Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-01-05, n. 202300175

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-01-05, n. 202300175
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202300175
Data del deposito : 5 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/01/2023

N. 00175/2023REG.PROV.COLL.

N. 05406/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5406 del 2018, proposto dalla ditta Borgo Mummialla s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A C, R T e S M, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato R T in Roma, via Bisagno, n. 14;

contro

il Comune di Gambassi Terme, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M S e L S, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G F in Roma, via Giunio Bazzoni, n. 15;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (sezione prima) n. 419 del 21 marzo 2018, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Gambassi Terme;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 novembre 2022 il consigliere M C e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Giunge all’esame del Consiglio di Stato l’appello proposto dalla società Borgo Mummialla s.r.l. avverso la sentenza del T.a.r. per la Toscana, n. 419 del 21 marzo 2018.

1.1. Nel giudizio di primo grado risultavano controversi:

a) la nota del 19 ottobre 2015, con la quale il Comune aveva respinto l’istanza della società di intraprendere una procedura di evidenza pubblica ai sensi dell’art. 14, comma 4, legge n. 38/2004, per l’assegnazione della concessione di sfruttamento dell’area termale situata nel territorio comunale, impugnata con il ricorso n.r.g. 2026/2015;

b) il bando di gara, successivamente pubblicato dal Comune, per indire il procedimento ad evidenza pubblica, nonché ogni altro atto presupposto, impugnati con il ricorso n.r.g. 1085/2016.

Nell’ambito del primo giudizio, la società ha anche proposto una domanda finalizzata al risarcimento del danno e alla condanna dell’ente a bandire il procedimento ad evidenza pubblica.

2. Per una migliore comprensione della vicenda controversa, risulta opportuno riassumere i fatti salienti del giudizio di primo grado.

2.1. Il 10 settembre 2015, la società ha diffidato il Comune a bandire la procedura di evidenza pubblica per l’affidamento della concessione terminale e a porre in essere tutti gli atti a tal fine necessari.

2.2. Il 19 ottobre 2015, il Comune ha riscontrato negativamente l’istanza della società, rilevando la necessità di definire, preliminarmente, l’assetto urbanistico del territorio comunale.

2.3. La società ha dunque proposto il ricorso n.r.g. 2026/2015, per l’annullamento del suddetto diniego, affidato a quattro motivi di impugnazione.

2.4. Il Comune si è costituito in giudizio, resistendo al ricorso.

2.5. Nel corso del giudizio, la società Borgo di Mummialla ha segnalato che, in data 13 luglio 2016, il Comune ha indetto la procedura ad evidenza pubblica e ha rappresentato, da un lato, la possibile improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse della domanda di annullamento e, dall’altro, la persistenza di un interesse risarcitorio ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., con riferimento al danno da ritardo che si sarebbe configurato nel caso di specie.

2.6. La società non ha presentato la domanda di partecipazione alla procedura di evidenza pubblica bandita dal Comune e ha invece proposto il ricorso per annullamento anche nei confronti del bando di gara per l’assegnazione della concessione, articolando oltre trenta motivi di censura, nel giudizio incardinato con il n.r.g. 1085/2016.

La società ha poi reiterato la domanda di risarcimento del danno da ritardo.

2.7. Si è costituito in giudizio il Comune di Gambassi Terme, che ha eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse, in quanto la ricorrente non avrebbe impugnato alcuna clausola escludente o idonea a precluderne o ostacolarne la partecipazione, e l’inammissibilità della domanda di risarcimento del danno, perché proposta oltre il termine di 120 giorni.

3. Con la sentenza n. 419/2018, il T.a.r. ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse la domanda di annullamento proposta con il ricorso n.r.g. 2026/2015, ha respinto la domanda di annullamento proposta con il ricorso n.r.g. 1085/2016 e, infine, ha respinto la domanda di risarcimento del danno proposta in entrambi i ricorsi, condannando la società al pagamento delle spese di lite, quantificate in euro 5.000,00.

4. Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello la società ricorrente innanzi al T.a.r., riproponendo la maggior parte delle doglianze già formulate in primo grado.

