Consiglio di Stato, sez. P, sentenza 2022-12-06, n. 202200015
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Pubblicato il 06/12/2022
N. 00015/2022REG.PROV.COLL.
N. 00017/2022 REG.RIC.A.P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero di registro generale 17 di A.P. del 2022, proposto dai signori -OMISSIS-e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati E A, G L P e F C, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Colonna, 32;
contro
Il Ministero della giustizia, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
del Governo della Repubblica dell’India, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
della -OMISSIS-, in persona del responsabile dell’unità organizzativa legale, affari societari,
compliance
, penale e anticorruzione indicato in atti, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Giovanni Albisinni e Luisa Torchia, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, in Roma, viale Buozzi, 47;
del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma (sezione prima) n. -OMISSIS-, pubblicata in data -OMISSIS-;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
Visto l’appello incidentale della -OMISSIS-;
Vista l’ordinanza di deferimento all’Adunanza plenaria della III Sezione di questo Consiglio di Stato del -OMISSIS-, n. -OMISSIS-;
Viste le memorie e tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2022 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati E A, F C, e Luisa Torchia e l’avvocato dello Stato Francesco Sclafani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’ordinanza della III Sezione di questo Consiglio di Stato indicata in preambolo ha deferito all’Adunanza plenaria alcune questioni di diritto concernenti il sindacato del giudice amministrativo nei confronti dei «( p ) oteri del Ministro della giustizia », ai sensi dell’art. 723 cod. proc. pen., sulle richieste di assistenza giudiziaria provenienti dall’autorità di uno Stato estero.
I poteri in questione si collocano nella prima fase del procedimento di carattere “bifasico”, prima amministrativo e poi giurisdizionale, che origina dalla richiesta di assistenza giudiziaria internazionale, formulata nella specie dal Governo della Repubblica dell’India, e consiste nel « non dar ( vi ) corso », ovvero di non trasmetterla « per l’esecuzione all’autorità giudiziaria competente » (art. 723, comma 1, cod. proc. pen.), individuata dall’art. 724 cod. proc. pen. nel « procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto del luogo nel quale deve compiersi l’attività richiesta ».
2. Le questioni così sintetizzate traggono origine dai contenziosi, tra loro connessi, promossi dai vertici del gruppo -OMISSIS-, facente capo alla -OMISSIS- (ex -OMISSIS-), e da quest’ultima, in relazione alle richieste del Governo della Repubblica dell’India, per il tramite della propria ambasciata in Italia, nel complessivo numero di sei, tra il luglio e il dicembre 2019, di notificazione delle citazioni a giudizio dei ricorrenti davanti all’autorità giudiziaria penale indiana, per rispondere di plurimi reati commessi in pubbliche forniture al Governo straniero richiedente, comprendenti imputazioni di corruzione in un primo procedimento e di riciclaggio in un secondo.
Per i fatti in questione i medesimi vertici sono stati processati in Italia per il reato di corruzione internazionale previsto dall’art. 322- bis , comma secondo, n. 2), cod. pen., in relazione al quale sono stati assolti in via definitiva, all’esito di un giudizio nel quale il Governo indiano si era costituito parte civile (sentenza della Cassazione penale, -OMISSIS-). Nei confronti della-OMISSIS- è stata invece disposta l’archiviazione dei procedimenti.
3. In ragione delle circostanze da ultimo richiamate, questo Consiglio di Stato ha annullato gli atti con cui nel 2018 il Ministero della giustizia aveva già dato corso a precedenti richieste di assistenza giudiziaria del Governo indiano nei confronti dei medesimi ricorrenti (v. le sentenze -OMISSIS-della IV Sezione, passate in giudicato). In queste pronunce si è stabilito che il Ministero della giustizia era venuto meno all’obbligo su di esso gravante di motivare in ordine alle ragioni per cui aveva ritenuto di non esercitare il proprio potere di “blocco” delle richieste di assistenza giudiziaria, ai sensi dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
4. Nondimeno, nel determinarsi su nuove ulteriori richieste del Governo indiano di citazione a giudizio, come sopra esposto risalenti al 2019, e dunque trasmesse prima delle sentenze di annullamento sopra richiamate, il Ministero della giustizia – con provvedimenti emessi prima della pubblicazione della sopra citata sentenza della Quarta Sezione - vi ha nuovamente dato corso senza esporne le ragioni, donde i nuovi contenziosi promossi dai soggetti interessati.
