Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-05-23, n. 202204092

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-05-23, n. 202204092
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202204092
Data del deposito : 23 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/05/2022

N. 04092/2022REG.PROV.COLL.

N. 01859/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1859 del 2018, proposto dai signori G A, A A, L A, C C, E C, Angelo D’Agostino, Enzo D’Artibale, C D O, P D G, N F, S G, V I, R L, F L R, A L, R M, M M, Davide Malagrino', P M, D M, G M, A M, F M, S M, A S M, D N, N N, M N, A O, E P, A P, M Q, C S, I S, M S, M S, A T, M V, A V e L V, rappresentati e difesi dagli avvocati Marco Valerio Santonocito, Alberto Polini e Laura Angelisanti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Alberto Polini in Roma, via Etruria 65,

contro

la Cri - Croce Rossa Italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 09834/2017, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Cri - Croce Rossa Italiana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 aprile 2022 il Cons. S F;

udito l’avv. Laura Angelisanti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’originario ricorso al TAR, proposto nei confronti della Croce Rossa Italiana (di seguito “CRI”), gli attuali appellanti, rispettivamente inquadrati nel ruolo del Corpo Militare della CRI con diversi gradi di Maresciallo, avevano chiesto l’annullamento dell’ordinanza commissariale n. 394/2012 del 22.8.2012 (oltre che dei distinti provvedimenti individuali, emessi nei loro confronti tra il 4 gennaio 2013 e il 4 febbraio 2013), con cui il Corpo di appartenenza, in esecuzione della predetta ordinanza commissariale, aveva costituito in mora ciascuno dei ricorrenti ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. per ottenere la restituzione di somme indebitamente ricevute a titolo stipendiale, rendendo nota, nel contempo, la nuova anzianità nel grado conseguente alla menzionata ordinanza n. 394/2012 e al reinquadramento giuridico ed economico, disposto nei confronti di ciascuno di loro.

La citata ordinanza commissariale n. 394 del 22.8.2012 aveva disposto l’annullamento delle Ordinanze Commissariali (di seguito “OO.CC.”) n. 470 del 17.3.2003 e n. 227 del 4.5.2005 e, conseguentemente, delle “promozioni del personale di Assistenza del Corpo Militare della C.R.I. effettuate in forza di tali ordinanze” e, per l’effetto, aveva disposto “il contestuale reinquadramento giuridico del personale militare che ha beneficiato degli avanzamenti di grado in eccesso rispetto ai posti disponibili, così come creatisi con l’applicazione delle suddette OO.CC. 470/2003 e 227/2005, sulla base del grado e dell’anzianità posseduti anteriormente alla emanazione delle stesse e tenendo conto dei posti disponibili creatisi a seguito dell’O.C. n. 226 del 2009”. Le procedure di reinquadramento giuridico di cui sopra erano state demandate all’Ispettorato Nazionale del Corpo Militare, per il tramite dei competenti Centri di Mobilitazione. Il provvedimento stabiliva inoltre che il Servizio Trattamento Economico era tenuto a procedere al reinquadramento economico del personale oggetto del reinquadramento giuridico ed al ricalcolo delle somme da ripetere per effetto delle singole promozioni conferite.

La vicenda veniva ricostruita dal TAR nei termini che seguono.

La C.R.I., a seguito dei rilievi contenuti nella relazione elaborata dal Servizio Ispettivo del MEF all’esito di una prolungata attività ispettiva e in esecuzione della menzionata ordinanza commissariale n. 394/2012, annullava d’ufficio tutte le promozioni (ivi compresa quelle di pertinenza dei ricorrenti), a suo tempo disposte dall’Ente in forza delle Ordinanze Commissariali n. 470 del 17.03.2003 e n. 227 del 4.5.2005, relative al personale di assistenza del Corpo Militare della C.R.I. per i quadri di avanzamento 1994-1995. In particolare, con l’O.C. n. 470 del 17.3.2003 – nonostante l’assenza di posti disponibili in organico per i tre gradi di Maresciallo (“ordinario”, “capo” e “maggiore”) – si diede esecuzione in via straordinaria e retroattiva alle promozioni del personale militare di assistenza in servizio continuativo, giudicato “idoneo al grado superiore e non promosso”, nell’ambito dei quadri di avanzamento del biennio 1994-1995. La successiva O.C. n. 1383 del 17.7.2003 determinava di procedere ai conseguenti adeguamenti stipendiali, per il personale di assistenza promosso al grado superiore di nei tre gradi di “Maresciallo”, corrispondendo ad esso le competenze economiche arretrate, limitatamente alla sorte capitale, condizionando tuttavia la corresponsione degli importi alla sottoscrizione, da parte di ciascun militare avente titolo, di apposito atto di transazione, con rinuncia ad ogni azione.

Come visto l’O.C. n. 394/12, nell’annullare le citate ordinanze del 2003 e del 2005, ha disposto il contestuale reinquadramento giuridico del personale militare interessato, sulla base del grado e dell’anzianità posseduti prima delle citate ordinanze commissariali di promozione, prevedendo che, successivamente, il “Servizio Trattamento Economico” avrebbe dovuto procedere al “reinquadramento economico” e al ricalcolo delle somme da ripetere dai destinatari delle “illegittime promozioni conferite”. Per quanto precede si è prodotta una notevole postdatazione (diversificata, ovviamente, in funzione dell’anzianità di servizio e del grado rispettivamente ricoperto da ciascun interessato) della data di decorrenza degli effetti della promozione al grado superiore e dei connessi effetti economici (per effetto dei provvedimenti impugnati, il trattamento stipendiale da Maresciallo Capo, ad es., si deve riferire, come data di inizio di decorrenza, al 1 gennaio 2000 e non più al luglio 1994).

