Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-02-05, n. 202401188

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-02-05, n. 202401188
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202401188
Data del deposito : 5 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/02/2024

N. 01188/2024REG.PROV.COLL.

N. 04388/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4388 del 2023, proposto dalla società
-OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Alfredo Zaza D'Aulisio e A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. A C in Roma, via Emilio de' Cavalieri, n. 11;

contro

Comune di Sperlonga, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

-OMISSIS- rappresentati e difesi dall'avvocato Francesco Di Ciollo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, Sezione Prima, n. -OMISSIS- resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Sperlonga e dei signori-OMISSIS-

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2023 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti gli avvocati Alfredo Zaza D'Aulisio, A C, S C e Francesco Di Ciollo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Il 6 novembre 1985 la società -OMISSIS- s.r.l. presentava, ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, al Comune di Sperlonga due domande di condono per opere ad uso non residenziale per un abuso di tipologia 1 (opere realizzate in assenza di concessione) relative ad un fabbricato sito in via Flacca KM 15,700 (in catasto al foglio 12, particella 238 sub. 3 e 4), indicando i vincoli posti sull’area con i codici “05”, “06”, “10”, ovvero paesaggistico, ambientale e sismico. In particolare, la domanda n. 0248732509/1 riguardava opere per un volume di 2231,86 metri cubi e 595 metri quadri di superficie, dichiarate ultimate prima del 1967;
la domanda n. 0248732509/2 era relativa a opere per 864,60 metri cubi di volume e 247,86 metri quadri di superficie, ultimate nel 1980.

Nella relazione tecnica del 18 gennaio 1986, presentata al Comune di Sperlonga a corredo delle domande di condono, venivano descritte le opere relative ad un ristorante bar discoteca denominato “-OMISSIS-” di due piani sottostrada ed un piano terra, per una superficie complessiva di 1122, 28 metri quadri ed un volume di 3660,74 metri cubi, di cui si dichiarava che una superficie di 176,34 e volume di 564,28 metri cubi erano stati realizzati nel 1963, con parere favorevole della Commissione edilizia e autorizzazione della Soprintendenza, mentre gli ampliamenti erano stati realizzati negli anni immediatamente successivi.

Le domande di condono seguivano a provvedimenti comunali di demolizione del 1980 e del 1983, relative ad alcune opere abusivamente realizzate.

Per tali domande veniva rilasciata alla società istante la concessione edilizia n. 5 del 26 giugno 1992, condizionata all’eliminazione della copertura in eternit e alla demolizione del fabbricato esagonale adibito a discoteca, secondo i pareri espressi dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio il 20 febbraio 1991 e dalla Regione Lazio il 6 giugno 1990.

2. Con atto notarile del 26 settembre 1994 l’immobile de quo era ceduto dalla predetta società -OMISSIS- ai signori-OMISSIS- quali soci della società di fatto “-OMISSIS-”.

L’11 giugno 2004 la società “-OMISSIS- s.n.c.” presentava domanda di rilascio del permesso di costruire per la riqualificazione dell’attività produttiva “-OMISSIS-”: a riscontro di tale istanza venivano rilasciati il permesso di costruire in data 1° dicembre 2004 e il permesso di costruire in variante in data 23 settembre 2005.

Nella relazione tecnica allegata a quella domanda venivano indicati i volumi e le superfici autorizzati dalla concessione edilizia del 1992 rispettivamente in 3481,07 metri cubi e 1092,30 metri quadri, sottratti quelli della discoteca (circa 170 metri quadri) non condonati;
la riqualificazione sarebbe consistita nella demolizione dei volumi assentiti e nella realizzazione di volumi post operam complessivamente inferiori (3457,64) rispetto a quelli condonati, nella ristrutturazione con destinazione a struttura ricettiva, nella realizzazione di parcheggi (40 posti di cui 9 per il personale), nella realizzazione di una piscina e di una coppia di vasche idromassaggio, nella sistemazione delle recinzioni e della strada privata di accesso.

Il permesso di costruire del 1° dicembre 2004 veniva rilasciato con la medesima condizione della concessione n. 5 del 1992 relativa alla demolizione del “corpo discoteca”.

3. A seguito di un esposto di un privato in data 10 febbraio 2005 la Regione Lazio con nota del 31 maggio 2005 chiedeva chiarimenti al Comune di Sperlonga;
anche un consigliere comunale presentava osservazioni alla Regione e denunce alla Procura della Repubblica, segnalando l’illegittimo rilascio del permesso di costruire e della variante in quanto in contrasto con le norme urbanistiche, trattandosi di zona agricola di salvaguardia ambientale.

La Regione Lazio in data 28 febbraio 2006 concludeva il procedimento dando atto che a seguito del sopralluogo non erano emerse difformità nella esecuzione delle opere di cui al permesso di costruire e alla variante e che tali titoli riguardavano interventi su edifici esistenti non assimilabili a variazioni essenziali, compresi nella subdelega attribuita ai comuni in materia ambientale dalla Regione ed escludeva l’esercizio di poteri sostitutivi di cui all’art. 39 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

4. Con nota del 20 aprile 2007 il Capo del settore urbanistica del Comune, in risposta ai rilievi di alcuni consiglieri comunali, evidenziava che l’intervento, per il quale era stato rilasciato il permesso di costruire, era un intervento di ristrutturazione e riqualificazione su edificio esistente, che non comportava variazioni essenziali e non era quindi soggetto alla disciplina delle nuove costruzioni in ordine alle distanze e ai distacchi.

5. Avverso i titoli edilizi rilasciati alla società di fatto “-OMISSIS-” veniva proposto ricorso al TAR Lazio, sezione di Latina (R.G. -OMISSIS-), dal vicino sig. -OMISSIS- ricorso che veniva dichiarato irricevibile per tardività, giusta sentenza n. 242 del 12 marzo 2015, essendo stato proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla conclusione dei lavori.

6. Nel frattempo a seguito di una indagine penale veniva emesso il 24 giugno 2008 il decreto di citazione a giudizio del GIP presso il Tribunale di Latina nei confronti dei signori -OMISSIS- quest’ultimo dell’Ufficio urbanistica del Comune di Sperlonga, per i reati di abuso d’ufficio in concorso, in relazione al rilascio della variante con cui era stata autorizzata la realizzazione di una superficie di 228 metri quadri in più rispetto al precedente permesso di costruire, in deroga alla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38, che nelle zone agricole consentiva solo le ristrutturazioni senza aumento di superficie;
per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in relazione all’art. 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per avere realizzato la superficie abusiva di 228 metri quadri, a seguito del rilascio dell’illegittimo titolo edilizio e per avere realizzato ulteriore volumetria abusiva tramite la chiusura della tettoia in legno;
del reato di cui all’art. 181 del d.lgs. 42 del 2004 per avere sopraelevato un muro preesistente in assenza di autorizzazione paesaggistica. Un’ulteriore imputazione veniva contestata nel corso del dibattimento per un ampliamento costituito dalla chiusura di un pergolato in legno.

7. Con sentenza n. -OMISSIS- il Tribunale penale di Latina riteneva gli imputati -OMISSIS- responsabili dei reati loro ascritti in ragione della palese illegittimità dei titoli edilizi rilasciati alla “ struttura produttiva -OMISSIS- ”, disponendo altresì la demolizione delle opere abusive. In particolare la sentenza evidenziava che: la struttura originaria adibita a ristorante era stata realizzata nel 1963, a seguito dei pareri favorevoli della Commissione edilizia e della Soprintendenza, ma senza il rilascio dei titoli edilizi;
la concessione edilizia del 1992 neppure poteva essere rilasciata, ai sensi dell’art. 33 della legge 47 del 1985, in quanto si trattava di immobile ricadente in area sottoposta a vincoli di inedificabilità assoluta in essere al momento della avvenuta trasformazione nel 1979, essendo già vigenti il vincolo paesaggistico, il vincolo della fascia di rispetto stradale e il vincolo nella fascia di trecento metri dalla battigia introdotto nella Regione Lazio dalla legge regionale n. 30 del 1974;
la concessione in sanatoria era stata condizionata alla eliminazione della copertura in eternit e della struttura adibita a discoteca, opere che alla data dell’11 giugno 2004 non erano state ancora eliminate senza alcuna sanzione per gli attuali proprietari -OMISSIS- quest’ultimo Sindaco di Sperlonga dal 1997. Inoltre con riguardo al permesso di costruire n. 83 del 2004 la sentenza affermava che esso era stato rilasciato senza verificare l’effettiva dimensione legittima dell’immobile da ristrutturare, stante i dati discordanti nelle domande di condono e nella relazione tecnica di accompagnamento;
per la ristrutturazione di un immobile in area vincolata, con destinazione del PRG agricola di salvaguardia ambientale di un complesso turistico alberghiero, completamente diverso dal precedente “ per caratteristiche tipologiche e d’uso, caratterizzato da consistenti incrementi di superficie e volumetrie, da modifiche di sagoma e prospetti ”, mentre, ai sensi della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38, in zona agricola erano ammesse trasformazioni del suolo solo per “ finalità legate alla produzione vegetale, all'allevamento animale o alla valorizzazione dei relativi prodotti, nonché ad attività connesse e compatibili ”( art. 54);
inoltre, “ gli edifici esistenti in zona agricola alla data di entrata in vigore della presente legge possono essere soggetti a interventi di rinnovo, fino alla demolizione e ricostruzione, con il vincolo di non superare le superfici lorde utili esistenti, salvo un aumento, per una sola volta, del dieci per cento delle sole superfici con destinazione residenziale per motivi di adeguamento igienico sanitario ” ( art. 55).

Il Tribunale penale richiamava quindi la disciplina della ristrutturazione edilizia prevista dal D.P.R. 380 del 2001, che consentiva la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, ma con il limite della sagoma e dei volumi preesistenti, rilevando che l’intervento effettuato avrebbe dovuto essere qualificato come nuova costruzione;
escludeva che potesse essere applicato alla struttura alberghiera il regime dell’art. 55 della legge n. 38 del 1999, sia in quanto esso si riferiva a superfici residenziali connesse all’attività agricola, sia in quanto l’intervento realizzato esulava dalla nozione di ristrutturazione edilizia e comportava un consistente mutamento di destinazione d’uso. Evidenziava ancora la mancata considerazione, al momento del rilascio del titolo edilizio, della piscina, che creava volumetria e non poteva essere realizzata in zona agricola, aggiungendo che la fascia di rispetto stradale avrebbe imposto nella ricostruzione il rispetto della fascia di trenta metri in base alla legge regionale n. 38 del 1999, che, in caso di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti, in zona agricola, prevedeva la delocalizzazione per osservare la fascia di rispetto (attribuendo in tal caso un incremento delle superfici lorde utili fino al quindici per cento);
dava inoltre atto che per la strada di accesso alla struttura alberghiera realizzata in forza del permesso del costruire del 2004 non era neppure stata dimostrata la proprietà dell’area e che in ogni caso si trattava di una opera di urbanizzazione non consentita in zona agricola, che avrebbe quindi dovuto essere oggetto di apposita variante al PRG, così come l’insieme dell’intervento edilizio effettuato, incompatibile con la destinazione agricola dell’area.