5. In primo grado i ricorsi sono stati respinti dall’adito Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - Sede di Roma, con la sentenza -OMISSIS-.
6. La sentenza ha respinto tutte le censure basate sul mancato rispetto del principio del ne bis in idem internazionale e la necessità della doppia incriminazione, quest’ultima riferita all’imputazione di riciclaggio a carico dei ricorrenti, al tempo stesso concorrenti nel presupposto reato di corruzione.
In dichiarato dissenso rispetto ai sopra citati precedenti della IV sezione di questo Consiglio di Stato, la sentenza del T.A.R. ha escluso che il Ministro della giustizia fosse tenuto ad esternare le ragioni poste a fondamento del provvedimento che ha dato seguito alle richieste di assistenza giudiziaria del Governo indiano per la successiva fase giurisdizionale ex art. 724 cod. proc. pen., ed ha inoltre rilevato che nessuna ragione ostativa di ordine sostanziale era ad esse fondatamente opponibile dai ricorrenti.
7. Nei conseguenti appelli dei vertici di -OMISSIS- e di -OMISSIS-, rispettivamente in via principale e incidentale, si collocano quindi le questioni deferite nella presente sede nomofilattica. A base delle stesse si pongono i rilievi critici che la III Sezione rimettente, cui l’appello è stato assegnato, ha formulato nei confronti dell’orientamento espresso dalla IV Sezione nei sopra richiamati precedenti, considerati in grado di dare luogo ad un contrasto potenziale di giurisprudenza ai sensi dell’art. 99, comma 1, del cod. proc. amm.
8. Preso atto che le determinazioni del Ministero della giustizia impugnate nel presente contenzioso « non recano, ancora una volta, alcuna motivazione che giustifichi l’accoglimento della richiesta di assistenza giudiziaria da parte dell’India », l’ordinanza di rimessione si domanda nello specifico se il mancato esercizio del potere di “blocco” « sia sindacabile dal giudice amministrativo » sotto il profilo del difetto di motivazione, quando sul piano sostanziale la richiesta di assistenza del Governo estero non appaia « manifestamente » in contrasto con il diritto internazionale e interno.
9. L’ordinanza di rimessione chiede inoltre di stabilire se il potere di “blocco” previsto dall’art. 723 cod. proc. pen. sia esercitabile sulla base delle questioni di natura penalistica poste nel presente giudizio dai ricorrenti, relative come sopra accennato al rispetto del principio del ne bis in idem internazionale e alla necessità della doppia incriminazione;o se nell’ambito del procedimento di assistenza giudiziaria il loro esame sia invece devoluto alla seconda fase del procedimento di assistenza giudiziaria internazionale, prevista dall’art. 724 cod. proc. pen. e successiva a quella di carattere amministrativo di competenza del Ministero della giustizia oggetto del presente contenzioso.
DIRITTO
1. La III Sezione di questo Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza plenaria le seguenti questioni di diritto:
a) entro quali limiti, « con specifico riferimento al difetto di una motivazione esplicita », il mancato esercizio del potere di “blocco” da parte del Ministro della giustizia su una richiesta di assistenza giudiziaria formulata da uno Stato estero « sia sindacabile dal giudice amministrativo », quando questa « non sembri violare, manifestamente, né le convenzioni internazionali né l’art. 723 c.p.p. »;
b) « se la violazione del principio del c.d. ne bis in idem internazionale e del principio della doppia incriminazione », invocati nel presente giudizio dai ricorrenti che hanno impugnato la richiesta di assistenza, possa essere valutata dal Ministero della giustizia, in base all’art. 723, comma 5, cod. proc. pen. e alle convenzioni internazionali in materia, richiamate dal comma 2 del medesimo articolo, o se invece le stesse questioni « rientrino più propriamente, se non esclusivamente, tra le questioni esaminabili dall’autorità giudiziaria in sede di esecuzione, ai sensi dell’art. 724, comma 7, c.p.p. ».
