanzionare l’infrazione in esame, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981.

L’eccezione non può trovare accoglimento.

6.1.‒ La norma invocata dispone che, ove non si proceda alla contestazione immediata dell’addebito, «gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento».

Va premesso che le norme principio contenute nel Capo I, l. 24 novembre 1981 n. 689, sono dotate di applicazione generale dal momento che, in base all’art. 12, le stesse devono essere osservate con riguardo a tutte le violazioni aventi natura amministrativa per le quali è comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro. L’intento del Legislatore è stato quello di assoggettare ad un statuto unico ed esaustivo (e con un medesimo livello di prerogative e garanzie procedimentali per il soggetto inciso) tutte le ipotesi di sanzioni amministrative, sia che siano attinenti a reati depenalizzati sia che conseguano ad illeciti qualificati “ab origine” come amministrativi, con la sola eccezione delle violazioni disciplinari e di quelle comportanti sanzioni non pecuniarie. La preventiva comunicazione e descrizione sommaria del fatto contestato con l’indicazione delle circostanze di tempo e di luogo (idonee ad assicurare, già nella fase del procedimento amministrativo anteriore all’emissione dell’ordinanza-ingiunzione, la tempestiva difesa dell'interessato), attiene ai principi del contraddittorio ed è garantito dalla legge 689 del 1981. Attraverso la prescrizione di una tempestiva contestazione la cui l’osservanza è assicurata mediante la previsione espressa dell’inapplicabilità della sanzione. Il termine per la contestazione delle violazioni amministrative ha infatti pacificamente natura perentoria avendo la precisa funzione di garanzia di consentire un tempestivo esercizio del diritto di difesa.

L’ampia portata precettiva è esclusa soltanto alla presenza di una diversa regolamentazione da parte di fonte normativa, pari ordinata, che per il suo carattere di specialità si configuri idonea ad introdurre deroga alla norma generale e di principio. Lo stesso art. 31 della legge n. 287 del 1990 prevede infatti l’applicazione delle norme generali di cui alla legge n. 689 del 1981 «in quanto applicabili».

Ebbene, con specifico riferimento alla disciplina della potestà sanzionatoria dell’Autorità non emergono le condizioni per derogare al sistema di repressione degli illeciti amministrativi per mezzo di sanzione pecuniaria ivi delineato. Il citato d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217 non reca indicazione di alcun termine per la contestazione degli addebiti, e quindi non può far ritenere «diversamente stabilita» la scansione procedimentale e, quindi, inapplicabile il termine di cui si discute. Tale interpretazione è preferibile anche orientata dalla sicura ascendenza costituzionale del principio di tempestività della contestazione, posto a tutela del diritto di difesa.

Su queste basi, deve però precisarsi che il decorso dei novanta giorni è collegato dall’art. 14 della legge n. 689 del 1981, non già alla data di commissione della violazione, bensì al tempo di accertamento dell’infrazione. Si fa riferimento non alla mera notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma all’acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita implicante il riscontro (allo scopo di una corretta formulazione della contestazione) della sussistenza e della consistenza dell’infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non computabilità del periodo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, ai fini dell’acquisizione e della delibazione degli elementi necessari per una matura e legittima formulazione della contestazione.

6.2.‒ Nel caso di specie, stante la complessità del procedimento, deve presumersi che un parte consistente del lasso temporale successivo alla acquisizione della notizia è stata impiegata per il completamento, da parte dell’Autorità, delle indagini intese a riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi (oggettivi e soggettivi) della fattispecie.

È comunque dirimente osservare che l’Autorità, dopo avere ricevuto la prima documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Firenze in data 6 novembre 2013, ha tempestivamente avviato il procedimento istruttorio in data 5 febbraio 2014. Parimenti tempestivi devono ritenersi, sia il provvedimento di estensione oggettiva del 12 novembre 2014 ‒ adottato a seguito delle comunicazioni pervenute da Trenitalia s.p.a. il 23 e 29 ottobre 2014 e della successiva audizione del 3 novembre 2014 ‒, sia il provvedimento di estensione oggettiva del 19 dicembre 2014, disposto a seguito delle comunicazioni della Guardia di Finanza del 7 agosto 2014 e della stazione appaltante del 27 novembre 2014.

7.‒ Con ulteriore motivo comune a tutti gli appelli in epigrafe, le imprese sanzionate contestano l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche nel procedimento antitrust.

Il motivo è infondato.

7.1.‒ Va premesso che, né la legge generale sul procedimento amministrativo (ispirato al principio di atipicità dei mezzi istruttori, con il solo limite della loro pertinenza e credibilità), né la specifica disciplina antitrust, contemplano preclusioni in ordine all’utilizzo ai fini istruttori di prove raccolte in un processo penale, a patto che:

a ) le prove siano state ritualmente acquisite in conformità con le regole di rito che presiedono alla loro acquisizione ed utilizzo;

b ) sia salvaguardato il diritto di difesa;

c ) il materiale probatorio formatosi aliunde sia stato oggetto di autonoma attività valutativa.

In applicazione dei predetti criteri, non vi è motivo per ritenere che, nel caso in esame, la documentazione inerente al procedimento penale fosse inammissibile.