I fatti all’odierno esame richiedono alcune ulteriori precisazioni ricostruttive con riguardo alla più generale vicenda in cui l’odierna controversia va ad inquadrarsi.

L’Ispettorato Nazionale del Corpo Militare della CRI, con le note prot. IS-CRI/15867/PERS dell’8.7.1994 e prot. IS-CRI/28467/PERS del 16.12.1994, comunicava l’apertura dei quadri di avanzamento del personale di assistenza ai diversi gradi di Maresciallo con riferimento agli anni 1994-1995. Tuttavia, il personale chiamato ad espletare le prove selettive per l’avanzamento di carriera veniva valutato con il giudizio di “idoneo e non promosso”, attesa l’indisponibilità di posti vacanti in organico. Il Co.Ce.R. del Corpo militare, con delibera n. 47 in data 28 novembre 2002, a seguito del contenzioso che le mancate promozioni aveva ingenerato, deliberava l’istituzione di un “Gruppo di lavoro” che avrebbe dovuto relazionare in ordine alle “problematiche relative alle promozioni del personale militare idoneo al grado superiore e non ancora promosso del QA 1994/1995”. In particolare la “soluzione proposta” dal Gruppo di lavoro fu la seguente: “A titolo di sanatoria della abnorme situazione, si propone il riconoscimento dell’avvenuta promozione, con relativo inquadramento e pagamento delle competenze. Si sottolinea che l’iter procedurale è stato portato a termine da parte dell’Amministrazione con l’approvazione definitiva dei giudizi da parte del Presidente generale”.

In data 17.03.2003, il Commissario Straordinario p.t. adottava, pertanto, la precitata O.C. n. 470/2003, con la quale disponeva una serie di avanzamenti di grado, con decorrenza retroattiva a partire dal 1994, e relativo adeguamento stipendiale, anch’esso retroattivo (competenze ed arretrati connessi), nei confronti del personale di assistenza promosso al grado superiore nei tre gradi di Maresciallo (come da successiva ordinanza n. 1383 del 17.07.2003).

Successivamente, nel periodo compreso tra febbraio e giugno del 2008, il Dirigente dei Servizi Ispettivi di finanza pubblica (S.I.Fi.P.) disponeva un’approfondita ispezione amministrativo-contabile, la quale si concludeva con la redazione di una dettagliata relazione da cui emergeva l’illegittimità dei provvedimenti di promozione disposti sulla base dell’O.C. n. 470/2003, in quanto le vacanze nei gradi di Maresciallo si erano verificate soltanto a partire dai quadri di avanzamento 2000-2001 e non dai quadri 1994-1995.

Per tale ragione, il Commissario Straordinario della C.R.I. ha adottato l’ordinanza nr. 394 del 2012 (di cui si discute), con cui ha annullato la precedente ordinanza nr. 470/2003 e, conseguentemente, le promozioni con decorrenza retroattiva del personale di assistenza del Corpo Militare della C.R.I. effettuate in forza di essa;
contestualmente si è proceduto a reinquadrare giuridicamente il personale militare in questione, ripristinando il precedente inquadramento economico con ricalcolo delle somme da ripetere per effetto delle illegittime promozioni attribuite.

Il ricorso al TAR veniva affidato ai seguenti motivi:

- prescrizione dei crediti restitutori vantati dalla Croce Rossa Italiana;
le somme corrisposte in favore dei ricorrenti si riferiscono agli anni dal 1994 al 2002 mentre i provvedimenti di recupero impugnati in questa sede sono stati emessi nel mese di gennaio e febbraio 2013, quando era ormai decorso il termine decennale di prescrizione ordinaria rispetto alle somme pretese in restituzione dall’Amministrazione;

- contraddittorietà rispetto a precedenti giurisprudenziali in ordine al recupero delle somme al lordo e non al netto: le somme al lordo (comprensive cioè delle ritenute fiscali) non sono mai entrate nella loro interezza nella sfera patrimoniale dei ricorrenti e quindi le somme corrispondenti alla ritenute fiscali non possono oggi essere ripetute;
il rimborso delle somme trattenute alla fonte e versate all’erario dall’Amministrazione nella sua qualità “sostituto di imposta” potrà semmai essere da essa richiesto direttamente al Fisco ai sensi dell’art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973;

- i provvedimenti impugnati sembrano sorretti soltanto da ragioni di “mero rispristino della legalità violata” senza tener conto che il provvedimento di ritiro di una precedente determinazione amministrativa deve basarsi, altresì, su esigenze connesse all’interesse pubblico in termini concreti e attuali e, soprattutto, non può prescindere da una adeguata ed attenta considerazione degli affidamenti ingenerati nei destinatari del provvedimento di primo grado;
si lamenta inoltre una grave carenza istruttoria relativa all’ispezione del SIFIP - Servizio Ispettivo di Finanza Pubblica- del MEF su cui l’ordinanza commissariale n. 394/2012 fonda la sua stessa motivazione, atteso che l’Amministrazione non sarebbe stata in grado di indicare quali e quanti documenti sarebbero stati esaminati dal SIFIP al fine di poter avere un quadro completo della complessiva situazione;
la C.R.I., inoltre, non avrebbe dato conto del motivo per cui nelle tabelle organiche dei quadri di avanzamento del 1994 è stata riportata la dicitura “fino a copertura delle vacanze organiche” dei tre gradi di maresciallo in deroga all’art. 89 R.D. cit.;

- eccesso di potere per errore sul presupposto e difetto di congrua istruttoria: i ricorrenti hanno depositato il documento denominato “appunto per il Commissario Straordinario CRI” del 18.8.2012 sottoscritto dall’allora Capo Dipartimento RUO e dall’allora Ispettore nazionale generale nel quale si esprimevano critiche e riserve sulla ordinanza che il Commissario Straordinario si accingeva ad adottare con particolare riguardo ai seguenti profili: possibilità che venissero riaperti i quadri di avanzamento 96/97 e 98/99 non attivati per mancanza di posti, con possibilità degli interessati di essere comunque riportati al grado posseduto all’atto dell’apertura dei quadri di avanzamento 94-95;
mancanza di puntuali fondamenti normativi idonei a legittimare la revoca dei gradi militari per motivi diversi da quelli espressamente previsti (riconducibili a ragioni di carattere penale ovvero disciplinare);
prospettiva di un notevole contenzioso con ripercussioni negative per l’Ente;
in aggiunta a quanto precede i ricorrenti lamentavano la lesione dell’affidamento, avendo ricevuto in buona fede gli emolumenti oggi chiesti in restituzione dall’Ente;
i ricorrenti deducevano altresì che, in occasione del recupero, doveva comunque essere garantita al prestatore d’opera una retribuzione idonea ad assicurare allo stesso e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa ai sensi dell’art. 36 Cost.;

- violazione della Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica del 17.10.2005: l’Ente resistente, con l’annullamento “ex officio” adottato avrebbe violato il principio di proporzionalità come declinato e specificato nella menzionata Direttiva, che imponeva alla C.R.I. di non comprimere le situazioni giuridiche soggettive dei privati se non in caso di stretta necessità ovvero di indispensabilità;

- violazione dell’art. 21 nonies Legge n. 241 del 1990;
violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost. e dell’art. 2126 cod. civ.: l’ordinanza commissariale impugnata non rispetterebbe il requisito dell’adozione dell’atto di annullamento entro un congruo termine;
inoltre i marescialli ricorrenti hanno effettivamente svolto il lavoro ad essi assegnato nella loro rispettiva qualifica e, ai sensi dell’art. 2126 cod. civ., il lavoratore ha comunque diritto al compenso per i lavori effettivamente svolti.

Si è costituiva in giudizio la Croce Rossa Italiana la quale resisteva al ricorso depositando diffusa relazione con allegazione di documenti.

Il TAR respingeva la domanda cautelare di sospensiva che veniva invece accolta dal Consiglio di Stato investito dell’appello cautelare.

Con la sentenza ora impugnata il TAR respingeva il ricorso osservando che con l’O.C. n. 394 del 22.8.2012 la C.R.I. aveva inteso annullare in autotutela le ordinanze commissariali n. 470 del 17.3.2003 e n. 227 del 4.5.2005 e, conseguentemente, le promozioni effettuate in forza di tali ordinanze, in via retroattiva, a beneficio dei numerosi sottoufficiali inquadrati nel Corpo militare CRI che, avendo partecipato al quadro di avanzamento 1994/1995, si trovavano da alcuni anni nella posizione di “idonei non promossi”.

Nella citata O.C. n. 470 del 17 marzo 2003 – dalla quale sono derivate le promozioni in via straordinaria e retroattiva dei ricorrenti ai diversi gradi di Maresciallo di rispettiva spettanza (v. all. 5 alla Relazione difensiva CRI) - si legge che: “Tenuto conto delle proposte contenute nella relazione conclusiva formulata dal Gruppo di lavoro istituito dall’Ispettore Nazionale del Corpo Militare CRI con nota n. 152/02 del 2.12.2002, approvate dal Cocer/Cri con Delibera n. 48 del 17.12.2002”, il Vice Commissario pro-tempore della CRI determina “di dare esecuzione, in via straordinaria, alle promozioni del personale di assistenza in servizio continuativo giudicato idoneo al grado superiore e non promosso relativamente ai Q.A. 1994-1995”.

Nel corso del medesimo anno 2003 lo stesso organo di vertice della CRI adottava, conseguentemente, tre Ordinanze Commissariali – recanti i numeri 1382, 1383 e 1384 – con le quali decideva di corrispondere al personale del Corpo Militare alcuni adeguamenti stipendiali arretrati e competenze economiche previa sottoscrizione di appositi atti di transazione. In particolare, per quanto di interesse in questa sede, con l’O.C. n. 1383/2003 venivano disposti gli adeguamenti stipendiali del personale militare di assistenza promosso al grado superiore (nei tre gradi di Maresciallo): in questo ambito ottenevano l’adeguamento stipendiale connesso al grado assunto anche gli odierni ricorrenti.

Tuttavia, come sopra esposto, nel febbraio 2008, il Servizio Ispettivo di Finanza Pubblica avviava un’ispezione amministrativa presso l’Ispettorato Nazionale del Corpo Militare CRI, dalla quale emergevano irregolarità nella gestione del Corpo e, in particolare, proprio nella gestione del trattamento economico sotto il profilo della illegittimità della prassi generalizzata di riconoscere al personale promosso il grado superiore e il trattamento economico connesso, con decorrenza retroattiva.

D’altra parte, così come risulta dalla documentazione allegata dalla CRI alla propria relazione difensiva in atti, in data 8 agosto 2008, dopo una verifica protrattasi per circa quattro mesi, veniva redatta dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato la relazione sulla verifica amministrativo-contabile nella quale il S.I.Fi.P. rilevava l’illegittimità dell’O.C. n. 470 del 17 marzo 2003. Si legge, in particolare, al paragrafo 6.9.2 della citata Relazione ispettiva che “ A seguito dell’ordinanza commissariale (O.C. n. 470/2003) i Centri di mobilitazione hanno adottato i relativi brevetti indicando e riconoscendo quale data di anzianità assoluta nel grado il 1994 o il 1995 invece che gli anni 2000-2001 in cui i posti di Maresciallo (…) presentavano disponibilità (…). La soluzione adottata è palesemente illegittima in quanto:

- la promozione del militare può avvenire solo laddove vi siano posti disponibili nel grado a cui aspira;

- il provvedimento con cui il militare è riconosciuto idoneo ma non promosso per mancanza di posti disponibili è stato riconosciuto legittimo dal Presidente della Repubblica avanti il quale sono stati proposti diversi ricorsi straordinari. (…) Al personale promosso a seguito dell’ordinanza commissariale 470/2003 l’anzianità assoluta del nuovo grado è stata riconosciuta illegittimamente. (…) L’illegittimità dei provvedimenti di promozione in esame ha ovviamente completamente alterato l’ordine di anzianità del personale di assistenza: i promossi a seguito dell’O.C. 470/2003 hanno quindi finito per beneficiare di avanzamenti 5-6 anni prima del dovuto con grave pregiudizio a tutto il personale. (…) Appare quindi necessario che l’Ente proceda a ristabilire la corretta anzianità assoluta per i militari del personale di assistenza promosso a seguito dell’O.C. 470/2003 procedendo al recupero delle somme illegittimamente percepite dai militari a seguito dell’illegittimo riconoscimento del grado” .

Il TAR richiamava plurime pronunce, anche recenti, in cui sono state affrontate fattispecie in tutto analoghe alla presente (v. TAR Lazio, sez. III, 26 giugno 2017, n. 7394;
id. 12 aprile 2017 n. 4488;
id. 6 aprile 2017, n. 4267), secondo le quali non è dubbio che il Ministero dell’Economia e Finanze, tramite il proprio Servizio Ispettivo di Finanza Pubblica, ha rilevato:

- l’illegittimità della prassi adottata per l’attribuzione della “decorrenza assegni”;

- l’illegittimità dell’O.C. n. 470/2003 (oggetto dell’annullamento “ex officio” qui impugnato);

- l’illegittimità delle transazioni poste in essere con le OO.CC. 1382, 1383 e 1384 del 17 luglio 2003.

Invero, la chiara previsione normativa contenuta nel comma 2 dell’art. 89 del R.D. 10 febbraio 1936, n. 484 dispone che “non possono aver luogo promozioni nel personale di assistenza del ruolo normale se non vi siano posti vacanti nei ruoli organici nei singoli gradi”.

E, a fronte di quanto riferito dall’Ente resistente in ordine alla indisponibilità di posti nel ruolo di riferimento fino al primo gennaio del 2000, nessuna dimostrazione contraria era stata offerta dai ricorrenti. In altri termini, le promozioni di grado risultavano disposte in assenza di posti in organico, in contrasto perciò con quanto disposto dal R.D. 10 febbraio 1936, n. 484, con conseguente depauperamento patrimoniale dell’Ente non altrimenti sanabile.

Sulla base di tali circostanze appariva evidente come l’O.C. n. 349/2012 di annullamento della O.C. n. 470/2003, si sia imposta quale “atto dovuto” al fine di eliminare la rilevata situazione di illegittimità.

Il fondamento giuridico della corresponsione ai militari delle somme arretrate veniva poi individuato non già nei singoli atti di transazione stipulati con gli interessati, ma nei provvedimenti amministrativi autorizzativi delle transazioni stesse, che di questi costituivano il necessario presupposto e che ben potevano essere annullati in autotutela dall’Amministrazione allorchè illegittimamente emanati (in tal senso di richiamava TAR Lazio, sez. III quater, 30 novembre 2015, n. 13484).

Venivano altresì condivise le argomentazioni contenute nel parere del Consiglio di Stato, sez. II, n. 2301/2016 nonché nelle sentenze del TAR Toscana, sez. I, nn. 1614, 1615, 1616, 1617, 1618 del 1° dicembre 2015;
in dette pronunce venivano respinte le censure rivolte contro l’ordinanza presidenziale n. 336/2008 (anch’essa adottata in ragione della ritenuta illegittimità delle promozioni retroattive risalenti al 2003) che aveva annullato in autotutela le ordinanze commissariali nn. 1382, 1383 e 1384 del luglio 2003 e le transazioni che ne erano scaturite;
come chiarito in quei precedenti, tali transazioni erano da considerare invalide (recte: nulle) in quanto concluse in violazione dell’art. 1965 (per assenza di “res dubia”) e dell’art. 2113, comma primo, c.c. (secondo cui “Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide”) e, pertanto, non era necessario alcun adempimento ulteriore con riferimento a tali negozi in quanto il vizio genetico di cui erano affetti consentiva all’autorità che ha adottato l’OP n. 336/2008 di limitarsi a prendere atto di tale circostanza, non necessitando di alcun accertamento di carattere costitutivo.

Venivano anche considerati precedenti giurisprudenziali di segno contrario (ad es. T.A.R. Campania, Napoli, VII, 12.12.2007, n. 16222), secondo i quali il recupero non costituirebbe un atto in assoluto vincolato (trattandosi, nella sostanza, di un atto di autotutela che dovrebbe, pertanto, tener conto del “peso” del recupero sulla situazione concreta, dell’affidamento ingenerato nel dipendente, nonché dello stato di buona fede dello stesso, attesa la natura discrezionale puntualizzata dallo stesso art. 21-nonies, comma 1, della Legge n. 241/1990;
in tal senso, Cons. Stato, VI, 28.6.2007, n. 3773;
V, 13.7.2006, n. 4413;
15.10.2003, n. 6291).

Tuttavia il TAR aderiva all’indirizzo giurisprudenziale ritenuto prevalente, secondo cui è legittimo il recupero delle somme che non tiene conto della buona fede del percipiente e considera il recupero stesso come un atto dovuto non rinunziabile, espressione di una funzione pubblica vincolata (ex multis, oltre a quelle già citate, TAR Lazio, III, 10 marzo 2015, n. 3929;
id. 10 marzo 2015, n. 3934;
Cons. Stato, IV, 24.5.2007, n. 2651;
12.5.2006, n. 2679;
22.9.2005, nn. 4964 e n. 4983;
T.A.R. Toscana, I, 8.11.2004, n. 5465;
T.A.R. Sicilia, Catania, II, 12.8.2003, n. 1272;
T.A.R. Lazio, Latina, 11.2.1993, n. 143). In capo all’Amministrazione che abbia effettuato un pagamento indebitamente dovuto ad un proprio dipendente si riconosce, perciò, una posizione soggettiva, da qualificare come di “diritto soggettivo alla ripetizione” (ex art. 2033 cod. civ.), alla quale si contrappone un correlativo obbligo a carico della controparte.

E dunque il TAR aderiva al principio della normale ripetibilità di tali crediti da parte della P.A, perché il recupero delle somme indebitamente corrisposte ai dipendenti pubblici ha natura di atto dovuto ex art. 2033 c.c., con la conseguenza che la buona fede del percettore rileva ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente. Pertanto, stante l’oggettività dell’indebito, lo stato psicologico del debitore, anche se di buona fede, di per sé non preclude l’attività di recupero, ma impone l’obbligo di una più approfondita valutazione degli interessi implicati, in particolare sotto il profilo del grado di lesione di quello del dipendente, da considerare con riguardo alle modalità di recupero.

Ne consegue che l’interesse del dipendente a trattenere gli emolumenti percepiti non può prevalere su quello pubblico alla ripetizione delle somme erogate indebitamente, che è di per sé sempre attuale e concreto (vedi pronunce sopra citate nonché Cons. Stato, IV, 8.6.2009, n. 3516;
V, 23.3.2004, n. 1535;
T.A.R. Veneto, III, 2.4.2009, n. 1072;
T.A.R. Lazio, Roma, I-ter, 8.6.2009, n. 5466;
I, 1.4.2008, n. 2764;
T.A.R. Campania, Salerno, I, 7.3.2006, n. 237), inoltre, l’obbligo legale del recupero preclude la facoltà di rinunciare agli effetti favorevoli del decorso del tempo (Cons. Stato, IV, 11.12.2001, n. 6197).

Conseguentemente, per le ragioni sopra esposte, venivano giudicati infondati tutti i motivi di ricorso dal terzo al sesto, apparendo evidenti le ragioni che giustificavano la misura assunta in autotutela dall’Amministrazione e l’avvio delle procedure di recupero delle somme indebitamente erogate agli odierni ricorrenti.

La determinazione assunta in via generale con l’O.C. n. 394 del 22.8.2012 e gli atti di recupero individuali si fondano dunque sulla previsione applicabile “ratione temporis” di cui all’art. 89 del R.D. n. 484 del 10.2.1936, a cui corrisponde il vigente art. 1700 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 , secondo cui: “ 1. Annualmente, dopo la firma degli atti di rafferma del personale di assistenza e prima dell’invio al comitato centrale dell’elenco del personale di cui all’articolo 983 del regolamento, entro il mese di marzo, i centri di mobilitazione procedono all’accertamento dei posti vacanti in ciascun ruolo organico e grado e compilano, su tale dato, un prospetto indicante il numero dei posti da coprire. I predetti centri determinano, per ciascun grado, il limite di anzianità fino al quale si può estendere la scelta per le proposte di avanzamento, tenendo presenti le disposizioni stabilite nell’articolo 1701.

2. Non possono aver luogo promozioni nel personale di assistenza del ruolo normale se non vi sono posti vacanti nei ruoli organici dei singoli gradi ”.

Dunque, proprio il rispetto di tale norma imponeva alla CRI di annullare le promozioni di grado illegittimamente poste in essere sulla base dell’O.C. n. 470/2003.

In relazione al sesto motivo di ricorso, relativo alla pretesa violazione dell’art. 2126 cod. civ.(in merito all’obbligo di retribuire i ricorrenti per il servizio che essi avrebbero comunque svolto in funzioni corrispondenti ai gradi di maresciallo prima attribuiti e poi retroattivamente revocati), il TAR osservava che la stessa ordinanza n. 470 del 17.3.2003 aveva operato in via retroattiva, facendo decorrere gli effetti giuridici ed economici delle promozioni dagli anni 1994-1995 e, pertanto, il grado superiore (ed il corrispondente stipendio) si riferisce a periodi in cui esso non era stato in effetti ancora conseguito;
di conseguenza, in assenza di diverse risultanze, doveva presumersi che gli interessati avessero svolto mansioni e servizi corrispondenti al grado inferiore “illo tempore” ricoperto.

L’art. 2126 cod. civ. non appariva pertanto pertinente alla specie.

In merito all’eccezione di prescrizione il TAR osservava, infine, che le lettere di costituzione in mora spedite dalla C.R.I. nei confronti di ciascuno dei ricorrenti (e dagli stessi ricevute e prodotte) risalgono ai primi mesi del 2013, e che da esse discende l’interruzione della prescrizione;
attesa la natura decennale della prescrizione in parola, e considerato che le somme per arretrati sono state corrisposte agli interessati tra il mese di luglio ed il mese di novembre 2003 (cfr. relazione del SIFIP ), risultava dimostrata la ricorrenza di un evento interruttivo con riguardo a tutti i ricorrenti . Il “dies a quo” per il computo del termine prescrizionale coincide infatti con il momento del pagamento dell’indebito, non già con le annualità di riferimento dello stesso (dal 1994 al 2002).

Quanto, poi al profilo secondo cui la ripetizione dell’indebito andasse effettuata al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali, il TAR giudicava carente l’interesse dei ricorrenti a coltivare la censura, stante la condivisione del tema da parte dell’Ente resistente e l’impegno assunto da quest’ultimo di procedere senz’altro alla restituzione delle ritenute.

Avverso detta sentenza hanno proposto appello i soggetti indicati in epigrafe invocando precedenti giurisprudenziali a loro favorevoli (cfr. Cons. Stato, Sez 6 , 15/11/2017 n. 5277 e 15/11/2017 n 5278) e lamentando altresì il mancato accoglimento del motivo di ricorso secondo cui la ripetizione dell’indebito va effettuata al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali nonché l’omessa disamina dei motivi nn. 7, 8 e 9 (rispettivamente relativi alla violazione della direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento Funzione Pubblica 17/10/2005;
alla violazione dell’art 21 nonies legge 7/8/90 n 241 nel testo modificato dalla legge 11/2/2005 n 15 e alla violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost e dell’art. 2126 cod. civ.;
alla incompetenza funzionale del Colonnello commissario Giacomo DE LAURENTIS perché anch’egli destinatario dei rilievi mossi dal S.I.F.I.P.).

Con ordinanza in data 12 aprile 2018 la Sezione Quarta di questo Consiglio ha rigettato l’istanza cautelare avanzata dagli appellanti rilevando che:

- la domanda di sospensiva appare infondata alla luce della costante giurisprudenza, anche cautelare, della Sezione (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n.1834 del 2018, nonché ordinanza n. 5191/2017, che si fanno carico anche delle isolate decisioni di segno contrario della sez. VI - n. 5277 e n. 5278/2017;
nonché Cons. Stato, sez. IV n. 27 del 2018);

- è consolidato l'indirizzo giurisprudenziale che considera quale atto dovuto l'esercizio del diritto-dovere dell'Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti (riassuntivamente, Cons. Stato, sez. IV, n. 750 del 2015);

- l’Amministrazione dovrà valutare l’adozione di forme di recupero meno gravose in relazione alle condizioni di vita per il debitore, ad esempio rateizzando le somme richieste.

Sulle difese e conclusioni in atti la controversia è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 26 aprile 2022.

DIRITTO

L’appello è fondato nei soli limiti infra precisati.

Non possono invero condividersi i motivi di gravame con i quali si contesta la legittimità dei provvedimenti di recupero delle spettanze indebitamente percepite, seppure con la precisazione, resa necessaria dal sopravvenire, rispetto alla pronuncia impugnata, della sentenza della Corte EDU, 11 febbraio 2021, n. 4893/2013, che alla fattispecie non paiono al Collegio applicabili i principi, affermati in quest’ultimo arresto del giudice sovranazionale, secondo i quali non può essere ripetuto l'emolumento - avente carattere retributivo non occasionale - corrisposto da una pubblica amministrazione in modo costante e duraturo e senza riserve a un lavoratore in buona fede, in quanto si è ingenerato il legittimo affidamento nello stesso sulla spettanza delle somme, sicché la loro ripetizione (benché dovuta ai sensi delle diposizioni nazionali, essendo stato indebitamente corrisposto) comporterebbe la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione. Invero, come già affermato anche da questa Sezione (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. 2, 5 aprile 2022, n. 2534), la richiamata pronuncia della Corte EDU valorizza una serie di elementi, quali l'esclusiva responsabilità dell'errore in capo all'ente pubblico erogatore delle somme, la durata dei pagamenti nel tempo, la loro apparente definitività, l'autorevolezza dell'ente da cui promanavano, la natura retributiva ordinaria delle somme relative, con conseguente affidamento dell' accipiens nella loro corretta percezione, evidenziando una serie di condizioni la cui ricorrenza comporta l'irripetibilità delle somme non dovute corrisposte dall'amministrazione e, in particolare:

"a) il pagamento di un assegno deve essere effettuato a seguito di una richiesta del beneficiario che agisce in buona fede …o, in assenza di tale richiesta, dalle autorità che procedono spontaneamente;
b) il versamento in questione deve essere effettuato da un ente pubblico, amministrazione centrale dello Stato o altro ente pubblico, sulla base di una decisione presa al termine di un processo amministrativo e presumibilmente corretta …;

c) deve essere basato su una disposizione legale, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione deve essere percepita dal beneficiario come la "fonte" del pagamento …, e anche identificabile nel suo importo;

d) è escluso il pagamento manifestamente privo di titolo o basato su semplici errori di calcolo;
tali errori possono essere rilevati dal beneficiario, eventualmente ricorrendo ad un esperto;

e) deve essere eseguito per un periodo sufficientemente lungo da far sorgere una ragionevole convinzione che sia definitivo e stabile …;
l'assegno versato non deve essere riconducibile ad un'attività professionale una tantum e "isolata" ma deve essere collegato all'attività ordinaria;

f) infine, il pagamento in questione non deve essere stato effettuato con menzione di una riserva di ripetizione" (punto 74 della richiamata pronuncia della Corte EDU).

In sostanza, da tali indici emerge che laddove si tratti di una voce stipendiale a carattere sporadico, quale, ad esempio, la remunerazione del lavoro straordinario, connotato ontologicamente da estemporaneità, si potrebbe "eventualmente giustificare, tenuto conto della sua natura occasionale e isolata, un errore da parte delle autorità per quanto riguarda l'importo da riconoscere agli interessati". Lo stesso non può invece essere affermato con riferimento a voci "stabili" o per così dire "tabellari" delle retribuzioni corrisposte, in riferimento alle quali la complessità del meccanismo di computo non ne consente la dequotazione a mero errore di calcolo.

Nel caso di specie, come accennato, la vicenda non risulta incisa dai richiamati principi.

Invero, la somma erogata ai dipendenti, di cui si contende la ripetibilità, è frutto di una attribuzione una tantum di pretesi arretrati in relazione a un avanzamento di carriera, per cui era stato proposto un contenzioso, concluso con un atto di transazione, previo parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, con contestuale rinuncia del personale stesso alle azioni giudiziarie proposte (Ordinanze commissariali numeri n. 1382, 1383 e 1384 del luglio 2003).

Non si è trattato, quindi, di una somma corrisposta con continuità, né vi è stata spontaneità da parte dell’Amministrazione nel corrisponderla.

Inoltre, la spettanza della somma era controversa e i dipendenti pertanto ben erano a conoscenza di tale circostanza prima di percepirla.

Il fatto che sia intervenuta una transazione non può legittimare alcun affidamento, in quanto la transazione si palesa conclusa, come condivisibilmente affermato da questo Consiglio (cfr., Sez. IV, 3/1/2018, n. 27), in stridente contrasto con il principio di non transigibilità di tali pretese, stante l’indisponibilità delle posizioni giuridiche della pubblica amministrazione conformate da norme imperative, ben enucleate anche dal TAR nella sentenza ora appellata.

Non ricorrono pertanto i presupposti per la disapplicazione dell’art. 2033 c.c., in forza del contrasto (insussistente) con l’art. 1 del Protocollo 1, addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), come precisati dalle pronunce della Corte di Strasburgo. Infatti, nella fattispecie non sussistono i requisiti per ipotizzare il legittimo affidamento del dipendente pubblico percipiente nella definitività, nei termini chiariti dalla giurisprudenza della Corte EDU, né un'ingerenza non proporzionata nel diritto dell'individuo al rispetto dei suoi beni.

Fatta questa premessa, il Collegio osserva come debba condividersi l’orientamento del TAR e la giurisprudenza più recente di questo Istituto (cfr. Sez. 4, n. 27 del 3 gennaio 2018 nonché parere del 4 novembre 2016 n. 2301 reso in sede consultiva), secondo cui , in merito al mancato rispetto della disciplina civilistica in tema di transazione, si è rilevato che il fondamento giuridico della corresponsione ai militari delle somme arretrate deve individuarsi non già nei singoli atti di transazione stipulati con gli interessati, ma nei provvedimenti amministrativi autorizzativi delle transazioni stesse, che di queste ne costituiscono il necessario presupposto e che possono costituire oggetto di annullamento in autotutela allorquando risultino illegittimamente emanate. In definitiva, in presenza di norme imperative che fissano con certezza i criteri per l'indicazione sulla decorrenza economica in caso di promozione (artt. 131, 159 e 168 del R.D. n. 484 del 1936) e che stabiliscono il principio da seguire nel dar corso agli avanzamenti (art. 89 stesso R.D.), l'Amministrazione mai avrebbe potuto porre in pagamento somme relative a periodi antecedenti la data di emissione del decreto (per gli Ufficiali) o del brevetto (per i Sottufficiali) di promozione, né procedere ad avanzamenti di grado in assenza di posti disponibili in organico.

Inoltre, nella sentenza n. 1834 del 22 marzo 2018 la Quarta Sezione, nel richiamare i principi espressi dal Consiglio di Stato in simili controversie (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, ordinanza n. 5191/2017 - sentenze nn. 3960/2016 e 4117/2017;
sez. II, parere n. 2301/2016), ha affermato che:

a) non vi è alcun provvedimento presidenziale che esprima la volontà dell'Ente di esercitare il potere discrezionale allo stesso assegnato nel senso di riconoscere il diritto agli arretrati stipendiali, con la conseguenza che la cancellazione del residuo non possa far venire meno il diritto degli originari ricorrenti, dal momento che detto diritto non è mai sorto;
invero, difetta quel provvedimento presidenziale imposto dal legislatore quale elemento indefettibile per l'aggancio in tempo di pace del regime stipendiale dei dipendenti della C.R.I. a quello delle forze armate (art. 116, R.D. n. 484 del 1936, poi trasfuso nell'art. 1757 del D.Lgs. n. 66 del 2010, che stabilisce per il personale militare CRI una piena equiparazione al trattamento economico dei pari grado dell'esercito solo in tempo di guerra, mentre in tempo di pace: "riceve le competenze stabilite per ciascun grado dal presente decreto, salvo provvedimenti da adottarsi dalla Presidenza generale, in analogia a quanto venga praticato per i personali militari e delle amministrazioni statali");

b) il mancato riconoscimento di tale diritto agli arretrati stipendiali comporta l'invalidità dei contratti di transazione, in quanto aventi ad oggetto un diritto inesistente, dal momento che gli odierni appellati non hanno mai acquisito un diritto agli arretrati stipendiali, né avrebbero potuto conseguirlo in assenza di un'espressa volizione dell'odierna appellante, che, come dimostrato, non è mai stata adottata: sicché il diritto vantato dagli odierni appellati è, in assenza di tale esplicita determinazione volitiva, contrario a norme imperative: per ciò solo non si ravvisa alcuna violazione della buona fede del percipiente da parte dell'amministrazione, poiché nessun affidamento può ritenersi maturato dagli odierni appellati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4117/2017 e Cass., sez. lav., 13 ottobre 2017, n. 24216 secondo cui "....va riconosciuto il diritto della pubblica amministrazione di non dare seguito alla transazione con la quale abbia riconosciuto al lavoratore una qualifica superiore per lo svolgimento di mansioni corrispondenti in quanto nulla");

c) di poter rinviare ai contenuti dell'ordinanza cautelare di questa Sezione n. 5191 del 1 dicembre 2017, la quale, inter alia, ha richiamato l'art. 89, comma 2, R.D. n. 484 del 1936, che esclude la possibilità di procedere a promozioni in assenza dei posti vacanti nei ruoli organici dei singoli gradi del personale di assistenza del corpo militare della C.R.I.

Come chiarito dalla stessa giurisprudenza (cfr., Cons. Stato n. 27 del 2018), anch'essa pienamente condivisibile, le transazioni stipulate in seguito all'adozione delle ordinanze commissariali nn. 1382, 1383 e 1384 del 17 luglio 2003 con cui venivano corrisposte ai militari le somme arretrate, hanno avuto ragion d’essere proprio in ragione di tali ordinanze, queste avendo disposto l’autorizzazione alla stipula dell’atto di natura privatistica. Per tale ragione, l’annullamento in autotutela esercitato dall'Amministrazione, piuttosto che riguardare gli atti di transazione, ha avuto correttamente ad oggetto i presupposti provvedimenti amministrativi (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 14.12.2021, n. 8325).

Quanto al tema del mancato decorso della prescrizione, l’appello non contiene specifici profili atti a contrastare quanto correttamente rilevato dal TAR circa la tempestività e la valenza delle note di richiesta di restituzione quali atti di messa in mora interruttivi della prescrizione.

Neppure meritano condivisione gli ulteriori argomenti di appello genericamente riproposti nel terzo motivo di gravame (che richiama i motivi nn. 7, 8 e 9 del ricorso al TAR).

Invero, già si è detto circa l’infondatezza dei riferimenti alla richiamata Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri e all’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, attesa la natura vincolata e doverosa dei recuperi;
già si è detto, altresì dei condividibili rilievi del TAR circa l’inconferenza del richiamo all’art. 2126 c.c. ( a quest’ultimo proposito il giudice di primo grado ha espressamente detto che l’ordinanza 470 del 17.3.2003 aveva operato in via retroattiva facendo decorrere gli effetti giuridici ed economici delle promozioni dagli anni 1994-1995 e, pertanto, il grado superiore si riferiva a periodi in cui i ricorrenti non lo avevano ancora conseguito e dunque deve presumersi, in assenza di diverse risultanze, che gli interessati abbiano svolto mansioni e servizi propri del grado all’epoca effettivamente ricoperto;
né diverse risultanze promanavano dai fascicoli personali). Quanto, infine, al motivo relativo alla pretesa incompetenza del colonnello che aveva predisposto l’istruttoria per il Commissario per l’ordinanza del 2012 (in quanto anche lui privo del grado rivestito a seguito dei reinquadramenti e interessato dai rilievi ispettivi del MEF), trattasi di argomento privo di pregio in considerazione del fatto che non risultano adeguatamente e specificamente dedotti né dimostrati plurimi fattori rilevanti quali: la circostanza del sicuro e diretto coinvolgimento dello stesso nei rilievi del SIFIP, la pretesa illegittimità del conferimento dell’Ufficio da lui rivestito e degli atti in tale veste compiuti, il personale e diretto coinvolgimento negli accertamenti istruttori che sono alla base dei recuperi di causa, ecc. .

Fondato, invece, è il motivo di gravame relativo al recupero al netto degli indebiti.

Come già osservato dal TAR, è da ritenere che la ripetizione dell’indebito vada effettuata al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali;
e, a tale proposito, riferisce il primo giudice della condivisione, da parte dell’Ente resistente, di quanto dedotto dai ricorrenti nonché dell’impegno assunto dell’Ente stesso di procedere senz’altro alla restituzione delle ritenute (o in unica soluzione, ovvero in modo periodico, contestualmente alle ritenute;
cfr. pag. 16 relazione CRI).

Tuttavia, come dedotto dall’appellante, del concreto rispetto di tale impegno non vi è adeguata risultanza, né formale provvedimento da parte dell’Amministrazione.

E dunque, in tale limite può essere accolto l’appello.

Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio tra le parti.

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