Secondo il Tribunale, la illegittimità del permesso di costruire n. 83 del 2004 si era riverberata sulla variante n. 52 del 2005, che in ogni caso per le opere realizzate avrebbe dovuto essere oggetto di un autonomo permesso di costruire, essendo stato assentito un aumento di 228 metri quadri di superficie e di oltre 600 metri cubi relativi ad un nuovo corpo di fabbrica. Negava poi che tali opere potessero rientrare, come ritenuto dalla Regione Lazio, nella sub delega ai comuni, relativa al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche per l’esercizio delle funzioni di tutela, ai sensi delle leggi regionali 19 dicembre 1995, n. 59, e 2 luglio 1987, n. 36, che escludeva dalla subdelega gli interventi di nuova costruzione, variazioni essenziali e ristrutturazione;
sottolineava che nei progetti approvati con il permesso di costruire del 2004 e la variante del 2005 non erano stati computati nella volumetria le parti interrate e i porticati coperti e chiusi, in violazione dell’art. 7 delle norme di attuazione del PRG, che comprendeva nei volumi anche la parte interrata se destinata ad attività produttive, rilevando che, calcolando correttamente la volumetria complessiva, sarebbe stata realizzata una cubatura di 5,214,59 mc.

8. Il 27 novembre 2014 la Procura di Latina emetteva a carico dei signori -OMISSIS- per gli interventi realizzati relativi alla struttura alberghiera anche il decreto di citazione a giudizio per il reato di lottizzazione abusiva. In tale procedimento veniva disposto il sequestro preventivo della struttura alberghiera con decreto del GIP del 4 giugno 2014, confermato dal Tribunale del riesame di Latina con ordinanza del 24 giugno 2014 avverso cui veniva proposto ricorso per Cassazione, accolto con sentenza -OMISSIS- con rinvio al Tribunale del riesame, per una nuova valutazione del periculum in mora . Il Tribunale con ordinanza del 21 luglio 2015 confermava il sequestro: il ricorso per cassazione avverso tale ordinanza veniva respinto con sentenza n. -OMISSIS- del 2016.

9. La Corte di appello di Roma, decidendo sul gravame avverso la sentenza del Tribunale di Latina n.-OMISSIS- con la sentenza n. -OMISSIS- dichiarava la prescrizione per tutti i capi di imputazione, tranne che per la chiusura della struttura in legno accertata nel 2010, e revocava quindi l’ordine di demolizione per le altre opere. In effetti i giudici di appello ravvisavano la responsabilità penale degli imputati, escludendo di poterli prosciogliere nel merito, confermando in sostanza l’illegittimità della concessione edilizia del 1992, in quanto contraddittoria e generica rispetto alle dimensioni degli interventi oggetto di sanatoria, rilasciata in violazione della fascia di rispetto stradale e della fascia dei trecento metri dalla linea della battigia;
l’illegittimità del permesso di costruire n. 83 del 2004 e della variante n. 52 del 2005, in quanto relativi ad un intervento di nuova costruzione, realizzato nella fascia di rispetto di trecento metri dal mare, in contrasto con la disciplina del PTP approvato con la legge regionale 6 luglio 1998, n. 24, e in fascia di rispetto stradale della via Flacca, in zona di PRG agricola di salvaguardia ambientale e ravvisando, quanto alla chiusura del pergolato, un intervento di ristrutturazione edilizia con modifica del prospetto che imponeva il rilascio di un nuovo permesso di costruire.

10. Con sentenza n.-OMISSIS- la Corte di Cassazione annullava solo i capi civili della sentenza di appello, che per il resto passava in giudicato.

11. Anche il giudizio relativo all’imputazione di lottizzazione abusiva veniva dichiarato estinto per prescrizione con sentenza del Tribunale di Latina n. 811 del 16 marzo 2020, che ordinava il dissequestro degli immobili.

12. Nel frattempo il Comune di Sperlonga con ordinanza n. -OMISSIS- prot. n. 8550 (Area IV, Gestione del Territorio) aveva disposto la demolizione delle opere eseguite in difformità dei permessi di costruire n. 83/2004 e n. 52/2005, costituite da un pergolato di mq 90 prospiciente la sala ristorante, costituente ampliamento della stessa, ricavato mediante copertura del tetto e tamponatura perimetrale con pannelli scorrevoli in vetro;
ambienti a servizio della struttura destinati a spogliatoio sauna, bagni e docce;
posizionamento difforme della zona ovale della piscina;
copertura con tavolato del tetto dei pergolati posti a copertura dei ballatoi prospicienti le camere da letto al piano primo sottostrada.

13. Con sentenza del TAR Lazio, sezione di Latina, n. -OMISSIS- il provvedimento veniva in parte annullato, relativamente agli ambienti a servizio della struttura destinati a spogliatoio sauna, bagni e docce;
al posizionamento difforme della “zona ovale” della piscina;
alla copertura con tavolato del tetto dei pergolati posti a copertura dei ballatoi prospicienti le camere da letto al piano primo sottostrada, in quanto “ i pergolati antistanti il ristorante e le camere da letto sono stati realizzati secondo il progetto approvato con il permesso di costruire n. 83/2004, che prevedeva l’utilizzo sopra i travicelli del massetto, del doppio strato di guaina ardesiana, di ghiaietto sciolto e delle mattonelle;
- gli ambienti spogliatoio-sauna, bagni e docce sono stati realizzati all’interno di un manufatto di cui nel provvedimento non è specificata la natura legittima o illegittima;
trattasi presumibilmente dei manufatti della superficie di mq 228 autorizzati con la variante n. 52/85;
oppure di manufatti completamente abusivi;
l’omessa specificazione rende il provvedimento illegittimo in parte qua, tenuto conto che se si trattasse del primo caso la realizzazione degli ambienti in argomento costituirebbe una mera variazione d’uso interna senza aumento di volumetria non sanzionabile con la demolizione;
- il diverso orientamento della piscina (ubicazione della zona ovale sul lato Sperlonga anziché sul lato Gaeta) in assenza di altre contestazioni (ad es. maggiore superficie, posizionamento in luogo completamente diverso da quello rappresentato) è del tutto irrilevante sotto il profilo urbanistico/edilizio”
;
veniva invece ritenuta legittima l’ordinanza di demolizione del pergolato chiuso con vetrate in ampliamento della sala ristorante.

In tale sentenza si faceva riferimento alla circostanza che il Comune di Sperlonga avrebbe dovuto in via autonoma procedere “ a una revisione critica in autotutela (art. 21 nonies comma 2 bis) dei titoli legittimanti la struttura in argomento (concessione edilizia in sanatoria n. 5/1992, permesso di costruire n. 83/2004 e permesso in variante n. 52/2005)”.

Tale sentenza non risulta appellata.

14. Con nota del 28 luglio 2020 il Nucleo investigativo di Polizia ambientale e forestale della Regione Carabinieri forestali Lazio Gruppo di Latina trasmetteva al Comune di Sperlonga le sentenze penali de qua .

L’ente con determina del 30 marzo 2021 costituiva una apposita commissione istruttoria (la cui composizione veniva poi modificata con determina del 3 maggio 2021) per la valutazione dei titoli edilizi n. 83 del 2004, n. 52 del 2005, n. 5 del 1992. Nella relazione conclusiva del 6 luglio 2021 la commissione, dopo aver delineato l’inquadramento territoriale dell’area, con destinazione, nel PRG approvato con delibera della Giunta regionale del 20 dicembre 1994, E 2 Agricola ambientale di salvaguardia, fascia di rispetto della via Flacca;
sottoposta a vincolo paesaggistico con D.M. 17 maggio 1956, rientrante nel PTP 13/4 con disciplina agli artt. 12 e 74 delle NTA, concludeva: a) quanto alla concessione edilizia n. 5 del 1992, che “ l’immobile doveva essere considerato completamente realizzato in assenza di titolo edilizio ”, in quanto l’entità edilizia realizzata successivamente al 1967 era del tutto diversa da quella preesistente;
tale situazione non era stata adeguatamente valutata al momento del rilascio della concessione ai fini del calcolo dell’oblazione, ma considerato il lungo lasso temporale trascorso dal rilascio si esprimeva per la conservazione del titolo del 1992;
b) quanto al permesso di costruire n. 83 del 2004, che le opere previste in progetto dovevano essere qualificate come una “ radicale trasformazione del complesso immobiliare esistente, attraverso interventi di totale demolizione e ricostruzione con modifica delle sagome, dei volumi e dell’area di sedime ”, indipendentemente dal mutamento di destinazione d’uso da ristorante ad albergo;
esse pertanto erano da considerare opere di ristrutturazione edilizia ai sensi della lettera d), dell’art. 3 del Testo unico edilizia, con realizzazione di una volumetria complessiva di 4279, 53 metri quadri, di 618,79 metri cubi in più rispetto a quella condonata, con destinazione turistico ricettiva, per cui era necessaria una variante urbanistica;
c) quanto al permesso di costruire in variante n. 52 del 2005, che era stata realizzata una superficie complessiva rispetto al titolo edilizio del 2004 di 1048,26 metri cubi oltre alla realizzazione di parcheggi e alla modifica della piscina;
che pertanto entrambi i titoli non avrebbe potuto essere rilasciati.

15. Con nota del 20 luglio 2021 il Comune di Sperlonga comunicava l’avvio del procedimento di annullamento d’ufficio del permesso di costruire n. 83 del 2004 e del permesso in variante n. 52 del 2005.

