Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-12-28, n. 202008395

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-12-28, n. 202008395
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202008395
Data del deposito : 28 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/12/2020

N. 08395/2020REG.PROV.COLL.

N. 06997/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6997 del 2017, proposto da
Rai - Radiotelevisione Italiana S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato prof. E S D, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, p.zza San Lorenzo in Lucina, 26;

contro

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Ministero delle Comunicazioni, Comitato di Applicazione Codice Autoregoalmentazione Tv e Minori non costituiti in giudizio;

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter) n. 06310/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020 il Cons. F D L e udito per la parte appellante l’avvocato Ugo De Luca in sostituzione dell'avvocato Sticchi Damiani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso in primo grado l’odierna appellante ha impugnato: a) la delibera prot. n. 137/05/CSP del 5 ottobre 2005, adottata dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Commissione per i servizi e prodotti), avente ad oggetto: “ Ordinanza-ingiunzione alla società RAI-Radiotelevisione Italiana s.p.a. (Emittente in ambito nazionale “Rai Uno”) per la violazione dell’articolo 15, comma 10, della L. n. 223/1990 ”;
b) ogni atto presupposto, connesso o consequenziale e, in particolare, la “ Contestazione nei confronti della società RAI-RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A. (Emittente televisiva in ambito nazionale “RAI UNO”) per la violazione dell’art. 15, comma 10, della L. n. 223/1990 - Procedimento n. 1272/FB ”, adottata con nota prot. n. CONT/39/05/DGC/AEM del 4/5/2005 a firma del Direttore del Dipartimento Garanzie e Contenzioso, unitamente all’allegato “ Verbale di accertamento relativo al procedimento n. 1272/FB ” di pari data;
c) ove occorrente, la nota a firma del Presidente del Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione TV e minori prot. n. CTM/12d/05 Segn. del 10/2/2005 e l’allegata risoluzione n. 7 dell’8/2/2005;
d) ove occorrente, la delibera dell’AGCOM prot. n. 425/01/CONS del 7/11/2001 (come modificata dalla delibera n. 336/03/CONS del 24/9/2003), recante il “ Regolamento in materia di procedure sanzionatorie ”, nelle parti censurate per quanto di interesse.

In particolare, adendo la sede giurisdizionale, la ricorrente ha dedotto che:

- in data 16.1.2005 sull’emittente RAI UNO, a partire dalle ore 20:47, la Rai aveva trasmesso la prima puntata del film prodotto per la televisione “La Caccia”, avente ad oggetto temi importanti e di grande attualità sociale, premiato dal pubblico dei telespettatori italiani, collocandosi al primo posto negli ascolti del prime time ;

- con nota prot. n. CTM/12d/05 Segn. del 10/2/2005 il Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione TV e minori aveva inviato direttamente al Dipartimento Garanzie e Contenzioso dell’AGCOM, ai sensi del punto 6.3 del Codice di autoregolamentazione, copia della propria risoluzione n. 7 dell’8/2/2005, con la quale veniva ravvisata una presunta “ violazione del Codice di autoregolamentazione, con particolare riferimento al punto 2.4. ”, poiché – a giudizio del Comitato – l’emittente avrebbe dovuto segnalare alle famiglie, preventivamente rispetto all’inizio del film, la presenza nella prima puntata “ di una sequenza inidonea ai bambini e ai ragazzi ”, rappresentata dalla “ scena iniziale in cui un rapinatore fa strage di una famiglia (madre incinta e bambino primogenito terrorizzato) e il padre superstite dà sfogo ad una furia disperata ”;

- il Dipartimento Garanzie e Contenzioso dell’AGCOM, senza coinvolgere il Dipartimento Vigilanza e Controllo della stessa Autorità, aveva redatto in data 4 maggio 2005 il verbale di accertamento relativo al procedimento n. 1272/FB, rilevando che le immagini oggetto di esame risultavano particolarmente inadatte ad un pubblico non adulto in quanto rappresentavano, in particolare dalle ore 21:00 alle ore 21:02, l’azione di un rapinatore che – dopo aver minacciato con una pistola una giovane donna incinta sotto gli occhi terrorizzati del figlio che, disperato, tentava invano di nascondersi – uccideva il bambino e sua madre;
per l’effetto, ritenendo che la puntata della fiction oggetto di segnalazione apparisse idonea, per i contenuti e per le particolari modalità di rappresentazione, anche in relazione all’orario di trasmissione, a suscitare nei bambini telespettatori reazioni di angoscia e turbamento, configurandosi, nel suo insieme, come nociva degli interessi morali, etici e di corretto sviluppo psichico dei minori, il Dipartimento Vigilanza e Controllo aveva qualificato giuridicamente la fattispecie in esame come violazione dell’art. 15, comma 10, della L. 223/1990;

- il medesimo Dipartimento Garanzie e Contenzioso, dunque, con atto di contestazione prot. n. CONT./39/05/DGC/AEM del 4 maggio 2005, aveva proceduto alla contestazione della presunta violazione alla società odierna appellante, assegnando alla società il termine di 30 gg. dalla notifica per la presentazione di adeguate giustificazioni;

- la Rai aveva svolto le proprie osservazioni controdeduttive sia con memoria difensiva che in sede di audizione, chiedendo l’archiviazione del procedimento;

- l’Autorità procedente aveva comunque provveduto ad adottare la delibera n. 137/05/CSP, con cui aveva qualificato i fatti in contestazione come violazione dell’art. 15, comma 10, L. n. 2223/1990 e aveva irrogato la sanzione pecuniaria in misura di € 75.000,00.

A fondamento del ricorso, la Rai Radiotelevisione Italiana S.p.A (per brevità anche RAI) ha censurato:

- l’omesso coinvolgimento nell’ambito del procedimento sanzionatorio del Dipartimento vigilanza e controllo dell’Agcom, competente a vagliare la fondatezza delle denunce acquisite dall’Autorità, ai sensi dell’art. 3, comma 5, del “Regolamento in materia di procedure sanzionatorie”, adottato con delibera dell’Autorità n. 425/01/CONS del 7.11.2001;

- la violazione e la falsa applicazione dell’art. 14, l. 689/1981, per violazione del termine di novanta giorni dall’accadimento dei fatti (nella specie occorsi in data 16.1.2005, giorno della messa in onda del programma), da rispettare ai fini della contestazione degli addebiti (nella specie avvenuta in data 12.5.2005);

- la violazione dell’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990, per avere illegittimamente equiparato un film ad un programma televisivo;

- l’erronea sussunzione della fattispecie in contestazione sotto la previsione dell’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990, anziché sotto quella dell’art. 3, comma 4, D.L. n. 97/1995, avente ad oggetto, specialmente, i film prodotti per la televisione e prescrittiva della previa richiesta del parere delle commissioni speciali regolate dalla L. n. 161/1962, nella specie non acquisito;

- l’illegittima discriminazione tra fattispecie analoghe, tenuto conto che in relazione a situazioni assimilabili a quella in oggetto, l’Autorità aveva provveduto all’archiviazione dei relativi procedimenti.

3. L’Autorità intimata si è costituita in giudizio, al fine di resistere al ricorso.

4. A definizione del giudizio il Tar ha rigettato il ricorso, rilevando che:

- l’omesso esperimento della fase procedimentale del vaglio preliminare operato dal Dipartimento Vigilanza e Controllo, pur previsto dal Regolamento, posta a presidio della celerità dell’azione amministrativa, doveva ritenersi passaggio procedurale posto nell’interesse dell’Amministrazione e non del soggetto sottoposto al procedimento sanzionatorio, come tale non incidente sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio;
nella specie, comunque, la palese e grave violazione dell’art. 15, comma 10, della L 223/1990, contestata e sanzionata con il provvedimento impugnato, toglieva ogni rilevo al passaggio procedimentale dedotto , traducendosi in termini di doverosità vincolata e rendendo del tutto superfluo il citato passaggio procedimentale;

- il completo accertamento dei fatti di cui all’articolo 14 della legge n. 689/1981, nonché la connessa qualificazione e connotazione giuridica erano stati effettuati in data 4 maggio 2005, con conseguente tempestiva contestazione degli addebiti, avvenuta con atto adottato in pari data, così come previsto dal Regolamento in materia di procedure sanzionatorie di cui alla Delibera n. 136/06/CONS (art. 4 del Regolamento Sanzioni “accertamento formale dei fatti”);

- non occorreva acquisire il preventivo parere delle Commissioni di revisione di cui alla L. n. 161/1962, in quanto la medesima legge introduceva il potere di censura nel caso in cui non venisse rispettato il buon costume nelle opere cinematografiche e teatrali ed era destinata ad operare ex ante proprio per evitare che venissero proiettate;
mentre la normativa rilevante in giudizio attribuiva all’Autorità un potere sanzionatorio ex post nelle ipotesi di violazione – tra le altre – delle disposizioni di cui all’art. 15 co. 10 L. 223/1990 per la proiezione di programmi nocivi allo sviluppo psichico o morale dei minori, in violazione delle modalità di tutela prescritte;

- risultava inconferente anche l’argomentazione circa la natura dell’opera “La Caccia”, asseritamente non rientrante nella nozione di “programma”, in quanto il codice di autoregolamentazione trovava applicazione a prescindere dal “contenitore”, genericamente denominato programma, delle immagini;

- i divieti di trasmissione di film vietati ai minori di anni 18 e 14 di cui ai commi 11, 12, 13 e 14 dell’articolo 15 della legge n. 223/90 dovevano essere letti come ipotesi tassative di violazione, a prescindere dalle modalità di trasmissione dei film;

- non risultava fondata neanche la censura riferita all’illegittima discriminazione di trattamento tra fattispecie analoghe, in quanto, ancorché le situazioni a paragone fossero uguali – certezza non raggiunta nella specie viste le deduzioni dell’amministrazione resistente - l’illegittima archiviazione di altro caso, non avrebbe costituito certamente un vincolo per l’amministrazione, impedendole di reiterare l’illegittimo comportamento solo per non cadere in contraddizione;
ciò soprattutto laddove il provvedimento impugnato non avesse superato i rilievi di illegittimità.

5. La Rai ha proposto appello, censurando i singoli capi della sentenza di prime cure mediante l’articolazione di cinque motivi di impugnazione.

Con il primo motivo di appello la Rai ha denunciato l’erroneità della sentenza di primo grado, per avere escluso la valenza viziante alla violazione dell’art. 3 della delibera AGCOM n. 425/01/Cons, nella parte in cui impone, a fronte di segnalazioni non qualificate, un vaglio preliminare a cura del Dipartimento Vigilanza e Controllo dell’Autorità, nella specie omesso, sebbene si trattasse di adempimento procedurale idoneo ad incidere sull’esito del procedimento e posto a garanzia dei diritti di difesa della parte sottoposta ad un procedimento dal contenuto afflittivo.

Con il secondo motivo di appello la Rai ha contestato l’erronea individuazione del dies a quo del termine di contestazione degli addebiti in una data incerta, riferita dal Tar all’accertamento formale dei fatti, anziché al giorno della messa in onda del film o comunque almeno al 10.2.2005, giorno in cui l’Autorità era venuta a conoscenza della violazione del presunto illecito, con conseguente tardività della relativa contestazione.

Con il terzo motivo di appello la Rai, censurando la decisione di prime cure, ha ritenuto che il divieto di cui all’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990 non potesse operare nei confronti dei film prodotti per la televisione, soggetti, invece, in applicazione dei criteri di specialità e cronologico, alle disposizioni di cui all’art. 3, commi 4 e 5, D.L. n. 97/1995, che subordinano l’eventuale adozione di un provvedimento sanzionatorio alla previa acquisizione del parere conforme delle commissioni speciali di cui alla L. n. 161/62, nella specie non acquisito, con conseguente effetto viziante sulla delibera impugnata in prime cure;
l’Autorità si sarebbe, comunque, espressa circa la natura della sequenza oggetto di contestazione, senza che al proprio interno vi fossero soggetti particolarmente qualificati a valutarla.

Con il quarto motivo di appello la Rai ha censurato la sentenza appellata, per aver il Tar erroneamente ritenuto irrilevante la discriminazione di trattamento operata dall’Autorità, che in relazione a fattispecie analoghe aveva in precedenza disposto l’archiviazione dei relativi procedimenti;
l’appellante ha, quindi, richiamato i precedenti posti a confronto, censurando, altresì, che l’Autorità aveva omesso di valutare ulteriori fattori deponenti per l’archiviazione del procedimento, rappresentati dai valori morali espressi dal film e dal livello di qualità artistica dello stesso.

Con il quinto motivo di ricorso, sollecitando l’esercizio di una giurisdizione di merito, l’appellante ha censurato la sentenza di prime cure, per non avere escluso l’offensività delle scene per cui è controversia, avuto riguardo, altresì, ai valori morali emergenti dal film e al pregio artistico.

6. L’Autorità si è costituita in giudizio, affidando alla memoria difensiva depositata in vista dell’udienza pubblica di discussione lo svolgimento delle controdeduzioni ai motivi di impugnazione.

7. La Rai ha contestato le difese dell’Autorità, depositando memoria di replica.

8. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 15 ottobre 2020.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello la Rai denuncia l’erroneità della sentenza di primo grado, per avere escluso la valenza viziante alla violazione dell’art. 3 della delibera AGCOM n. 425/01/Cons, nella parte in cui impone, a fronte di segnalazioni non qualificate, un vaglio preliminare a cura del Dipartimento Vigilanza e Controllo dell’Autorità, nella specie omesso, essendo stato accertato e contestato l’illecito direttamente dal Dipartimento Garanzie e Contenzioso.

Secondo la prospettazione dell’appellante, l’omesso svolgimento della fase di accertamento di competenza del Dipartimento Vigilanza e Controllo non troverebbe il proprio fondamento in un’esigenza di celerità dell’azione amministrativa, assumendo rilevanza anche sostanziale, atteso che, da un lato, la natura afflittiva del procedimento (da ricostruire alla stregua della fisionomia del processo penale, articolato in distinte fasi procedimentali suscettibili di differente definizione) avrebbe richiesto il rispetto delle garanzie del giusto processo ex art. 6 Convenzione Edu, dall’altro, sarebbe stata possibile una conclusione di tale fase preliminare con un’archiviazione del procedimento, ove, all’esito delle relative verifiche, i fatti segnalati non fossero risultati fondati.

Il che risulterebbe coerente con la disciplina dettata dall’art. 4 della medesima delibera n. 425/01/Cons, che subordina l’avvio dell’azione sanzionatoria a cura del Dipartimento Garanzie e Contenzioso, in caso di segnalazioni non qualificate, all’esame della relazione rassegnata dal Dipartimento Vigilanza e Controllo, nelle altre ipotesi, all’esame della segnalazione direttamente proveniente dalla Polizia Locale, dalla Guardia di Finanza o dagli Ispettorati territoriali del Ministero delle Telecomunicazioni.

La discrezionalità propria del potere sanzionatorio, palesata dalla devoluzione alla giurisdizione di merito del giudice amministrativo della materia delle sanzioni amministrative, inoltre, osterebbe all’applicazione dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/90

2. Nel controdedurre rispetto al motivo di impugnazione, l’Agcom ha rilevato che il Dipartimento vigilanza e controllo non svolgerebbe un filtro di merito, essendo chiamato a rassegnare una relazione al Dipartimento garanzia e contenzioso – atto endoprocedimentale insuscettibile di produrre alcun effetto nella sfera giuridica dell’operatore – relativa esclusivamente alla completezza della segnalazione e alla sussistenza della competenza dell’Autorità, senza anticipare il dialogo con l’operatore nel procedimento sanzionatorio, con conseguente mancata integrazione di una lesione in danno dell’odierno appellante;
l’omissione della relativa fase procedimentale, inoltre, non comportando l’apporto di alcun elemento ulteriore rispetto alla proposta di provvedimento presentata dal Dipartimento garanzie e contenzioso all’organo collegiale, non sarebbe idonea ad influire sulla decisione finale.

Anche il riferimento al potere di archiviazione del Direttore del Dipartimento vigilanza e controllo non sarebbe valorizzabile a sostegno dell’appello, in quanto limitato alle ipotesi di segnalazioni generiche o manifestamente infondate, circostanze nella specie non realizzate, stante anche l’evidente violazione posta in essere dall’emittente consistente nella mancata apposizione del simbolo a tutela dei minori.

3. Il motivo di appello è fondato.

La violazione procedimentale in cui è incorsa l’Autorità è suscettibile di ledere la posizione giuridica dell’odierno appellante, radicandone un interesse alla sua contestazione, sia tenuto conto della natura sanzionatoria del procedimento in esame, suscettibile di concludersi con l’applicazione di una sanzione penale in senso lato, sia in ragione dell’impossibilità di escludere che, ove fosse stata rispettata la scansione procedimentale autoimposta dall’Agcom, il provvedimento finale non avrebbe avuto un contenuto dispositivo diverso da quello in concreto assunto.

4. In primo luogo, si osserva che la delibera censurata in primo grado è stata adottata in violazione di un autovincolo assunto dall’Autorità intimata in relazione alle procedure sanzionatorie di propria competenza.

In particolare, ai sensi dell’art. 3 delibera n. 425/01/Cons (nella formulazione ratione temporis applicabile alla specie), regolante l’impulso al procedimento sanzionatorio, le denunce riferite a presunte violazioni alla normativa di settore sono soggette ad un trattamento giuridico differenziato a seconda che provengano:

- dalla Polizia postale e delle telecomunicazioni, dalla Guardia di Finanza e dagli Ispettorati territoriali del Ministero delle comunicazioni, ovvero:

- dai soggetti interessati, dagli utenti e dalle associazioni o organizzazioni rappresentative dei loro interessi.

Difatti, mentre nel primo caso, ai sensi dell’art. 3, comma 5 bis, delibera n. 425/01/Cons. le segnalazioni devono essere trasmesse al Dipartimento garanzie e contenzioso e recare un contenuto predeterminato dallo stesso atto regolamentare, nel secondo caso, le denunce devono essere inviate al Dipartimento vigilanza e controllo, il quale, “ esperita ogni opportuna ed idonea verifica circa la fondatezza dei fatti segnalati ”, è chiamato a redigere una articolata relazione in merito alle segnalazioni pervenute, trasmettendola, unitamente ai relativi atti, al Dipartimento garanzie e contenzioso.

Lo stesso art. 3, comma 5, della delibera n. 425/01/Cons (pure riprodotto dall’Autorità a pag. 5 della memoria conclusionale) prevede che “ il direttore del Dipartimento vigilanza e controllo dispone l'archiviazione delle denunce generiche o manifestamente infondate. Si considerano generiche le segnalazioni che si limitano ad imputare ad un soggetto fatti non circostanziati o che non contengono elementi tali da consentire l'individuazione del soggetto che si sia reso responsabile dei fatti oggetto della segnalazione. Si considerano manifestamente infondate le segnalazioni relative a fatti che risultano chiaramente non riconducibili alle disposizioni normative di settore ”.

La disciplina autoimposta dall’Autorità prevede, quindi, la necessità che le denunce provenienti da soggetti differenti dalla Polizia postale e delle telecomunicazioni, dalla Guardia di Finanza e dagli Ispettorati territoriali del Ministero delle comunicazioni, vengano inviate al Dipartimento vigilanza e controllo, ai fini di una “verifica” preliminare in ordine alla fondatezza dei fatti segnalati, suscettibile di culminare con l’archiviazione del procedimento – in caso di denunce generiche o manifestamente infondate – ovvero con l’inoltro al Dipartimento garanzie e contenzioso di una relazione articolata sulle segnalazioni pervenute, oltre che degli atti su cui la stessa si fonda.

5. Avuto riguardo al caso di specie, emerge che la delibera impugnata in prime cure è stata assunta all’esito di un procedimento difforme, quanto alla fase preliminare, rispetto a quello autoimposto dall’Autorità, tenuto conto che la denuncia in ordine alla presunta commissione dell’illecito, sebbene fosse stata trasmessa da un soggetto differente da quelli, tassativamente elencati nel comma 5 cit., abilitati ad una diretta interlocuzione con il Dipartimento garanzie e contenzioso, non è stata sottoposta al vaglio preliminare del Dipartimento vigilanza e controllo, come prescritto dall’art. 3, comma 2, delibera n. 452/01 cit., con conseguente pretermissione della fase di verifica parimenti imposta dall’art. 3, comma 3, della medesima delibera.

6. La violazione di una prescrizione autoimposta dall’Amministrazione procedente è idonea a configurare un’invalidità provvedimentale, censurabile in sede giurisdizionale, alla stregua di quanto precisato da questo Consiglio in materia di autovincolo amministrativo.

Difatti, qualora l'Amministrazione, nell'esercizio del proprio potere discrezionale decida di autovincolarsi, stabilendo le regole poste a presidio del futuro espletamento di una determinata potestà, la stessa è tenuta all'osservanza di quelle prescrizioni, con la duplice conseguenza che: a) è impedita la successiva disapplicazione;
b) la violazione dell’autovincolo determina l'illegittimità delle successive determinazioni (Cons. Stato Sez. V Sent., 17/07/2017, n. 3502), salve le sole ipotesi in cui non sia concretamente possibile ottemperare alle prescrizioni autoimposte (Consiglio di Stato, sez. III, 6 novembre 2019, n. 7595 e sez. VI, 9 ottobre 2020, n. 5990).

Ne deriva che, non emergendo e comunque non essendo dedotta nella specie un’impossibilità oggettiva, non imputabile all’Amministrazione procedente, di rispettare le prescrizioni autoimposte - per propria natura non disapplicabili con i successivi atti di esercizio del pubblico potere – una loro inosservanza è idonea ad essere denunciata in sede giurisdizionale, ai fini dell’annullamento del provvedimento illegittimamente (in violazione dell’autovincolo) assunto.

7. Né potrebbe argomentarsi diversamente ritenendo che la disposizione in concreto violata (prescrittiva di una verifica preliminare di competenza del Dipartimento vigilanza e controllo) tendesse a salvaguardare il solo interesse pubblico alla celere definizione del procedimento sanzionatorio, tenuto conto che una tale interpretazione condurrebbe ad una non consentita disapplicazione, in via ermeneutica, di una prescrizione autoimposta dall’Autorità in relazione a procedimenti aventi una indubbia rilevanza esterna, in quanto destinati a concludersi con l’adozione di provvedimenti idonei ad incidere -peraltro, in maniera sacrificativa, discorrendosi di atti sanzionatori- sull’altrui sfera giuridica.

8. Non potrebbe neanche essere valorizzata l’inidoneità della prescrizione in concreto violata ad influire sui diritti difensivi della parte cui è ascritto il presunto illecito, dovendosi, invece, ritenere, alla stregua della disciplina regolamentare dettata dalla delibera n. 425/01/Cons, che l’operatore sottoposto ad accertamento sia titolare di un interesse attuale e concreto ad agire in giudizio, per denunciare l’omesso svolgimento della verifica preliminare di competenza del Dipartimento vigilanza e controllo.

Come precisato da questo Consiglio, l’interesse ad agire si collega ad una lesione attuale e concreta della posizione giuridica del ricorrente derivante dal provvedimento impugnato in giudizio, individuandosi, in particolare, “ nel vantaggio che il ricorrente può conseguire per effetto dell’accoglimento del ricorso, e consiste nella “concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto ” (Consiglio di Stato, sez. V, 12 maggio 2020, n. 2969).

Avuto riguardo al caso di specie, l’osservanza della prescrizione autoimposta avrebbe potuto procurare all’operatore un’utilità concreta, rappresentata dall’archiviazione del procedimento o comunque dall’acquisizione di elementi istruttori idonei ad influire sul procedimento sanzionatorio in senso a sé favorevole;
con conseguente sussistenza dell’interesse a contestare la violazione dell’autovincolo amministrativo discendente dal modus procedendi osservato dall’Autorità per pervenire all’adozione del provvedimento impugnato in prime cure.

9. Acclarata la cogenza dell’autovincolo, insuscettibile di disapplicazione, ravvisata la violazione delle prescrizioni autoimposte dall’Autorità procedente, nonché rilevata l’idoneità di tale inosservanza ad influire sulla sfera giuridica dell’operatore sottoposto ad accertamento - per effetto della pretermissione di una fase procedimentale suscettibile di concludersi con l’archiviazione del procedimento e, quindi, con l’adozione di un provvedimento favorevole per il soggetto denunciato-, occorre verificare se osti all’annullamento della delibera sanzionatoria impugnata in prime cure la previsione di cui all’art. 21 octies , comma 2, L. n. 241/90.

In particolare, occorre accertare se, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Nella specie, l’inosservanza procedimentale ha riguardato l’attività del Dipartimento Vigilanza e Controllo, ragion per cui occorre verificare se sia palese che lo svolgimento della verifica preliminare pretermessa non avrebbe comunque potuto influire sul contenuto dispositivo del provvedimento sanzionatorio.

Al riguardo, giova rilevare che, diversamente da quanto dedotto dall’Autorità, l’attività procedimentale di competenza del Direttore del Dipartimento Vigilanza e Controllo non trova la sua giustificazione nella sola esigenza di evitare che il Dipartimento garanzie e contenzioso, unico soggetto preposto all’apertura dei procedimenti sanzionatori, si attivi in presenza di segnalazioni generiche o estranee al perimetro di competenze dell’Autorità, bensì risponde anche all’esigenza di svolgere un’attività istruttoria preliminare, onde fornire elementi conoscitivi utili per orientare l’esercizio del potere sanzionatorio.

Il Dipartimento Vigilanza e Controllo, infatti, è chiamato non soltanto a valutare la genericità o la manifesta infondatezza delle denunce, ai fini dell’archiviazione del procedimento, ma anche a svolgere “ ogni opportuna ed idonea verifica circa la fondatezza dei fatti segnalati ”, redigendo “ articolata relazione in merito ” e trasmettendola “ unitamente ai relativi atti, al Dipartimento garanzie e contenzioso ”.

Se la ratio giustificatrice della fase procedimentale di competenza del Dipartimento vigilanza e controllo fosse stata soltanto quella di evitare un inutile dispendio di risorse organizzative a fronte di denunce manifestamente infondate o inammissibili, l’Autorità avrebbe potuto ben limitare il vaglio preliminare del relativo Dipartimento ad una verifica cartolare della documentazione pervenuta, onde pervenire, in caso di denunce manifestamente infondate o generiche, alla loro archiviazione, in caso contrario, alla loro trasmissione al Dipartimento Garanzie e Contenzioso ai fini del seguito di competenza.

Difatti, la verifica dei presupposti per l’archiviazione, regolati dall’art. 3, comma 5, delibera n. 452/01/Cons, è possibile sulla base di un mero esame del documento recante la denuncia del presunto illecito, in quanto:

- la genericità della segnalazione si traduce, per espressa previsione regolamentare nell’imputazione “ ad un soggetto fatti non circostanziati o che non contengono elementi tali da consentire l'individuazione del soggetto che si sia reso responsabile dei fatti oggetto della segnalazione ”;
il che è verificabile dal mero esame del contenuto della denuncia, dovendo svolgersi tenuto conto dell’ “imputazione” in essa recata e, quindi, delle dichiarazioni rese dal denunciante;

- la manifesta infondatezza della denuncia concerne la sussunzione del fatto sotto le pertinenti “ disposizioni normative di settore ”, avendo riguardo, dunque alla sussunzione di quanto dichiarato a quanto previsto dalla fattispecie sanzionatoria;
verifica ancora una volta suscettibile di essere condotta sulla base delle dichiarazioni rese dal denunciante.

In sede di autovincolo, tuttavia, l’Autorità ha ritenuto necessario demandare al Dipartimento Vigilanza e Controllo non soltanto tale verifica cartolare sulla documentazione acquisita dal denunciante, ma anche lo svolgimento di una verifica sul contesto in cui si sono svolti i fatti oggetto di denuncia, onde acquisire elementi istruttori, anche in ipotesi favorevoli al denunciato, suscettibili di orientare l’azione del Dipartimento Garanzie e Contenzioso.

In particolare, la disposizione regolamentare richiede al Dipartimento de quo di svolgere ogni verifica ritenuta “ opportuna ed idonea ” sulla fondatezza dei fatti segnalati, riconoscendo un potere istruttorio non vincolato quanto alle modalità e agli ambiti oggetto di verifica, culminante con la redazione di una “ articolata relazione ”, munita dei documenti giustificativi, sulla cui base il Dipartimento Vigilanza e Controllo è chiamato ad assumere le determinazioni di propria competenza.

Difatti, l’art. 4 della delibera n. 452/01/Cons, per l’ipotesi in cui la denuncia non promani dalla Polizia postale e delle telecomunicazioni, dalla Guardia di Finanza o dagli Ispettorati territoriali del Ministero delle comunicazioni, non consente al direttore del Dipartimento garanzie e contenzioso di decidere in ordine all’avvio o all’archiviazione del procedimento sanzionatorio sulla base della sola denuncia, bensì richiede che le relative determinazioni vengano assunte “ esaminata la relazione e gli atti trasmessi ai sensi dell’art. 3, comma 3 ” cit..

Alla stregua delle previsioni dettata dalla delibera n. 452/01/Cons emerge, dunque, che la stessa Agcom ha ritenuto essenziale, ai fini dell’avvio del procedimento sanzionatorio, lo svolgimento di una verifica preliminare a cura di soggetti tecnicamente qualificati, espressamente individuati dall’atto di autovincolo (Polizia postale e delle telecomunicazioni, Guardia di Finanza, Ispettorati territoriali del Ministero delle comunicazioni e Dipartimento vigilanza e controllo), in possesso delle competenze necessarie per ricostruire il contesto giuridico-fattuale in cui si inserisce la violazione denunciata, fornendo elementi istruttori essenziali per l’adozione delle determinazioni di competenza del Dipartimento garanzie e contenzioso;
che – si ripete – può procedere soltanto sulla base della relazione rassegnata dal Dipartimento vigilanza e controllo o delle segnalazioni trasmesse dagli organismi pubblici elencati al comma 5 bis, dell’art. 3 cit.

Tale attività istruttoria preliminare, peraltro, ben può condurre all’acquisizione di elementi a discarico dell’operatore denunciato, come desumibile:

- sia dal principio di imparzialità dell’azione amministrativa - che impone all’organo procedente di non sacrificare ingiustificatamente la posizione giuridica dei soggetti coinvolti nell’esercizio del pubblico potere, non ammettendosi l’irrogazione di una sanzione nei confronti di chi non abbia effettivamente tenuto una condotta inottemperante–;

- sia dallo stesso dato regolamentare, che prevede l’archiviazione del procedimento, qualora dalla relazione e dagli atti trasmessi dal Dipartimento vigilanza e controllo o dalle autorità elencate al comma 5 bis, dell’art. 3 cit. non emergano fatti integranti violazioni alle disposizioni di settore.

Alla stregua della disciplina regolamentare dettata dall’Autorità, non è, dunque, possibile ritenere palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato in prime cure non sarebbe stato diverso da quello in concreto adottato, ove fosse stata assicurata la verifica preliminare di competenza del Dipartimento vigilanza e controllo, tenuto conto che, pretermettendo tale essenziale fase istruttoria, il Dipartimento garanzie e contenzioso ha assunto le proprie determinazioni sulla base di una mera denuncia, senza acquisire i prescritti elementi istruttori, che ben avrebbero potuto condizionare in senso favorevole all’operatore sotto accertamento l’esito del procedimento.

10. Il che rileva, in misura particolare, nel caso di specie, in cui si fa questione di un procedimento avente natura afflittiva, suscettibile di concludersi con l’irrogazione di una sanzione penale in senso lato;
in relazione al quale risulta essenziale il rispetto delle garanzie procedimentali previste in favore della parte sottoposta ad accertamento.

In subiecta materia , questo Consiglio ha precisato che “ L’art. 6 CEDU prevede che, per aversi equo processo, “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge”. Come è noto, questa disposizione si applica anche in presenza di sanzioni amministrative di natura afflittiva, alle quali deve essere riconosciuta natura sostanzialmente penale. La Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri al fine di stabilire la natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione. In particolare, sono stati individuati tre criteri, costituiti: i) dalla qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, con la puntualizzazione che la stessa non è vincolante quando si accerta la valenza “intrinsecamente penale” della misura;
ii) dalla natura dell’illecito, desunta dall’ambito di applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito;
iii) dal grado di severità della sanzione (ex plurimis, sentenze 4 marzo 2014, r. n. 18640/10, nella causa Grande Stevens e altri c. Italia;
10 febbraio 2009, ric. n. 1439/03, resa nella causa Zolotoukhine c. Russia), che è determinato con riguardo alla pena massima prevista dalla legge applicabile e non di quella concretamente applicata. All’interno della più ampia categoria di accusa penale così ricostruita, la giurisprudenza della Corte EDU ha distino tra un diritto penale in senso stretto (“hard core of criminal law”) e casi non strettamente appartenenti alle categorie tradizionali del diritto penale.

Al di fuori del c.d. hard core, le garanzie offerte dal profilo penale non devono necessariamente essere applicate in tutto il loro rigore, in particolare qualora l’accusa all’origine del procedimento amministrativo non comporti un significativo grado di stigma nei confronti dell’accusato. La pragmaticità dell’approccio della Corte europea dei diritti dell’uomo ha dunque portato quest’ultima a riconoscere che non tutte le prescrizioni di cui all’art. 6, par. 1, CEDU devono essere necessariamente realizzate nella fase procedimentale amministrativa, potendo esse, almeno nel caso delle sanzioni non rientranti nel nocciolo duro della funzione penale, collocarsi nella successiva ed eventuale fase giurisdizionale (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo 23 novembre 2006, caso n. 73053/01, Jussila c. Finlandia). È, pertanto, ritenuto compatibile con l’art. 6, par. 1, della Convenzione che sanzioni penali siano imposte in prima istanza da un organo amministrativo – anche a conclusione di una procedura priva di carattere quasi giudiziale o quasi-judicial, vale a dire che non offra garanzie procedurali piene di effettività del contraddittorio – purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinnanzi ad un giudice munito di poteri di “piena giurisdizione”, e, quindi, le garanzie previste dalla disposizione in questione possano attuarsi compiutamente quanto meno in sede giurisdizionale (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 marzo 2016, n. 1164;
Sez. VI, 26 marzo 2015 n. 1595 e n. 1596)
” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 luglio 2018, n. 4211 e 12 febbraio 2020, n. 1047).

Avuto riguardo al caso di specie, la sanzione irrogata dall’Autorità appellata e impugnata in prime cure, in ragione dei criteri di identificazione elaborati dalla giurisprudenza convenzionale e sopra esposti -e, in particolare, della natura della norma, posta a tutela di beni giuridici (tutela del corretto sviluppo psichico del pubblico minorenne) di interesse superindividuale, del grado di severità della stessa e della sua funzione punitiva e deterrente-, deve ritenersi connotata da una natura afflittiva e “sostanzialmente” penale.

Al riguardo, sebbene le garanzie imposte dall’art. 6 CEDU debbano ritenersi rispettate nel presente giudizio di “piena giurisdizione” - dovendosi, dunque, dare continuità al consolidato indirizzo giurisprudenziale accolto da questo Consiglio e supra richiamato-, qualora la normativa di settore preveda già in sede sostanziale garanzie procedimentali rafforzate (anche) in favore della parte sottoposta ad accertamento, regolando lo svolgimento di attività deputate alla raccolta di elementi istruttori –come supra osservato, ove esistenti, anche favorevoli all’operatore sottoposto a verifica – idonei ad una compiuta ricostruzione del contesto in cui si inserisce la condotta denunciata e rilevanti ai fini delle conseguenti determinazioni all’uopo da assumere, l’inosservanza delle relative disposizioni non può essere ritenuta irrilevante, essendo, comunque, idonea a tradursi in un vulnus alle garanzie del giusto procedimento, per come declinate dalla normativa di riferimento, suscettibili di acquistare particolare significato proprio con riferimento ai procedimenti sanzionatori di competenza delle c.d. Autorità amministrative indipendenti (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 26 marzo 2015, n. 1596).

11. Ne deriva che non sussistono nella specie le condizioni per escludere l’annullabilità del provvedimento impugnato in prime cure ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241 del 1990.

In particolare, non è possibile ritenere che la prescritta verifica di competenza del Dipartimento vigilanza e controllo, nella specie totalmente pretermessa, non avrebbe apportato elementi istruttori suscettibili di apprezzamento favorevole all’operatore economico, potenzialmente idonei ad indurre il Dipartimento garanzie e contenzioso ad archiviare il procedimento o comunque a diversamente considerare la condotta della Rai in sede di proposta di provvedimento da rassegnare all’organo collegiale titolare della potestà sanzionatoria.

Né può diversamente argomentarsi sulla base dell’impossibilità di configurare una lesione dei diritti di partecipazione procedimentale in danno dell’odierno appellante, in quanto non abilitato a prendere parte alle verifiche spettanti al Dipartimento vigilanza e controllo: nella specie, come osservato, non si fa questione dell’inutilità dell’apporto partecipativo del privato, bensì del corretto svolgimento e della completezza dell’istruttoria che l’Amministrazione è chiamata a garantire nell’esercizio del potere sanzionatorio, mediante l’espletamento delle verifiche prescritte dalla pertinente normativa di settore, volte, anche a garanzia dell’operatore sotto accertamento – la cui posizione deve essere correttamene vagliata, a prescindere dal compiuto svolgimento della partecipazione procedimentale in funzione difensiva - ad una compiuta ricostruzione del contesto giuridico fattuale di riferimento, essenziale per la legittima adozione delle conseguenti determinazioni amministrative.

12. L’accoglimento del primo motivo di appello, determinando la riforma della sentenza appellata e l’integrale annullamento del provvedimento sanzionatorio impugnato in prime cure, è idonea a realizzare pienamente l’interesse sostanziale sotteso al ricorso, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi di censura.

13. La novità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.

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