Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-16, n. 202007043

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-16, n. 202007043
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007043
Data del deposito : 16 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/11/2020

N. 07043/2020REG.PROV.COLL.

N. 09569/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9569 del 2015, proposto dal signor M B, rappresentato e difeso dagli avvocati C C, M S e L C, con domicilio eletto presso lo studio legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180,

contro

- il Comune di Montegranaro, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato M O, con domicilio eletto presso lo studio Livia Ranuzzi in Roma, via del Vignola, 5;
- l’Assessore pro tempore ai settori urbanistica/edilizia privata e lavori pubblici del Comune di Montegranaro;
- il Segretario Generale pro tempore del comune di Montegranaro;
- il Responsabile pro tempore del settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Montegranaro;
questi ultimi non costituiti in giudizio;

nei confronti

dei signori Pasquale Viozzi, Franco Viozzi, Nazzareno Viozzi, Narciso Berdini, Eredi Giuseppe Canalini, non costituiti in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche, sezione I, 20 agosto 2015, n. 623.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Montegranaro;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2020, il consigliere Giuseppe Castiglia,

Uditi per le parti gli avvocati C C e M O;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITO

1. L’originario ricorrente è proprietario di un’area del Comune di Montegranaro in contrada S. Leandra.

Nel luglio 2011, egli ha presentato al Comune una proposta di piano di lottizzazione su un lotto singolo soggetto a progettazione di dettaglio. Il piano comportava variante al PRG, poiché prevedeva l’aumento dell’indice territoriale (da 0,33 mc/mq a 0,58 mc/mq) e lo stralcio dell’area da un più vasto comparto edificatorio.

Con delibera consiliare n. 6 del 24 aprile 2012, il Comune ha proceduto all’adozione provvisoria del piano.

Con osservazione del 29 novembre 2012, l’interessato ha presentato una proposta di variante al piano con aumento della superficie territoriale di intervento (da mq.

3.708 a mq 6.113) con l’effetto - invariata la capacità edificatoria originaria (mc. 2.117,25) - di abbassare l’indice territoriale sino a 0,34 mc/mq. Anche la nuova proposta comportava variante al PRG, poiché l’indice territoriale, anche se diminuito, restava comunque superiore a quello stabilito dallo strumento urbanistico generale (0,33 mc/mq), ferma restando la necessità di stralciare l’area oggetto di pianificazione attuativa dal comparto di espansione maggiore.

Con delibera consiliare n. 3 del 28 gennaio 2013, il Comune ha proceduto alla definitiva adozione del piano così variato.

Con lettera del 31 luglio 2013, l’interessato ha rappresentato al Comune che, per effetto della riparametrazione e riclassificazione dell’area interessata dal rischio idrogeologico, la superficie reale dell’area oggetto di pianificazione attuativa sarebbe stata di circa mq. 8.000 (rispetto a mq.

6.113 da ultimo indicati in progetto), comportando così un abbassamento dell’indice territoriale sotto il limite massimo previsto dal PRG. Di conseguenza, non sarebbe stata più necessaria, sotto tale profilo, la variante allo strumento urbanistico generale e la competenza all’approvazione del piano sarebbe spettata alla Giunta comunale.

2. Con delibera n. 42 del 29 settembre 2014, il Consiglio comunale ha deciso di non approvare il piano attuativo sulla base delle motivazioni urbanistiche, espresse nella nota in data 26 settembre 2014 prot. 14506, a firma congiunta del Sindaco e dell’Assessore all’Urbanistica.

Il ricorrente ha impugnato la delibera n. 42/2014 con otto motivi di doglianza chiedendone l’annullamento e il risarcimento del danno.

Con sentenza 28 agosto 2015, n. 623, il T.A.R. per le Marche, sez. I, ha respinto il ricorso compensando fra le parti le spese di lite.

3. Il ricorrente ha interposto appello avverso la sentenza n. 623/2015 riproponendo e sintetizzando alcuni dei motivi del ricorso introduttivo e censurando le motivazioni spese dal primo giudice per respingerli.

I) Mancanza nella delibera impugnata dei pareri di regolarità tecnica e dell’Ufficio tecnico urbanistico (motivi n. 1 e n. 3 di primo grado);
la tesi del Tribunale regionale - secondo cui la mancanza dei pareri prescritti dall’art. 49 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. T.U.E.L.) produrrebbe mera irregolarità e non invalidità dell’atto impugnato - sarebbe errata e non conforme alla prevalente giurisprudenza.

