Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-05-20, n. 201903217

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-05-20, n. 201903217
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903217
Data del deposito : 20 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/05/2019

N. 03217/2019REG.PROV.COLL.

N. 08690/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8690 del 2011, proposto dal signor A D M, rappresentato e difeso dall’avvocato C C, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Sistina, 121,

contro

il Comune di Sessa Aurunca, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, Sezione VIII, n. 4370 del 9 settembre 2011, resa inter partes , concernente risarcimento danni a seguito di rilascio di provvedimento di ripristino illegittimo.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2019 il consigliere G S e udito, per l’appellante, l’avvocato F. Mangazzo su delega dell’avvocato Centore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 3693 del 2006, proposto innanzi al T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, il signor A D M aveva chiesto il risarcimento dei danni asseritamente subiti per effetto della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, emessa dal Comune di Sessa Aurunca, n. 3148 del 9 febbraio 1994, di poi annullata con sentenza T.a.r. Campania Napoli, sez. IV, n. 1230 del 14 aprile 1992, con la quale detto Ente aveva imposto il ripristino dell’area boscata oggetto di abusive operazioni di taglio boschivo per la mancanza dell’autorizzazione provinciale.

2. Precisava il ricorrente che la proposizione del gravame seguiva alla sentenza n. 287 del 12 ottobre 2005, con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere si dichiarava privo di giurisdizione.

3. Costituitasi l’Amministrazione comunale resistendo, il Tribunale ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha respinto l’eccezione di prescrizione del diritto fatto valere in giudizio dal ricorrente;

- ha respinto la domanda risarcitoria;

- ha compensato le spese di lite.

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:

- parte ricorrente ha invocato il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo oppositivo, dando luogo al cosiddetto “ danno da disturbo ”;

- “ le voci di danno lamentate dal ricorrente discendono indubbiamente dalla limitazione delle facoltà di disporre e godere del bene che costituiscono connotazione del diritto di proprietà e che, evidentemente, non sono state direttamente precluse né in alcun modo pregiudicate dalla adozione del provvedimento amministrativo di ripristino n. 3148/1994 impugnato dal ricorrente ed annullato dal T.a.r. Campania sez. IV con sentenza n. 1230 del 1999 ”;

- “ non è restato privato della disponibilità giuridica e materiale del bosco per effetto della ordinanza in questione, bensì in conseguenza del diverso procedimento penale attivato per effetto della trasmissione della ordinanza di ripristino alla locale Procura della Repubblica che, da parte del Comune, costituiva un atto dovuto in presenza di bene paesaggisticamente vincolato ”;

- “ la impossibilità di completare il taglio del bosco oggetto di compravendita con terzi nonché di impiantare l’albicoccheto sul suolo in questione sono state una conseguenza diretta ed immediata della pendenza del procedimento penale durante il quale il bene è restato assoggettato al vincolo del sequestro, vista l’istanza di dissequestro inutilmente proposta al Procuratore della Repubblica della Pretura Circondariale di S.M.C.V, e visto che il dissequestro è intervenuto nel 1996 solo dopo la sentenza giudiziale ”;

- “ Né, sotto altro profilo, la pretesa patrimoniale invocata può ascriversi alla categoria, pure invocata in ricorso, del danno morale da reato cui è del tutto estranea ”.

5. Avverso tale pronuncia il signor D M ha interposto appello, notificato il 24 ottobre 2011 e depositato il 4 novembre 2011, lamentando, attraverso un unico complesso motivo di gravame, quanto di seguito sintetizzato:

I) il Tribunale non avrebbe considerato che l’ordinanza comunale, annullata dal T.a.r. soltanto dopo cinque anni dalla sua adozione, gli ha impedito la “ pulizia con taglio ” del bosco, per la quale aveva contratto obbligazioni con terzi, nonché la piantumazione di altri alberi, e ha determinato il provvedimento di sequestro penale da parte della locale Procura della Repubblica;

II) il Tribunale non si sarebbe quindi avveduto del danno occorso all’appellante nella misura di lire 34.818.000, così come computato dal consulente tecnico di parte;

III) il Tribunale nemmeno avrebbe considerato il danno esistenziale procurato al ricorrente nell’avere dovuto difendersi in plurimi giudizi e procedimenti ed attendere anni per l’accertamento della insussistenza dei fatti addebitatigli.

6. Il Comune appellato, ancorché ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

7. In data 1 aprile 2019, parte appellante ha depositato note d’udienza, con allegata nuova perizia tecnico-estimativa, chiedendo l’accoglimento del ricorso.

8. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 9 aprile 2019, non merita accoglimento.

8.1. Va premesso che, ai sensi dell’art. 104 c.p.a., non possono essere utilizzati documenti non prodotti nel giudizio di prime cure. Infatti il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello riguarda anche le prove c.d. precostituite, quali i documenti, la cui produzione è subordinata al pari delle prove c.d. costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado ovvero alla valutazione della loro indispensabilità (Cons. Stato, sez. IV, 20 agosto 2018, n. 4969). Ebbene, nel caso di specie non si rinviene alcuno degli speciali motivi previsto dall’art. 345 c.p.c. in grado di giustificare il superamento del citato divieto (Cons. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2017, n. 4703).

Per tale ragione va disposto lo stralcio della documentazione depositata dall’appellante in allegato alla memoria del 1 aprile 2019, a sua volta da ritenere non utilizzabile nel presente giudizio in quanto depositata in violazione del termine di trenta giorni prima dell’udienza del trattazione del ricorso stabilito dall’art. 73, comma 1, c.p.a., applicabile anche al giudizio d’appello.

8.2. Per valutare se sussistano i presupposti della domanda risarcitoria, è necessaria la positiva verifica di tutti gli elementi che caratterizzano l’illecito: la sussistenza della colpa o del dolo della P.A., la lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento e la presenza di un nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della P.A all’evento dannoso (cfr. sul punto, tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1815;
sez. III, 9 giugno 2014, n. 2896;
sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3887;
sez. V, 30 giugno 2009, n. 4237).

Va premesso, ai fini della disamina della questione controversa, che la posizione giuridica, che il ricorrente assume lesa, ha natura e consistenza di interesse legittimo oppositivo e l’affermata responsabilità dell’Amministrazione, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, espresso con la storica sentenza n. 500 del 1999, è da ricondurre al paradigma dall’art. 2043 c.c., con la conseguente necessità che il danneggiato fornisca la prova di tutti i suoi elementi costitutivi e quindi: l’illegittimità del provvedimento causativo del danno, la colpa della pubblica amministrazione e la spettanza del bene della vita che è stato ingiustamente negato. Ne consegue, come sostenuto in giurisprudenza che “ la possibilità di pervenire al risarcimento del danno da lesione dell’interesse legittimo perviene solo se l’attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione del bene della vita al quale l’interesse legittimo, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 gennaio 2019, n. 137). Rilievo centrale, quindi, è assunto dal danno, del quale l’art. 30 del codice del processo amministrativo prevede il risarcimento qualora sia ingiusto, sicché, nella sistematica dei rapporti di diritto pubblico, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria, in quanto occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole dell’amministrazione pubblica, l’interesse materiale al quale il soggetto aspira. Infatti, è la lesione al bene della vita che qualifica in termini di “ ingiustizia ” il danno derivante dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’Amministrazione, così da consentire di configurare l’illecito risarcibile ai sensi del citato art. 30. Invero, la pretesa al risarcimento del danno ingiusto derivante dalla lesione dell’interesse legittimo si fonda su una lettura di tale fondamentale norma del codice del processo amministrativo che riferisce il carattere dell’ingiustizia al danno e non alla condotta, di modo che presupposto essenziale della responsabilità – oltre a una condotta rimproverabile – è l’evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall’ordinamento ed, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, è necessario verificare attraverso un giudizio prognostico se, a seguito del legittimo agire dell’Amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente spettato al titolare dell’interesse.

8.3. Venendo al caso di specie, emerge innanzitutto l’illegittimità del provvedimento emesso dal Comune di Sessa Aurunca nei confronti dell’appellante, segnatamente l’ordinanza di ripristino n. 3148/1994, essendo stata annullata con sentenza passata in giudicato del T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, n. 1230/1999.

8.4. Ciò che pertanto, deve essere ancora dimostrato ai fini del risarcimento, secondo i delineati elementi costitutivi della fattispecie d’illecito, è la sussistenza della colpa della P.A. nonché del nesso causale con il pregiudizio lamentato. A tal riguardo non si può ignorare l’orientamento di questo Consiglio secondo cui “ nel caso di procedimenti amministrativi coinvolgenti interessi di tipo oppositivo, la lesione dell’interesse implica ex se la lesione del bene della vita preesistente al provvedimento affetto da vizi di illegittimità, sicché l’accertamento della circostanza che la P.A. ha agito non iure di per se stesso implica la consolidazione di un danno ingiusto nella sfera giuridica del privato. In altri termini, la riscontrata illegittimità dell’atto rappresenta, nella normalità dei casi, l’indice della colpa dell’amministrazione, indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l’illegittimità in cui l’apparato amministrativo sia incorso. In tale eventualità spetta all’amministrazione fornire elementi istruttori o anche meramente assertori volti a dimostrare l’assenza di colpa ” (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4237/2009 cit.). Si afferma cioè che la riscontrata illegittimità dell’atto rappresenta, nella normalità dei casi, un elemento idoneo a presumere la colpa della P.A, spettando poi a quest’ultima l’onere di provare il contrario. Se così fosse anche nel caso in questione, saremmo di fronte al tipico “ danno da disturbo ”, che, quale lesione di un interesse legittimo di tipo oppositivo, consiste nel “ pregiudizio asseritamente subito in conseguenza dell’illegittima compressione delle facoltà di cui il privato cittadino era già titolare ” (cfr. Cons Stato, sez. VI, 12 marzo 2004, n. 1261). Quindi, il danno da disturbo si verifica quando l’Amministrazione, esercitando un’attività illegittima, apprezza, indebitamente, come prevalente l’interesse pubblico su quello privato, imponendo al proprietario o ad altro titolare di diritti reali una limitazione delle loro facoltà.

In altri termini, si realizza una compressione totalmente ingiustificata delle situazioni giuridiche soggettive appartenenti al privato. Affinché, però, tale danno si verifichi, non è sufficiente dimostrare l’attività illecita della P.A., essendo necessario verificare la lesione nei confronti della sfera giuridica del cittadino, nonché il nesso causale tra la condotta dell’Amministrazione e la lesione stessa.

Occorre, inoltre, che venga dimostrato in giudizio sia che tale condotta è connotata dall’elemento soggettivo della colpa, sia che sussiste un reale e concreto pregiudizio collegato causalmente alla lesione inferta.

8.5. Nel caso in esame, il danno lamentato dall’appellante, per il quale viene richiesto il risarcimento, è quello di non aver potuto completare il taglio del bosco, oggetto di compravendita con terzi, nonché di impiantare un albicoccheto sul suolo in questione. A questo punto, è necessario verificare se tale danno possa essere direttamente ricondotto alla condotta colposa della P.A, consistente nell’aver emanato un’ordinanza illegittima. Ebbene, secondo consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato (sentenza sez. V n. 4237/2009 cit.) “ La colpa della pubblica amministrazione viene individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione”;
si riscontra l’evento dannoso quando viene violato un interesse rilevante dell’ordinamento;
infine, vi è un nesso causale quando questi due elementi, preliminarmente descritti, sono direttamente collegati tra loro
” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 30 luglio 2013, n. 4020;
sez. III, 15 maggio 2018, n. 2882). Si precisa altresì che spetta al ricorrente l’onere di allegare ogni fatto posto alla base della propria pretesa processuale, dimostrando anche fatti all’apparenza scollegati all’evento dannoso ma che sono in realtà causalmente correlati ad esso e di contro, spetta, al giudice il compito di vagliare l’effettiva sussistenza di un nesso causale, avendo cura di evitare che il privato approfitti del suo status di danneggiato per ottenere più di quanto gli spetti, compiendo, in tal modo, un vero e proprio abuso del diritto. Di qui l’importanza di assolvere l’onere probatorio al fine di garantire al giudice una giusta ricostruzione del nesso eziologico essendo egli “ chiamato a verificare la effettiva sussistenza del fatto illecito, nella sua integrale latitudine, alla luce degli elementi di prova forniti dall’attore in adempimento dell’onere allo stesso incombente ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5349).

Pertanto, se è vero che “ l’acclarata illegittimità del provvedimento amministrativo integra ai sensi degli art. 2727 c.c. e 2729 c.c., il fatto costitutivo di una presunzione semplice in ordine alla sussistenza della colpa della P.A ” (cfr. Cons Stato, sez.VI, 19 marzo 2019, n. 1815), è vero anche che l’illegittimità di un atto e il suo conseguente annullamento non danno automaticamente diritto ad un risarcimento del danno. Infatti, “ la presenza di un danno risarcibile e la condanna al risarcimento non sono una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento ” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014, n. 2896), essendo necessaria la positiva verifica della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell’Amministrazione e del nesso causale tra l’illecito e il danno subito (cfr. sul punto anche Consiglio di Stato, sez. III, 4 marzo 2019, n.1500;
n. 2882/2018 cit.;
n. 4020/2013 cit.).

8.6. Ebbene, nel caso in esame, pur risultando illegittimo il provvedimento emesso dal Comune di Sessa Aurunca, non sussistono tutti i presupposti per accordare l’invocato risarcimento, stante la mancata dimostrazione del necessario nesso causale che deve intercorrere tra l’atto ed il danno lamentato.

Invero, ai fini del risarcimento, come correttamente sostenuto dal giudice di prime cure, è necessario far riferimento al procedimento penale, parallelamente attivato nei confronti dell’appellante, e in particolare, al vincolo del sequestro posto sul bosco in questione.

In altri termini, se l’ordinanza si limitava a chiedere il ripristino dello status quo ante rispetto ai lavori contestati di sbancamento, livellamento del terreno ed apertura di piste in zona paesaggistica vincolata, il sequestro, causava indubbiamente ogni limitazione delle facoltà del ricorrente di materiale godimento del fondo siccome interdette dall’apposizione dei sigilli.

È vero che l’ordinanza, disponendo il ripristino dello status quo ante , produceva effetti restrittivi interdicendo l’attività di disboscamento, ma è parimenti vero che, se anche il Comune non avesse emesso tale ordinanza, il ricorrente non avrebbe comunque potuto completare il taglio del bosco, né piantare l’albicoccheto, essendo il terreno già sottoposto a sequestro.

Ciò che infatti rileva è che i lassi temporali in cui l’ordinanza e il sequestro hanno dispiegato i loro rispettivi effetti sono coincidenti e pertanto il sequestro costituisce ex se idonea causa efficiente del danno lamentato. Infatti, l’ordinanza di ripristino n. 3148/94 è stata emessa il 9 febbraio 1994, ma già due giorni prima, il 7 febbraio 1994, era stato disposto il sequestro del terreno in questione.

A coincidere, non sono state solo le date in cui l’ordinanza e il sequestro hanno iniziato a produrre effetti interdittivi, ma anche quelle in cui tali atti sono stati rimossi, in quanto, da un lato, l’ordinanza è stata annullata con sentenza del T.a.r. n. 1230/99, depositata in data 6 maggio 1999, dall’altro il dissequestro è stato disposto nel corso dello stesso anno 1999. Non può infatti essere considerata come data del dissequestro quella del 23 dicembre 1996, citata dal T.a.r. Campania, essendo riferita ad un dissequestro temporaneo del terreno;
al contrario, è da reputare quale data effettiva del dissequestro, siccome non documentata in atti, quella dichiarata dallo stesso appellante e della quale pertanto non vi è motivo di dubitare, ovverosia l’anno 1999.

Pertanto, alla luce della collocazione temporale dei due provvedimenti, non si può non concludere nel senso che se la durata in cui essi hanno dispiegato effetti sostanzialmente coincide, non è dato rinvenire il necessario nesso causale tra l’ordinanza e il danno lamentato dall’appellante, essendo questo causalmente connesso al sequestro, avendo grandemente inciso sulle facoltà di godere e disporre del bene. Né può farsi risalire il dissequestro ad una data diversa, in quanto le affermazioni sul punto dell’appellante non risultano suffragate da alcuna documentazione.

Ne consegue, in altre parole, che la mancata disponibilità giuridica e materiale del bosco, lamentata dal signor D M non può essere ricondotta all’ordinanza, se pur illegittima, del Comune, ma deve essere fatta derivare al contrario, dal contestuale procedimento penale e in particolare dalla misura reale gravante sull’area boschiva in questione. È proprio da quest’ultima che è direttamente ed immediatamente derivata l’impossibilità del ricorrente di completare il taglio del bosco, oggetto di compravendita con terzi, e di impiantare l’albicoccheto sul suolo in questione. Ne consegue che anche se l’ordinanza del Comune di Sessa Aurunca fosse stata annullata ancor prima dell’intervento della ridetta sentenza del T.a.r., il danno accusato dall’appellante sarebbe stato comunque provocato dal sequestro penale gravante sull’area.

9. In conclusione, l’appello in esame è infondato e deve essere respinto.

10. Nessuna determinazione va assunta sulle spese del presente giudizio, stante la mancata costituzione dell’appellato.

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