Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-10-15, n. 202006253

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-10-15, n. 202006253
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202006253
Data del deposito : 15 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/10/2020

N. 06253/2020REG.PROV.COLL.

N. 06365/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6365 del 2018, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati G C e S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dall’avvocato D V in Roma, via Giunio Bazzoni, n. 3;

contro

Il Ministero della Difesa - Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona del Ministro pro tempore , non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma (Sezione Prima), n. -OMISSIS-, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 settembre 2020 il consigliere M C e udito per l’appellante l’avvocato G C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Giunge alla decisione di questo Consiglio l’impugnazione del provvedimento disciplinare del 28 agosto 2003 della Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa, con il quale è stata applicata al carabiniere scelto, compiutamente individuato in epigrafe, la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione.

2. La vicenda in esame trae origine dalla partecipazione ad un fatto delittuoso da parte del militare dell’Arma, accertato con la sentenza n. 645 del 2002, pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. dal Tribunale di Perugia, passata in giudicato.

2.1. In particolare, in sede disciplinare, al Carabiniere è stato ascritto di essere entrato “ in collusione con persone di dubbia moralità, ed alcuna con gravi pregiudizi penali, costituendo con queste sodalizio criminale, col compito di fornire informazioni d’ufficio che avrebbero consentito la perpetrazione di un’estorsione ”.

2.2. Il Comando di appartenenza, dopo aver attivato il procedimento disciplinare, in data 19 luglio 2001, con la contestazione degli addebiti, e averlo sospeso, in data 9 novembre 2001, in attesa dell’esito del processo penale, lo ha poi concluso con l’irrogazione della sanzione della rimozione per perdita del grado.

3. L’interessato ha dunque impugnato il provvedimento disciplinare e ha proposto domanda di annullamento innanzi al Tribunale amministrativo regionale.

3.1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente ha articolato una duplice censura:

a.1) si è dedotta la violazione degli artt. 9 comma 1, 12 comma 2 lett. f), 34 n. 6 della Legge n. 1168 del 1961 e dell’art. 9 della Legge n. 19 del 1990, nonché l’eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria

a.2) si è dedotto l’eccesso di potere, perché il provvedimento non contiene un autonomo accertamento e un’autonoma valutazione dei fatti ritenuti rilevanti per l’irrogazione del provvedimento disciplinare e non sono state adeguatamente valutate le memorie difensive depositate nel procedimento dal militare.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente ha dedotto una pluralità di vizi del procedimento, tra i quali, in particolare, quello di difetto di proporzionalità.

4. Con la sentenza n. -OMISSIS- il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha respinto il ricorso, evidenziando l’infondatezza delle censure articolate.

4.1. Circa la prima doglianza, ravvisata la corretta applicazione delle norme di riferimento e, segnatamente dell’art. 34, n. 6, della Legge n. 1168/1961, si è statuito che il provvedimento disciplinare è adeguatamente motivato perché ha richiamato tutti quegli atti endoprocedimentali adottati dall’amministrazione, che contengono una ponderazione dei fatti ritenuti disciplinarmente rilevanti e ascritti all’interessato.

4.2. Sulla seconda censura del primo motivo di ricorso, si è affermato che l’amministrazione abbia tenuto conto delle memorie difensive di parte, pur non ritenendole dirimenti.

4.3. Sul secondo motivo di ricorso, infine, il Tribunale amministrativo ha dichiarato l’inammissibilità e l’infondatezza delle deduzioni di parte ricorrente. Si è infatti evidenziato che la censura articolata, per un verso, invade il merito del provvedimento amministrativo, e, conseguentemente, è inammissibile;
per altro verso, l’amministrazione ha fornito congrua e sufficiente giustificazione dell’applicazione della misura disciplinare più severa, rimarcando la gravità dei fatti ascritti all’appartenente all’Arma e il disdoro da essi arrecato a quest’ultima, cosicché la doglianza è altresì infondata.

5. L’interessato ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado.

5.1. Con il primo motivo di appello, ci si duole che il primo Giudice ha ritenuto legittima la sanzione disciplinare irrogata dall’amministrazione, per il solo fatto di essere stata pronunciata una sentenza di condanna e senza alcuna autonoma valutazione dei fatti imputati alla responsabilità del carabiniere.

Si evidenzia, in chiave critica, che essendo stata la responsabilità penale accertata da una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. sarebbe stata necessaria una più approfondita disamina da parte del Ministero, nonché autonomi accertamenti istruttori, soprattutto in considerazione della circostanza che la sentenza de qua non contiene un’esaustiva ricostruzione dei fatti.

5.2. Con il secondo motivo di appello, si lamenta l’apoditticità dell’affermazione, espressa nella motivazione della sentenza, sull’insindacabilità delle scelte dell’amministrazione.

Si evidenzia, a tale fine, che non sarebbero stati tenuti in debita considerazione tutta una serie di circostanze, quali le giustificazioni sui fatti accaduti, fornite dal militare, le quali avrebbero consentito una ricostruzione diversa di quanto accaduto, nonché la condotta di vita e di servizio tenuta dall’interessato fino al momento dell’incriminazione.

Si rimarca che si è trattato di un episodio isolato, nel quale sarebbe stato coinvolto, suo malgrado, per ingenuità o leggerezza e che, se tale episodio fosse stato inquadrato “ nel contesto complessivo ”, alla luce del principio di proporzionalità, ciò avrebbe dovuto portare ad un diverso (e più mite) esercizio del potere disciplinare.