La società -OMISSIS- dopo aver presentato osservazioni il 25 agosto 2021, richiedendo l’invio della relazione della predetta commissione, trasmessa il 12 ottobre 2021, produceva una relazione tecnica (a firma dell’arch.-OMISSIS-) che, pur inquadrando la disciplina vincolistica e urbanistica dell’area, contestava decisamente le conclusioni della commissione istruttoria comunale, in primo luogo con riferimento ai vincoli apposti sull’area. In particolare sosteneva che l’immobile de quo era collocato originariamente a più di trecento metri dalla linea della battigia;
che non trovava applicazione il vincolo della fascia di rispetto stradale, introdotto solo nel 1968 dopo la realizzazione dell’opera;
che non vi era stato un mutamento di destinazione d’uso, trattandosi di esercizio munito fin dal 1968 di autorizzazione sanitaria e commerciale come “Bar ristorante albergo”, essendo in base al progetto originario già presenti alcune camere;
che non si trattava di un intervento di demolizione e ricostruzione delle opere, in quanto erano state mantenute alcune strutture;
che il parcheggio non era stato realizzato in zona a destinazione agricola, essendo stato realizzato sulla particella 528 del foglio 12 con destinazione a fascia di rispetto della via Flacca, destinazione compatibile con la realizzazione di parcheggi;
che la realizzazione della piscina era consentita in zona agricola, trattandosi di una pertinenza;
che l’immobile non era stato realizzato con mutamento della sagoma e del volume, essendo anzi previsto un decremento di volumetria rispetto a quella assentita dalla concessione edilizia del 1992;
contestava le considerazioni della commissione in ordine alla necessità della variante urbanistica e aggiungeva che gli unici volumi non conteggiati erano in realtà occupati da volumi tecnici.

16. Con provvedimento del 21 dicembre 2021 n. 72 il Responsabile dell’Area 2 del Comune di Sperlonga, sulla base delle risultanze della commissione istruttoria e per il contrasto con la destinazione urbanistica dell’area, in parte agricola e in parte in fascia di rispetto stradale, disponeva l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire n. 83 del 2004 e del permesso in variante n. 52 del 2005, ordinando la demolizione delle opere.

17. Tale provvedimento veniva impugnato innanzi al TAR Lazio, sede di Latina (R.G. -OMISSIS-), che, con ordinanza n.-OMISSIS- 2022, accoglieva la domanda cautelare, rilevando la carenza di motivazione del provvedimento e la mancanza del contraddittorio procedimentale.

18. Nel frattempo con nota del 16 marzo 2022 il Comune di Sperlonga comunicava l’avvio del procedimento di annullamento anche della concessione edilizia del 1992, in relazione alle difformità delle dimensioni indicate per il condono e alla mancata esecuzione della condizione apposta alla concessione in sanatoria.

19. A seguito della citata ordinanza cautelare del TAR Lazio, sede di Latina, n. -OMISSIS- con provvedimento del 30 marzo 2022 del Capo dell’Area 2 il Comune di Sperlonga comunicava l’annullamento in autotutela del provvedimento n. 72 del 2021 e l’avvio di un nuovo procedimento di annullamento in autotutela relativo sia alla concessione in sanatoria n. 5 del 1992 che ai titoli edilizi n. 83 del 2004 e n. 52 del 2005, richiamando la relazione della commissione istruttoria, le sentenze penali del Tribunale di Latina e della Corte d’appello di Roma, confermata dalla Corte di Cassazione, nonché la sentenza del Tribunale di Latina dichiarativa della prescrizione quanto alla lottizzazione abusiva;
dava atto che la realizzazione dell’immobile poi condonato era avvenuta in gran parte dopo l’apposizione del vincolo della fascia di rispetto stradale;
che le superfici oggetto di sanatoria erano indicate in maniera contraddittoria nelle domande di condono e nella relazione tecnica allegata;
che la sanatoria era condizionata alla demolizione della struttura adibita a discoteca;
che, poiché tale demolizione non era mai stata eseguita e la concessione edilizia n. 5 del 1992 era stata rilasciata in maniera illegittima, non essendo individuate correttamente le superfici, il permesso di costruire n. 83 del 2004 e la variante n. 52 del 2005 non potevano essere rilasciati, con conseguente illegittimità di tutto il complesso edilizio, indipendentemente dalla qualificazione degli interventi del 2004/2005 come nuova costruzione o come ristrutturazione edilizia, riguardando comunque un immobile abusivo.

20. Con successivo provvedimento del 9 maggio 2022 il Comune di Sperlonga disponeva poi l’annullamento dei tre titoli edilizi.

Riguardo alla concessione del 1992 richiamava, oltre alle sentenze penali, le incertezze in ordine alla volumetria oggetto di sanatoria, l’illegittimità della apposizione alla concessione della condizione di demolizione della area adibita a discoteca e comunque la mancata esecuzione della condizione;
la mancanza del parere dell’ente proprietario della strada, in relazione al vincolo della fascia di rispetto stradale, vigente dal 1968 e applicabile, quindi, alla costruzione realizzata successivamente, in quanto radicalmente diversa da quella edificata nel 1963;
la disciplina posta con legge regionale 2 luglio 1974, n. 30, relativa alle fasce costiere nei trecento metri dalla linea di battigia con conseguente necessità ai fini del rilascio della concessione in sanatoria del nulla osta in deroga da parte della Provincia.

Con riguardo ai titoli edilizi del 2004 e del 2005 rilevava che, anche a ritenere l’intervento di ristrutturazione edilizia e non di nuova costruzione, esso non era comunque ammissibile, in quanto in contrasto con l’art. 2 NTA, che impediva anche qualsiasi trasformazione di edifici esistenti se in contrasto con la destinazione urbanistica di PRG, che essendo “ Agricola di salvaguardia ambientale ”, non consentiva una struttura turistico-ricettiva;
evidenziava inoltre che era stata aumentata la cubatura rispetto a quella condonata nel 1992 ed era stata realizzata una piscina di 76 metri quadri, che costituiva una nuova costruzione;
che erano stati calcolati volumi ulteriori come volumi tecnici;
che il Comune aveva quindi qualificato l’intervento realizzato come nuova costruzione;
aveva fatto riferimento ai parcheggi realizzati in parte in zona agricola in parte in fascia di rispetto stradale;
dava altresì atto della avvenuta lottizzazione abusiva.

21. Avverso tale provvedimento la società interessata proponeva ricorso al TAR Lazio, sezione di Latina, chiedendone l’annullamento.

Con una prima censura lamentava eccesso di potere e violazione di legge, sostenendo l’inapplicabilità dell’art. 21 nonies , comma 2 bis , della legge 7 agosto 1990, n. 241, contestando la sussistenza della falsa rappresentazione della realtà per potere intervenire oltre il termine di 18 mesi dal rilascio dei provvedimenti annullati, avendo l’Amministrazione comunale superato ogni termine ragionevole per l’esercizio del potere di autotutela, essendo il relativo provvedimento intervenuto dopo 30 anni dalla concessione in sanatoria del 1992 e dopo 16 anni dai permessi di costruire del 2004/2005;
aggiungeva che in ogni caso non vi era stata alcuna valutazione e ponderazione dell’interesse del privato con l’interesse pubblico al ripristino della legalità, con palese violazione dell’affidamento del privato, e che l’Amministrazione non risultava aver valutato la possibilità della convalida prevista dallo stesso art. 21 nonies.

Con ulteriori censure, sempre denuncianti eccesso di potere, la ricorrente contestava le affermazioni del Comune contenute nel provvedimento del 9 maggio 2022, ritenute in contrasto con la stessa ordinanza comunale n. 72 del 2021, che si era invece basata sulla relazione della Commissione istruttoria, e in contraddizione con le conclusioni della relazione istruttoria. Con riguardo alla fascia di rispetto stradale deduceva che l’edificio era stato realizzato nel 1963, quando la distanza dalla strada era prevista in soli 3 metri;
inoltre, ricadendo la struttura alberghiera a 20 metri dal ciglio della strada ed essendo la strada frontistante (via Flacca, di cat. C.) rettilinea, anche applicando la normativa sopravvenuta, erano consentite deroghe sino a 15 metri;
sosteneva poi la legittimità della apposizione di prescrizioni alla concessione edilizia n. 5 del 1992;
aggiungeva che le concessioni in sanatoria erano rilasciate in deroga alla normativa urbanistica ed in quanto compatibili (anche se non conformi) alla normativa paesaggistica;
che la concessione era stata rilasciata previo nulla osta paesaggistico ai sensi dell’art. 32, l. 47/1985, emesso dalla Regione Lazio con la determina prot. n. 1504/14 del 6 giugno 1990, confermata dalla competente Soprintendenza con la nota prot. 22478 del 20 febbraio 1991;
che la concessione in sanatoria era stata rilasciata nel 1992, cioè prima dell’approvazione del PRG comunale risalente all’anno 1994, quando l’edificabilità del terreno (ubicato fuori dal centro abitato) era consentita dalla l. 765/1967. Ha anche insistito nella circostanza che, a seguito del permesso di costruire n. 83 del 2004 e della variante n. 52 del 2005, la cubatura era stata minore rispetto a quella condonata (infatti la concessione edilizia in sanatoria n. 5/1992 aveva condonato un volume complessivo di mc 3.481,07 ed una superficie lorda complessiva di mq 1.088,30, i permessi di costruire avrebbero assentito un volume complessivo di mc 3.455,32, ed una superficie lorda di mq 1.091,74), in quanto ai sensi dell’art. 7 delle NTA non dovevano essere computati nella volumetria i volumi tecnici, le logge, i balconi, i porticati e le tettoie. Contestava ancora sia le asserite modifiche della sagoma e del volume, essendo stati ridotti l’altezza media e il volume complessivo, sia che il parcheggio fosse collocato in zona agricola, essendo invece stato realizzato su fascia di rispetto stradale e ciò senza contare che comunque i parcheggi senza costruzioni erano realizzabili anche in zona agricola, così come e piscine;
deduceva ancora che l’edificio non era stato integralmente demolito e ricostruito e che non vi era stato alcun mutamento di destinazione d’uso, essendo già autorizzato sin dal 1968 come “Bar ristorante albergo”. Negava la configurabilità di una lottizzazione abusiva, essendovi legittimi titoli edilizi. Lamentava inoltre che l’Amministrazione non aveva in alcun modo valutato le deduzioni tecniche presentate nel corso del procedimento e che l’ordine di demolizione non aveva correttamente individuato le opere legittime risalenti all’originaria edificazione dell’anno 1963 e conseguentemente le esatte porzioni del fabbricato da demolire con indeterminatezza dell’ordine di ripristino.

22. Resisteva al ricorso il Comune di Sperlonga, deducendone l’infondatezza del ricorso, negando che fosse stato superato il termine per legittimamente potere esercitare l’autotutela, essendo esso venuto a conoscenza dell’esito dei giudizi penali solo a seguito della relazione dei Carabinieri forestali del 28 luglio 2020;
aggiungendo che non vi era necessità della valutazione dell’interesse pubblico all’annullamento, essendo lo stesso in re ipsa in relazione alle disposizioni urbanistiche e paesaggistiche violate, e che erano stati autonomamente valutati gli atti dei procedimenti penali in particolare circa i profili di illegittimità anche della concessione edilizia n. 5 del 1992.

Si costituivano in giudizio anche i signori -OMISSIS- istando per l’infondatezza del ricorso.

