Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-01-26, n. 201800544
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Testo completo
Pubblicato il 26/01/2018
N. 00544/2018REG.PROV.COLL.
N. 06450/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6450 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati F A C, A D B, con domicilio eletto presso lo studio F A C in Roma, via Ugo Ojetti, 114;
contro
Ufficio Territoriale del Governo Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Gen.Le Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Comune di Rosarno non costituito in giudizio;
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Gen.L e Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00115/2017, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ufficio Territoriale del Governo Reggio Calabria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2017 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati F A C e l'Avvocato dello Stato Mario Antonio Scino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il presente gravame la società appellante chiede la riforma della sentenza con cui è stata respinta la sua richiesta di annullamento:
-- dell'informazione antimafia interdittiva emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria in data 18 gennaio 2016, a seguito di apposita richiesta dell’Amministrazione comunale ai sensi degli art. 91 e 100 del D. Lgs. n. 159/2011;
-- del conseguente provvedimento comunale, emesso dal Comandante della Polizia Municipale presso il Comune di Rosarno, prot. n. 2508/16 del 03 febbraio 2016 di chiusura immediata della tinto-lavanderia "-OMISSIS-" che, a suo tempo, era stata aperta in seguito alla presentazione, in data 6 febbraio 2013, di una s.c.i.a. commerciale per l’apertura di un esercizio della predetta attività.
L’appello è affidato a quattro rubriche di censura con cui si lamenta l’error in iudicando sotto diversi profili: per violazione degli artt. 67 e 100 del D. Lgs. n. 159/11;dell’art. 97 della Costituzione e del principio di libera iniziativa privata;nonché per carenza assoluta dei presupposti di fatto per l’adozione dell’interdittiva.
L’Avvocatura dello Stato, ritualmente costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza del gravame, concludendo per il rigetto dell’appello.
Chiamata all’Udienza di discussione, la causa su concorde richiesta delle parti, è stata ritenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
L’appello, sulla scia dei consolidati precedenti della Sezione, deve essere respinto.
1.§. I primi tre motivi (pag. 3 atto di appello) possono essere trattati congiuntamente in quanto concernono un profilo sostanzialmente unitario.
1.§.1. Con il primo motivo l’appellante contesta l’affermazione del TAR per cui anche le attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività (c.d. s.c.i.a.) debbano essere ritenuta pienamente rientrante nell’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione del combinato disposto degli artt. 67, 83, 91 e 100 del codice antimafia.
Per l’appellante, al contrario, l’interdittiva antimafia non potrebbe essere un atto in grado di condizionare l’attività di lavanderia in ragione della natura giuridica assolutamente privatistica della s.c.i.a. che, secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 29 luglio 2011 n. 15, non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita nè dà luogo ad un titolo costitutivo ma costituisce solo una comunicazione dell’attività consentita direttamente dalla legge.
1.§.2. Per il medesimo ordine di ragioni l’interdittiva antimafia:
-- non può considerarsi un antecedente logico-funzionale rispetto al provvedimento finale privo di effetti giuridici;
-- non avrebbe alcun rapporto di presupposizione conseguenziale, immediata, dirette e necessaria con l’atto conseguente;
-- sarebbe priva di nuove, ed ulteriori, valutazioni degli interessi del destinatario e degli altri soggetti.
1.§.3. Con il terzo motivo si assume che l’ordinanza della Sezione di rigetto dell’appello cautelare del 31/08/2016 n. 3583, sarebbe stata tuttavia fondata su un mero profilo processuale, il che tuttavia lasciava una prognosi di favorevole considerazione della censura secondo cui l’efficacia dell’interdittiva antimafia concerneva esclusivamente la stipulazione, l’approvazione o l’autorizzazione di un contratto, di un sub-contratto ovvero delle concessioni ed erogazioni indicate nell’articolo 67 del T.U.L.P.S. n.159.
1.§.4. L’assunto complessivo non può essere condiviso.
Sulla specifica questione di principio infatti la Sezione si è già compiutamente pronunciata (cfr. sentenza Consiglio di Stato, sez. III, 09/02/2017, n. 565, alla cui più ampia motivazione si rinvia direttamente a tale riguardo ed anche Cons. Stato n. 7324/2016) affermando, in sintesi, che:
-- anche le attività soggette al rilascio di autorizzazioni, licenze o a s.c.i.a. soggiacciono alle informative antimafia in quanto attualmente la mafia tende ad infiltrarsi, capillarmente, in tutte le attività economiche, ivi comprese quelle soggette a regime autorizzatorio o a s.c.i.a.;
-- la risposta da parte dello Stato a tale fenomeno criminale finirebbe per rimanere lacunosa, e finanche illusoria, se si limitasse ai soli contratti pubblici, alle concessioni ed alle sovvenzioni, e quindi se la prevenzione del fenomeno mafioso non si estendesse anche al controllo e all'eventuale interdizione di tutti ambiti economici nei quali, più frequentemente, la mafia si fa, direttamente o indirettamente, imprenditrice ed espleta la propria attività economica;
-- l'esperienza ha mostrato, infatti, che in molti di tali settori (l'edilizia, le grandi opere pubbliche, lo sfruttamento di nuove fonti energetiche, gli scarichi delle sostanze reflue industriali e persino la ricostruzione dopo i gravi eventi sismici che funestano il territorio italiano), strategici per l'economia nazionale, le associazioni di stampo mafioso hanno impiegato, diretto o controllato ingenti capitali e risorse umane per investimenti finalizzati non solo ad ottenere pubbliche commesse o sovvenzioni ma, in generale, a colonizzare l'intero mercato secondo un disegno, di più vasto respiro, del quale l'aggiudicazione degli appalti o il conseguimento di concessioni ed elargizioni costituisce una parte certo cospicua, ma non esclusiva né satisfattiva per le mire egemoniche della criminalità;
-- tale disegno, quello mafioso, è talvolta agevolato dall'omertà, se non persino dalla collusione o dalla corruzione, dei pubblici amministratori;
-- la tradizionale reciproca impermeabilità tra le comunicazioni antimafia, richieste per le autorizzazioni, e le informazioni antimafia, rilasciate per i contratti, le concessioni e le agevolazioni, ha fatto sì che le associazioni di stampo mafioso potessero, comunque, gestire tramite imprese infiltrate, inquinate o condizionate da essa, lucrose attività economiche in vasti settori dell'economia privata, senza che l'ordinamento potesse efficacemente intervenire per contrastare tale infiltrazione, al di fuori delle ipotesi di comunicazioni antimafia emesse per misure di prevenzione definitive con effetto interdittivo ai sensi dell'art. 67, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
Tale orientamento è stato poi successivamente confermato da questa Sezione III (ex multis Cons. Stato n. 1109/2017, ecc.) per cui non vi sono ragioni per non ritenere che la disciplina dettata dal D.lgs. n. 159 del 2011 consenta l’applicazione delle informazioni antimafia anche a rapporti a contenuto autorizzatorio finalizzato a contrastare i tentativi della mafia imprenditrice di infiltrarsi capillarmente in tutte le attività economiche, ivi comprese quelle a contenuto autorizzatorio.
Ed in questo ambito ricostruttivo deve dunque interpretato l’art. 67 del d.lgs. n.159/2011, il quale peraltro tra le diverse attività considerate economicamente rilevanti ai fini degli effetti delle misure di prevenzione, comprende tra cui anche le “..f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati ”.
Pertanto sotto il profilo letterale, non si hanno dubbi dell’applicabilità dell’informativa antimafia anche alla s.c.i.a., in quanto tali segnalazioni comunque vengono iscritte nell’apposito registro.
Tale conclusione del resto appare coerente con l’art. 2, comma 1, lettera c), della legge delega n. 136 del 2010, che come ricordato anche dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 4 del 18/01/2018) “… ha inteso allargare il campo di applicazione dell’informazione antimafia, stabilendo che la sua «immediata efficacia» potesse esplicarsi «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione» Con questa disposizione il legislatore delegante, prendendo evidentemente le mosse dalla situazione di estrema gravità ravvisabile nel tentativo di infiltrazione mafiosa, ha concesso al legislatore delegato di introdurre ipotesi in cui tale infiltrazione, alla quale corrisponde l’adozione di un’informazione antimafia, giustifichi un impedimento non alla sola attività contrattuale della pubblica amministrazione, ma anche ai diversi contatti che con essa possano realizzarsi nei casi ora indicati dall’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011 (cfr. Consiglio di Stato, sezione terza, 8 marzo 2017, n. 1109) ”.
A tal riguardo, anche nel campo dei servizi diretti ai privati, deve dunque essere valorizzato il profilo finalistico della disciplina antimafia che tende a preservare la libertà di impresa economica dalle distorsioni ai comportamenti dei clienti, causate dalla presenza di imprese direttamente o indirettamente condizionate dalla malavita organizzata.
Tale affermazione appare confermata anche sotto il profilo teleologico, in quanto il processo di semplificazione amministrativa non può risolversi in una diminuzione delle garanzie per l’ordine, la sicurezza pubblica, e la libera economia.
Anche le conclusioni del Giudice delle Leggi, confermano che tale tematica “ si riconnette a una situazione di particolare pericolo di inquinamento dell’economia legale ” per cui non è “ manifestamente irragionevole che …. a fronte di un tentativo di infiltrazione mafiosa, il legislatore, rispetto agli elementi di allarme reagisca attraverso l’inibizione, sia delle attività contrattuali con la pubblica amministrazione, sia di quelle in senso lato autorizzatorie, prevedendo l’adozione di un’informazione antimafia interdittiva che produce gli effetti anche della comunicazione antimafia .”
In definitiva deve dunque affermarsi che gli effetti delle misure di cui all’art. 100 del d.lgs. n.159 cit. si esplicano anche alle attività economiche operanti nel campo dei servizi diretti ai privati oggetto di segnalazione, comunicate nei cinque anni successivi allo scioglimento al Comune ai sensi dell'art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e smi. .
Tutti i motivi devono dunque essere disattesi.
2.§. Con la quarta censura si lamenta l’eccesso di potere giurisdizionale per la mancata considerazione dell’assenza assoluta degli elementi presuntivi e anche delle figure sintomatiche che avrebbero potuto consentire l’emanazione dell’interdittiva.
Il provvedimento gravato in prime cure sarebbe fondato sul solo rilievo per cui la società ricorrente costituita dai coniugi conviventi -- -OMISSIS- socio accomandatario, e -OMISSIS-, socio accomandante al 40% -- sarebbero inseriti in un contesto familiare riconducibile alla -OMISSIS- attiva in Rosarno (comune sciolto per infiltrazioni mafiose e con ramificazioni in Italia ed all’estero). Tale affermazione in realtà sarebbe fondata solo sui pochi elementi forniti dalle forze di polizia, i quali se fossero stati esaminati con cura ed attenzione, avrebbero invece dovuto condurre a diverse conclusioni.
L’unica colpa ascrivibile alla signora -OMISSIS- sarebbe quella di essere la sorella dei più noti fratelli -OMISSIS-, ritenuti soggetti di notevole spessore criminale, ma dai quali la titolare della lavanderia non subirebbe alcuna influenza o agevolazione.
La stessa Sezione, facendo proprio un consolidato orientamento, ha affermato (cfr. 7 aprile 2017 n. 1638) che la mera parentela da sola non può far presupporre in modo automatico il condizionamento dell’impresa alle logiche di carattere malavitoso.
Inoltre l’interdittiva sarebbe illegittima nella parte in cui richiama i rapporti economici del socio accomandante -OMISSIS- con l’impresa -OMISSIS-senza tener conto del fatto che tale società non sarebbe mai stata effettivamente operativa come emergeva rispettivamente: -- dal bilancio, dal quale risulterebbe che nelle varie annualità di riferimento si erano registrati sempre utili pari a zero;-- dalla cessazione dell’attività alla data del 5/8/2015.
Sicché al di là del mero dato formale -OMISSIS- non avrebbe mai condiviso alcun profilo economico col -OMISSIS-.
Inoltre sarebbero del tutto incomplete le informative della polizia giudiziaria relativa alle frequentazioni di malavitosi o soggetti esponenti della gravità organizzata, i quali sarebbero state di natura occasionale, non costanti e quindi non significativi di una comunanza di interessi.