2. Le questioni deferite attengono dunque alle modalità con cui devono essere esercitati i «(p) oteri del Ministro della giustizia » (così la rubrica dell’art. 723 cod. proc. pen.), ed in particolare ai presupposti in base ai quali le determinazioni del Ministero sulla richiesta di assistenza giudiziaria internazionale, con la sua trasmissione all’autorità giudiziaria competente, possano superare il sindacato di legittimità devoluto al giudice amministrativo, pur se espresso con atto non motivato. L’ordinanza di rimessione muove dall’incontestato presupposto che i poteri spettanti al Ministro della giustizia sono di natura amministrativa e perciò in linea di principio sono soggetti all’obbligo enunciato in via generale dal sopra citato art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Al dato formale dell’assenza di motivazione dei provvedimenti impugnati, la Terza Sezione oppone nondimeno una “concezione di matrice sostanziale”, incentrata sulla verifica se in concreto il potere stesso sia stato esercitato nel rispetto dei relativi presupposti di legge.
L’ordinanza di rimessione osserva a questo specifico riguardo che nella presente fattispecie contenziosa, connotata da una « disciplina peculiare », la pur ampia discrezionalità spettante al Ministro della giustizia ai sensi del più volte richiamato art. 723 cod. proc. pen., è nondimeno conformata sul piano dei rapporti di diritto internazionale con gli altri Paesi attraverso appositi accordi, e nel caso di specie con la convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’assemblea generale il 31 ottobre 2003 con la risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003, e da questo ratificata con legge 3 agosto 2009, n. 116.
3. Su questa base, l’ordinanza ipotizza che, quando sulla richiesta di assistenza giudiziaria internazionale il potere di “blocco” non sia stato esercitato, non necessiterebbe di una motivazione esplicita l’atto ministeriale con cui ad essa viene dato corso con la sua trasmissione all’autorità giudiziaria competente ex art. 724 cod. proc. pen. La stessa ordinanza aggiunge, sul versante della tutela giurisdizionale amministrativa, che l’atto ministeriale sarebbe comunque sindacabile, e tuttavia non già sotto il profilo formale della carenza di motivazione, considerato invece decisivo dalla IV Sezione di questo Consiglio di Stato nei precedenti sopra richiamati, ma sul piano sostanziale e « secondo i limiti connaturati al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo su atti di questo genere », attraverso una verifica del « rapporto sottostante alla richiesta di assistenza giudiziaria ». Nella descritta direzione, il sindacato giurisdizionale dovrebbe quindi superare il dato formale e limitarsi su quello sostanziale ad accertare se « per la sua palese illegittimità » la richiesta di assistenza rientri « tra le ipotesi che il Ministero della Giustizia avrebbe dovuto vagliare al fine di esercitare in limine, eventualmente, il proprio potere di blocco, senza trasmetterla all’autorità giudiziaria italiana ».
4. Con particolare riguardo al caso di specie, l’ordinanza di rimessione osserva che « molte, se non tutte, delle delicate questioni sollevate dagli appellanti e sopra menzionate », e cioè « la violazione del principio del ne bis in idem internazionale o, per quanto riguarda il delitto di riciclaggio, della c.d. doppia incriminazione », non afferirebbero alle valutazioni di carattere preliminare demandate dall’art. 723 cod. proc. pen. all’autorità ministeriale, ma a « questioni di esecuzione, appunto, della domanda di assistenza giudiziaria, da farsi valere ai sensi dell’art. 724 c.p.p. nella c.d. fase giurisdizionale ».
5. Tutto ciò precisato, l’ordinanza di rimessione richiama una tesi per la quale il sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi avrebbe perso i connotati originari di verifica della loro legittimità formale. Con l’enunciazione del principio fondamentale di pienezza e di effettività della stessa (art. 1 cod. proc. amm.), sarebbe posta al centro di sistema di tutela giurisdizionale la fondatezza della pretesa sostanziale azionata in giudizio e il sindacato giurisdizionale sul potere amministrativo tenderebbe conseguentemente a concentrarsi sui relativi presupposti sostanziali del rapporto che da esso si origina con il privato (in questo senso: Cons. Stato, V, 7 giugno 2022, n. 4661).
