Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-02-15, n. 202101354

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-02-15, n. 202101354
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101354
Data del deposito : 15 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/02/2021

N. 01354/2021REG.PROV.COLL.

N. 03808/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3808 del 2014, proposto dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in persona del Rettore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

il signor P D P, rappresentato e difeso dagli avvocati M M e M L ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei suindicati difensori in Roma, piazza della Libertà, n. 20;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. III- bis , 3 gennaio 2014 n. 48, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata e i documenti depositati;

Vista l’ordinanza della Sezione 25 giugno 2014 n. 2742, con la quale è stata respinta la domanda cautelare presentata dalla parte appellante;

Esaminate le ulteriori memorie prodotte;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 settembre 2020 il Cons. Stefano Toschei, uditi per le parti l’avvocato dello Stato Marco Stigliano Messuti e l’avvocato M M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – L’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” propone appello nei confronti della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. III- bis , 3 gennaio 2014 n. 48, con la quale è stato parzialmente accolto il ricorso (n. R.g. 3334/2004) proposto dal signor P D P al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti ed asseritamente provocati da numerosi atti adottati nei suoi confronti dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” o da organi della stessa (nello specifico le note della predetta università del 7 aprile 1997 (n.g. 109501) e del 25 febbraio 1997 (n.g 105156), la nota della facoltà di Architettura dello stesso ateneo del 25 febbraio 1997 (n. 4999/c7), del decreto rettorale del 16 ottobre 1997, n. 5649, delle note del 2 gennaio 1996 n. 2 e 30 novembre 1995 n. 3393 del Preside della facoltà di Architettura, della delibera del Consiglio di amministrazione dell’Università “La Sapienza” del 27 luglio 1995, della delibera del Senato accademico del 12 maggio 1997), atti tutti annullati con la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 gennaio 2002 n. 537, nonché, per quanto di ragione, per effetto ed in conseguenza dell’adozione degli atti annullati con la precedente sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sez. III- bis ) n. 2336 del 1996.

2. - Le vicende che fanno da sfondo al contenzioso qui in esame, tenuto conto della documentazione prodotta dalle parti nei due gradi di giudizio (e di quanto è riportato nella parte “in fatto” della sentenza di primo grado qui oggetto di appello), può sintetizzarsi come segue:

- il professor P D P, ricercatore confermato presso l’Università degli Studi di Reggio Calabria, presentava domanda per essere trasferito presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”;

- con nota del 22 gennaio 1994, il Rettore della predetta università comunicava che il professor D P avrebbe potuto prendere servizio nell’ateneo romano “ a condizione che i fondi relativi alla sua retribuzione fossero attribuiti all'Università di Reggio Calabria ”;

- con successiva nota del 7 marzo 1995 il Senato accademico dell’Università degli Studi di Reggio Calabria dava il proprio assenso al trasferimento “ della persona, con esclusione del posto e della relativa disponibilità finanziaria ”;

- con nota del 9 novembre 1995 il Rettore dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” si riservava di trasmettere il provvedimento formale di trasferimento del professor D P, dall’Università di Reggio Calabria all’ateneo romano, comunicando all’interessato che lo stesso avrebbe preso servizio presso la Facoltà di architettura a decorrere dall’1 gennaio 1996, sollecitandolo a prestare il suo assenso al trasferimento;

- tuttavia, dal momento che, per quanto si è appena riferito, l’ateneo di Reggio Calabria, aveva espresso parere favorevole al solo trasferimento della persona del ricercatore “ con esclusione del posto in organico e della relativa copertura finanziaria ”, mentre l’Università degli Studi di Roma riteneva che il trasferimento sarebbe potuto avvenire solo mediante copertura di un posto vacante, attraverso bando di concorso e, pertanto, il trasferimento avviato non si sarebbe potuto perfezionare in mancanza dell'accordo tra i due atenei, con nota n. 3393 del 30 novembre 1995 l’Università degli Studi di Roma disponeva la sospensione del procedimento di trasferimento;

- i surrichiamati atti della procedura erano impugnati in sede giurisdizionale dal professor D P e venivano, al termine del giudizio, annullati con sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato 30 gennaio 2002 n. 537, di talché, con decreto rettorale n. 7403 del 2002 dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” si procedeva al trasferimento del professor D P presso la Facoltà di Architettura di Valle Giulia con decorrenza dall’1 giugno 2002;

- successivamente il professor D P proponeva ricorso dinanzi al TAR per il Lazio domandando il riconoscimento del risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’adozione degli atti della procedura che avevano impedito il sollecito trasferimento, poi annullati dal giudice amministrativo, (con la surrichiamata sentenza di questa Sezione n. 537/2002), sostenendo che proprio in virtù della sentenza del giudice amministrativo sarebbe emerso in maniera inequivoca il suo diritto a prendere servizio presso l’ateneo romano (quanto meno) sin dal 1° gennaio 1996;

- il Tribunale amministrativo regionale, accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria. Infatti, delle varie voci di danno subito indicate dal ricorrente (nello specifico: a) danno per spese di trasporto, vitto e alloggio affrontate nel periodo di 6 anni e 5 mesi, dal 1° gennaio 1996 al 1° giugno 2002;
b) danno per retribuzioni non percepite a causa dell’impossibilità di optare per il tempo pieno nel periodo in cui ha continuato a prestare la propria attività presso l’Università di Reggio Calabria;
c) danno professionale dovuto alla circostanza che nel medesimo periodo presso l’Università di Reggio Calabria non gli sono state offerte opportunità di carriera e di sviluppo professionale;
d) danno non patrimoniale alla vita familiare e di relazione, tenuto conto che nel predetto periodo il ricorrente ha continuato a risiedere a Roma ed a svolgere una vita da pendolare per proseguire la propria attività lavorativa presso l’Università di Reggio Calabria;
e) danno morale consistito “ nella sofferenza psico-emotiva determinata dall’impossibilità, protrattasi per oltre se anni, di gestire la propria esistenza sia sul piano professionale che, e soprattutto, su quello familiare in ragione dell’incertezza della sua sede di servizio ”), il giudice di primo grado, dopo aver affermato che in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato n. 537 del 2002 “ è stata definitivamente accertata la spettanza della pretesa azionata dal ricorrente al trasferimento di sede a decorrere dal 1° gennaio 1996, ma i tempi necessari per addivenire alla conclusione del giudizio ed alla successiva esecuzione della decisione giudiziale lasciano residuare un danno da ritardo ” (così, testualmente, al punto 3 della sentenza qui oggetto di appello) ed avere ritenuto “ sussistente la colpa dell’Amministrazione giacché la sentenza di annullamento dei provvedimenti lesivi della posizione giuridica soggettiva azionata dal ricorrente ha statuito come la violazione censurata sia stata grave e commessa in un quadro di circostanze di fatto e normative tali da evidenziare la negligenza dell’organo amministrativo ” (così ancora, testualmente, al punto 4 della sentenza qui oggetto di appello), riteneva fondata la richiesta risarcitoria con riguardo alle (sole) spese di trasporto, vitto e alloggio affrontate nel periodo 1° gennaio 1996 – 1° giugno 2002, per l’importo complessivo di euro 28.151,91, maggiorato di interessi e rivalutazione dalla data del 1° giugno 2002 sino all’effettivo soddisfo.

3. – L’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” contesta la correttezza della decisione alla quale è giunto il giudice di primo grado, pur non avendo quest’ultimo accolto integralmente la domanda risarcitoria avanzata dal professor D P.

L’ateneo romano chiede dunque la riforma della sentenza di primo grado perché errata per i seguenti motivi:

1) in primo luogo l’Avvocatura generale ricorda come la sentenza del Consiglio di Stato n. 537/2002 non ha affatto riconosciuto in capo al professor D P un diritto soggettivo al trasferimento, bensì la sola natura di aspettativa al trasferimento generata dalla nota dell’università romana prot. n.121792 del 1995, rispetto alla quale non è stata riconosciuta alcuna natura di provvedimento anticipato e quindi correttamente l’Università degli Studi di Roma, in seguito alla decisione sopra citata del Consiglio di Stato, ha disposto il trasferimento con decreto rettorale n. 7403 del 2002 con decorrenza dall’1 giugno 2002, per il tramite di un decreto rettorale che, peraltro, non è mai stato impugnato dal professor D P per far valere un proprio (eventuale) diritto alla retrodatazione;

2) incomprensibile è poi la ragione del riconoscimento della voce di danno collegata al “pendolarismo” del ricercatore universitario il quale aveva accettato il posto presso l’Università di Reggio Calabria nonostante la propria famiglia fosse a Roma. La necessità di costanti trasferimenti tra le città di Roma e di Reggio Calabria, dunque, costituisce una vicenda che è indipendente e certo non è stata provocata dall’asserito ritardo nella definizione della procedura di trasferimento dall’ateneo calabrese a quello romano. Peraltro la dimostrazione del danno non è stata accompagnata da una adeguata produzione documentale dei biglietti di viaggio e quindi la richiesta risarcitoria da parte del ricorrente in primo grado, per tale voce di danno, ha assunto una caratterizzazione meramente presuntiva;

3) in terzo luogo il giudice di primo grado non ha approfondito lo scrutinio circa la sussistenza della responsabilità, sotto il profilo soggettivo, dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con riferimento alla provocazione del danno, non essendo stati adeguatamente dimostrati il dolo o la colpa nel comportamento dell’amministrazione che avrebbe provocato il danno “da ritardo”, poi ritenuto ristorabile dal giudice di primo grado e da quest’ultimo assegnato alla responsabilità dell’amministrazione.

Deriva da ciò, ad avviso della parte appellante, la riforma della sentenza di primo grado e la reiezione del ricorso in quella sede proposto.

4. – Si è costituito in giudizio il professor D P contestando analiticamente le avverse prospettazioni e ribadendo la correttezza della decisione assunta dal primo giudice. L’appellato chiedeva quindi la reiezione del mezzo di gravame proposto e la conferma della sentenza qui oggetto di appello.

Con ordinanza 25 giugno 2014 n. 2742, la Sezione ha respinto la domanda cautelare presentata dall’amministrazione appellante.

L’appellato ha depositato ulteriori memorie e note d’udienza ribadendo quanto già specificato nelle conclusioni contenute negli atti processuali precedentemente prodotti.

5. – Va premesso che la parte appellata non ha proposto alcun appello incidentale nei confronti della sentenza di primo grado, sicché il presente contenzioso in grado di appello è limitato a quella sola parte della sentenza, qui oggetto di appello, con la quale in prime cure si è accolta la domanda risarcitoria per la sola voce relativa al rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio per il periodo 1° gennaio 1996 – 1° giugno 2002.

Precisato quanto sopra, i motivi di appello dedotti dall’amministrazione non si prestano ad essere accolti.

Giova rammentare che il professor D P, impugnando a suo tempo gli atti della procedura di trasferimento che non avevano condotto ad una sollecita conclusione della richiesta da lui presentata nel 1994 e vistosi respinto il ricorso dal TAR per il Lazio (per la precisione si trattava di due ricorsi, anche recanti motivi aggiunti, poi riuniti e rispetto ai quali il primo veniva dichiarato inammissibile e il secondo respinto), appellando la decisione di reiezione del giudice di primo grado al Consiglio di Stato, sottoponeva al giudice di appello lo scrutinio di legittimità in merito agli atti della sequenza procedimentale che gli avevano impedito di conseguire il trasferimento dall’Università di Reggio Calabria all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. La Sesta sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 537/2002, statuiva in merito che:

- assume portata decisiva la circostanza che nel 1995 l’ateneo di Reggio Calabria aveva con estrema chiarezza portato a conoscenza dell’ateneo romano (nell’agosto di quell’anno) che il trasferimento del ricercatore “ comportava il movimento della sola persona ”;

- tale elemento, sottovalutato dall’università romana e dal giudice di primo grado (così espressamente si legge nella sentenza del Consiglio di Stato a pag. 11), assume estrema rilevanza, tenuto conto che il Rettore dell’Università degli Studi di Roma nel novembre 1995, con un proprio decreto rettorale, dava avvio al trasferimento, preannunciando la sua anticipazione dal gennaio 1996 e chiedendo la posizione partitaria dell’interessato all’Università di Reggio Calabria, con invito al medesimo docente a prendere servizio appunto dal gennaio seguente;

- pertanto, “ nulla vieta di pensare, che, sebbene un trasferimento non sia mai stato “decretato” formalmente, tutti i “precorsi” necessari erano già stati valutati a novembre 1995, seguendo la forma del trasferimento su posto vacante (…) ” (così, testualmente, a pag. 11 della sentenza n. 537/2002).

Pare evidente da quanto sopra, come ha correttamente indicato il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nella sentenza qui oggetto di appello, che risulta essere “ accertata la sussistenza dell’illegittimità dei provvedimenti annullati e della colpa dell’Amministrazione resistente ” (cfr. punto 5 della sentenza qui oggetto di appello).

6. - Con specifico riferimento ai motivi di appello dedotti dall’amministrazione deve rappresentarsi, preliminarmente e in punto di diritto, quanto segue:

- se è vero che non può trovare risarcimento il mero interesse procedimentale, inteso quale interesse alla correttezza della complessiva gestione del procedimento da parte dell’amministrazione, poiché lo stesso si pone come situazione meramente strumentale alla tutela di una posizione di interesse legittimo, in quanto l’interesse procedimentale non è di per sé qualificabile come bene della vita, suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno e resta avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale, al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato (cfr., sulla giurisprudenza sviluppatasi in relazione alla risarcibilità del c.d. danno da ritardo, ex multis , Cons. Stato, Sez. IV, 3 gennaio 2020 n. 61;
Sez. V, 18 marzo 2019 n. 1740 e 10 ottobre 2018 n. 5834;
Sez. IV, 23 giugno 2017 n. 3068 e 2 novembre 2016 n. 4580);

- è però anche vero che è riconosciuto dall’ordinamento il ristoro dei danni provocati dall’attività provvedimentale della pubblica amministrazione, anche con riferimento ai tempi entro i quali l’amministrazione avrebbe dovuto provvedere e non ha provveduto tempestivamente, per il cui riconoscimento è però indispensabile la prova rigorosa della spettanza del bene della vita preteso, in stretta correlazione con il giudicato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2015 n. 675;
Sez. IV, 20 gennaio 2015 n. 131;
Sez. V, 29 dicembre 2014 n. 6407 e 1 aprile 2011 n. 2031).

Ne deriva che, per quanto si è più sopra chiarito e per quel che emerge dalla documentazione prodotta nei due gradi di giudizio, la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 537/2002 non solo aveva dichiarato illegittimi gli atti della sequenza procedimentale che avevano impedito la conclusione della procedura di trasferimento, ma anche che questa avrebbe dovuto avere un esito favorevole all’interessato fin dalla fine del 1995, stabilendo dunque che a quell’epoca dovesse essere riconosciuto al ricercatore universitario, dall’ateneo romano, il bene della vita costituito dal trasferimento (dall’Università degli Studi di Reggio Calabria) presso il ridetto ateneo.

7. – Passando poi ad esaminare le censure dedotte dall’amministrazione nella sede di appello con riferimento alla prova della voce di danno riconosciuta all’appellato dal giudice di primo grado, merita di ricordare come, in argomento, il consolidato orientamento giurisprudenziale è pervenuto ad affermare che:

- il principio generale dell’onere della prova previsto nell’art. 2697 c.c., si applica anche all’azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al giudice amministrativo, con la conseguenza che spetta al danneggiato dare in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria e quindi del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario, con la conseguenza che, laddove la domanda di risarcimento danni manchi dalla prova del danno da risarcire, la stessa deve essere respinta(cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 22 gennaio 2015 n. 282);

- ciò riguarda anche il c.d. danno da ritardo, atteso che la pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo va ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito, con l’avvertenza che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 febbraio 2017 n. 563);

- fermo quanto sopra è stato poi precisato, però, che la prova in ordine alla quantificazione del danno sofferto può essere raggiunta anche mediante presunzioni, atteso che per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, sulla scorta della regola dell’inferenza necessaria, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod plerumque accidit in virtù della regola dell'inferenza probabilistica, sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici (cfr., in tal senso e tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 5 febbraio 2018 n. 701).

Posto che, nel caso di specie, si è raggiunta la prova per cui le spese di viaggio e soggiorno sopportate dall’odierno appellato, per il periodo 1996-2002, non furono dipese da una libera scelta di quest’ultimo ma furono provocate dall’ingiustificato ritardo con il quale l’amministrazione procedente ha completato il relativo percorso, non esaurendolo tempestivamente, provvedendo a decretare, come avrebbe dovuto, il trasferimento del ricercatore universitario nel momento in cui sussistevano tutti i presupposti giuridici per adottare il relativo provvedimento conclusivo (come è stato stabilito con la sentenza del Consiglio di Stato n. 537/2002), la prova della loro consistenza, contenuta nella documentazione prodotta in primo grado e relativa al costo sopportato per il periodo di “pendolarismo”, vale a dire per i viaggi in aereo e in treno nonché per il vitto e l’alloggio, alla luce selle suindicate puntualizzazioni giurisprudenziali può dirsi adeguatamente raggiunta e l’ammontare della somma liquidata congrua. Infatti quanto indicato nella sentenza di primo grado dal primo giudice, secondo il quale “ Il ricorrente sul punto ha fornito specifica ed analitica documentazione, riferita ad un anno (marzo 2001 – marzo 2002), da cui si evince che il costo affrontato per il trasporto, su base bisettimanale, tra Reggio Calabria e Roma nonché per vitto e alloggio è stato pari complessivamente a euro 4.387,31, che rapportato all’intero periodo di riferimento (6 anni e 5 mesi) porta a determinare il costo complessivo affrontato dal ricorrente di euro 28.151,91 ”, va condivisa anche nella presente sede di appello all’esito di un nuovo scrutinio della documentazione prodotta effettuata dal Collegio.

8. - Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e che va pertanto respinto, con conferma della sentenza di primo grado qui gravata.

Le spese per il grado di appello seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a, dovendosi porre a carico della parte appellante e in favore di quella appellata, come da dispositivo e liquidandosi le stesse nella misura complessiva di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge.

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