Per di più, in concreto, mancherebbe la proposta di non approvazione del piano di lottizzazione da parte del Responsabile del settore urbanistica ed edilizia, sollecitata invece dalla stessa nota prot. n. 14506/2014.

II) Contraddittorietà, perplessità dell’azione amministrativa, sviamento (motivi n. 4, n. 5 e n. 7 di primo grado). Il Comune avrebbe approvato il piano in via definitiva con la delibera consiliare n. 3/2013;
perciò il ripensamento dell’Amministrazione configurerebbe un atto di autotutela, che andrebbe necessariamente sorretto da un rigoroso impianto motivazionale a tutela delle prerogative dell’interessato.

Peraltro, già in sede di prima adozione del piano il Comune avrebbe ignorato la comunicazione del 2013 circa la maggiore estensione della superficie reale del lotto con conseguente diminuzione dell’indice territoriale al di sotto del limite massimo previsto dalle NTA;
le considerazioni della nota sindacale non integrerebbero quella motivazione “rafforzata” richiesta per la legittimità degli atti di autotutela che incidano su interessi qualificati.

In particolare:

- quanto alla mancanza di un progetto di pianificazione del comparto generale, la variazione dell’indice territoriale sarebbe irrisoria e il Comune non avrebbe rilevato la mancanza di strumenti attuativi in relazione ad analoghe richieste di variante (c.d. varianti Scheggia, Bc e C);

- quanto al mancato coinvolgimento degli altri proprietari, la delibera di adozione provvisoria del piano, ritualmente pubblicata, non avrebbe suscitato osservazioni;
gli altri proprietari avrebbero spontaneamente aderito alla costituzione di un consorzio, pur manifestando in un secondo tempo indisponibilità a farsi carico delle obbligazioni scaturenti;

- la strada a scorrimento veloce sarebbe posta a valle del lotto interessato;
il collegamento di questa con il comparto residenziale sarebbe stato solo giudicato opportuno;

- sarebbe generico il riferimento a una supposta non ottimale ubicazione delle aree a verde pubblico.

III) Omissione del preavviso di rigetto. Questo sarebbe stato necessario trattandosi non di pianificazione urbanistica generale, ma di uno specifico intervento;
l’apporto del privato avrebbe potuto indirizzare diversamente la decisone finale del Comune.

IV) Ritenendo dimostrata la colpa grave dell’Amministrazione, l’appellante insiste per la richiesta di risarcimento del danno con riguardo sia al lucro cessante (l’area sarebbe stata ceduta per un corrispettivo di 180.000 euro) che al danno emergente.

4. Il Comune si è costituito in giudizio per resistere all’appello sostenendone l’inammissibilità, perché il mezzo sarebbe fondato su un unico presupposto (necessità di motivazione “rafforzata”) espressamente disatteso del giudice di primo grado con statuizione rimasta non impugnata, e comunque l’infondatezza nel merito, in quanto la delibera contestata, nel richiamare la nota del 25 giugno 2014, avrebbe puntualmente esplicitato le ragioni di pubblico interesse ostative all’approvazione della variante. Inoltre, come ha osservato il giudice di primo grado, con affermazione anche questa non impugnata, tale delibera sarebbe fondata su una pluralità di argomentazioni, reciprocamente autonome e capaci di sopravvivere alla eventuale declaratoria di illegittimità di qualcuna di esse.

5. L’appellante ha replicato con memoria con la quale insiste sulla disparità di trattamento rispetto ad analoghe delibere di variante urbanistica.

Le parti si sono scambiate ulteriori memorie.

All’udienza pubblica del 29 ottobre 2020, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

6. In via preliminare va dato atto che l’appello non riproduce alcuni dei motivi di impugnazione dedotti in primo grado né impugna la sentenza del T.A.R. Marche sui punti nei quali questi sono stati disattesi. A norma dell’art. 101, comma 2, c.p.a., tali motivi devono perciò considerarsi rinunziati.

Ancora in via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità delle “ osservazioni tecniche ” depositate dall’appellante in data 15 settembre 2020 le quali, nella sostanza, configurano una perizia di parte, e quindi una prova nuova non consentita in questo grado di appello a norma dell’art. 104, comma 2, c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 gennaio 2019, n. 114;
sez. IV, 12 marzo 2015, n. 1298).

7. Con il primo motivo dell’appello la parte privata si duole della violazione dell’art. 49 T.U.E.L., in quanto la delibera impugnata sarebbe stata adottata in assenza del parere di regolarità tecnica prescritto dalla richiamata disposizione di legge.

La censura oscilla fra la violazione di legge e l’eccesso di potere. Tuttavia sotto entrambi i profili risulta infondata.

Il comma 1 del citato art. 49 dispone:

“1. Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell’ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione”.

A questo riguardo, sono da condividere i rilievi del T.A.R., il quale ha ricordato che, rispetto a una originaria lettura della norma che vedeva nella mancata acquisizione dei pareri una causa di invalidità dell’atto, è poi prevalsa la tesi della semplice irregolarità (per una dettagliata rassegna cfr. T.A.R. Molise, sez. I, 11 aprile 2014, n. 245). In questo senso, infatti, è l’orientamento sia del giudice amministrativo di primo (T.A.R. Puglia, sez. III, 9 novembre 2018, n. 1466;
T.A.R. Molise, sez. I, n. 245/2014, cit.;
T.A.R. Liguria, sez. I, 26 febbraio 2014, n. 350) come di secondo grado (Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 2014, n. 1663;
sez. IV, 26 gennaio 2012, n. 351;
sez. V, 21 agosto 2009, n. 5012;
sez. IV, 22 giugno 2008, n. 3888), sia quello del giudice ordinario (Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2019, n. 33768).

Ciò posto, il Collegio non vede ragione per discostarsi dall’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato a detta del quale i pareri previsti per l’adozione delle deliberazioni comunali dall’art. 49 del T.U.E.L. (e prima ancora dall’art. 53 della legge 8 giugno 1990, n. 142) sono preordinati all'individuazione sul piano formale, nei funzionari che li formulano, dei responsabili in via amministrativa e contabile delle deliberazioni adottate, eventualmente in solido con i componenti degli organi politici;
così che la loro eventuale mancanza costituisce - appunto - una mera irregolarità che non incide sulla legittimità e la validità delle deliberazioni stesse (cfr. Cons. St., sez. V, 21 agosto 2009, n. 5012;
sez. IV, 22 giugno 2008, n. 3888).

Contrariamente a quanto assume l’appellante nella memoria di replica del 6 ottobre scorso, questo indirizzo non è contraddetto da Cons. Stato, sez. V, 17 aprile 2020, n. 2450, che attiene alla diversa ipotesi di conflitto di interessi in capo ai funzionari che avevano predisposto i pareri in questione e, pur sottolineando il particolare rilievo di questi, non investe la questione degli effetti della mancanza dei pareri stessi.

Il privato appellante sembra voler distinguere, al proposito, fra parere di regolarità contabile e parere di regolarità tecnica, per concludere che solo la mancanza del primo comporterebbe mera irregolarità (e non invalidità) dell’atto amministrativo. Ma si tratta di una distinzione che non può essere condivisa, in quanto si appoggia solo sull’autorità di un precedente remoto (Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 1998, n. 167) e non ha fondamento nella legge.

Non sposta i termini del problema la circostanza che la nota prot. n. 14506/2014 solleciterebbe una iniziativa (non un parere) del Responsabile del settore urbanistico, di cui non vi sarebbe traccia negli atti del procedimento. Ammesso pure trattarsi di un auto-vincolo dell’Amministrazione comunale, come sostiene l’appellante, resta da dimostrare ancora una volta come l’omissione dell’adempimento ridondi di per sé in illegittimità dell’atto conclusivo. Il che non avviene, mentre il fatto che la nota fosse indirizzata anche al funzionario competente rispondeva alla sola e ovvia esigenza di sollecitare la necessaria attività istruttoria che doveva precedere l’intervento dell’organo consiliare e per la quale il destinatario non poteva che essere il Responsabile del settore, senza che ciò interferisse con il successivo parere che lo stesso Responsabile avrebbe dovuto apporre ex post.

Vero è che - come osserva Cons. Stato, sez. V, n. 1663/2014, cit. - la mancanza del parere potrebbe in astratto rilevare come omissione di un contributo istruttorio necessario e dunque sotto il diverso profilo del difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento. In questi termini, tuttavia, la doglianza si risolve nella ritenuta inidoneità delle considerazioni contenute nella nota a firma congiunta del Sindaco e dell’Assessore all’urbanistica a dar ragione della delibera consiliare impugnata e confluisce nel secondo motivo dell’appello.