4.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Gambassi Terme, resistendo all’appello e domandandone il rigetto.

4.2. Nel corso del giudizio, le parti hanno deposito ulteriori memorie difensive a sostegno delle proprie difese.

5. All’udienza del 14 luglio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Con l’ordinanza n. 6760 del 1° agosto 2022, questo Consiglio, in applicazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a., ha sottoposto alle parti una questione pregiudiziale rilevabile d’ufficio e idonea a definire l’intero giudizio, evidenziando che il T.a.r., pur dichiarando che “ non appaia infondata l’eccezione di inammissibilità, considerando che la ricorrente si è limitata a rilevare l’esistenza di mere difficoltà e genericità delle clausole ai fini della formulazione dell’offerta, argomentazioni che non appaiono in grado di incidere sull’effettiva partecipazione alla procedura di cui si tratta ”, non ha esaminato l’eccezione pregiudiziale – non riproposta dal Comune di Gambassi Terme nel giudizio di appello, ai sensi e per gli effetti dell’art. 101 c.p.a. - e ha scrutinato nel merito i numerosi motivi di ricorso formulati avverso il bando di gara e avverso lo schema di convenzione accessiva alla concessione.

6.1. Con successive memorie sia la società appellante che il Comune appellato hanno preso posizione sulla questione rilevata d’ufficio.

6.2. Nelle sue repliche, in particolare, la società appellante domanda che il Collegio proponga la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge della Regione Toscana n. 38/2004.

7. All’udienza del 24 novembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

8. Il Collegio rileva che l’appello non può essere accolto, atteso che il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile.

8.1. Relativamente alla declaratoria di inammissibilità del ricorso di prime cure, il Collegio richiama, anche ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a. e con valore di precedente giurisprudenziale conforme, la precedente sentenza della Sezione Quinta del Consiglio di Stato, del 30 novembre 2021 n. 7960 (si veda anche, della medesima Sezione, 6 agosto 2021, n. 5792).

8.2. Secondo questa pronuncia, che il Collegio condivide e i cui principi intende qui ribadire, «… è noto l’insegnamento giurisprudenziale di cui alla decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 26 aprile 2018, n. 4, con la quale, in relazione all’onere di immediata impugnazione del bando, si è affermato il seguente principio di diritto: “le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura”.

Si è quindi chiarito che sono immediatamente impugnabili, anche dall’operatore economico che non abbia partecipato alla gara, le cause aventi effetti “immediatamente escludenti”.

Si tratta di principi che danno continuità all’indirizzo interpretativo maggioritario (già affermato dalle pronunce dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 29 gennaio 2003, n. 1 e id., 7 aprile 2011, n. 4, seguite da altra pronuncia della stessa Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9), che sono stati variamente interpretati dalla giurisprudenza a proposito della maggiore o minore, portata da attribuire alla nozione di “clausole del bando immediatamente escludenti”, comprendendovi, tra le altre, anche quelle attinenti alla formulazione dell’offerta, sul piano sia tecnico che economico (cfr. Cons. Stato, IV, 7 novembre 2012, n. 5671;
Cons. Stato, III, 23 gennaio 2015, n. 293;
Cons. Stato, IV, 11 ottobre 2016, n. 418;
Cons. Stato, V, 26 giugno 2017, n.3110;
Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 8 agosto 2016, n. 258).

Tuttavia, con la citata decisione n. 4/2018, l’Adunanza plenaria ha ribadito che sono immediatamente impugnabili soltanto le clausole del bando preclusive della partecipazione o tali da impedire con certezza la stessa formulazione dell’offerta.

Queste ultime sono le uniche eccezioni alla regola della non immediata impugnabilità del bando e, in quanto tali, sono di stretta interpretazione.

In riferimento alla clausola immediatamente escludente che si assuma consistere nella difficoltà/impossibilità di formulare un’offerta, la casistica giurisprudenziale vi include anche le clausole che impongono oneri o termini procedimentali o adempimenti propedeutici alla partecipazione di impossibile soddisfazione o del tutto spropositati .».