Il -OMISSIS- inizialmente colpito, unitamente alla moglie, da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere in quanto indagato per ipotesi di reato di cui sensi 110 c.p.c., dell’art. 12 quinquies della legge n. 356/1992 e dell’art. 7 della L. n. 203/1991 (a causa di alcune dichiarazioni di una collaboratrice di giustizia), è stato successivamente del tutto scagionato dalla Corte di Appello di Reggio Calabria perché il “fatto non sussiste”. Inoltre in tutte le successive varie indagini “Arca” e “Decollo” il predetto sarebbe sempre stato oggetto di ordinanza di archiviazione;l’unica condanna a carico dell’interessato risalirebbe infine ad oltre 27 anni fa.
Non si darebbe nemmeno conto di alcun concreto rapporto tra i fratelli, per cui l’interdittiva sarebbe basata su meri sospetti.
L’assunto non convince.
Al riguardo non appaiono sufficienti gli elementi dai quali la Difesa dell’appellante assume si dovrebbe desumere l’estraneità dei soci.
La sentenza impugnata esattamente afferma la sussistenza di quegli elementi sintomaticamente rivelatori di una possibile collateralità -OMISSIS- alla ‘ndrangheta.
Alla luce del criterio del “più probabile che non”, cioè da una regola di giudizio che ben può essere integrata da dati di comune esperienza evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (così a partire da: Consiglio di Stato, Sez. III 9 maggio 2016, n. 1743) i singoli elementi -- nel loro complessivo valore oggettivo, storico, sintomatico e nel relativo contesto ambientale – sono stati esattamente giudicati rivelatori di un indubbio collegamento dell’impresa da parte della ‘ndrangheta, anche al di là, e persino contro, la volontà dei singoli (Cfr.: Cons. Stato, sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754;id., 2 agosto 2016, n. 3505;id., 29 settembre 2016, n. 4030).
La documentazione posta a base dell’interdittiva indica infatti non solo meri sospetti, ma una molteplicità di circostanze della cui veridicità non vi è motivo di dubitare e che confermano una indubbia vicinanza ad un nutrito numero di esponenti di spicco della criminalità organizzata il coinvolti nelle tipiche attività criminali ‘ndranghetiste. Si tratta di rapporti che concernono una tipologia di relazioni che comunque non possono essere neanche volontariamente interrotti.
Per questo, se i soli i rapporti di parentela non sono sufficienti a radicare stretti legami con la malavita organizzata, non si può nemmeno ignorare che, nel particolare contesto socio-ambientale in questione, costituisce comunque elemento sintomatico di contiguità l’essere figlia di boss e sorella di un soggetto con una stabile partecipazione nell’organizzazione criminale.
Né si possono negare i rapporti economici intercorsi – seppure asseritamente pregressi -- tra il signor -OMISSIS- e il -OMISSIS-, che è stato risultato deferito per associazione a delinquere, falsità ideologica e truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche (reato annoverato dal Codice Antimafia come reato spia del rischio di infiltrazione).
In ogni caso, dato che l’interdittiva risponde infatti ad una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata per cui finiscono per essere irrilevanti anche l’assoluzione, il proscioglimento e le archiviazioni. Per questo, il provvedimento in esame non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo circa l'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose (e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa) ma può essere sorretta anche solo da fattori sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del possibile pericolo di un tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata (cfr. infra multa Consiglio di Stato sez. III 23 febbraio 2015 n. 898). Infatti, ai sensi degli artt. 84 comma 4 e 91 comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, gli elementi posti a base dell'informativa antimafia possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (cfr. Consiglio di Stato sez. III 14 febbraio 2017 n. 669).
In definitiva non vi sono elementi per negare, sia pure presuntivamente, che in conseguenza dei particolari rapporti familistici tipici di talune aree e tradizioni territoriali vi fosse una stretta relazione dei coniugi con determinati ambienti malavitosi e la persistente permeabilità del rischio di infiltrazione o per lo meno di ingerenza, della -OMISSIS-.
3.§. In definitiva l’appello è infondato e per l’effetto la sentenza impugnata merita integrale conferma.
Le spese, secondo le regole generali, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.