8. Quanto al secondo motivo dell’appello, non è fondata l’eccezione di inammissibilità formulata dal Comune. In dissenso dal T.A.R., l’appellante insiste sul carattere di atto di autotutela del provvedimento impugnato e da ciò fa discendere l’onere di una motivazione “rafforzata” che nelle specie mancherebbe.

Nel merito, la delibera gravata costituisce l’atto conclusivo della procedura scandita dall’art. 26 della legge della Regione Marche 5 agosto 1992, n. 34, che, per l’approvazione degli strumenti urbanistici comunali, dei regolamenti edilizi e delle relative varianti, prevede le successive fasi dell’adozione provvisoria, dell’adozione definitiva e dell’approvazione, nella specie intervenute rispettivamente con le delibere consiliari n. 6/2012, n. 6/2013 e n. 42/2014. Diversamente da quanto assume l’appellante, la delibera n. 6/2013 non è atto conclusivo del procedimento, ma atto intermedio (adozione in via definitiva), cosicché si deve escludere che l’atto conclusivo impugnato sia espressione di autotutela e siano quindi applicabili le regole relative (per vero richiamate, ancorché in modo improprio, nella stessa sentenza appellata).

Conseguentemente, essendo ancora in itinere il procedimento di approvazione della proposta di lottizzazione, l’Amministrazione comunale manteneva il proprio potere di modificare il precedente avviso senza alcun onere di motivazione “rafforzata”, non potendo dirsi sorta alcuna situazione qualificata di affidamento in capo al richiedente, la cui posizione non era diversa da quella di chi ha presentato una proposta di piano attuativo e sino alla fine dell’ iter istruttorio nutre solo una generica aspettativa a che questa venga accolta. In questo senso vanno precisati i richiami del T.A.R. alla nota giurisprudenza relativa all’ampia discrezionalità che connota le scelte pianificatorie del Comune, ai consequenziali limiti al dovere di motivazione e all’insussistenza nella specie di situazioni di affidamento qualificato in capo al ricorrente.

Peraltro, la motivazione della delibera n. 42/2014 risulterebbe comunque congrua nella parte in cui fa espresso riferimento al contenuto della nota prot. n. 14506/2014.

Questa invitava l’organo consiliare a una riponderazione complessiva dell’intervento, sottolineando svariate criticità nel senso che:

- l’estrapolazione dell’area, dal più ampio comparto edificatorio, sarebbe avvenuta senza un piano complessivo di intervento, sia di carattere urbanistico che viario;

- la previsione di lottizzazione sarebbe stata formulata senza il coinvolgimento degli altri proprietari di aree ubicate nel comparto generale;

- a intersecare l’area oggetto del piano il PRG avrebbe previsto una strada a scorrimento veloce, che il progetto non avrebbe preso in considerazione;

- il progetto di sistemazione dell’assetto viario, con la creazione di una strada interna a fondo cieco, produrrebbe ripercussioni negative sulla viabilità generale di comparto e, data l’ubicazione dei lotti, determinerebbe una sorta di interclusione delle stesse aree;

- le aree destinate a verde e parcheggi sarebbero state difficilmente fruibili dalle restanti zone urbanizzate.

Come ha rilevato il T.A.R., con statuizione rimasta inoppugnata, la nota contiene una pluralità di argomentazioni in parte autonome tra loro. Di conseguenza, anche qualora una o più di queste risultassero affette da una qualche forma di vizio, l’eventuale illegittimità non travolgerebbe l’intero provvedimento basato anche su altre argomentazioni autonome ed esenti da vizi.

Peraltro, alle considerazioni svolte nella nota, e richiamate dalla delibera impugnata, l’appellante muove critiche ora infondate (è indiscutibile che sia mancata una programmazione di sviluppo dell’intero comparto e che questa circostanza possa compromettere la realizzazione della strada a scorrimento veloce prevista dal P.R.G.;
la mancata costituzione del consorzio dimostra il mancato coinvolgimento dei proprietari delle altre aree ubicate nel comparto generale), ora marginali e irrilevanti (la strada a scorrimento veloce non sarebbe intersecante l’area interessata dalla variante, ma posta a valle di questa).

In ordine alla omessa considerazione della maggiore estensione della superficie reale del lotto, con conseguente diminuzione dell’indice territoriale al di sotto del limite massimo previsto dalle N.T.A., il rilievo non tiene conto di quanto osservato dal T.A.R., cioè che la dedotta ulteriore espansione territoriale dell’area di intervento (da mq.

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