6. Ad avviso dell’ordinanza di rimessione, si collocherebbero nella descritta tendenza, tra l’altro:
- sul piano normativo, l’art. 21- octies , comma 2, della più volte citata legge generale sul procedimento amministrativo, 7 agosto 1990, n. 241, per il quale è degradata ad “irregolarità non invalidante” ogni « violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti » e la « mancata comunicazione dell’avvio del procedimento », quando sia palese o sia comunque dimostrato in giudizio che il contenuto dispositivo dell’atto impugnato « non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato »;
- sul piano giurisprudenziale, l’affermarsi della concezione funzionale della motivazione, in luogo di una di carattere meramente strutturale o formale, in forza della quale l’obbligo di cui all’art. 3 della legge generale sul procedimento amministrativo, 7 agosto 1990, n. 241, può ritenersi violato solo quando nemmeno sulla base degli atti del procedimento sia possibile ricostruire il percorso logico-giuridico seguito dall’autorità e quindi le ragioni sottostanti alla determinazione finale assunta (tra le altre pronunce espressive di questo orientamento si richiamano le seguenti: Cons. Stato, IV, 21 febbraio 2020, n. 1341;V, 1 giugno 2022, n. 4487;14 febbraio 2020, n. 1180;VI, 3 agosto 2021, n. 5727;VII, 16 marzo 2022, n. 1889);
- sul versante opposto, sempre sul piano giurisprudenziale, l’eccezione al generale divieto di integrazione in giudizio della motivazione del provvedimento impugnato, quando gli atti del procedimento offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione conclusiva adottata dall’amministrazione, oppure attraverso un atto di convalida ai sensi dell’art. 21- nonies , comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons. Stato, II, 15 giugno 2020, n. 3853;III, 10 maggio 2021, n. 3654;VI, 28 giugno 2021, n. 4889;27 marzo 2021, n. 3385;24 marzo 2021, n. 2502).
7. Nel supporre che la mancanza di motivazione non dia automaticamente luogo all’illegittimità degli atti con cui il Ministero della giustizia ha dato corso alle richieste di assistenza giudiziaria del governo indiano, l’ordinanza di rimessione dichiara di volersi collocare nella descritta tendenza, volta a privilegiare gli aspetti sostanziali del potere amministrativo esercitato rispetto ai profili di ordine formale insiti nella sua manifestazione concreta.
Infatti, la carenza motivazionale potrebbe alternativamente riflettere un vizio sostanziale della funzione, nelle varie figure sintomatiche di eccesso di potere rilevanti ai fini del sindacato di legittimità devoluto al giudice amministrativo;o invece rimanere circoscritta ad un’insufficienza solo formale delle modalità con cui il potere è stato esercitato, non incidente tuttavia sul contenuto dispositivo del provvedimento in concreto adottato. Pertanto, si dovrebbe ritenere che non sempre la mancanza dell’esposizione delle ragioni a base del provvedimento adottato comporta il suo annullamento.
8. In questa prospettiva l’ordinanza richiama l’orientamento per il quale la motivazione mancante del provvedimento potrebbe quindi essere riqualificata come motivazione implicita, quando la determinazione amministrativa sia comunque conforme ai presupposti sostanziali stabiliti dalla legge per l’esercizio del potere.
9. La risposta al primo quesito formulato nell’ordinanza di rimessione richiede tuttavia di prendere posizione sulla fattispecie oggetto di giudizio, laddove si afferma che nel dare corso alle richieste di assistenza giudiziaria del governo indiano nei confronti delle parti ricorrenti il Ministero della giustizia non avrebbe violato le convenzioni internazionali e l’art. 723 cod. proc. pen., che ad esse fa rinvio e prevede autonomamente i presupposti per opporre il veto alla richiesta del governo estero.
Così impostata la questione, essa si manifesta refrattaria ad un’affermazione di principio di diritto nell’ambito della funzione nomofilattica devoluta dall’art. 99 cod. proc. amm. a questa Adunanza plenaria, perché richiede di prendere posizione nel caso controverso.
In ogni caso, nella misura in cui per questa parte l’ordinanza di rimessione rileva che il Ministro della giustizia non avrebbe violato i presupposti di carattere sostanziale del potere di blocco essa non è condivisibile, per le ragioni di seguito esposte.
10. Deve al riguardo premettersi che l’art. 723 cod. proc. pen. attribuisce al Ministro della giustizia il potere « di non dare corso alla esecuzione della domanda di assistenza giudiziaria » in una serie di casi da essa previsti.