23. Con ordinanza n. -OMISSIS- 2022 l’adito TAR respingeva la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, che tuttavia veniva accolta dal Consiglio di Stato con ordinanza n.-OMISSIS- 2022, ai sensi dell’art. 55 comma 10 c.p.a., ai fini della sollecita fissazione dell’udienza pubblica di trattazione.

24. Con la sentenza segnata in epigrafe il TAR ha respinto il ricorso, ritenendo legittimo il provvedimento comunale, in quanto correttamente basato: sulle sentenze del giudice penale e comunque sulla violazione del regime di inedificabilità assoluta a tutela della fascia di rispetto di 300 metri dalla linea di battigia, introdotto dalle LL.RR. n. 30/74, n. 52/76 e n. 33/99;
sulla illegittima condizione della demolizione del corpo a pianta esagonale adibito a discoteca e sulla mancata esecuzione della predetta condizione (essendo il corpo di fabbrica adibito a discoteca ancora presente negli elaborati planimetrici relativi ai p.d.c. 83/2004 e 52/2005);
sulla consistente diversità tra la superficie da condonare dichiarata nella domanda (mq 954,94) e quella indicata nell’elaborato progettuale denominato “ stato di consistenza ristorante/discoteca -OMISSIS- successivamente redatto dall’arch. -OMISSIS-pari a mq 1.092 di superficie utile e mq 1.258,83 di superficie complessiva, peraltro al lordo della superficie di mq 165,70 adibito a discoteca che il pdc 5/92 imponeva di demolire”; sulla illegittimità derivata degli interventi ulteriori effettuati su immobili abusivi e irregolarmente sanati o condonati;
sulla circostanza che i lavori oggetto del permesso di costruire n. 83/2004 e sua variante n. 52/2005 costituivano ampliamenti riguardanti un complesso alberghiero di mq 1600 e mc 5.000, in contrasto con la destinazione di PRG a zona agricola di salvaguardia ambientale E2 e con il vincolo di rispetto della fascia di viabilità;
sulla circostanza che nessuna delle opere assentite con i permessi di costruire (locali destinati a camere da letto, ristorante, uffici, spogliatoi, piscina, parcheggi, viabilità) costituiva un mero volume tecnico esente dal calcolo delle cubature, ma rientrante nella nozione di volume costruibile di cui all’art. 7 delle NTA del PRG di Sperlonga;
sul p.d.c. n. 83/04;
ancora sulle circostanze che erano stati anche illegittimamente autorizzati i porticati prospicienti i due piani di camere da letto poste al secondo piano sotto strada occupanti una superficie complessiva di mq 126 oltre una ulteriore superficie di mq 84,80 prospiciente la zona ristorante posta al medesimo piano;
sul fatto che i parcheggi di mq 487,50 ricadevano per la quasi totalità nella fascia di inedificabilità della SR Flacca e per la restante parte in zona agricola.

Conseguentemente, secondo il predetto tribunale, “ tutto il complesso recettivo denominato -OMISSIS-, edificato in virtù dei permessi di costruire n. 83/04 e n. 52/05, nonché ampliato sine titulo nei successivi anni 2007/2011, è da considerarsi abusivo, sia che lo si qualifichi come intervento di ristrutturazione edilizia di un immobile già abusivo, sia che lo si qualifichi come nuova costruzione (come ritenuto dalla sentenza n. 845/12), in quanto realizzato in contrasto con la classificazione agricola dell’area, in contrasto con il vincolo di rispetto stradale ex art. 40 NTA del PRG, in contrasto con i vincoli paesaggistici introdotti dalle leggi regionali citate e dal PTP 13/4”.

25. Avverso tale sentenza, ritenuta ingiusta ed erronea, la società segnata in epigrafe ha proposto appello chiedendone la riforma alla stregua dei motivi di gravame di seguito sintetizzati.

Con il primo motivo è stato lamentato che il TAR aveva confuso le illegittimità accertate dal giudice penale e la falsa rappresentazione che legittimerebbe l’applicazione del comma 2 bis , dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, laddove in realtà non vi era stato alcun accertamento del giudice penale in ordine a presunte false rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive mendaci, giacché il giudice penale aveva operato una propria autonoma ricostruzione delle norme urbanistiche applicabili alla stregua delle quali i titoli edilizi in questione erano illegittimi;
di conseguenza non sarebbe neppure sussistito il presupposto di fatto che legittimava il superamento del termine ragionevole per l’annullamento d’ufficio, disposto dopo trenta anni dal rilascio della concessione del 1992 e dopo 16 anni per i titoli del 2004-2005, lasso temporale nel quale l’ente era sicuramente era a conoscenza dei presupposti del rilascio dei titoli e comunque superiore ai dieci anni previsti per l’esercizio del potere sostitutivo delle Regioni ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. 380 del 2001.

Con il secondo motivo è stata sostenuta l’erroneità della sentenza per l’insussistenza dei presupposti per l’annullamento in autotutela oltre il termine di 18 mesi;
sono state poi contestate le circostanze indicate dal TAR quali presupposti legittimanti il provvedimento impugnato, trattandosi comunque eventualmente di profili di illegittimità dei titoli edilizi, ma non di elementi che potevano giustificare l’annullamento dopo un così lungo lasso temporale.

Con il terzo motivo sono stati contestati gli asseriti profili di illegittimità dei titoli edilizi riscontrati dal TAR, riproponendo al riguardo le argomentazioni difensive svolte col ricorso di primo grado, sostenendo che: l’originaria struttura era stata realizzata nel 1963, quando non erano vigenti le LL.RR. n. 30/74, n. 52/76 e n. 33/99 relative al vincolo di trecento metri dalla linea della battigia, mentre per il vincolo stradale era sufficiente la distanza di tre metri;
che le concessioni in sanatoria potevano essere rilasciate anche in contrasto con la normativa urbanistica e paesaggistica, purché ritenute compatibili dall’autorità preposta, come nel caso di specie in cui era stato rilasciato il nulla osta paesaggistico ex art. 32, l. 47/1985 dalla Regione Lazio con la determina prot. n. 1504/14 del 6 giugno 1990, confermato dalla competente Soprintendenza con la nota prot. 22478 del 20 febbraio 1991;
che i successivi permessi di costruire riguardavano un intervento di ristrutturazione di quanto già legittimato in sede di condono, così che non era applicabile alcun vincolo di inedificabilità e, comunque, erano stati anch’essi rilasciati previ pareri paesaggistici acquisiti nelle conferenze di servizi svoltesi rispettivamente il 15 novembre 2004 (in relazione al permesso di costruire n. 83/2004), ed il 16 maggio 2005 (in relazione al permesso di costruire n. 52/2005), in conformità alla l.reg. Lazio n. 6 luglio 1998, n. 24 (con la quale era stato approvato il P.T.P. sub ambito 13/4);
inoltre l. reg. n. 30/74 era stata emanata in regime di salvaguardia ovvero in attesa delle disposizioni del P.T.P. Regionale, che - una volta approvato - ne aveva fatto venir meno gli effetti, giacché infatti la l. reg. n. 24/1998 all’art. 37 aveva espressamente “ abrogato tutte le disposizioni incompatibili”. Si è dedotto altresì rispetto alla concessione edilizia in sanatoria n. 5/1992 la legittimità del rilascio di un titolo in sanatoria con prescrizioni, funzionali ad una semplificazione della procedura di rilascio;
in ogni caso delle “prescrizioni” avrebbe potuto dolersi il beneficiario del titolo, non l’Amministrazione che le aveva imposte. Nè - secondo l’appellante - poteva rilevare quale causa di illegittimità la presenza del corpo di fabbrica adibito a discoteca negli elaborati planimetrici relativi ai titoli edilizi 3/2004 e 52/2005, in quanto essi rappresentavano lo stato di fatto originario, mentre i volumi e le superfici della discoteca non erano stati computati tra i volumi e le superfici assentite o utilizzate in sede di ristrutturazione. E’ stata ancora contestata la sussistenza di una divergenza tra la superficie da condonare dichiarata nella domanda (mq 954,94) e quella indicata nell’elaborato progettuale denominato “ stato di consistenza ristorante/discoteca -OMISSIS-”, successivamente redatto dall’arch. -OMISSIS- pari a mq 1.092 di superficie utile e mq 1.258,83 di superficie complessiva, in quanto indicati al lordo della superficie di mq 165,70 adibito a discoteca che il pdc 5/92 imponeva di demolire. Inoltre, ai sensi dell’art. 51 della legge n. 47 del 1985 e della circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 30/07/1985, n. 33357/25, le superfici e volumi da considerare in relazione alle istanze di condono ai fini del calcolo dell’oblazione dovevano essere calcolati al netto delle murature;
invece le superfici e volumi da considerare in relazione al rilascio dei permessi di costruire dovevano essere computate al lordo delle murature, ai sensi dell’art. delle N.T.A. del vigente P.R.G. del Comune di Sperlonga;
le superfici e volumi ex D.P.R. n. 138/1998 da considerare ai fini catastali dovevano essere computati in base a specifiche percentuali di ragguaglio tra vani principali, vani accessori e spessori dei muri, per cui l’arch. -OMISSIS- (come accertato dal consulente della Procura della Repubblica di Latina, ing. -OMISSIS-) nella sua perizia giurata del 1986, dovendo far riferimento alle superfici utili ai fini del condono per il calcolo dell’oblazione, aveva correttamente indicato le medesime in mq 1.092 (precisando che la superficie complessiva dell’immobile, comprensiva delle parti originarie legittime realizzate nel 1963, era di mq 1.258,83). Essendo la concessione del 1992 legittima, essa non poteva provocare la illegittimità dei titoli edilizi 2004 e del 2005 che in ogni caso non riguardavano ampliamenti, in quanto la superficie netta oggetto di condono (mq 1092) detratta la superfice della discoteca (mq 165,70) e sommata a quella della parte originaria legittima (mq 166,83), corrispondeva perfettamente alla superficie lorda indicata nei permessi di costruire rilasciati per la ristrutturazione (mq 1.091,74). Si è inoltre ribadita la natura di volumi tecnici anche di logge, balconi, porticati e tettoie ai sensi dell’art. 7 delle NTA;
la compatibilità dei parcheggi con la fascia di rispetto stradale, che comunque poteva essere derogata per la struttura nei limiti della distanza di 15 metri, e anche con la destinazione agricola;
nonché l’avvenuta diminuzione dei volumi rispetto a quelli sanati nel 1992. Sono state ancora contestate l’avvenuta modifica della sagoma, sostenendosi invece l’abbassamento dell’altezza media del tetto;
la qualificazione di nuova costruzione della piscina, di cui era stata dedotta la compatibilità con la destinazione agricola;
la avvenuta demolizione e ricostruzione dell’edificio;
il cambio di destinazione d’uso, nonché il riferimento, contenuto nel provvedimento impugnato, alla lottizzazione abusiva, essendo intervenuta sul punto sentenza che aveva dichiarato la prescrizione del reato.

Sono state infine riproposte le censure sollevate in primo grado, ma non esaminate dal TAR, relative al superamento del termine ragionevole in mancanza dei presupposti, alla violazione del principio di certezza e alla contraddittorietà dei provvedimenti comunali;
alla mancata valutazione dell’interesse pubblico attuale all’annullamento;
alla mancata valutazione della convalida nonché delle deduzioni procedimentali;
all’erroneo richiamo ai precedenti provvedimenti amministrativi;
all’illegittimità dell’ordine di demolizione, non avendo individuato le parti da demolire in relazione alla parte legittima realizzata nel 1963.

26. Si sono costituiti il Comune di Sperlonga e signori -OMISSIS- che hanno sostenuto l’infondatezza dell’appello.

27. L’appellante in vista dell’udienza pubblica ha depositato una perizia con cui ha ulteriormente supportato le proprie tesi difensive circa la legittimità dei titoli edilizi de quo , deducendo che la via Flacca aveva subito un intervento di ampliamento nel 2009, ragion per cui si era ridotta la distanza rispetto all’edificio;
che l’originaria linea della battigia era posta a distanza superiore ai trecento metri dal complesso immobiliare, il che rendeva inapplicabili le misure di salvaguardia introdotte dalle leggi regionale n. 30 del 1974 e n. 52 del 1976, che comunque non comportavano l’inedificabilità assoluta.

Nelle proprie memorie il Comune e i controinteressati hanno eccepito la tardività della produzione della relazione tecnica, l’inammissibilità delle nuove censure e hanno insistito nella fondatezza delle proprie tesi difensive.

L’appellante con apposta memoria ha ribadito la legittimità dei titoli edilizi, anche alla luce della relazione tecnica depositata in giudizio, con riferimento alla distanza dalla strada e alla distanza originaria dalla linea della battigia, ed ha chiesto l’ammissione di una verificazione o consulenza tecnica d’ufficio;
con memoria di replica ha quindi sostenuto l’ammissibilità del deposito della relazione tecnica, trattandosi di una sintesi delle precedenti deduzioni tecniche, e ha insistito nella richiesta di verificazione e CTU.

Gli appellati hanno anch’essi presentato memoria di replica ribadendo le proprie posizioni.

28. All’udienza pubblica del 28 novembre 2023 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

29. Deve essere innanzitutto esaminata l’eccezione sollevate dagli appellati di tardività del deposito della relazione tecnica in appello.

L’eccezione è fondata.

Ai sensi dell’art. 104 c.p.a., “ 1. Nel giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande, fermo quanto previsto dall'articolo 34, comma 3, né nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio. Possono tuttavia essere chiesti gli interessi e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza stessa.

2. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

3. Possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati” .

La relazione tecnica costituisce un documento che ben avrebbe potuto essere prodotto nel giudizio di primo grado, come risulta comprovato dal deposito della relazione tecnica dell’arch.-OMISSIS-, presentata anche nel corso del procedimento amministrativo. Peraltro non possono essere tenute in alcun conto le deduzioni tecniche che abbiano carattere di novità (come quelle relative alla modifica della distanza dalla strada per i lavori intervenuti medio tempore ) o che configurino implicitamente nuove censure mai proposte in primo grado e neppure ritualmente contenute in un atto di motivi aggiunti (quali, oltre a quelle relative alla modifica della distanza dal nastro stradale, quelle concernenti la modifica della linea costiera con originaria collocazione del manufatto a più di trecento metri dalla linea di battigia già contenuta nella relazione dell’architetto-OMISSIS- depositata in primo grado, ma non oggetto di specifiche censure in primo grado e comunque in appello).

30. Nel merito l’appello è infondato.

30.1. Ai sensi del testo vigente dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 il provvedimento amministrativo illegittimo “ può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo .

2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 ”.

Il termine di dodici mesi è stato introdotto dalla legge 29 luglio 2021, n. 108 in sede di conversione del d.l. 31 maggio 2021, n. 77, essendo prima previsto il termine di 18 mesi di cui alla legge 7 agosto 2015, n. 124.

30.2. Ciò posto si deve innanzitutto considerare che una compiuta conoscenza della situazione dei giudizi penali in corso (compresa, quindi, la circostanza dell’avvenuto dissequestro dell’immobile con la sentenza del 16 marzo 2020), i quali se si fossero conclusi con una condanna avrebbero comportato la demolizione come sanzione accessoria alla condanna penale, si è verificata in capo al Comune solo con la nota NIPAF del 28 luglio 2020. Rispetto a tale data il primo provvedimento di autotutela del 21 dicembre 2021 è stato emanato nel termine di 18 mesi, ridotto a dodici mesi solo a partire dalla legge n. 108 del 2021 e quindi in tale misura applicabile solo a decorrere dall’entrata in vigore di tale legge, cioè dal 31 luglio 2021. Infatti, il provvedimento del 9 maggio 2022 - oggetto del presente giudizio - è stato emanato successivamente alla ordinanza cautelare del TAR, che aveva rilevato il difetto di motivazione del primo provvedimento di autotutela, del 21 dicembre 2021, con la conseguenza che anch’esso si deve ritenere tempestivo, trattandosi di una fase successiva dell’esercizio del medesimo potere di autotutela.

Peraltro deve osservarsi che, rispetto a tutti i titoli edilizi oggetto di annullamento, la erronea rappresentazione della realtà e comunque l’omessa indicazione di tutte le circostanze di fatto rilevanti ai fini del loro rilascio hanno consentito il superamento del termine indicato dall’art. 21 nonies.

La giurisprudenza ha invero interpretato estensivamente il disposto del comma 2 bis dell’art. 21 nonies della l. n. 241/1990, affermando che il limite temporale dei 18 mesi (ora 12) per l'esercizio del potere di autotutela , in ossequio al principio del legittimo affidamento di chi abbia ottenuto un atto favorevole, trova applicazione solo se il comportamento della parte interessata nel corso del procedimento di formazione dell'atto, non abbia indotto in errore l'amministrazione, distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge (Cons. Stato, Sez. II, 22 novembre 2021, n. 7817;
Sez. VI, 26 marzo 2021, n. 2575;
i 11 gennaio 2021, n. 352).

In particolare l’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 8 del 2017 ha affermato che “ l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi: i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio e che, in ogni caso, il termine ragionevole per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro;
ii) che l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio del ius poenitendi;
iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte"
.

Sulla base di tali principio di diritto, è stato ritenuto che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consenta di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, così che l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata deve ritenersi sussistente in re ipsa e comunque prevalente rispetto al contrapposto interesse privatistico al mantenimento dell’atto illegittimo (Cons. Stato, Sez. IV, 11 gennaio 2021, n. 343;
Sez. II, 14 giugno 2021, n. 4568). Il superamento del limite temporale di 18 o 12 mesi per l'esercizio del potere di autotutela è pertanto ammissibile nei casi in cui, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, il soggetto privato abbia rappresentato uno stato preesistente - anche mediante il solo silenzio su circostanze rilevanti - diverso da quello reale (Cons. Stato, Sez. II, 29 marzo 2023, n. 3224). Infatti nell’esercizio del potere di autotutela non può non assumere rilievo anche l’effettivo contributo dato dal beneficiario del provvedimento favorevole al suo (illegittimo) rilascio, come risulti accertato nella sede penale o comunque emerga dagli atti acquisiti al procedimento di autotutela, essendo evidente che la sua compartecipazione alla consumazione dell'illecito, anche se non giudizialmente accertata, ma ragionevolmente desumibile dal concreto svolgersi della vicenda sottostante, comprime, fino ad annullarla, la legittima aspirazione al mantenimento di un assetto di interessi prevalentemente incentrato sulla egoistica realizzazione di un interesse privato in contrapposizione - e non, fisiologicamente, in sinergica relazione - con quello pubblico (Cons. Stato, Sez. III, 9 giugno 2022, n. 4687).

E’ stata anche esclusa la sussistenza di un affidamento tutelabile nei casi di annullamento d’ufficio di provvedimenti di sanatoria, in relazione alla natura eccezionale a carattere extra ordinem del procedimento di condono (di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 30 ottobre 2023, n. 9324);
in particolare non sussiste alcun affidamento tutelabile quando il condono edilizio sia stato rilasciato sulla base di documentazione non rispondente al vero, in quanto in tal caso l'Amministrazione è stata indotta in errore dallo stesso richiedente il titolo edilizio in sanatoria per la non corrispondenza al vero di quanto dichiarato in seno alla domanda stessa (Cons. Stato, Sez. VI, 22 agosto 2022, n. 7348). La falsa o erronea rappresentazione, anche per omissione, degli elementi rilevanti e la sua incidenza ai fini dell’adozione della concessione in sanatoria non consentono di configurare una posizione di affidamento legittimo in capo al suo destinatario, ma piuttosto legittimano l’amministrazione a limitare l’onere motivazionale alla dedotta falsità, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa , non sussistendo un interesse privato meritevole di tutela da porre in comparazione con quello pubblico comunque sussistente al ripristino della legalità violata (Cons. Stato, VI, 17 giugno 2022, n. 4959;
Sez. VII, 11 aprile 2023, n. 3643;
sez. IV, 30 giugno 2023, n. 6387).

30.3. Sulla base di tale substrato normativo e giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione di discostarsi, i motivi di appello non possono trovare accoglimento.

Infatti, come condivisibilmente rilevato dal TAR, dalle sentenze penali intervenute nella vicenda de quo è emersa una situazione complessiva di abusi edilizi rispetto ai quali, per le particolari circostanze di fatto e di diritto rilevate dai giudici penali, non sussisteva, sul piano dei provvedimenti amministrativi, alcun affidamento tutelabile del privato.

30.3.1. Con riguardo alla concessione edilizia del 1992, deve rilevarsi che la stessa addirittura non ha mai avuto effetto per la mancata esecuzione della condizione, cui era subordinata, relativa alla demolizione della parte del complesso immobiliare adibita a discoteca: si tratta di una circostanza perfettamente conosciuta anche al momento della presentazione della domanda per il permesso di costruire nel 2004, come risulta dalla relazione tecnica ad essa allegata, pur non essendo computata nella volumetria la struttura esagonale della discoteca. Anche a prescindere da qualsiasi considerazione circa l’ammissibilità dell’apposizione di una tale condizione nel provvedimento di sanatoria, è decisivo rilevare che in ogni caso la sua mancata attuazione ancora dopo dodici anni il rilascio della concessione rendeva la sanatoria tamquam non esset e l’intera opera abusivamente realizzata. Né è in qualche modo invocabile e sussistente un affidamento tutelabile della parte privata, la quale per contro era perfettamente a conoscenza della mancata esecuzione della condizione (espressamente indicata anche nel progetto e nella relazione presentati per il permesso di costruire nel 2004) e apposta al rilascio anche del permesso di costruire n. 83 del 1° dicembre 2004. In effetti la parte privata era indubitabilmente a conoscenza dell’abusività dell’intera struttura, mai effettivamente condonata sia al momento dell’acquisto del compendio immobiliare nel 1994, sia nel periodo successivo, in cui comunque la società costituita dai signori -OMISSIS- non aveva mai dato seguito all’esecuzione della condizione, che anzi era stata espressamente riprodotta nel permesso di costruire del 2004, riguardante, evidentemente, una opera già integralmente abusiva.