Secondo quanto dedotto dall’Autorità (e non specificatamente contestato da controparte), la trasmissione della documentazione di cui si discute è stata specificatamente autorizzata dalla Procura della Repubblica di Firenze. Quanto alle intercettazioni, deve precisarsi che «il citato art. 270, comma 1, riguarda specificamente il processo penale, deputato all’accertamento delle responsabilità appunto penali che pongono a rischio la libertà personale dell’imputato (o dell’indagato), cosa questa che giustifica l’adozione di limitazioni più stringenti in ordine all’acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale. In ragione di tanto, è solo con riferimento ai procedimenti penali che una ipotetica, piena utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nell’ambito di procedimenti penali diversi da quello per cui le stesse intercettazioni erano state validamente autorizzate contrasterebbe con le garanzie poste dall’art. 15 Cost., a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni. In relazione poi al profilo della utilizzabilità in concreto, è stato precisato che presupposto per l’utilizzo esterno delle intercettazioni è la legittimità delle stesse nell’ambito del procedimento in cui sono state disposte» (Cass. S.U. 23 dicembre 2009 n. 27292;
12 febbraio 2013, n. 3271). Sul punto, va anche rimarcato che la prova della conversazione telefonica e del suo contenuto può ben desumersi dalla lettura dei brogliacci di cui all’art. 268 co. 2 c.p.p. (cfr. ex plurimis Cassazione penale n. 49462 del 2015).

Le imprese coinvolte hanno avuto ampio accesso e possibilità di controprova in merito a tutti gli elementi probatori sulla cui base sono stati mossi gli addebiti.

Da ultimo, in ragione della mole dei riscontri effettuati, è evidente che l’accertamento del meccanismo di funzionamento dell’intesa è stata il frutto di una attività valutativa autonoma dall’Autorità, non limitata alla mera acquisizione della documentazione presente nel fascicolo dell’indagine penale. È significativo che il procedimento condotto dall’Autorità si sia incentrato su ben ventiquattro procedure di acquisto indette da Trenitalia, mentre il procedimento penale aveva riguardato soltanto una parte (dieci) di esse.

7.2.‒ L’utilizzabilità, al fine di accertare violazioni del diritto antitrust, delle fonti di prova provenienti dal procedimento penale, contrariamente a quanto paventato dalle società appellanti, non si pone in contrasto con il diritto convenzionale.

Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, le comunicazioni telefoniche e ambientali fanno parte della nozione di «vita privata» e di «corrispondenza» nel senso dell’articolo 8 della Convenzione. La loro intercettazione, la memorizzazione dei dati così ottenuti e la loro eventuale utilizzazione nell’ambito dei procedimenti penali costituisce una «ingerenza da parte di un’autorità pubblica» nel godimento del diritto garantito dalla citata disposizione convenzionale. Tuttavia, tale ingerenza non viola l’articolo 8 quando sia «prevista dalla legge», persegua scopi legittimi, e sia «necessaria in una società democratica» per raggiungerli (Malone c. Regno Unito, 2 agosto 1984, § 64, serie A n. 82;
Valenzuela Contreras c. Spagna, 30 luglio 1998, § 47, Recueil des arrêts et décisions 1998-V).

Nel caso che ci occupa, ricorrono tutti i presupposti citati, dal momento che le intercettazioni: sono previste dalle legge (segnatamente: dal Libro III, Titolo III, Capo III, del codice di procedura penale);
vengono disposte da un’autorità giudiziaria indipendente;
sono previste garanzie processuali adeguate e sufficienti contro gli abusi;
costituiscono uno dei principali mezzi di indagine per la repressione degli illeciti anticoncorrenziali.

Del resto, anche sul versante costituzionale interno, la «libertà» e la «segretezza» della «corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», oggetto del diritto «inviolabile» tutelato dall’art. 15 Cost., può subire limitazioni o restrizioni «in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante», sempreché l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice garanzia della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione (ex plurimis, Corte Costituzionale, sentenza n. 20 del 2017).

7.3.‒ In ordine alla doglianza genericamente incentrata sulla violazione delle norme sulla protezione dei dati personali, è dirimente considerare che, ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice in materia di protezione dei dati personali), in caso di trattamento di dati personali effettuato presso uffici giudiziari di ogni ordine e grado «non si applicano», se il trattamento è effettuato per ragioni di giustizia ‒ con tale espressione intendendosi i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie ‒, «le seguenti disposizioni del codice: a) articoli 9, 10, 12, 13 e 16, da 18 a 22, 37, 38, commi da 1 a 5, e da 39 a 45;
b) articoli da 145 a 151» (in deroga dunque alle regole ordinariamente per il trattamento dei dati personali da parte dei soggetti pubblici).

8.‒ Le imprese sanzionate lamentano che il giudice di primo grado avrebbe dovuto riscontrare l’incompletezza dell’impianto probatorio su cui si è fondato il provvedimento dell’Autorità, nonché la mancanza di prove in ordine alla loro specifica partecipazione.

Va dunque verificata, in primo luogo, la tenuta dell’ipotesi accusatoria in ordine all’esistenza stessa dell’intesa restrittiva. In caso di riscontro positivo, dovrà appurarsi la legittimità del coinvolgimento individuale delle imprese appellate.

8.1.‒ Appare opportuno sintetizzare preliminarmente i principi generali cui è pervenuta la giurisprudenza di questo Consiglio con riguardo alla fattispecie della pratica anticoncorrenziale.

L’art. 2, della legge n. 287 del 1990 vieta ogni iniziativa volta a concordare ‒ tramite accordi espressi, pratiche concordate, o deliberazioni di associazioni di imprese ed altri organismi similari ‒ le linee di azione delle singole imprese, anche in funzione dell’eliminazione di incertezze sul reciproco comportamento, finendo con il sostituire all’alea della concorrenza il vantaggio della concertazione, ed erodendo i benefici che in favore dei consumatori derivano dal normale uso della leva concorrenziale.

Secondo la giurisprudenza comunitaria, “accordi” e “pratiche concordate” sono forme collusive che condividono la medesima natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme in cui esse si manifestano (Corte di Giustizia UE, 5 dicembre 2013, C-449/11P), e possono coesistere anche nell’ambito di una stessa intesa, corrispondendo, in particolare, le “pratiche concordate” a una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere stata spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza. Ne consegue che l’eventuale qualificazione, da parte dell’Autorità antitrust, di una determinata situazione di fatto come “accordo”, anziché come “pratica concordata”, non vale ad modificare la sostanza dei fatti materiali addebitati alle imprese sanzionate per un’intesa restrittiva della concorrenza, rilevando la distinzione tra le diverse forme di manifestazione dell’intesa vietata primariamente sul piano del regime probatorio.

Mentre la fattispecie dell’accordo ricorre qualora le imprese abbiano espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo, la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza. I criteri del coordinamento e della collaborazione, che consentono di definire tale nozione, vanno intesi alla luce dei principi in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato. Pur non escludendo la suddetta esigenza di autonomia il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti, essa vieta però rigorosamente che fra gli operatori abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato. L’intesa restrittiva della concorrenza mediante pratica concordata richiede comportamenti di più imprese, uniformi e paralleli, che costituiscano frutto di concertazione e non di iniziative unilaterali, sicché nella pratica concordata manca, o comunque non è rintracciabile da parte dell’investigatore, un accordo espresso, il che è agevolmente comprensibile, ove si consideri che gli operatori del mercato, ove intendano porre in essere una pratica anticoncorrenziale, ed essendo consapevoli della sua illiceità, tenteranno con ogni mezzo di celarla, evitando accordi scritti o accordi verbali espressi e ricorrendo, invece, a reciproci segnali volti ad addivenire ad una concertazione di fatto. La giurisprudenza, consapevole della rarità dell’acquisizione di una prova piena, ritiene che la prova della pratica concordata, oltre che documentale, possa anche essere indiziaria, purché gli indizi siano gravi, precisi e concordanti. Nella pratica concordata l’esistenza dell’elemento soggettivo della concertazione deve perciò desumersi in via indiziaria da elementi oggettivi, quali: la durata, l’uniformità e il parallelismo dei comportamenti;
- l’esistenza di incontri tra le imprese;
gli impegni, ancorché generici e apparentemente non univoci, di strategie e politiche comuni;
i segnali e le informative reciproche;
il successo pratico dei comportamenti, che non potrebbe derivare da iniziative unilaterali, ma solo da condotte concertate (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123).

La giurisprudenza comunitaria distingue tra parallelismo naturale e parallelismo artificiosamente indotto da intese anticoncorrenziali, di cui la prima fattispecie da dimostrare sulla base di elementi di prova endogeni, ossia collegati alla stranezza intrinseca delle condotte accertate e alla mancanza di spiegazioni alternative, nel senso che, in una logica di confronto concorrenziale, il comportamento delle imprese sarebbe stato sicuramente o almeno plausibilmente diverso da quello riscontrato, e la seconda sulla base di elementi di prova esogeni, ossia di riscontri esterni circa l’intervento di un’intesa illecita al di là della fisiologica stranezza della condotta in quanto tale (Cons. St., sez. VI, 17 gennaio 2008 n. 102). La differenza tra le due fattispecie e correlative tipologie di elementi probatori – endogeni e, rispettivamente esogeni – si riflette sul soggetto, sul quale ricade l’onere della prova: nel primo caso, la prova dell’irrazionalità delle condotte grava sull’Autorità, mentre, nel secondo caso, l’onere probatorio contrario viene spostato in capo all’impresa (Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2011, n. 2925).

Quanto all’ambito e ai limiti del sindacato giurisdizionale, il giudice amministrativo, in relazione ai provvedimenti dell’Autorità, esercita un sindacato di legittimità che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’Autorità risulti immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate, mentre, laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione di tali concetti, se questa sia attendibile secondo la scienza economica e immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici e da vizi di violazione di legge (in tal senso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2016, n. 2947;
id., 13 giugno 2014, n. 3032). Tali principi giurisprudenziali sono stati di recente recepiti dal legislatore con il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, in G.U. n. 15 del 19 gennaio 2017, entrata in vigore il 3 febbraio 2017 – inapplicabile ratione temporis in via diretta al presente processo –, il cui art. 7, comma 1, per quanto qui interessa, testualmente recita: «[…] Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima […]»).

8.2.‒ In termini generali, il mercato «rilevante» si definisce con riferimento sia ai tipi di prodotto o servizio (che debbono essere intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche, dei prezzi e dell’uso finale), sia all’ambito geografico (inteso come area in cui le condizioni di concorrenza siano sufficientemente omogenee, a differenza di zone geografiche contigue). Giova premettere che la definizione del mercato rilevante implica un accertamento di fatto cui segue l’applicazione ai fatti accertati delle norme giuridiche in tema di mercato rilevante, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale. Tale applicazione delle norme ai fatti implica un’operazione di «contestualizzazione» delle norme, frutto di una valutazione giuridica complessa che adatta concetti giuridici indeterminati, quale il «mercato rilevante», al caso specifico. Non di rado tale operazione di contestualizzazione implica margini di opinabilità, atteso il carattere di concetto giuridico indeterminato di dette nozioni. La definizione del mercato rilevante compiuta dalla AGCM nella singola fattispecie non è censurabile nel merito da parte del giudice amministrativo, se non per vizi di illogicità estrinseca (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI, 2 luglio 2015, n. 3291 e 26 gennaio 2015, n. 334).

In materia di intese anticoncorrenziali, il mercato di riferimento deve essere costituito da una parte rilevante del mercato nazionale e di regola non può coincidere con una qualsiasi operazione economica. Tuttavia, anche una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a mercato rilevante, ove in essa abbia luogo l’incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui, e quindi esista una concorrenza suscettibile di essere alterata. Diversamente dai casi di concentrazioni e di accertamenti della posizione dominante, in cui la definizione del mercato rilevante è presupposto dell’illecito, in presenza di una intesa illecita la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa poiché l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa medesima circoscrivono il mercato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 10 marzo 2006, n. 1272;
Id., sez. VI, 13 maggio 2011, 2925).

Anche le gare di pubblici appalti possono costituire, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, un mercato a sé stante, in quanto la definizione del mercato rilevante varia in funzione delle diverse situazioni di fatto.

Ebbene, nel caso in esame, l’iter argomentativo seguito dall’Autorità è coerente con il principio giurisprudenziale secondo cui è consentito «circoscrivere l’ambito merceologico e territoriale all’insieme delle gare in cui si è riscontrata la concertazione anticoncorrenziale» (Consiglio di Stato, 13 giugno 2014, n. 3032;
Id., 30 giugno 2016, n. 2947 e 11 luglio 2016, n. 3047), in quanto caratterizzato dall’incontro di domanda e offerta in condizioni di autonomia rispetto agli altri ambiti anche contigui.

8.3.‒ Ciò posto, l’Autorità ha ampiamente assolto l’onere di provare l’esistenza dei fatti costitutivi dell’infrazione contestata, consistente nel coordinamento consapevole dell’attività di 12 operatori indipendenti, attivi nel mercato della fornitura di beni e servizi elettromeccanici, nell’ambito di 24 procedure pubbliche di acquisto indette da Trenitalia s.p.a. per l’acquisto di bobine elettriche e di servizi di riparazione di motori di trazione ferroviaria, nell’arco temporale che dal 2008 al 2011. Le parti dell’intesa illecita, in particolare, concordavano quali imprese avrebbero partecipato, quali avrebbero dovuto risultare aggiudicatarie e quali sarebbero stati i prezzi da offrire.

Gli elementi di prova sono costituiti da plurimi riscontri esterni ‒ non solo documenti reperiti nel corso delle ispezioni, ma anche testimonianze di scambi di informazioni e trattative avvenuti nel corso di colloqui telefonici, incontri fisici e comunicazioni elettroniche ‒ delle “trattative” intercorse tra i rappresentanti delle diverse società prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, al fine di orientare i comportamenti delle imprese partecipanti al cartello.

Particolarmente significativi, al fine di comprendere le concrete dinamiche dell’intesa, sono i due data base rinvenuti presso la sede della società Elca (denominati “Tabelloni”: cfr. doc. 8 e 15). È stato così possibile esaminare i prospetti dettagliati con cui venivano riepilogate le assegnazioni distribuite a ciascuna impresa partecipante al cartello (a eccezione di Iee, che all’epoca, come si vedrà, non era stata ancora costituita) per ogni appalto indetto da Trenitalia s.p.a., e le conseguenti posizioni di debito o credito maturate dai singoli soggetti nei confronti delle altre imprese. Le imprese a credito per procedure passate maturavano diritti per procedure future, pure nella forma dell’impegno dell’aggiudicatario a cedere parte della commessa (per lo più in forma di subappalto) anche a chi non risultava formalmente tra i partecipanti alla procedura interessata.

8.4.‒ Occorre precisare che, quando la prova della concertazione non è basata sulla semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti, ma dall’istruttoria emerge che le pratiche sono stato frutto di una concertazione e di uno scambio di informazioni in concreto tra le imprese, grava sulle imprese l’onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti. Tale prova nel presente giudizio non è stata fornita.

8.5.‒ Anche le obiezioni relative all’asserita mancata attuazione dell’intesa e all’assenza dei relativi effetti (avuto riguardo al concreto esito delle gare, all’andamento dei fatturati delle imprese partecipanti) sono prive di rilievo.

Le intese finalizzate alla ripartizione dei mercati, avendo un «oggetto restrittivo» (da intendersi in economico e non giuridico) della concorrenza, appartengono a una categoria di accordi espressamente vietati dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, poiché un siffatto oggetto non può essere giustificato mediante un’analisi del contesto economico e giuridico in cui si inscrive la condotta anticoncorrenziale di cui trattasi (Corte di Giustizia UE, 19 dicembre 2013, cause riunite C-239/11 P, C 489/11 P e C 498/11 P;
Corte di Giustizia 8 dicembre 2011 in C-272/09). In tali casi, non occorre verificarne gli effetti restrittivi concreti dell’intesa al fine della sua qualificazione in termini di illiceità, in quanto l’ordinamento sanzione già di per sé l’effetto potenziale della restrizione. La costituzione di un cartello ‒ ovvero di una organizzazione privata avente il fine precipuo di programmare la produzione e le attività dei partecipanti ‒ costituisce oggetto di un divieto assoluto, rispetto al quale non sono ammesse controprove neppure sulla circostanza che l’intesa porti con sé guadagni di efficienza che possano giustificarne l’esenzione (purché, in astratto, l’intesa appaia idonea a incidere sulla corretta e fisiologica dinamica della competizione concorrenziale).

In ogni caso, va rimarcato che ‒ non solo i ripetuti contatti hanno senza dubbio consentito ai partecipanti di scambiare reciprocamente informazioni utili, sia per facilitare l’allineamento delle offerte commerciali, sia per consentire il controllo ex post dell’avvenuto rispetto dell’accordo di cartello, ma ‒ la concreta attuazione della ripartizione del mercato è dimostrata dal confronto tra quanto pattuito ex ante e quanto effettivamente registratosi ex post sulla base dei dati di fatturato specifico realizzato dalle parti, e dal significativo calo del prezzo dei beni e servizi oggetto di collusione al cessare delle condotte anticoncorrenziali.

8.6.‒ Secondo le imprese sanzionate le sentenze avrebbero erroneamente omesso di valutare il ruolo ricoperto “a monte” dal Sistema Qualificazione dei Fornitori di Trenitalia (SQF), al quale soltanto sarebbe imputabile la mancata partecipazione alle gare di imprese diverse da quelle considerate in istruttoria.

La censura non può essere accolta.

Va ricordato che, secondo la nota giurisprudenza europea, in presenza di comportamenti d’imprese in contrasto con il diritto antitrust, che sono imposti o favoriti da una normativa nazionale che ne legittima o rafforza gli effetti (con specifico riguardo alla determinazione dei prezzi e alla ripartizione del mercato), l’autorità nazionale preposta alla tutela della concorrenza non può infliggere sanzioni alle imprese interessate per comportamenti pregressi soltanto qualora questi siano stati loro imposti dalla detta normativa nazionale, mentre può infliggere sanzioni alle imprese interessate per comportamenti pregressi qualora questi siano stati semplicemente facilitati o incoraggiati da quella normativa nazionale, pur tenendo in debito conto le specificità del contesto normativo nel quale le imprese hanno agito (come stabilito dalla Corte di Giustizia 9 settembre 2003, C-198/01).

Su queste basi, va dunque condivisa l’affermazione dell’Autorità secondo cui nella fattispecie non può trovare applicazione la speciale scriminante della “copertura normativa” dei comportamenti anticoncorrenziali delle imprese, in quanto le condotte anticoncorrenziali (costituite da plurimi e e reiterati contatti collusivi) adottate dalle odierne appellanti non sono state imposte né facilitate dalle vigenti disposizioni normative, le quali si limitavano a prevedere un sistema di prequalifica per l’accesso al mercato, basato su determinati requisiti tecnico-finanziari.

9.‒ Appurata l’esistenza della pratica concordata, vanno ora esaminate le censure relative alla partecipazione delle singole imprese appellanti.

10.‒ La società IEE reitera la censura secondo cui essa sarebbe stata del tutto estranea alle condotte anticoncorrenziali riscontrate, ascrivibili invece ad AEG, società partecipante alla presunta intesa e ancora esistente. Le condotte sanzionate, individuate nel periodo marzo 2008-settembre 2011, sarebbero ampiamente precedenti alla costituzione della ricorrente, avvenuta il 29 novembre 2012.

La censura non può essere accolta.

10.1.‒ Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, qualora un ente che ha commesso un’infrazione alle norme sulla concorrenza sia oggetto di una modifica di natura giuridica o organizzativa, tale modifica non ha necessariamente l’effetto di creare una nuova impresa esente dalla responsabilità per i comportamenti anticoncorrenziali del precedente ente se, sotto l’aspetto economico, vi è identità fra i due enti. Infatti, se le imprese potessero sottrarsi alle sanzioni per il semplice fatto che la loro identità sia stata modificata a seguito di ristrutturazioni, cessioni o altre modifiche di natura giuridica o organizzativa, lo scopo di reprimere comportamenti contrari alle regole della concorrenza e di prevenirne la ripetizione mediante sanzioni dissuasive sarebbe compromesso (sentenza ETI e a.).

La Corte ha così affermato che, qualora due enti costituiscano uno stesso ente economico, il fatto che l’ente che ha commesso l’infrazione esista ancora non impedisce, di per sé, che venga sanzionato l’ente a cui esso ha trasferito le sue attività economiche. In particolare, una tale configurazione della sanzione è ammissibile qualora tali enti siano stati sotto il controllo dello stesso soggetto e, considerati gli stretti legami che li uniscono sul piano economico e organizzativo, abbiano applicato in sostanza le stesse direttive commerciali (sentenza Versalis/Commissione, punto 52).

Per quanto riguarda la data in cui devono essere esistiti legami strutturali tra cedente e cessionario e il periodo durante il quale tali legami devono essere intercorsi tra i medesimi perché possa ravvisarsi un’ipotesi di continuità economica, la Corte ha ammesso la configurabilità di una simile ipotesi, tanto in situazioni in cui il trasferimento di attività era avvenuto durante il periodo dell’infrazione ed in cui esistevano legami strutturali tra il cedente e il cessionario durante tale periodo (sentenza ETI e a., punti 45 e 50), quanto in situazioni in cui detto trasferimento si era verificato dopo la cessazione dell’infrazione, dal momento che alla data del trasferimento esistevano legami strutturali tra i due enti (sentenza della Corte di Giustizia Aalborg del 7 gennaio 2004). In nessun caso la Corte ha indicato che fosse necessario che tali legami perdurassero fino all’adozione della decisione che sanzionava l’infrazione.

Se ne deve dedurre che la data rilevante per valutare, onde accertare l’esistenza di una situazione di continuità economica, se ricorra un trasferimento di attività all’interno di un gruppo oppure un trasferimento tra imprese indipendenti, deve essere quella del trasferimento stesso. Se è necessario che a tale data esistano, tra cedente e cessionario, legami strutturali che consentano di ritenere, conformemente al principio della responsabilità personale, che i due enti formino un’unica impresa, non è tuttavia indispensabile, considerata la finalità perseguita dal principio della continuità economica, che tali legami perdurino per tutto il restante periodo dell’infrazione o fino all’adozione della decisione che sanziona l’infrazione.

Allo stesso modo e per le stesse ragioni, non è necessario che i legami strutturali che consentono di affermare l’esistenza di una situazione di continuità economica perdurino per un periodo minimo, che ad ogni modo potrebbe essere definito solo caso per caso e in maniera retroattiva.

Qualora si accerti una simile situazione, il fatto che l’ente che ha commesso l’infrazione esista ancora non impedisce, di per sé, che venga sanzionato l’ente al quale esso ha trasferito le proprie attività economiche (sentenza Versalis/Commissione;
da ultimo, sentenza 18 dicembre 2014, in causa C‑434/13).

10.2.‒ Il principio di responsabilità del “successore economico” ‒ la cui applicazione nella presente controversia si impone perché il giudice nazionale è tenuto ad adeguare, nei settori armonizzati, la sua interpretazione al diritto europeo ‒ non appare estraneo al nostro ordinamento, che già conosce rilevanti eccezioni al principio di non trasmissibilità dell’obbligazione sanzionatoria (cfr. art. 7 l. n. 689 del 1981). Si pensi: all’art. 30, comma 2, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni per illeciti amministrativi dipendenti da reato, il quale prevede che gli enti risultanti da scissione sono solidalmente obbligati al pagamento delle sanzioni pecuniarie dovute dall’ente scisso per i reati commessi prima dell’operazione di scissione, quante volte il soggetto scisso sia stato sanzionato in quanto responsabile in relazione ad un reato;
nonché alla previsione di cui al d.lgs. n. 472 del 1997, art. 15, comma 2, che, con riguardo alle somme da pagarsi in conseguenza delle violazioni fiscali commesse dalla società scissa, prevede la solidarietà illimitata di tutte le beneficiarie, differentemente dalla disciplina della responsabilità relativa alle obbligazioni civili, per la quale, invece, l'art. 2506 bis c.c., comma 2 e art. 2506 quater c.c., comma 3, prevedono precisi limiti.

10.3.‒ Ebbene, l’estensione del procedimento alla società IEE, fondata sulla trasmissione alla società “scindente” delle attività industriali originariamente collocate nel patrimonio della società “scissa”, è stato correttamente effettuata dall’Autorità alla luce delle predette coordinate ermeneutiche. Difatti, la “continuità economica” nelle attività industriali oggetto dell’intesa illecita è di per sé ravvisabile nel fatto che esse sono state trasferite da AEG a IEE per effetto di scissione societaria, la quale, come è noto, consiste nel trasferimento del patrimonio ad una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, contro l’assegnazione di azioni o di quote delle stesse ai soci della società scissa (artt. 2506 e ss. c.c.). Nel procedimento istruttorio è emerso, peraltro, come anche al momento di adozione del provvedimento finale vi fosse identità degli assetti proprietari e di controllo tra le predette società.

11.‒ Ancora la società IEE censura la disparità di trattamento rispetto al caso della società Firema, in relazione al quale l’Autorità avrebbe invece ritenuto di non dover estendere il procedimento nei confronti della società madre Gmr s.r.l.

Il motivo è ancora una volta destituito di fondamento.

11.1.‒ In termini generali, il comportamento illecito di una controllata può essere imputato alla società controllante in particolare qualora, pur avendo autonoma personalità, la prima si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla seconda, alla luce in particolare dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che uniscono le due entità giuridiche (sentenze 14 luglio 1972, Imperial Chemical Industries/Commissione,48/69;
sentenza 25 ottobre 1983, AEG-Telefunken/Commissione, 107/82;
sentenza 11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione, C-444/11 P). In tale situazione, la società controllante e la propria controllata fanno parte di una stessa unità economica e, pertanto, formano una sola impresa, ai sensi del diritto dell’Unione in materia di concorrenza.

Nella particolare ipotesi in cui una società controllante detenga la totalità o la quasi totalità del capitale della sua controllata che ha commesso un’infrazione alle norme in materia di concorrenza dell’Unione, sussiste una presunzione relativa secondo cui tale società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante nei confronti della sua controllata (sentenza del 26 novembre 2013, Groupe Gascogne/Commissione, C-58/12 P). Siffatta presunzione implica, salvo la sua inversione, che l’esercizio effettivo di un’influenza determinante da parte della società controllante sulla propria controllata sia considerato accertato e autorizza la Commissione a ritenere la prima responsabile del comportamento della seconda, senza dover fornire prove supplementari (sentenza 16 giugno 2016, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione, C-155/14).

11.2.‒ Ai fini del rigetto della censura è dirimente considerare che: - la mera detenzione della proprietà e del controllo non determina, ineluttabilmente, l’imputazione alla società madre delle condotte assunte dalla società figlia, qualora emergano elementi idonei ad escludere il diretto coinvolgimento della prima;
- l’appellante non ha dimostrato che le evoluzioni societarie tra Gmr e Firema fossero identiche a quelle tra AEG e IEE.

12.‒ Quanto all’asserito difetto di motivazione del provvedimento impugnato ‒ il quale non avrebbe dato adeguatamente conto delle giustificazioni presentate nel corso del procedimento ‒ è sufficiente richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui non sussiste «un obbligo, in capo all’Autorità, di motivare specificamente ogni scostamento dalle osservazioni presentate oppure il mancato accoglimento delle medesime, allorché, dal contesto dell’atto, sia per il richiamo contenuto nelle premesse, sia per l’approccio complessivo dell’iter argomentativo, risulti che l’Amministrazione ne abbia tenuto sostanzialmente conto» (Consiglio di Stato, 1 giugno 2016, n. 2328).

13.‒ L’ultimo gruppo di censure è incentrato sul quantum delle sanzioni applicate dall’Autorità, la quale, in violazione del principio di proporzionalità, avrebbe omesso di considerare la diversa gravità delle condotte accertate e i diversi ruoli rivestiti dai partecipanti all’intesa.

Le doglianze sono prive di fondamento.

13.1.‒ La quantificazione delle sanzioni operata dall’Autorità costituisce coerente applicazione dei criteri dettati dall’art. 15, comma 1, della legge n. 287 del 1990, dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981, dalla Linee Guida approvate dall’Autorità con delibera del 22 ottobre 2014, n. 25152, nonché dagli «Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell'articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003», di cui alla Comunicazione della Commissione 2006/C 210/02.

Il disvalore delle condotte sanzionate risulta dalle seguenti circostanze: - le intese orizzontali di prezzo o di ripartizione dei mercati sono infrazioni “molto gravi” sulla sola base della loro natura;
- la pratica concordata in esame si è concretata in una cooperazione stabile nel tempo, dal marzo 2008 al settembre 2011;
- le parti dell’intesa hanno negoziato le principali variabili concorrenziali (quantità, prezzo, numero dei contendenti);
- le quote di mercato detenute dalle imprese partecipanti al cartello erano pari alla quasi totalità degli operatori attivi nel mercato rilevante;
- l’intesa è stata attuata dalle parti influenzando l’andamento dei prezzi medi di aggiudicazione delle gare.

Il «valore delle vendite dei beni e dei servizi oggetto dell’infrazione», da porsi a base di calcolo della sanzione, è stato correttamente rapportato, in applicazione di quanto previsto dal punto 18 delle Linee Guida, agli importi oggetto di aggiudicazione (in tal senso, cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, 11 luglio 2016, n. 3047). Al valore del fatturato specifico, l’Autorità ha applicato la percentuale minima del 15%.

L’Autorità ha incrementato l’importo della sanzione per le società Meis ed Elca, rispettivamente del 15% e 10%, in ragione del ruolo svolto da tali società nell’intesa.

Da ultimo, gli importi, sono stati per alcune società, tra cui IEE, ridotti in ragione del vincolo rappresentato dalla soglia legale massima di cui all’art. 15, comma 1, della legge n. 287 del 1990, pari al 10% del fatturato totale realizzato nell’ultimo esercizio chiuso (2014) anteriormente alla notifica della diffida.

13.2.‒ La società Meis contesta il ruolo di maggior rilievo attribuitole nell’intesa illecita.

La censura è priva di pregio.

L’Autorità ha desunto correttamente dalle numerose risultanze istruttorie raccolte ‒ eloquenti sono i riscontri documentali rappresentati dal “Tabellone” e dal “Piccolo Tabellone”, e le conversazioni telefoniche e telematiche ‒ i presupposti per ritenere integrata l’aggravante organizzativa. L’impulso all’esecuzione dell’accordo garantito da Meis, risulta dalla costante attività dei suoi rappresentanti nel tenere i contatti con altre imprese, coordinandone e predisponendone le offerte economiche, nonché premurandosi di far circolare le relative informazioni.

13.3.‒ Lamenta invece la società IEE che la sanzione irrogata non sarebbe proporzionata all’effettivo ruolo, di mera complementarietà, svolto da AEG rispetto a quello delle altre due società ritenute organizzatrici e promotrici dell’intesa.

Il motivo non può essere accolto.

La società IEE è stata parte di un’intesa orizzontale restrittiva di particolare gravità e nei suoi confronti sono stati applicati i parametri di quantificazione espressamente previsti per la fattispecie in esame. L’Autorità ha applicato la percentuale minima (15%) prevista di regola dalle Linee Guida. Il parziale “livellamento” del trattamento sanzionatorio determinato (ex post) dall’abbattimento delle sanzioni entro il limite legale del 10% del fatturato totale realizzato nell’ultimo esercizio chiuso (2014), «non pone problemi di legittimità costituzionale o comunitaria, atteso che si tratta, comunque, di una rimodulazione della sanzione che avviene in un’ottica di favor per il soggetto sanzionato, al fine di porre dall’esterno un limite alla discrezionalità dell’AGCM, che in mancanza di tale tetto sarebbe (data anche l’ampiezza del limite edittale interno) eccessivamente ampia» (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 settembre 2014, n. 4506).

13.4.‒ Anche la società Piaggio rivendica un ruolo marginale nell’illecito anticoncorrenziale (risultando aggiudicataria in sole due gare su ventiquattro, una nel dicembre 2008 e una nel maggio 2011, poi revocata e annullata), con conseguente non proporzionalità dell’importo irrogato alla stessa dall’Autorità.

Anche in tale caso, il motivo va respinto.

Come correttamente replicato dall’Autorità, l’aggiudicazione o partecipazione soltanto a poche gare era del tutto irrilevante nel disegno spartitorio. La mancata acquisizione di commesse con Trenitalia o la mancata partecipazione alle relative procedure non implicava l’estraneità all’intesa, atteso che, ad alcune imprese non partecipanti veniva ceduta dagli altri membri del cartello risultanti vincitori, una quota parte dei lavori o forniture (ad esempio, proprio la società Piaggio ebbe ad acquisire due ulteriori commesse in sub-appalto).

13.5.‒ La mancata concessione della circostanza attenuante della collaborazione, si giustifica in quanto il riconoscimento della stessa (che pure rientra nell’ambito di valutazioni ampiamente discrezionali dell’Autorità) presuppone un contributo particolarmente qualificato, nel senso di essere idoneo ad agevolare concretamente l’accertamento e la repressione della condotta illecita. Non è integrata, invece, dalla collaborazione informativa e documentale dovuta per legge (Consiglio di Stato, 3 giugno 2014, n. 2838;
sez. VI, n. 2328 del 2016).

13.6.‒ Da ultimo, la società Meis denuncia l’omesso riconoscimento della propria ridotta capacità contributiva (c.d. inability to pay).

Il motivo è destituito di fondamento.

Il punto 31 delle Linee guida prevede che: «[l’]impresa che intende avanzare tale istanza deve produrre evidenze complete, attendibili e oggettive da cui risulti che l’imposizione di una sanzione, determinata secondo quanto delineato nelle presenti Linee Guida, ne pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica, potendo pertanto determinarne l’uscita dal mercato».

Si tratta come è noto di previsione eccezionale, che richiede la sussistenza di uno stringente nesso di causalità tra la sanzione e l’accertamento di un concreto rischio di bancarotta o totale perdita di valore degli attivi (patrimonio netto).

L’Autorità ha escluso la ricorrenza dei predetti presupposti, sulla scorta di una analisi quantitativa dei dati di bilancio, in relazione agli indici di liquidità, di solvibilità e di redditività, la cui correttezza (quanto a criteri utilizzati e modalità applicative) non è inficiata dalla deduzioni di controparte. In particolare, è stato dimostrato che la situazione di criticità mostrata dagli indicatori di solvibilità, prescinde dalla sanzione, essendo dipesa dalla strutturale sottocapitalizzazione della società (con un patrimonio netto inferiore al 10% del totale del passivo).

Va rimarcato, inoltre, che, con delibera del 30 settembre 2015, l’Autorità ha accolto l’istanza di Meis di rateizzazione, nella misura di 30 rate mensili.

14.‒ In definitiva, per le ragioni che precedono, gli appello in epigrafe vanno respinti.

14.1.‒ Le spese del secondo grado di giudizio devono compensarsi, attesa la complessità delle questioni di fatto e diritto implicate nella vicenda controversa.

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