Oltre al rinvio ai « casi e (ai) limiti stabiliti dalle convenzioni », o dagli atti adottati dalle competenti istituzioni dell’Unione europea (comma 2), per gli « Stati diversi da quelli membri dell’Unione europea », è consentito di non dare corso alla richiesta di assistenza anche in caso di « pericolo per la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato » (comma 3) ed ancora quando « risulta evidente » che gli atti richiesti dal Governo straniero che chiede assistenza « sono espressamente vietati dalla legge o sono contrari ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano », o vi è fondato pericolo di discriminazioni (comma 5).
11. L’ipotesi di contrarietà alla legge e ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano è peraltro prevista anche per la successiva fase giurisdizionale dall’art. 724 cod. proc. pen., il cui comma 7, lett. a), prevede che l’esecuzione della domanda di assistenza giudiziaria è negata « se gli atti richiesti sono vietati dalla legge o sono contrari a principi dell’ordinamento giuridico dello Stato ».
Rispetto al corrispondente art. 723, comma 5, cod. proc. pen., la disposizione da ultimo richiamata comporta in questa fase un sindacato di maggiore intensità sulle richieste di assistenza giudiziaria internazionale rispetto a quello devoluto al Ministro della giustizia. Esclusa l’“ evidenza ” sulla cui base deve essere esercitato il potere ministeriale, l’art. 724 cod. proc. pen. non richiede infatti né una contrarietà “espressa” dell’atto alla legge, né che i principi dell’ordinamento giuridico in ipotesi violati siano qualificabili come “fondamentali”.
12. Da questa differente modulazione dei presupposti ostativi all’assistenza giudiziaria internazionale, l’ordinanza di rimessione trae quindi la conseguenza che la sede propria in cui esaminare le questioni sollevate nel presente giudizio dai ricorrenti sulla legittimità delle richieste del governo indiano sarebbe la fase giurisdizionale ex art. 724 cod. proc. pen., e non già quella amministrativa di competenza del Ministro della giustizia.
La tesi si risolve tuttavia in una sottovalutazione dei poteri a quest’ultimo attribuiti dall’art. 723 cod. proc. pen. più volte richiamato.
13. Pur dopo la riformulazione ad opera del decreto legislativo 3 ottobre 2017, n. 149 ( Disposizioni di modifica del Libro XI del Codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere ), che ha rafforzato la cooperazione internazionale in materia giudiziaria, l’art. 723 ora richiamato ha nondimeno mantenuto in capo al Ministro della giustizia un ampio potere di apprezzamento, esercitabile sulla base dei presupposti previsti dai sopra richiamati commi 2, 3 e 5 della medesima disposizione.
Come inoltre adombra l’ordinanza di rimessione, con specifico riguardo al caso di « pericolo per la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato », previsto dal comma 3, la valutazione demandata al Ministro si pone ad un livello di carattere politico, direttamente attinente ai rapporti di diritto internazionale con gli Stati esteri, in funzione della salvaguardia di preminenti interessi nazionali, in ipotesi vulnerati dalla pretesa del Paese estero di sottoporre alla propria giurisdizione penale un cittadino italiano.
14. Nel loro complesso i descritti presupposti sono riconducibili al principio di sovranità statale, che informa i rapporti internazionali pur se ispirati ad obiettivi di cooperazione in funzione di reciproci interessi. Quindi, secondo un processo ascendente che informa la produzione di diritti internazionale, il principio di sovranità è stato poi riaffermato nella convenzione ONU sulla corruzione, sopra richiamata. In particolare all’art. 46, comma 21, come ricorda l’ordinanza di rimessione, prevede che l’assistenza giudiziaria tra i Paesi firmatari « può essere rifiutata », tra l’altro:
- quando « lo Stato Parte richiesto valuta che l’esecuzione della richiesta può recare pregiudizio alla propria sovranità, sicurezza, ordine pubblico o altri interessi fondamentali » (lettera b);
- inoltre nei casi in cui « in relazione a reati similari, il diritto interno vieta alle autorità dello Stato Parte richiesto di eseguire le azioni richieste qualora tali reati siano oggetto di indagini, azione penale o procedimenti giudiziari nell’ambito delle competenze di tali autorità » (lettera c);
- ed ancora se l’accoglimento della richiesta sia « contrario all’ordinamento giuridico relativo all’assistenza giudiziaria reciproca dello Stato Parte richiesto » (lettera d).
Se dunque nella sostanza le lettere b) e d) ora richiamate riproducono le disposizioni di legge nazionale di cui rispettivamente ai commi 3 e 5 dell’art. 723 cod. proc. pen., la lettera c) della convenzione in esame riafferma sul piano dei rapporti internazionali la causa di improcedibilità dell’azione penale prevista sul piano interno dall’art. 649 cod. proc. pen., che può a sua volta essere ricondotta ad un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico penale interno, riassunto nel brocardo latino ne bis in idem .
15. Va sottolineato che l’art. 649 - secondo cui « L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto » (comma 1) - è invocato dai vertici di -OMISSIS- a fondamento dei loro ricorsi. Come inoltre ricordano le parti appellanti, con specifico riguardo al suo aspetto processuale il divieto del ne bis in idem è declinato nel senso di idem factum , per cui l’improcedibilità della nuova azione penale rispetto al giudicato assolutorio si riferisce al fatto storico, e non già al titolo astratto di reato (in questi termini, ancora di recente: Cass. pen., V, 12 gennaio 2022, n. 663;in precedenza: Cass., SS.UU., 28 giugno 2005, n. 34655).
16. Ciò nondimeno, malgrado le considerazioni di ordine sostanziale ora svolte, ai sensi dell’art. 46, comma 23, della convenzione ONU, una motivazione è richiesta solo in caso di esercizio del potere di “blocco” sulla richiesta di assistenza giudiziaria internazionale: « il rifiuto di prestare assistenza giudiziaria reciproca deve essere motivato ».
L’assenza di motivazione della determinazione conforme alla richiesta dello Stato estero non si riflette dunque sulla conformità rispetto al diritto internazionale pattizio, poiché nel medesimo ambito sovranazionale tale determinazione costituisce atto di adempimento agli obblighi assunti in sede convenzionale, configurato come ipotesi ordinaria, rispetto al quale l’opposto caso di rifiuto assume i connotati della residualità, rigidamente circoscritto alle ragioni ostative previste dal sopra menzionato art. 46.
17. Diverse possono tuttavia essere le conseguenze sul diverso piano del diritto interno, nella misura in cui l’atto ministeriale è soggetto alle regole generali della legge n. 241 del 1990, come riconosce l’ordinanza di rimessione. Dall’assenza di motivazione non è infatti possibile dedurne la legittimità, come invece ipotizza la difesa dell’amministrazione resistente.
18. E’ decisivo considerare che il Ministero esercita un potere discrezionale, in forza del quale è tenuto a valutare tutti i profili presi in considerazione dall’art. 723 cod. proc. pen.
La relativa motivazione deve essere contenuta nell’atto di accoglimento della richiesta formulata dallo Stato estero o va desunta per relationem da un precedente atto infraprocedimentale.
19. Come in precedenza accennato, questa ipotesi non è tuttavia quella del caso oggetto del presente giudizio.
20. Sulla base degli annullamenti ottenuti nel 2020 all’esito dei giudizi svoltisi sulle prime richieste di assistenza giudiziaria internazionale nei loro confronti, le parti ricorrenti hanno posto nel presente giudizio – pur se gli atti impugnati sono stati emessi prima della formazione del giudicato - numerose questioni in grado di infirmare i presupposti in base ai quali è stato dato ad esse corso.
Esse hanno diffusamente esposto le ragioni in base alle quali, per un verso, il giudicato assolutorio reso all’esito del giudizio svoltosi in Italia nei confronti delle persone fisiche ricorrenti, con la costituzione di parte civile del Governo straniero richiedente, potrebbe comportare una violazione del principio del ne bis in idem ;e per altro verso potrebbe essere posta in discussione la sovranità statale, nella misura in cui, in violazione del sopra richiamato art. 649 cod. proc. pen. le medesime persone, già assolte, verrebbero nuovamente sottoposte ad un giudizio per i medesimi fatti, davanti all’autorità giudiziaria penale estera, con contemporanea negazione del valore delle decisioni assunte da quella italiana.
Ancora, le stesse questioni sono state poste con riguardo a -OMISSIS-, la cui posizione, pur non definita all’esito di un giudizio, è stata archiviata in sede di indagini preliminari, e risulta incontestabilmente connessa con quello delle persone fisiche ai vertici di -OMISSIS-, per la peculiare connotazione della responsabilità penale delle persone giuridiche nel nostro ordinamento giuridico (ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 - Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300 ). Nella medesima direzione sono state diffusamente argomentate le ragioni di una possibile violazione della necessità della “doppia incriminazione” con riguardo all’imputazione di riciclaggio formulata dall’autorità giudiziaria indiana, perché rivolta ai concorrenti nel reato di corruzione presupposta, in violazione dell’incompatibilità sancita invece dal diritto penale interno (art. 648- bis cod. pen.).
21. Sulle questioni ora sintetizzate non si riscontra nei provvedimenti impugnati alcuna presa di posizione sul piano motivazionale. In ragione della loro complessità e non univocità di soluzioni, e in considerazione dell’ampio spessore del potere discrezionale di cui è titolare il Ministero, non sono inoltre ravvisabili in questa sede i presupposti per una sua ricostruzione in via implicita.
Al medesimo riguardo non è possibile postulare una rilevanza esclusiva delle medesime questioni nella fase giurisdizionale ex art. 724 cod. proc. pen., come prospetta l’ordinanza di rimessione. Infatti, in quest’ultima non sono innanzitutto valutabili profili di pericolo per la sovranità nazionale, demandati in via esclusiva all’autorità ministeriale, mentre l’art. 723, comma 5, cod. proc. pen. attribuisce a quest’ultimo il potere di verificare se la richiesta di assistenza giudiziaria internazionale non sia evidentemente contraria alla legge o ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.
22. In secondo luogo, il differente grado di cognizione spettante in ordine ai presupposti in questione al Ministro della giustizia rispetto all’autorità giurisdizionale, reso palese dal fatto che per l’art. 723 la richiesta del Paese estero può essere respinta quando « risulta evidente » che quest’ultima sia contraria alla legge o ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, non impedisce al Ministro della giustizia di vagliare la richiesta in conformità al principio del ne bis in idem sancito dall’art. 649 cod. proc. pen., più volte citato, o alla necessità della doppia incriminazione con specifico riguardo all’imputazione di riciclaggio formulata dall’autorità giudiziaria indiana, sotto il profilo della sua conformità all’art. 648- bis cod. pen. parimenti sopra menzionato.
In entrambi i casi vengono infatti in rilievo possibili violazioni espresse della legge interna o di contrasto con principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, astrattamente riconducibili all’ipotesi di “blocco” della richiesta di assistenza prevista dall’art. 723, comma 5, cod. proc. pen., come finora rilevato.
23. La carenza motivazionale degli atti ministeriali impugnati nel presente giudizio è ulteriormente comprovata dalle articolate discussioni sorte tra le parti sulla sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della richiesta del Governo della Repubblica dell’India.
Al riguardo, osserva l’Adunanza Plenaria che il relativo esame non può essere effettuato per saltum in questa sede, ma è il Ministero a dovere esercitare la sua discrezionalità.
24. Sulla base di quanto finora considerato, può pertanto essere data risposta al primo quesito formulato nell’ordinanza di rimessione nel senso che il difetto di motivazione esplicita degli atti con cui è stato dato seguito alle richieste di assistenza giudiziaria internazionale è sindacabile, sotto il profilo del difetto di motivazione, poiché come nel caso di specie, si è in presenza di un provvedimento discrezionale, che va adeguatamente motivato.
Resta conseguentemente assorbito il secondo quesito, concernente l’ambito di cognizione devoluto alla Autorità giudiziaria.
25. In applicazione del principio di diritto ora espresso, è inoltre possibile pronunciarsi nel merito degli appelli, principale e incidentale, senza dare luogo alla restituzione alla Sezione rimettente ex art. 99, comma 4, cod. proc. amm., con il loro accoglimento.
Per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, e in accoglimento dell’appello, vanno annullati gli atti impugnati, per l’insuperabile carenza di motivazione da cui gli stessi sono affetti.
26. Il Ministero dovrà dunque motivatamente pronunciarsi sulla richiesta formulata dal Governo della Repubblica dell’India.
La complessità delle questioni controverse giustifica nondimeno la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra tutte le parti.