8.3. Nel caso in esame nessuna delle clausole del bando o dello schema di convenzione impugnate risultano tali da escludere la ditta appellante dalla partecipazione alla gara o tali da impedire “ con certezza ” la formulazione dell’offerta, imponendo oneri, termini o adempimenti “ del tutto spropositati ”, tenuto conto del canone di “ stretta interpretazione ” che il Collegio è tenuto ad adoperare nel dare lettura delle clausole del bando e fornirne la conseguente interpretazione.

Quanto allegato in sede di formulazione dei motivi di ricorso dall’appellante manifesta, a tutto voler concedere, una mera difficoltà pratica di formulazione dell’offerta.

8.4. In definitiva, le clausole impugnate non presentavano una portata escludente immediata e diretta (come richiesto per l’immediata impugnabilità del bando).

8.5. Le motivazioni sin qui estese valgono a fortiori per l’altro atto impugnato dalla ditta, ossia lo “schema di convenzione accessiva” al provvedimento concessorio, tenuto conto che, con riferimento a questo atto, l’interesse ad una sua impugnazione è ancora meno diretto ed ancorato alla futura ed eventuale aggiudicazione della gara.

8.6. Conseguentemente, va dichiarata l’inammissibilità della domanda di annullamento del bando di gara e dello schema di convenzione.

9. La declaratoria di inammissibilità non esaurisce, comunque, il thema decidendum del presente giudizio, in quanto residua da esaminare il primo motivo di appello.

9.1. Con il primo motivo di appello, si grava il capo della sentenza che ha dichiarato che la domanda risarcitoria del ricorso n.r.g. 2026/2015 potesse essere trattata unitamente alla domanda di risarcimento formulata con il ricorso n.r.g. 1085/2016, trattandosi della “medesima domanda”. Per l’appellante, si tratterebbe di domande risarcitorie aventi, invece, una diversa causa petendi . Si ripropongono, dunque, “ ai fini della azione di condanna ”, i motivi di impugnazione formulati con il ricorso n.r.g. 2026/2015.

9.2. Il primo motivo di appello è infondato.

9.3. In disparte ogni considerazione sull’identità della domanda formulata con il ricorso n.r.g. 1085/2016 con quella precedentemente formulata con il ricorso n.r.g. 2026/2015, il Collegio rileva che il mero ritardo (con il quale è stata bandita la gara per l’assegnazione della concessione della risorsa terminale) non costituisce di per sé un danno risarcibile secondo i consolidati principi della giurisprudenza amministrativa. Costituisce infatti jus recpetum che “ Il risarcimento del danno per il silenzio serbato dall’Amministrazione su un’istanza del privato - anche ammesso che i presupposti per configurare il silenzio inadempimento sussistano - equivale al risarcimento di un danno per ritardo nel provvedere e come tale non può essere accordato se non viene dimostrata la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero se non si dimostra che, con ragionevole probabilità, l’Amministrazione avrebbe dovuto accogliere l’istanza del privato, sulla quale non ha provveduto, e accordargli così il bene della vita con essa richiesto .” (Cons. Stato, Sez. VI, 20 luglio 2022, n. 6322).

9.4. Nel caso di specie, con riferimento ad ambedue le domande risarcitorie proposte, il bene della vita è costituito dall’aggiudicazione della concessione allo sfruttamento della risorsa termale e non dall’indizione della gara, che costituisce, ovviamente, soltanto un “passaggio” strumentale per conseguirla.

9.5. Ciò emerge con chiarezza dalle deduzioni contenute nella domanda di risarcimento del danno proposta con il ricorso n.r.g. 2026/2015, ove si legge che “… detto danno consiste nel fermo dei capitali investiti in vista dello sfruttamento della risorsa termale dei Bagni di Mommialla, nel loro deterioramento e svalutazione, nonché nel mancato guadagno che avrebbe percepito la ricorrente dal 2010 (quando la Borgo Mummialla s.r.l. ha presentato al Comune di Gambassi Terme l’istanza ex art. 14, LRT n. 38/04 e avrebbe potuto essere rilasciata la concessione di coltivazione) a oggi, come descritto analiticamente nella relazione tecnico-contabile a firma della Dott.ssa E B, che si deposita (doc. 16).