Infatti, alla data di presentazione della domanda di permesso di costruire (11 giugno 2004) e successivamente al momento del rilascio del permesso di costruire n. 83 (1° dicembre 2005), quella condizione, originariamente apposta alla sanatoria, non si era mai verificata, con la conseguenza che l’opera per cui era stata presentata la domanda sanatoria non poteva che essere rimasta abusiva, con conseguente illegittimità anche del permesso di costruire del 2004 e della variante del 2005.

30.3.2. Peraltro l’esercizio tardivo dell’autotutela rispetto alla concessione del 1992 era da ritenersi ammissibile e consentito anche sotto un altro profilo.

30.3.2.1. Invero nelle domande di condono presentate nel 1986 non erano stati correttamente dichiarati tutti i vincoli ricadenti sull’area. Tali domande contenevano il riferimento al vincolo paesaggistico, ambientale e sismico, senza alcuna indicazione né del vincolo della fascia di rispetto stradale, né del vincolo della fascia costiera dei trecento metri dalla linea della battigia: tali vincoli non dichiarati erano sicuramente applicabili ad entrambe le domande di condono in base alla disciplina degli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985.

Come è noto, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985, non sono suscettibili di sanatoria le opere “ in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse:

a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici;

b) vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali;

c) vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e della sicurezza interna;

d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”.

La giurisprudenza ritiene che il condono è precluso dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985 nel caso di esistenza di un vincolo assoluto di inedificabilità imposto prima della realizzazione delle opere, mentre si applica l'art. 32, con necessità del parere dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo, nel caso che il vincolo assoluto sia stato introdotto successivamente alla realizzazione dell’opera, vincolo che in sostanza viene allora considerato come relativo (Cons. Stato, Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6035;
7 agosto 2015 n. 3909;
6 maggio 2013, n. 2409). Inoltre è stato evidenziato che il parere deve essere reso in base al regime vincolistico applicabile al momento dell’esame della domanda di condono da parte dell’Amministrazione, in attuazione del principio tempus regit actum , così che la compatibilità con il vincolo deve essere valutata al momento in cui deve essere esaminata la domanda di sanatoria e ciò a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo (Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2297;
n. 6035 del 2019;
A. P. n. 20 del 1999).

30.3.2.2. Con specifico riferimento poi al vincolo della fascia di rispetto stradale si osserva che secondo l’art. 32 della legge n. 47 del 1985 sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino tra le altre ipotesi “ in contrasto con le norme del decreto ministeriale 1° aprile 1968, n. 1404, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13 aprile 1968, e con agli articoli 16, 17 e 18 della legge 13 giugno 1991, n. 190, e successive modificazioni, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico” . In base al comma 3, qualora non si verifichino tali condizioni, si applicano le disposizioni dell'art. 33.

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale ha valenza di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, che rende inedificabili quelle aree, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale;
pertanto, in caso di opera realizzata dopo l’imposizione del vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal D.M. n. 1404 del 1968, si ricade nell'ipotesi di cui all' art. 33, comma 1, L. n. 47 del 1985 , con la conseguenza della non sanabilità dell’opera abusiva, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto. Solo per le opere abusive realizzate prima dell’imposizione del vincolo può trovare applicazione la previsione dell’art. 32, dovendosi ammettere solo in tal caso la possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere previsto dall'art. 32, comma 2, lettera c), con riferimento alla sicurezza del traffico (Cons. Stato, Sez. VII, 18 agosto 2023, n. 7822;
24 marzo 2023, n. 3035;
Sez. VI, 24 novembre 2020, n. 7382;
Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6035;
Sez. IV, 27 gennaio 2015 n. 347).

Il D.M. 1 aprile 1968, n. 1404, ha previsto le “ Distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765 , indicando per le strade di media importanza, quale è ora classificata la via Flacca (categoria C), la distanza di trenta metri dal ciglio stradale;
non risulta poi che tale disciplina ammettesse deroghe consentendo una distanza inferiore a quella di 30 metri, secondo quanto dedotto dalla parte appellante, la quale, peraltro, facendo riferimento alla possibilità di una deroga, che consentirebbe la distanza inferiore di 15 metri, non ha richiamato alcuna specifica disposizione normativa.

Ne deriva che nel caso di specie in ogni caso avrebbe dovuto essere indicato nella domanda di condono il vincolo della fascia di rispetto stradale della via Flacca, per il quale, anche ammesso che si potesse considerare un vincolo relativo, in quanto sopravvenuto, avrebbe dovuto essere richiesto all’ente proprietario della strada il parere relativo alla compatibilità con la sicurezza stradale. Invece, del vincolo della fascia di rispetto stradale e della posizione della struttura da condonare ad una distanza inferiore ai trenta metri dalla via Flacca (pur essendo l’immobile collocato sulla detta via e, in base a quanto affermato nell’atto di appello, ad una distanza di venti metri dal ciglio della strada) non vi è traccia né nelle domande di condono, né nella relazione tecnica successivamente presentata al Comune di Sperlonga per l’esame della domanda di condono.

E’ da aggiungere poi che nel caso di specie il vincolo della fascia di rispetto stradale doveva ritenersi assoluto, essendo stato posto con il D.M. 1404 del 1968, prima ancora della realizzazione degli ampliamenti di cui alla domanda di condono n. 0248732509/2, che riguardava opere ultimate nel 1980 (quando cioè il vincolo era già vigente). Infatti gli ampliamenti, realizzati prima del 1980, erano di tale misura (secondo quanto dichiarato nella domanda di condono 864,60 metri cubi di volume e 247,86 metri quadri di superficie rispetto al volume di 2231,86 metri cubi e 595 metri quadri di superficie ultimate prima del 1967), da configurare un organismo edilizio del tutto nuovo rispetto a quello preesistente, rientrante in una nuova costruzione completata nel 1980.

30.3.2.3.Analogamente nella domanda di condono nonché nella relazione tecnica successivamente presentata avrebbe dovuto essere indicato il vincolo della fascia costiera di trecento metri dalla linea della battigia, il quale è stato introdotto nella Regione Lazio dalla legge regionale 2 luglio 1974 n. 30, che all’art. 3 prevedeva per tale fascia “ non possono essere eseguite costruzioni e opere di qualsiasi natura ”. Tale disposizione è stata successivamente modificata dalla legge regionale 25 ottobre 1976 n. 52, che ha consentito un indice di edificabilità territoriale di 0,001 mc/mq, calcolando anche la cubatura esistente, ma con divieto di qualsiasi attività costruttiva o comunque di trasformazione del terreno prima dell'approvazione dello strumento urbanistico attuativo. Inoltre, l’art. 3 per gli edifici esistenti consentiva solo lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione.

Il vincolo della fascia costiera con limitata edificabilità, ai sensi della legge regionale n. 52 del 1976 quindi non consentiva alcun ampliamento su edifici esistenti e pertanto avrebbe dovuto essere comunque valutato dal Comune, qualora indicato correttamente nella domanda di condono.

Quanto alla questione della effettiva collocazione dell’immobile nei trecento metri dalla linea della battigia, contestata anche nella relazione tecnica dell’arch.-OMISSIS-, si deve in primo luogo rilevare che essa non è stata trasposta in apposita censura di primo grado o di appello. In ogni caso la relazione fa riferimento alla Carta tecnica regionale, con ingrandimento in scala 1:10000, del 1990 e all’ingrandimento in scala 1:5000 dell’anno 2002, affermando espressamente che l’ingrandimento 1:10000 del 1990, “ costituisce la base cartografica del P.T.P.”, da cui risulta che “ parte dell’immobile de quo e dell’area su cui insiste risultino all’interno della fascia di salvaguardia della profondità di ml. 300 dalla battigia ”, mentre nell’ingrandimento 1:5000 del 2002 sarebbe ad una distanza inferiore ai trecento metri dalla linea della battigia. La relazione, quindi, anche a prescindere dalla correttezza e affidabilità tecnica delle misurazioni indicate, conferma che nella CTR del 1990 l’immobile risultava nella fascia dei trecento metri, con conseguente soggezione al regime delle leggi regionali n. 30 del 1974 e n. 52 del 1976, almeno al momento del rilascio della concessione in sanatoria del 1992. Per il periodo successivo tale accertamento diventa anche irrilevante in relazione alla mancanza di legittimità dell’opera preesistente e comunque alla sopravvenienza delle norme urbanistiche (PRG approvato nel 1994) e paesaggistiche (PTP 13/4 approvato con la legge regionale n. 24 del 1998), che collocano l’area in questione nella fascia costiera tutelata. Infatti, la pianificazione urbanistica approvata dalla Regione Lazio con delibera del 20 dicembre 1994 prevedeva la destinazione dell’area in parte a fascia di rispetto stradale, con vincolo di inedificabilità ai sensi dell’art. 40 delle NTA nella misura di 40 metri dal ciglio della via Flacca, in parte a zona E2 “ Agricola di Salvaguardia ambientale ”, in cui rientravano “ le aree comprese entro il perimetro della fascia di rispetto delle coste marittime e lacuali ( ai sensi della Legge regionale n. 52 del 1976 ) che non rientrano nella precedente sottozona E 1 ”.

Il Piano territoriale paesistico 13, Terracina Ceprano Fondi – sub ambito 13/4, adottato con la deliberazione della Giunta regionale n. 2280 del 28 aprile 1987 e approvato con le leggi regionali 6 luglio 1998 n. 24 e n. 25, classificava l’area occupata dall’Hotel -OMISSIS-, “ zona di tutela limitata L/a ”, relativa alle zone di fascia costiera fino a trecento metri dalla linea di battigia.

30.3.2.4. In definitiva la sussistenza dei vincoli, non considerati al momento del rilascio della concessione in sanatoria, in quanto non indicati nelle relative domande ha legittimato il superamento dei termini per l’esercizio del potere di autotutela, non sussistendo alcun affidamento tutelabile del privato.

La mancata indicazione e valutazione dei vincoli ha comportato l’illegittimità della concessione rilasciata nel 1992 per la presenza di vincoli di inedificabilità;
inoltre rispetto al titolo in sanatoria rilasciato nel 1992 era evidente anche l’incertezza in ordine alla volumetria oggetto di condono, stante il contrasto tra la superficie e la volumetria dichiarata nelle domande di condono (complessivamente 842,86 metri quadri di superficie e 3095,86 metri cubi di volume) e quelle, maggiori (superficie complessiva di 1122, 28 metri quadri ed un volume di 3660,74 metri cubi), indicate nella relazione tecnica del 18 gennaio 1986.

30.3.3. L’illegittimità sotto i vari profili indicati della concessione n. 5 del 1992 e l’abusività dell’opera dovuta alla mancata demolizione della discoteca nonché la stessa apposizione della medesima condizione al permesso di costruire n. 83/2004 hanno determinato l’illegittimità anche di tale permesso di costruire e della sua variante.

Peraltro tali titoli edilizi riguardavano opere da realizzare in area sottoposta ai vincoli di inedificabilità assoluta e per le quali le norme urbanistiche e paesaggistiche limitavano gli interventi effettuabili.

Inoltre, nella domanda relativa al permesso n. 83 del 2004 era anche erroneamente indicato anche il tipo di intervento da realizzare, ricondotto ad una “ riqualificazione ” edilizia, mentre si trattava di un intervento di nuova costruzione in zona agricola. Infatti, in base alle norme di legge allora vigenti non era consentita la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione senza il rispetto della sagoma e del volume dell’edificio preesistente.

30.3.3.1. Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 380 del 2001, vigente al momento della domanda e del rilascio del permesso di costruire n. 83/2004 e della variante n. 52/2005, “ gli interventi di ristrutturazione edilizia " erano definiti “ gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica” .

Con riferimento al testo normativo allora vigente, la giurisprudenza ha affermato che erano individuabili due ipotesi: la ristrutturazione edilizia cd. conservativa, che poteva comportare anche l'inserimento di nuovi volumi o modifica della sagoma, e la ristrutturazione edilizia cd. ricostruttiva, attuata mediante demolizione, anche parziale, e ricostruzione, che doveva rispettare il volume e la sagoma dell'edificio preesistente, configurandosi, in difetto, una nuova costruzione (Cons. Stato, Sez. II, 15 gennaio 2021, n. 491). Pertanto nei casi di demolizione parziale o totale dell'edificio era necessario rispettare le linee essenziali della sagoma;
l'identità della complessiva volumetria del fabbricato, e la copertura dell’area di sedime, senza alcuna variazione rispetto all'originario edificio. Qualora tali parametri non risultassero rispettati l'intervento doveva essere qualificato come nuova costruzione e sottoposto alla disciplina prevista in materia di nuove edificazioni (Cons. Stato, Sez. II, 18 maggio 2020, n. 3153;
Cons. Stato Sez. II, 14 giugno 2021, n. 4568).

30.3.3.2. Anche a prescindere, quindi, dai calcoli relativi alla volumetria, che - secondo la prospettazione dell’appellante - sarebbe diminuita rispetto a quella assentita con la concessione edilizia del 1992, è pacifico e risulta dalle stesse riproduzioni grafiche contenute nella relazione tecnica dell’arch.-OMISSIS-, depositata in primo grado, che l’edificio abbia subito una consistente modifica della sagoma, che è un elemento che non coincide - come sembrano presupporre le varie deduzioni difensive - con la volumetria complessiva ma riguarda la configurazione esteriore dell’edificio, la forma, l’altezza e la sua collocazione sul terreno. Né possono essere utili e decisive le indicazioni del tecnico di parte tese a sostenere che si tratterebbe di una ristrutturazione senza demolizione e ricostruzione, in quanto sarebbero state conservate alcune parti dell’edificio preesistente. Infatti la configurazione della demolizione e ricostruzione rilevante, ai fini della nozione di “ ristrutturazione ”, riguarda l’aspetto progettuale dell’edificio, essendo ravvisabile la demolizione e ricostruzione quando le componenti essenziali, quali muri perimetrali, strutture orizzontali, copertura, siano venute meno per la demolizione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 23 febbraio 2023, n. 1827), così che non può rilevare la circostanza che per la mera contingenza materiale nel corso dei lavori alcune parti murarie non siano state effettivamente demolite ma riutilizzate e modificate.

30.3.3.3. In ogni caso nel 2004 era già vigente il PRG, approvato dalla Regione Lazio con delibera del 20 dicembre 1994, che prevedeva per quell’area la destinazione in parte a fascia di rispetto stradale, con vincolo di inedificabilità ai sensi dell’art. 40 delle NTA nella misura di 40 metri dal ciglio della via Flacca, in parte a zona E2 “ Agricola di Salvaguardia ambientale ”, che riguardava le “ aree comprese entro il perimetro della fascia di rispetto delle coste marittime e lacuali (ex LR 52 del 25.10.76) che non rientrano nella precedente sottozona E1 ” (con ciò confermando che si trattava di area posta nei trecento metri dalla linea della battigia). Per tale zona le NTA del PRG, secondo quanto riportato nella stessa relazione tecnica dell’arch.-OMISSIS-, depositata in primo grado, consentivano solo “ la conservazione ed il ripristino delle attività agricole ”;
l'edificazione con un indice di edificabilità territoriale di 0,001 mc/mq e con una altezza massima di 3,5 mt su lotti minimi di 30.000 mq., con deroga al lotto minimo per la costruzione di locali di servizio per attività agricola e con “ la prescrizione dell'altezza massima di m.3,5 e del rapporto di copertura non inferiore ad 1/46 del lotto asservito ”.

Inoltre, ai sensi dell’art. 54 della legge regionale n. 38 del 1999, nel testo allora vigente, “ nelle zone agricole è vietata: a) ogni attività comportante trasformazioni del suolo per finalità diverse da quelle legate alla produzione vegetale, all'allevamento animale o alla valorizzazione dei relativi prodotti, nonché ad attività connesse e compatibili; b) ogni lottizzazione a scopo edilizio; c) l'apertura di strade interpoderali che non siano strettamente necessarie per l'utilizzazione agricola e forestale del suolo ”.

In base all’art. 55 “ la nuova edificazione in zona agricola è consentita soltanto se necessaria alla conduzione del fondo e all'esercizio delle attività agricole e di quelle ad esse connesse ”.

Gli edifici esistenti in zona agricola alla data di entrata in vigore della presente legge possono essere soggetti a interventi di rinnovo, fino alla demolizione e ricostruzione, con il vincolo di non superare le superfici lorde utili esistenti, salvo un aumento, per una sola volta, del dieci per cento delle sole superfici con destinazione residenziale per motivi di adeguamento igienico sanitario ”.

In caso di edifici preesistenti ubicati entro le aree di rispetto stradale, “ in caso di demolizione e ricostruzione devono essere delocalizzati quanto più possibile per osservare le norme di tale rispetto, beneficiando comunque di un incremento delle superfici lorde utili fino al quindici per cento” .

Le strutture adibite a scopo abitativo “ non possono, comunque, superare il rapporto di 0,01 metri quadri per metro quadro, fino ad un massimo di 300 metri quadri per ciascun lotto ” con fissazione del lotto minimo di 10 mila metri quadri per l’unità aziendale minima;
in mancanza dell'individuazione dell'unità aziendale minima, il lotto minimo era fissato in 30 mila metri quadri.

La disciplina urbanistica e le norme della legge regionale n. 38 del 1999, relative alla edificazione in zona agricola non consentivano, dunque, né interventi di nuova costruzione, né di ristrutturazione con modifica della superficie (se non per adeguamento igienico - sanitario);
inoltre nel caso di interventi di ristrutturazione gli edifici, in caso di insistenza nella fascia di rispetto stradale, dovevano essere ricollocati alla corretta distanza.

30.3.3.4. Peraltro nel 2004 era intervenuta anche l’approvazione anche del Piano territoriale paesistico 13, Terracina Ceprano Fondi – sub ambito 13/4, adottato con la deliberazione della Giunta regionale n. 2280 del 28 aprile 1987 e approvato con le leggi regionali 6 luglio 1998 n. 24 e n. 25, che classificava l’area occupata dall’Hotel -OMISSIS-, “ zona di tutela limitata L/a ”, relativa alle fasce costiere entro i trecento metri dalla linea di battigia, disciplinata dall’art. 74 delle NTA , che prevedeva: “ Gli interventi sul territorio consentiti nella zona L/a non possono essere in contrasto con le seguenti finalità: - conservazione assoluta della vegetazione esistente (macchia costiera) e suo eventuale potenziamento con specie tipiche del luogo; - protezione dal degrado della duna litoranea e della relativa vegetazione. Se non in contrasto con le finalità esposte nel paragrafo precedente si consente: - il reperimento, ad una distanza non inferiore a m. 30 dalla base della duna verso l'entroterra, di attrezzature sportive, aree attrezzate per il ristoro, aree di servizio e parcheggi; - la realizzazione in materiali naturali di sentieri di attraversamento della duna che rispettino l'andamento naturale del terreno e siano compatibili con la vegetazione esistente. E' consentito altresì il completamento edilizio, purché previsto da strumento urbanistico esecutivo, con indici fondiari che non superino i 0,5 mc./mq. salvaguardando la visuale del centro storico di Sperlonga dalla via Flacca. Sono ammessi interventi edilizi sugli edifici esistenti, purché regolarmente autorizzati, alla condizione che non comportino aumento delle cubature, superfici utili, altezze e sagome d'ingombro attuali. Qualunque recinzione relativa agli interventi consentiti deve essere realizzata preferibilmente con siepi o reti e comunque con esclusione di murature di altezza superiore a m. 1 ”.

In definitiva anche il PTP allora vigente impediva gli interventi di nuova costruzione e comunque di ristrutturazione edilizia con modifica delle sagome e delle altezze, nonché delle cubature.

La prospettazione dell’intervento contenuto nella domanda di permesso di costruire e nella relazione tecnica presentata, in cui era attestata la compatibilità con gli strumenti di pianificazione vigenti, non corrispondeva alla realtà dello stato dei luoghi e alla situazione normativa e urbanistica degli stessi.

30.3.3.5. Pertanto il permesso di costruire n. 83 del 2004, anche considerato in maniera autonoma dalla precedente concessione del 1992 (di cui comunque replicava l’illegittimità), presentava molteplici profili di contrasto alla disciplina urbanistica, paesaggistica e normativa vigente.

30.3.3.6. Emerge pertanto la piena la legittimità del provvedimento di autotutela relativo ad un titolo edilizio rilasciato in base ad un’erronea rappresentazione degli elementi rilevanti per il suo rilascio, in contrasto con la disciplina di legge, delle norme urbanistiche e paesaggistiche, relative alla tutela delle zone agricole, della fascia di rispetto stradale e delle fasce costiere.

30.3.3.7. Del resto anche la sola realizzazione della piscina, di superficie di 76 metri quadri, integrava una nuova costruzione non consentita in zona agricola, non potendosi condividere le deduzioni di parte appellante in ordine alla natura di pertinenza. Secondo la giurisprudenza infatti la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile solo ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad una opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili, ma non anche manufatti che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera c.d. principale e non siano coessenziali alla stessa, tale cioè che risulti non configurabile una diversa utilizzazione economica. La qualifica di pertinenza urbanistica non è riconducibile a quella civilistica, in quanto ai fini della pertinenza urbanistica non si deve considerare solo il rapporto funzionale di accessorietà con la cosa principale, ma si devono valutare le caratteristiche dell’opera in sé sotto il profilo dell’autonomo impatto urbanistico sul territorio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 309;
Sez. II, 22 luglio 2019, n. 5130). In particolare manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2018, n. 24;
2 febbraio 2017, n. 694;
Sez. IV, 4 gennaio 2016, n. 19;
Sez. VI, 11 marzo 2014, n. 3952). La pertinenza è per sua natura caratterizzata dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui non può essere considerata tale, e quindi è sottoposta al regime del permesso di costruire, la realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni, che modifichi l’assetto del territorio e che occupi aree e volumi diversi rispetto alla res principalis , indipendentemente dal vincolo di servizio o d’ornamento nei riguardi di essa (Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1709, Sez. II, 18 novembre 2019, n. 7864). Inoltre, nel caso in cui il manufatto del quale si invochi la natura pertinenziale sia posto a servizio di un'opera abusiva - come nel caso di specie in cui l’opera risultava abusiva non essendo mai divenuto efficace il condono ed essendo stata comunque rilasciata illegittimamente la sanatoria nel 1992 - non trova applicazione il regime della pertinenza urbanistica, ma la regola generale, ricavabile dagli artt. 3 e 10, D.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui è da considerarsi intervento di nuova costruzione, come tale assoggettata al regime abilitativo del permesso di costruire la costruzione di manufatti edilizi fuori terra, ivi inclusi l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere (Consiglio di Stato, 2 dicembre 2020, n.7631;
2 aprile 2020 n.704). Nel caso di specie le dimensioni della piscina, di 76 metri quadri di superficie, ne escludono la natura di pertinenza, che, in ogni caso, non sarebbe configurabile rispetto ad una opera abusiva. La realizzazione di una piscina è considerata, infatti, nuova costruzione quando abbia dimensioni non irrisorie, costituendo in tal caso una struttura di tipo edilizio, che incide invasivamente sul sito in cui viene realizzata, essendo in grado di modificare irreversibilmente lo stato dei luoghi con diversa destinazione ed uso del suolo, (Cons. Stato, sez. VI, 12 gennaio 2011, n. 110);
potendo costituire invece una pertinenza una piscina di modeste dimensioni, di natura prefabbricata, al servizio di un edificio residenziale ( Consiglio di Stato Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1951;
Sez. II, 3 settembre 2019, n. 6068).

30.3.4. L’illegittimità del permesso di costruire si riverbera sulla variante, per la quale sussistevano le medesime condizioni vincolistiche e urbanistiche.

30.3.5. Non possono poi essere condivise le affermazioni della difesa appellante in ordine alla mancata considerazione della facoltà di convalida, in relazione ai vizi macroscopici dei provvedimenti annullati, relativi ad un’opera abusivamente realizzata, per cui non era mai stato rilasciato un efficace provvedimento di condono, collocata in area sottoposto a vincoli paesaggistici e di inedificabilità assoluta.

Ai sensi dell’art. 21 nonies , comma 2, L. n. 241 del 1990, “ è fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole ”. Detta norma consente alla pubblica amministrazione di convalidare i propri atti affetti da vizi di legittimità, attraverso una manifestazione di volontà intesa ad eliminare il vizio da cui l'atto stesso è inficiato, rendendo l'atto stabile a tutti gli effetti per i quali è preordinato, ogniqualvolta il pubblico interesse ne richieda il consolidamento (Cons. Stato, Sezione VI, 27 aprile 2021, n. 3385;
Sez. V, 22 agosto 2023, n. 7891). La convalida si atteggia quale provvedimento con il quale la Pubblica Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere di autotutela decisionale ed all'esito di un procedimento di secondo grado, interviene su un proprio provvedimento amministrativo viziato, e come tale annullabile, emendandolo dai vizi che ne determinano l'illegittimità e l'annullabilità (Cons. Stato Sez. IV, 18 maggio 2017, n. 2351;
Sez. IV, 21 ottobre 2018, n. 6125). Essa determina l’eliminazione dei vizi dell’atto nella sussistenza di ragioni di pubblico interesse alla conservazione dell’atto, mentre nel caso di specie le illegittimità dei provvedimenti non erano superabili con una manifestazione di volontà dell’amministrazione in relazione al contrasto con le norme urbanistiche, paesaggistiche e di tutela delle zone agricole;
anzi in relazione a tali circostanze era in re ipsa l’interesse pubblico all’eliminazione dell’opera illegittimamente assentita.

Ciò posto si ritine che l’Amministrazione non era tenuta a motivare sulla mancata valutazione della convalida, essendo evidente che tale valutazione è stata assorbita in quella di procedere all’annullamento, sussistendo in re ipsa l’interesse pubblico all’autotutela annullatoria e non quello al mantenimento di atti così gravemente viziati.

30.3.6. Privo di fondamento è anche il richiamo all’intervento della Regione Lazio di verifica del permesso di costruire e al superamento del termine di dieci anni per l’esercizio del potere di annullamento regionale. In primo luogo, infatti, i tecnici regionali, come risulta dalla nota del 28 febbraio 2006 e dagli atti del processo penale, hanno proceduto ad una verifica sulla base della documentazione trasmessa dal Comune in ordine ad eventuali difformità eseguite rispetto ai titoli edilizi rilasciati, ma non hanno proceduto ad una verifica effettiva circa la compatibilità dell’intervento assentito al regime urbanistico e paesaggistico vigente, in rapporto alla effettiva natura dell’intervento stesso.

In ogni caso il potere sostitutivo della Regione costituisce un potere differente da quello di autotutela, autonomamente attribuito dalla legge quale espressione del generale potere regionale di vigilanza edilizia, non assimilabile all’autotutela esercitata della medesima autorità che ha emanato l’atto. I due poteri di annullamento d'ufficio (regionale e comunale) si muovono su piani diversi: l’esercizio del potere sostitutivo di annullamento regionale, differenza dei poteri di autotutela del Comune, non comporta un riesame del precedente operato, ma è finalizzato a riportare le amministrazioni comunali al rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia, che va ricondotto all’esercizio della competenza concorrente di pianificazione e programmazione dell'uso del territorio, stabilita a livello costituzionale, e non ad attività di controllo in funzione di riesame (Cons. Stato, Sez. II, 18 maggio 2020, n. 3157;
sez. IV, 18 agosto 2017, n. 4038;
sez. VI, 6 agosto 2018, n. 4822), per cui è da escludere l’applicazione del termine decennale per l’annullamento regionale all’esercizio dell’autotutela comunale sui titoli edilizi dallo stesso Comune rilasciati (Cons. Stato, Sez. IV, 7 settembre 2018, n. 5277).

Ne deriva che anche la questione del superamento del termine di dieci anni è del tutto irrilevante, in relazione alla diversa natura del potere esercitato dal Comune, sottoposto alla disciplina dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, secondo l’interpretazione giurisprudenziale di tale disposizione, rispetto al potere regionale disciplinato dall’art. 39 del Testo unico dell’edilizia.

30.3.7. Rispetto alle censure relative al mancato rispetto del contraddittorio procedimentale, non può che rilevarsi che la relazione dell’arch.-OMISSIS- era stata presentata prima dell’ordinanza n. 72 del 2021, successivamente annullata in autotutela, mentre, a seguito della comunicazione di avvio del procedimento di annullamento di tale ordinanza, il 30 marzo 2021, è stato comunicato altresì l’avvio di un nuovo procedimento di annullamento, relativo anche alla concessione n. 5 del 1992, concluso con l’atto del 9 maggio 2022 oggetto del presente giudizio, senza la presentazione di memorie da parte dell’interessato. Peraltro deve rammentarsi che, pur a fronte di controdeduzioni procedimentali dell'interessato, il provvedimento a questo sfavorevole può legittimamente fondarsi su di una motivazione sintetica, non essendo invece richiesta un’analitica confutazione delle osservazioni (Cons. Stato, II, 14 giugno 2021, n. 4568;
Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 6173), dovendo le norme in materia di partecipazione procedimentale essere interpretate ed applicate non in senso formalistico, ma avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato o possa avere causato alle ragioni del soggetto privato, sicché la non esplicita confutazione delle argomentazioni addotte dal privato non comporta l’automatica illegittimità del provvedimento finale, in ossequio a quanto stabilito dall'art. 21- octie s della stessa L. n. 241 del 1990, secondo cui il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali, che non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale di un provvedimento, tanto in virtù della c.d. dequotazione dei vizi formali dell'atto per garantire una maggiore efficienza all'azione amministrativa (cfr. Cons. Stato, sezione II, 17 settembre 2019, n. 6209;
id, Sez. II , 9 giugno 2020, n. 3675;
Consiglio di Stato sez. III, 19 febbraio 2019, n.1156;
Cons. Stato Sez. V, 8 febbraio 2021, n. 1126).

30.3.8. Non rilevano neppure rispetto al presente giudizio le contestazioni in ordine alla lottizzazione abusiva, in quanto nel provvedimento impugnato è stato solo preannunciato un tale provvedimento, ma non è stato adottato un formale provvedimento, ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. 380 del 2001.

30.3.9. Le censure proposte avverso l’ordine di demolizione, in quanto non avrebbe individuato la parte da demolire, rispetto alle opere legittimamente realizzate nel 1963 e, quindi, prima del 1967, sono infondate, in relazione alla natura abusiva dell’intera opera realizzata, non essendo mai stato validamente ed efficacemente rilasciata la sanatoria (per la mancata esecuzione della condizione apposta al condono) e comunque per la illegittimità della stessa, avendo inoltre subito l’immobile interventi fino al 1980, che lo hanno radicalmente trasformato (con aumento di cubatura di almeno 864,60 metri cubi e di superficie di 247,86 metri quadri dichiarati nella seconda domanda di condono come ultimati nel 1980), così che nessuna delle parti originariamente realizzate aveva mantenuto già nel 1980 una effettiva distinzione, essendo stata inglobata in un organismo edilizio radicalmente diverso.

31. In conclusione l’appello deve essere respinto.

32. In considerazione della complessità delle questioni le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi