Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-11-17, n. 202210139

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-11-17, n. 202210139
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202210139
Data del deposito : 17 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/11/2022

N. 10139/2022REG.PROV.COLL.

N. 04278/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4278 del 2022, proposto da
C.B.O. 1 S.r.l., C.B.O. 2 S.r.l., C.B.O. 3 S.r.l., C.B.O. 4 S.r.l., in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese dall'avvocato G C, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Gestore dei Servizi Energetici S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A Z, A P e G V, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato A Z in Roma, piazza di Spagna, n. 15;
Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Comitato Interministeriale, non costituiti in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1393/2022, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gestore dei Servizi Energetici S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2022 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati G C e G V;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1) C.B.O. 4 S.r.l., C.B.O. 3 S.r.l., C.B.O. 2 S.r.l. e C.B.O. 1 S.r.l. hanno proposto ricorso per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2022, n. 1393, resa a definizione di quattro giudizi rubricati ai R.G. nn. 1736/2021, 1738/2021, 1748/2021 e 1749/2021, che ha confermato le sentenze nn. 1238, 1236, 1225 e 1226 del 2021 del T.A.R. Lazio.

Queste ultime avevano respinto i ricorsi avverso i provvedimenti con cui il GSE non aveva riconosciuto la Tariffa Omnicomprensiva di cui all’art. 16 del DM del 18.12.2008, ravvisando la violazione del divieto di artato frazionamento della potenza dei quattro sotto-impianti (Oto 1, Oto 2, Oto 3 e Oto 4) facenti parte del progetto di riconversione produttiva dello zuccherificio dell’ex stabilimento di Oto.

Avvero la sentenza di questo Consiglio le società indicate in epigrafe hanno formulato il seguente motivo di revocazione: “I.- in funzione rescindente: errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa ex art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c.. e 106 cod. proc. amm.”, con il quale sono stati censurati tre asseriti errori revocatori:

I - un primo errore revocatorio viene lamentato rispetto alla parte della sentenza che ha affermato l’inesistenza degli estremi per il perfezionamento del silenzio assenso sulla base di un falso presupposto: in particolare la sentenza ha rileva che “ stante l’eterogenea natura delle domande, il meccanismo del silenzio-assenso non è comunque predicabile con riguardo alla domanda di riconoscimento degli incentivi (di cui ai titoli II e III del d.m. 18 dicembre 2008), considerato che il comma 3 dell’art. 4 del suddetto decreto ministeriale del 2008 – quando afferma che: “In tutti i casi, la domanda si ritiene accolta in mancanza di pronunciamento del GSE entro novanta giorni dal ricevimento” – concerne evidentemente la sola domanda di qualifica IAFR presentata ai sensi del comma 1 del medesimo art. 4 (come detto, a prescindere da ogni considerazione circa la compatibilità o meno di tale norma regolamentare con l’articolo 20, comma 4, della legge n. 241/1990), senza comunque riguardare in alcun modo la (diversa) domanda di accesso ad uno specifico incentivo tra quelli previsti (certificati verdi, tariffa GRIN, tariffa unica omnicomprensiva etc.), disciplinati dai successivi titoli del medesimo decreto ministeriale del 2008 ”;
in realtà, come risulterebbe dai documenti allegati in giudizio (“docc. 49 e 52 del fascicolo di primo grado per CBO 4, docc. 42 e 42-bis e 46 del fascicolo di primo grado per CBO 3, docc. 30 e 33 del fascicolo di primo grado per CBO 1 e docc. 32 e 35 del fascicolo di primo grado per CBO 2 (doc. 10, doc. 11 e doc. 12) ”, sarebbe stata inoltrata la “sola” richiesta di qualifica IAFR, nella quale è riportata anche la richiesta della Tariffa Omnicomprensiva, e non più domande;

II - un secondo errore revocatorio sarebbe contenuto nel capo di sentenza che ha affermato “ il comitato interministeriale costituito ai sensi dell’art. 2 del decreto legge n. 2/2006, nel verbale della riunione del 5 febbraio 2015, non ha affatto superato le criticità già evidenziate dal Ministero dello sviluppo economico nel citato parere del 16 ottobre 2012 (richiamato nel predetto verbale), non avendo deliberato alcunché sulla questione relativa alla sussistenza o meno di un unico centro decisionale per gli impianti “Oto”, né sulla possibilità per i predetti impianti di accedere o meno alla tariffa omnicomprensiva di cui all’art. 16 del d.m. 18 dicembre 2008 (limitandosi il predetto comitato a consentire ai progetti di riconversione, approvati dal medesimo comitato, di mantenere il regime di incentivazione di cui al d.m. 18 dicembre 2008, purché i lavori di costruzione degli impianti si fossero conclusi entro il 31 dicembre 2018 )”. La sentenza avrebbe cosìbasato le sue conclusioni sull’erroneo presupposto di fatto dell’inesistenza di una indicazione sulla possibilità per i predetti impianti di accedere o meno alla tariffa omnicomprensiva di cui all’art. 16 del d.m. 18 dicembre 2008, possibilità che invece sussisteva. Ciò è evincibile dal verbale del Comitato interministeriale del 5 febbraio 2015 che riporta: “ Dopo ampia discussione sull’argomento (i.e., artato frazionamento), il Comitato delibera la presa d’atto della comunicazione del Ministero dello sviluppo economico tesa a: - assicurare ai progetti di riconversione del settore bieticolo-saccarifero, approvati dal Comitato Interministeriale la permanenza del medesimo regime di incentivazione delle Fonti di Energia Rinnovabili come definito dalle leggi n. 269/2006 e 244/2007, nonché dal relativo D.M. attuativo del 18/12/2008;

- garantire l’accesso agli incentivi e la corrispondente copertura finanziaria tenendo conto della tempistica di realizzazione dei vari impianti, anche attraverso, ove necessario, apposita previsione contenuta nell’emanando Decreto Ministeriale; Quanto sopra previsto si applica agli impianti già autorizzati, la cui costruzione risulti ultimata entro il 31 dicembre 2018 .” Conseguentemente il Comitato ha deliberato “- di prendere atto del rilascio dei titoli autorizzativi ... Oto (FE) per 4 impianti …”. Secondo le ricorrenti “ il Comitato Interministeriale ha dunque approvato 4 impianti non 1 da 4 MW e la corrispondente copertura finanziaria che il MiSe si è impegnato a garantire nel successivo decreto ministeriale che poi è stato adottato con il DM 23 giugno 2016. La proposta di Co.PRO.B approvata dal Comitato è di 4 impianti a Oto. Per garantire il rientro dei costi sopportati in conseguenza dell’accordo di conversione, l’allora promotore CO.Pro.B aveva fissato quale presupposto del piano di rientro degli investimenti il riconoscimento della Tariffa Omnicomprensiva di 0,28 Euro/kWh (per tutti, doc. 39 del fascicolo di primo grado per CBO2).

In perfetta conformità alla deliberazione del Comitato Interministeriale del 5 febbraio 2015 e implementando gli impegni assunti in quella sede dal MiSE, l’art. 19 del D.M. 23 giugno 2016, recante “Disposizioni sugli impianti ex-zuccherifici”, prevede che “gli impianti previsti dai progetti di riconversione del settore bieticolo-saccarifero approvati dal Comitato interministeriale di cui all'art. 2 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, continuano ad accedere agli incentivi del decreto ministeriale 18 dicembre 2008, alle condizioni e nei limiti previsti dalla delibera del predetto Comitato del 5 febbraio 2015 e nel limite complessivo, richiamato anche in premessa, di 83 MW elettrici. A tale fine, nella gestione delle qualifiche già rilasciate, il GSE tiene conto delle proposte di ridimensionamento della potenza incentivata presentate dagli operatori”. Pertanto, veniva confermata come unica condizione per l’accesso agli incentivi del DM 18 dicembre 2008 la conclusione di lavori di costruzione entro il 31.12.2018. Il limite di 83 MW non è stato raggiunto e quindi è stato rispettato (le informazioni in nostro possesso mostrano che è stato consumato il plafond per circa il 50%). Conseguentemente, il MiSe aveva assunto l’impegno di superare la criticità dell’artato frazionamento considerando che per Oto gli impianti approvati erano 4 ”;