A ciò aggiungasi il danno all’immagine patito dalla ricorrente per il discredito che la stessa è destinata a subire nei confronti di tutti i partners commerciali a causa dell’impossibilità di dare corso allo sfruttamento della risorsa termale de qua ”.

9.6. Il Collegio rileva che questi danni si collegano in maniera diretta alla mancata aggiudicazione della concessione, causata dalla mancata indizione del bando di gara da parte del Comune su sollecitazione della società appellante.

9.7. Tuttavia, se al tempo della proposizione del ricorso non vi era alcuna prova che la concessione sarebbe stata conseguita dalla società, sicché la domanda avrebbe dovuto essere respinta, successivamente all’indizione della gara da parte del Comune, si è addirittura conseguita la certezza del mancato conseguimento della concessione di sfruttamento della fonte termale, considerato che la società ha deciso di non prendere parte alla gara.

9.8. Il danno all’immagine risulta, inoltre, genericamente allegato.

9.9. Il primo motivo di appello va pertanto respinto.

10. Il Collegio rileva che malgrado la declaratoria di inammissibilità delle censure formulate avverso il bando di gara e lo schema di convenzione, e il rigetto del primo motivo di appello definiscano ed esauriscano il thema decidendum dell’intero giudizio, si palesi opportuno affrontare partitamente, senza pretesa di completezza, ciascuno dei motivi di appello.

11. Segnatamente, successivamente alla proposizione del primo motivo, la società ha ribadito che “ il bando e la correlata bozza di convenzione sono estremamente generici e perché privi delle informazioni tecniche sufficienti per valutare correttamente la convenienza economica della partecipazione alla gara (motivi 1, 2, 3, 5, 7, 8, 9, 13, 15, 17, 18, 19, 21, 22, 25, 30) e impongono oneri ingiustificati che ostacolano (e scoraggiano) ingiustamente la possibilità di parteciparvi (motivi 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 23, 24, 26, 27, 28) in violazione della par condicio e del favor partecipationis ”.

12. Con il secondo motivo di appello, la società ha censurato la reiezione del secondo motivo di ricorso, ribadendo che “ la pubblicazione del bando è avvenuta senza che siano stati previamente acquisiti i pareri preventivi richiesti dall’art. 15, 1° co. del Regolamento comunale approvato con delibera C.C. n. 21 del 26 luglio 2012 ”.

Si deduce, relativamente alla statuizione di rigetto, che “ i pareri richiesti dal Regolamento comunale sopra citato non sono finalizzati unicamente a verificare eventuali interferenze relative alle esigenze di approvvigionamento.

Al contrario, erano richiesti i pareri: del Genio civile, della Regione, dell’AATO del Circondario Empolese Valdelsa (oggi Città Metropolitana di Firenze), dell’Ufficio regionale competente alla vigilanza sulle attività minerarie, del settore urbanistica, della Soprintendenza archeologica, degli enti preposti ad eventuali altri controllo vigenti sul territorio ”.

12.1. Il secondo motivo di appello è inammissibile, così come eccepito dal Comune appellato.

12.2. Come recentemente ribadito dalla Sezione “ 14.1. L’art. 101 c.p.a. prescrive che l’appello contenga le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata dei quali si domanda la riforma.

14.1.1. La norma impone che le ragioni della decisione, esposte nella motivazione della sentenza, siano sottoposte ad un puntuale vaglio critico, volto a metterne in risalto, al Giudice del grado successivo, l’erroneità in punto di fatto o in punto di diritto (Cons. Stato, sez. V, 26 agosto 2020, n. 5208;
sez. V, 26 marzo 2020, n. 2126;
sez. IV, 24 febbraio 2020, n. 1355).