5.3. L’interessato ha ulteriormente approfondito i motivi di censura nelle memorie del 12 febbraio 2020 e del 15 luglio 2020, depositate in vista delle udienze di discussione.

6. Prima di procedere all’esame dei motivi di appello, il Collegio ritiene che vadano rammentati i principi più volte espressi, anche di recente, dalla giurisprudenza di questo Consiglio, rilevanti per la decisione della vicenda in esame e ai quali s’intende dare continuità.

Segnatamente, va rilevato come:

a) “ In materia di procedimenti disciplinari la sentenza ex artt. 444 e 445 c.p.p. non prescinde dall'accertamento della responsabilità penale dell'imputato in quanto il giudice, nonostante la richiesta concorde delle parti, non può emettere la pronuncia di patteggiamento se ricorrono le condizioni per il proscioglimento perché il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso ovvero perché il fatto non costituisce reato, per cui rimane impregiudicata ai fini disciplinari, considerato che ai sensi dell'art. 445, comma 1-bis, ultima parte, c.p.p., salve diverse disposizioni di legge, la sentenza de qua è equiparata ad una pronuncia di condanna, l'efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputo lo ha commesso ”. (Cons. Stato, sez. IV, 02 aprile 2020, n. 2218);

b) “ L'Amministrazione nell'esercizio del proprio potere disciplinare, può utilizzare gli indizi di colpevolezza raccolti al fine di esercitare in giudizio l'azione penale, sicché non sussiste, né è ragionevolmente esigibile, l'obbligo di svolgere una particolare e diversa attività istruttoria al fine di acquisire ulteriori mezzi di prova, dovendo i profili di condanna essere oggetto di una diversa valutazione soltanto in merito alla loro rilevanza sotto il profilo disciplinare ”. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 novembre 2019, n. 6259;
sez. IV, 2 novembre 2017, n. 5053);

c) “ In ambito disciplinare dei propri dipendenti l'amministrazione ha ampia discrezionalità in merito all'individuazione della sanzione da applicare con la conseguenza che la sua decisione è sindacabile in sede giurisdizionale solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità, palese arbitrarietà ed evidente travisamento del fatto cui la stessa è correlata .” (Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2020, n. 3869;
sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1887) e “ La valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento dei fatti ” (Cons. Stato, sez. II, 15 maggio 2020, n. 3112).

7. Ribaditi questi principi, può procedersi all’esame delle censure articolate nei confronti della sentenza di primo grado.

8. Va confutata la prima delle due doglianze rivolte alla sentenza di primo grado.

8.1 Il Collegio ritiene che il primo Giudice ha fatto corretta applicazione delle norme rilevanti in materia e dei principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa.

Si osserva che, come correttamente rilevato dal Tribunale amministrativo, il provvedimento gravato contiene un richiamo ad altri atti del procedimento, che consentono di apprezzare appieno la valutazione dei fatti ascritti all’interessato, compiuta dall’amministrazione.

Va inoltre rilevato che, contrariamente a quanto censurato dall’appellante, il provvedimento contiene anche un’autonoma ponderazione dei fatti accertati con efficacia di giudicato dalla predetta sentenza di patteggiamento, riportata nella motivazione del provvedimento disciplinare.

Segnatamente, si legge che l’amministrazione ha ritenuto che “ l’inquisito con il suo comportamento altamente lesivo dell’immagine dell’Istituzione, ha evidenziato gravissime carenze morali e di carattere che rendono incompatibile la sua ulteriore permanenza nell’Arma dei Carabinieri ”.

8.2. I rilievi suesposti determinano la reiezione del primo motivo di gravame.

9. Anche il secondo motivo di appello non merita accoglimento.

9.1. Il Tribunale amministrativo ha infatti correttamente applicato i principi fondamentali della materia, evincibili dall’orientamento sopra riportato.

Il principio di proporzionalità costituisce un criterio che informa l’attività disciplinare dell’amministrazione, la quale deve necessariamente tenere conto delle peculiarità oggettive e soggettive del caso, anche valorizzando la circostanza che si sia trattato o meno di un episodio isolato.

Tuttavia, quest’ultima circostanza non assume di per sé una valenza dirimente, determinando necessariamente l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio di rigore massimo irrogato a seguito della commissione di una singola violazione.

Anche un unico episodio, infatti, può porsi in maniera nettamente antitetica e stridente con l’insieme dei valori, dei principi e delle regole che caratterizzano una determinata amministrazione ed essere, pertanto, di gravità tale da giustificare l’applicazione della massima sanzione prevista.

9.2. Nella vicenda in esame, l’amministrazione ha agito nei confronti dell’interessato a causa dell’imputazione e della disposta condanna per concorso in “ tentata estorsione aggravata ” e ha sottolineato nella motivazione del provvedimento come la condotta ascritta “ ha evidenziato gravissime carenze morali e di carattere che rendono incompatibile la sua ulteriore permanenza nell’Arma dei Carabinieri ”. L’amministrazione ha anche espressamente chiarito che “ I fatti disciplinarmente contestati sono di rilevanza tale da richiedere l’applicazione della massima sanzione disciplinare di stato ”.

La valutazione dell’amministrazione, alla luce dei fatti contestati, non si palesa, pertanto, inficiata da quella “ palese sproporzione ” che, secondo i canoni della giurisprudenza di questo Consiglio, ne consentono il sindacato per eccesso di potere.

9.3. Si ritiene, pertanto, che anche la seconda censura non meriti accoglimento.

9.4. In conclusione, l’appello è infondato e va pertanto respinto.

10. Nulla è dovuto per le spese del giudizio, non essendosi costituite le Amministrazioni statali intimate.

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