III – un terzo errore revocatorio è individuato nella parte della sentenza che ha affermato che “i gravati provvedimenti del 9 novembre 2020, nella parte in cui hanno rigettato le domande di accesso alla tariffa unica, si sono correttamente basati, ai sensi degli articoli 5, comma 2, lett. b), e 29, comma 1, del d.m. 23 giugno 2016, su una pluralità di elementi fattuali (sopra elencati dal punto b.1) al punto b.10) del § 2.2) che hanno legittimamente condotto il G.S.E., con ragionamento logico esente da profili di irrazionalità, a ritenere sussistente un artato frazionamento dei quattro impianti “Oto” ”. La sentenza gravata si fonderebbe, quindi, su un falso presupposto, ovverosia che la pluralità di elementi fattuali invocati dal GSE non siano connaturali e fisiologici alla fase di approvazione dei progetti di riconversione degli ex zuccherifici ma siano indici di un asserito artato frazionamento. Secondo le ricorrenti infatti, “ essendo dichiarati ex lege (D.L. 9 febbraio 2012, n. 5 convertito con modificazioni dalla Legge 4 aprile 2012, 35, come modificato dall’art. 30-ter del D.L. 24 giugno 2014 n. 91, convertito in legge 11 agosto 2014, 116) “di interesse strategico” e “priorità a carattere nazionale in considerazione dei prevalenti profili di sviluppo economico” da approvarsi in un unico contesto, i progetti di riconversione degli ex zuccherifici tra cui anche quello dell’ex zuccherificio di Oto, sono stati approvati contestualmente dal Comitato interministeriale come risultante dal verbale del 5 febbraio 2015 (doc. 4 del fascicolo di primo grado per CBO 1, doc. 4 del fascicolo di primo grado per CBO 2, doc. 3 del fascicolo di primo grado per CBO 3 doc. 4 del fascicolo di primo grado per CBO 4) (doc. 13). Tale unicità riguarda la sola fase autorizzativa e non la fase realizzativa rilevante ai fini dell’accesso agli incentivi relativa all’assunzione degli investimenti. Tali rilievi dimostrano la sussistenza dell’errore revocatorio, che impone la revocazione della sentenza impugnata ”.

Tutti e tre i rilievi di errore rescindente sono stati corredati da argomentazioni in ordine alla fase rescissoria.

Si è costituito in giudizio il GSE resistendo al ricorso e depositando in particolare una memoria con la quale ha sostenuto che nel caso di specie non ricorrerebbero gli estremi per configurare i dedotti errori di fatto, ricadendo essi su profili che: (i) oltre ad essere stati esaminati e valutati dal giudice d’appello;
(ii) avrebbero costituito un punto controverso tra le parti;
(iii) e comunque non sarebbero decisivi per la decisione della causa.

All’udienza pubblica dell’11.10.2022 la controversia è stata trattenuta in decisione.

2) Il ricorso è inammissibile.

Come ribadito anche da recente giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 23 giugno 2022, n. 5174), il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e ( ex multis , Cons. Stato, V, 5 maggio 2016, n. 1824) l’errore di fatto idoneo a fondare la relativa domanda, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395 n. 4 Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti:

a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;

b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431).

Inoltre l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006).

Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per revocazione per errore di fatto revocatorio è stato affermato che:

a) l’errore di fatto, idoneo a costituire un vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., è identificabile con l’errore di percezione sull’esistenza o sul contenuto di un atto processuale, che si traduca nell’omessa pronuncia su una censura o su un’eccezione (per lo meno a far tempo da Cons. Stato, Ad. plen., 22 gennaio 1997, n. 3, ribadita da Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5;
successivamente cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099;
sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5347;
sez. IV 28 ottobre 2013, n. 5187;
6 agosto 2013, n. 4156;
sez. III 29 ottobre 2012, n. 5510;
sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 587);
l’errore revocatorio è configurabile in ipotesi di omessa pronuncia su una censura sollevata dal ricorrente purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima;
si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame e/o valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione (cfr., Cons. Stato, Sez. V, 5/4/2016, n. 1331;
22/1/2015, n. 264;
Sez. IV, 1/9/2015, n. 4099).

b) conseguentemente non costituisce motivo di revocazione per errore di fatto la circostanza che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni proposte dalla parte a sostegno delle proprie censure (Cons. Stato, Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 21);

c) non può giustificare la revocazione, inoltre, una contestazione sull’attività di valutazione del giudice, perché essa riguarderebbe un profilo diverso dall’erronea percezione del contenuto dell’atto processuale, in cui si sostanzia l’errore di fatto (Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852;
sez. V 12 maggio 2015, n. 2346;
sez. III 18 settembre 2012, n. 4934);
di conseguenza, il vizio revocatorio non può mai riguardare il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono “fatti” ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e perché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass. 22 marzo 2005, n. 6198);

d) non può giustificare la revocazione, altresì, una contestazione concernente il mancato esame di un qualsivoglia documento (come, ad es., di un allegato a una relazione istruttoria) o di qualsiasi altra prova offerta dalle parti, dal momento che in casi del genere si potrebbero configurare soltanto errores in iudicando , non contemplati dall’art. 395 c.p.c. quale motivo di ricorso per revocazione (Cons. Stato, Ad. plen., 11 giugno 2001, n. 3);
non sussiste pertanto errore revocatorio per il mero “fatto” che alcuni documenti o atti siano stati non esplicitamente esaminati o valorizzati in sentenza, giacché non sussiste alcun obbligo di motivare sulla corretta lettura di ciascun documento di causa, essendo sufficiente rispondere al motivo proposto, dando atto naturalmente di averlo rettamente inteso nella sua reale portata giuridica in ragione dei fatti a cui esso fa riferimento (Cons. Stato Sez. V, 2 febbraio 2022 n. 725;
nello stesso senso Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2022 n. 729/2022);

e) affinché possa dirsi sussistente il vizio revocatorio contemplato dalla norma è inoltre necessario che l’errore di fatto si sia dimostrato determinante, secondo un nesso di causalità necessaria, nel senso che l’errore deve aver costituito il motivo essenziale e determinante della decisione impugnata per revocazione. È stato puntualizzato che il nesso causale non inerisce alla realtà storica, ma costituisce un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della lite deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto, e non degli accadimenti concreti (Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 826);
la falsa percezione della realtà processuale deve dunque riguardare un punto decisivo, anche se non espressamente controverso della causa (Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099);

f) l’errore deve poi essere caduto su un punto non espressamente controverso della causa e in nessun modo deve coinvolgere l’attività valutativa svolta dal giudice circa situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5).

Alla stregua di tali principi l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.

Insomma, l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali;
ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n.1640).

Così si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4 Cod. proc. civ. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, III, 24 maggio 2012, n. 3053);
ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita.

3) Passando all’esame delle doglianze sollevate dalla ricorrenti si osserva innanzitutto che, come già rilevato, i profili denunciati coinvolgono in effetti l’attività valutativa dell’organo decidente, che li ha esaminati, e hanno inoltre costituito punti controversi tra le parti sui quali la sentenza impugnata si è pronunciata.

3.1) Il primo profilo denunciato infatti si risolve nella contestazione della valutazione effettuata dal giudice di appello circa la formazione del silenzio assenso, senza che sia configurabile alcun errore di fatto revocatorio.

Il giudice di appello ha invero valutato le domande presentate, richiamandole espressamente, e ha ritenuto che, nonostante l’unicità delle istanze presentate per le diverse società, le domande ivi contenute fossero due, una di qualifica IAFR e una di accesso agli incentivi, concludendo espressamente nel senso che “ il meccanismo del silenzio-assenso non è comunque predicabile con riguardo alla domanda di riconoscimento degli incentivi ”.

In sostanza quello che viene in rilievo è un supposto errore di giudizio nell’interpretare i fatti espressamente presi in esame (unicità della domanda e assenza di due distinti procedimenti) e nel trarne le conseguenze di diritto (mancanza dei presupposti normativi per il formarsi del silenzio assenso sul riconoscimento degli incentivi).

L’asserita “confusione” da parte del giudice tra il riconoscimento del diritto a ricevere gli incentivi e l’erogazione degli stessi rientra nell’attività valutativa ed eventualmente costituisce errore di diritto sulla valutazione dei presupposti, ma non errore di fatto.

3.2) Anche lo scrutinio del secondo profilo sollevato dal ricorso per revocazione non evidenzia l’esistenza di un errore di fatto revocatorio. Il profilo riguarda, come meglio suindicato, il mancato superamento da parte del Comitato interministeriale, costituito ai sensi dell’art. 2 del decreto legge n. 2/2006, giusta verbale della riunione del 5 febbraio 2015, delle criticità già evidenziate dal Ministero dello sviluppo economico nel citato parere del 16 ottobre 2012.

Tale profilo, al pari del primo, si sostanzia nella deduzione dell’erroneità del giudizio del giudice su un punto controverso ed espressamente preso in esame in sentenza, ovverosia su un errore valutativo e interpretativo delle circostanze prese in esame e nello specifico sul contenuto del verbale del Comitato interministeriale del 5 febbraio 2015 e sui suoi conseguenti effetti giuridici. In ultima analisi, le ricorrenti prospettano, in sostanza, una diversa interpretazione rispetto a quella tratta dal giudice, delle risultanze del predetto verbale, così come sull’ambito applicativo del DM 18 dicembre 2008. Peraltro la questione aveva formato oggetto di contestazione in sede di appello, risultando, quindi, punto controverso.

3.3) Inammissibile è altresì il terzo profilo revocatorio, anch’esso caratterizzato da censure attinenti alla fase valutativa del giudice e, in altri termini, incentrate su aspetti caratterizzanti un eventuale errore di giudizio e non di fatto.

La censura si appunta, come più articolatamente già indicato, sull’inesistenza di quegli elementi fattuali che hanno condotto il giudice a ritenere corretto il rigetto delle domande di accesso alla tariffa unica e a ritenere sussistente un artato frazionamento dei quattro impianti Oto;
elementi che secondo i ricorrenti sarebbero connaturali e fisiologici alla fase di approvazione dei progetti di riconversione degli ex zuccherifici, ma non indici di un asserito artato frazionamento nella fase realizzativa delle quattro iniziative.

Il vizio revocatorio sollevato si appunta ancora una volta sull’attività valutativa del giudicante, ovverosia sulle conseguenze in termini di effetti da attribuire a quelle circostanze, al fine di dedurre l’esistenza, in termini giuridici, di un artato frazionamento, alla luce del panorama normativo vigente, deducendo la violazione degli articoli 5, comma 2, lett. b), e 29, comma 1, del d.m. 23 giugno 2016.

Non viene contestato un errore di fatto sull’esistenza delle circostanze, ma le conclusioni dell’attività valutativa del giudice rispetto agli effetti delle suddette;
ciò senza contare che in ogni caso la questione della sussistenza dell’artato frazionamento e dei presupposti della sua esistenza risulta punto controverso nei due gradi di giudizio.

4) In sostanza nessuno dei tre profili addotti dal ricorrente è riconducibile a “quell’abbaglio dei sensi” su un punto decisivo e non espressamente controverso della causa che può giustificare la revocazione per errore di fatto ex art. 395, comma 4, c.p.c.

Per le suesposte ragioni il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo

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