14.1.2. La parte non può limitarsi, dunque, a riproporre i medesimi motivi di ricorso già valutati in primo grado oppure ad individuare i capi della sentenza che ritiene erronei e, poi, a riproporre, sia pure con differente formulazione, quelle doglianze che hanno ad oggetto il solo provvedimento gravato in primo grado. ” (Cons. Stato, sez. IV, 16 dicembre 2021 n. 2698).

12.3. Con riferimento al motivo in esame, il Collegio rileva che l’appellante si limita a ribadire la tesi già prospettata in primo grado e a contrapporla alla motivazione del T.a.r., senza neppure argomentare perché la decisione del giudice di primo grado sia errata in fatto o in diritto

13. Con il terzo motivo di appello, la società censura la reiezione del terzo motivo del ricorso di primo grado, ribadendo l’incompletezza della documentazione che sarebbe stata necessaria per evidenziare le caratteristiche della concessione di coltivazione oggetto di gara.

13.1. Il terzo motivo di appello è inammissibile e infondato.

13.2. Il T.a.r. ha respinto la doglianza, evidenziando che la documentazione indicata nel bando è quella che è stata fornita dalla società ricorrente, nella sua qualità di soggetto che ha compiuto le ricerche della risorsa termale, così come previsto dal regolamento comunale, e affermando che la società odierna appellante non può far valere in giudizio, a proprio vantaggio, una sua inadempienza.

13.3. Il Collegio rileva che questa ratio decidendi non è stata scalfita dalla censura formulata dall’appellante, che si appunta, nuovamente, sui profili di incompletezza della documentazione in questione, sorvolando sul principio di diritto enunciato dal T.a.r..

13.4. L’inammissibilità del motivo di appello discende, dunque, dalle medesime motivazioni in diritto, già formulate per dichiarare l’inammissibilità del secondo motivo.

13.5. La doglianza è nondimeno infondata, in quanto l’art. 16 del regolamento prevede che “ l’ufficio comunale preposto darà avvio a procedura ad evidenza pubblica, sulla base dei dati forniti dal titolare del permesso di ricerca ” e che “ Al fine di consentire la piena conoscenza dell’oggetto della gara, il responsabile del procedimento dispone la pubblicazione …[del] la documentazione tecnica ed economica fornita con la relazione di fine ricerca ”.

13.6. Il Comune si è attenuto alla disposizione regolamentare, pubblicando esattamente ciò che la società borgo Mummialla gli ha fornito, sicché il bando non risulta illegittimo in parte qua .

14. Con il quarto motivo di appello si censura il capo della sentenza che ha respinto il quarto e il ventitresimo motivo di ricorso. Si ribadisce che “ Oltre alle spese indicate nel bando la ricorrente ha sostenuto ulteriori spese per la manutenzione, elettrificazione e tenuta in funzione del pozzo della sorgente termale (doc. 14 depositato nel primo grado di giudizio) della relazione di fine ricerca all’avvio della procedura di evidenza pubblica (luglio 2016) ” e che queste spese dovranno comunque essere tenute in considerazione in sede risarcitoria.

14.1. Il T.a.r. ha respinto il corrispondente motivo di primo grado, rilevando che le spese indicate nell’art. 18 del bando di gara sono state calcolate ai sensi di quanto previsto dall’art. 9, comma 2 bis, della legge regionale n. 38/2004.

14.2. Il Collegio rileva che questa ratio decidendi non è stata sottoposta ad alcuna critica ad opera dell’appellante, che insiste, nuovamente, sulla tesi già enunciata nel ricorso introduttivo del giudizio.

14.3. L’inammissibilità del motivo di appello discende, dunque, dalle medesime motivazioni in diritto già formulate per dichiarare l’inammissibilità del secondo motivo di appello.

14.4. Il motivo è comunque anche infondato.

14.5. L’art. 9, comma 2 bis, della legge della Regione Toscana n. 38/2004 prevede che: “ Il comune corrisponde al titolare del permesso di ricerca una somma corrispondente al rimborso delle spese sostenute per lo svolgimento dell'attività di ricerca, maggiorata del 20 per cento, a titolo di premio per la scoperta del giacimento, soltanto nel caso in cui, a seguito dell'espletamento della procedura di evidenza pubblica di cui all'articolo 14, a cui anche il medesimo partecipa, la concessione di coltivazione sia assegnata ad altro soggetto ”.

14.6. Risulta corretta dunque la statuizione del T.a.r. circa la legittimità della corrispondente clausola del bando di gara, che risulta conforme rispetto al suindicato paradigma normativo.

15. Con il quinto motivo di appello, la società si duole del mancato accoglimento del sesto motivo di ricorso, con il quale si è dedotta l’illegittimità della clausola del bando n. l’art. 3, punto B), “ nella parte in cui è stato previsto che le aree necessarie alla realizzazione di opere diverse da quelle necessarie per la protezione igienico-sanitaria ed idrogeologica, per la captazione, l’adduzione ed il contenimento delle acque possano essere espropriate, perché non costituiscono opere di pubblica utilità di cui all’art. 21, LRT 38/2004, né pertinenze dei giacimenti ex art. 23 LRT 38/2004 cit. Ed è stato contestato, altresì, che la legge n. 475/1938 citata nel bando di gara è stata abrogata dall'articolo 24 del D.L. 25 giugno 2008, n.112 ”.

15.1. Il quinto motivo di appello è parimenti inammissibile e infondato.

15.2. Come evidenziato dalla medesima appellante, la sentenza di primo grado ha respinto la censura, affermando che “ il Comune ha voluto evidenziare che la limitazione all’attività espropriativa contenuta nella legge regionale non preclude l’utilizzazione di altre disposizioni generali o di settore presenti nell’ordinamento ”.

15.3. La censura formulata con l’appello è la seguente: “ Trattasi di un’argomentazione erronea.

Come detto, aver indicato nella legge speciale di gara delle informazioni erronee circa l’espropriabilità di certe aree induce in errore i partecipanti che devono fare i conti con i costi necessari all’acquisizione della disponibilità delle aree medesime.

È chiaro che tempi e i costi di una eventuale espropriazione sono diversi da una trattativa privata per l’acquisizione della disponibilità degli immobili. E questi costituiscono elementi essenziali per predisporre un progetto e formulare una offerta di gara (l’offerta tecnica dovrebbe contenere un Piano industriale relativo alla valorizzazione della risorsa termale e alla promozione dello sviluppo del territorio – doc. 10 depositato nel giudizio di primo grado).

Da qui l’eccessiva difficoltà nel valutare la convenienza economica e tecnica per la presentazione di un corretto piano finanziario ”.

15.4. Anche in questo caso la doglianza formulata con l’appello non sottopone al necessario vaglio critico la statuizione di primo grado.

15.5. All’esito della disamina della censura permane infatti intatta la motivazione opposta dal T.a.r., che ha evidenziato come l’art. 3 del bando di gara si limiti a segnalare ai partecipanti che potranno acquisire le aree facendo ricorso agli usuali strumenti, consensuali o coattivi, messi a disposizione dall’ordinamento.

15.6. L’inammissibilità del motivo di appello discende, dunque, dalle medesime motivazioni in diritto già formulate per dichiarare l’inammissibilità del secondo motivo di appello.

15.7. Ad ogni modo, anche con riferimento a questa statuizione il Collegio ritiene opportuno rimarcare l’assenza di errori di giudizio da parte del T.a.r..

15.8. La disposizione censurata enuncia che “ Relativamente alle aree occorrenti per la realizzazione delle opere e degli interventi non ricompresi fra quelle di cui al punto A) precedente, l’acquisizione dei beni potrà avvenire mediante accordi di diritto privato tra il concessionario ed i proprietari dei beni (acquisto, uso, diritto di superficie) a seconda della loro utilizzazione, con esclusione di titoli ad effetti obbligatori e non reali, ovvero mediante ricorso ad altro procedimento di espropriazione normativamente utilizzabile da parte del concessionario, così come previsto dall’art. 12 e segg. del D.P.R.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi