Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-12-14, n. 201505663

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-12-14, n. 201505663
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201505663
Data del deposito : 14 dicembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04582/2010 REG.RIC.

N. 05663/2015REG.PROV.COLL.

N. 04582/2010 REG.RIC.

N. 07618/2011 REG.RIC.

N. 10451/2014 REG.RIC.

N. 00034/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4582 del 2010, proposto da:
Condominio "B" in persona del legale rappresentante in carica di via Etruria 19 e via Tirreno 22-24 S V (Li), M G P in C, rappresentati e difesi dall'avv. A P, con domicilio eletto presso Clifford Chance Studio in Roma, Via Sistina, 4;

contro

Comune di S V in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avv. R G, con domicilio eletto presso Francesco Caso in Roma, Via Savoia, 72;

nei confronti di

Acquachiara S.n.c. in persona del legale rappresentante in carica di G G &
C., rappresentato e difeso dall'avv. D M T, con domicilio eletto presso Francesco P in Roma, viale Maresciallo Pilsudski Nr.118;



sul ricorso numero di registro generale 7618 del 2011, proposto da:
S.N.C. Acquachiara di G G &
C., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. D M T, con domicilio eletto presso Duccio M. T in Roma, Via G. Carducci N. 4;

contro

Condominio B, in persona del legale rappresentante in carica M G P In C, rappresentati e difesi dall'avv. A P, con domicilio eletto presso Studio Legale Studio Clifford Chance in Roma, Via di Villa Sacchetti, 11;
Acquachiara Snc;

nei confronti di

Comune di S V, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. R G, con domicilio eletto presso Studio Legale Associato Caso-Ciaglia in Roma, Via Savoia N. 72;
Soprintendenza Beni Culturali ed Ambientali di Pisa, Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati;



sul ricorso numero di registro generale 10451 del 2014, proposto da:
Acquachiara di G G &
C.Snc, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. D M T, con domicilio eletto presso Francesco P in Roma, Via Maresciallo Pilsudski, 118;

contro

Condominio B di via Etruria 19 e via del Tirreno 22-24 in S V (Li), in persona del legale rappresentante in carica A M, rappresentati e difesi dagli avv. A P, P L J, con domicilio eletto presso A P in Roma, Via di Villa Sacchetti 11;
M G P;

nei confronti di

Comune di S V, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. R G, con domicilio eletto presso Studio Legale Associato Caso-Ciaglia in Roma, Via Savoia N. 72;
Soprintendenza Bbccaa di Pisa, Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati;



sul ricorso numero di registro generale 34 del 2015, proposto da:
Comune di S V, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. R G, con domicilio eletto presso Studio Legale Caso Ciaglia in Roma, Via Savoia 72;

contro

Condominio B di via Etruria 19 e via del Tirreno 22-24, in persona del legale rappresentante in carica A M, rappresentati e difesi dagli avv. A P, P L J, con domicilio eletto presso A P in Roma, Via di Villa Sacchetti 11;
M G P In C;
Soc. Acquachiara di G G, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. D M T, con domicilio eletto presso Francesco P in Roma, viale Maresciallo Pilsudski Nr.118;
Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali, Soprintendenza Beni ed Attivita' Culturali di Pisa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati;

per la riforma

quanto al ricorso n. 7618 del 2011:

della sentenza del T.a.r. della Toscana – Sede di Firenze- Sezione III n. 00183/2011, resa tra le parti, concernente autorizzazione paesaggistica in relazione a variazione di concessione edilizia

quanto al ricorso n. 10451 del 2014:

della sentenza del T.a.r. della Toscana –Sede di Firenze- Sezione III n. 00677/2014, resa tra le parti, concernente autorizzazione paesaggistica in relazione a variazione di concessione edilizia su area demaniale marittima

quanto al ricorso n. 34 del 2015:

della sentenza del T.a.r. della Toscana –Sede di Firenze- Sezione III n. 00677/2014, resa tra le parti, concernente autorizzazione paesaggistica in relazione a variazione di concessione edilizia su area demaniale marittima

quanto al ricorso n. 4582 del 2010:

della sentenza del T.a.r. della Toscana –Sede di Firenze- Sezione III n. 00439/2009, resa tra le parti, concernente permesso di costruire;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di S V e di Acquachiara S.n.c. di G G &
C. e di Condominio B e di M G P In C e di Comune di S V e di Soprintendenza Beni Culturali ed Ambientali di Pisa e di Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali e di Condominio B di via Etruria 19 e via del Tirreno 22-24 in S V (Li) e di A M e di Comune di S V e di Soprintendenza Bbccaa di Pisa e di Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali e di Condominio B di via Etruria 19 e via del Tirreno 22-24 e di A M e di Soc. Acquachiara di G G e di Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali e di Soprintendenza Beni ed Attivita' Culturali di Pisa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2015 il Consigliere F T e uditi per le parti gli Avvocati Police e P, in dichiarata delega di T e per delega di G e A F, per l'Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Ricorso n. 4582/2010 proposto dal Condominio "B" S V, M G P in C,avverso la sentenza del T della Toscana n. 00439/2009;


Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 00439/2009 il Tribunale amministrativo regionale della Toscana – Sede di Firenze – ha dichiarato improcedibile il ricorso (numero di registro generale 900 del 2008) proposto della odierna parte appellante Condominio "B" S V, M G P in C,, volto ad ottenere l’annullamento:

della "concessione edilizia" n. C/08/10 del 18.01.2008 rilasciata dal Dirigente dell'area 1, Servizi per il territorio, sulla pratica edilizia n. D/02/560 (doc. 1);

- della delibera consiliare del Comune di S V n. 117 del 28 dicembre 2006 con cui era stato approvato il Piano della Spiaggia U.T.

6.1 del P.R.G. comunale, nella parte in cui prevede la realizzazione di un nuovo stabilimento balneare in Via Tirreno (intervento 6.1) (doc. 2);

- della delibera consiliare n. 67 del 24.7.2006 di approvazione della Variante Gestionale al Regolamento Urbanistico, nella parte in cui regola la "U.T.

6.1. la spiaggia" e il "Sottosistema insediativo 5/6.d.20 della spiaggia" (doc. 3)- di tutti gli atti presupposti connessi e consequenziali;

Era stato altresì richiesto l'accertamento dell'illegittimità dei lavori in corso d'opera in pretesa esecuzione dell'impugnato permesso a costruire denominato "concessione edilizia" n. C/08/10 del 18.01.2008.

La odierna parte appellante aveva esposto di agire in qualità di proprietaria dell’edificio B di via Etruria n. 19 e via del Tirreno n. 22-24 in S V (LI) ed aveva proposto articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Con ordinanza resa dal T n. 628/2008 era stata respinta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato: detta ordinanza è stata riformata dal Consiglio di Stato (ord. n. 4860/2008 del 16 settembre 2008)alla stregua della considerazione per cui “Ritenuto che i provvedimenti impugnati debbano essere sospesi in attesa che il progetto originario venga adeguato alle prescrizioni impartite dalla Soprintendenza;”.

Il T, preso spunto dal contenuto della citata ordinanza del Consiglio di Stato ha nell’ordine affermato che:

dal tenore della stessa si evinceva che sebbene il piano di spiaggia (che prevedeva espressamente la possibilità di realizzazione di un impianto balneare, e non era stato impugnato tempestivamente, essendo di diversi mesi precedente la proposizione del ricorso), si doveva ritenere che il Consiglio di Stato, nell’accogliere la sospensiva, avesse evidentemente (ed implicitamente) ritenuto che tale atto non fosse immediatamente lesivo.

Conformandosi a detta indicazione, ha affermato la tempestività dell’impugnazione.

Ha però poi rilevato che la Soprintendenza, successivamente all’impugnazione, aveva emesso un verbale di sopralluogo con il quale aveva prescritto specifici adempimenti, in attesa della presentazione di un nuovo progetto definitivo.

Ad avviso del T, il Giudice d’appello, nella citata ordinanza cautelare n. 4860/2008 aveva quindi implicitamente ritenuto che il potere prescrittivo della Sovrintendenza (avente natura di parere obbligatorio) si potesse esercitare in diverse fasi ( ed in questo caso anche successivamente alla emissione ed alla impugnazione del provvedimento di concessione edilizia che lo presupponeva).

Muovendo da tale caposaldo, ha affermato che tali nuovi obblighi di adempimento, imposti allo stabilimento, non erano stati impugnati da parte originaria ricorrente.

Da ciò ha fatto discendere che il ricorso, in mancanza di motivi aggiunti, era divenuto improcedibile, essendo ormai definitivamente superate le precedenti prescrizioni (una volta riconosciuta la legittimità dell’esercizio successivo del potere prescrittivo della sovrintendenza), posto che lo stabilimento balneare si sarebbe dovuto adeguare alle nuove prescrizioni imposte, rispetto alle quali era stata prestata acquiescenza da parte ricorrente.

Il ricorso è stato quindi dichiarato improcedibile.

Avverso tale sentenza parte originaria ricorrente ha proposto un articolato appello.

Quanto alla statuizione di improcedibilità ha sostenuto che la stessa fosse del tutto errata.

Infatti, dopo avere ripercorso analiticamente la fase infraprocedimentale che aveva condotto alla emanazione dell’avversato permesso di costruire n. n. C/08/10 del 18.01.2008ha fatto presente che:

a)essa aveva tempestivamente impugnato detta concessione edilizia;

b)contemporaneamente aveva inviato esposti alla Soprintendenza e ad altre Autorità dove si lamentava, essenzialmente, la falsità della documentazione presentata dalla ditta appellata e sottesa all’autorizzazione paesaggistica e comunque la non rispondenza dei lavori in corso di esecuzione a quanto dalla Soprintendenza autorizzato in data 13.1.2005;

c)la Soprintendenza si era attivata e il 10.5.2008 si era tenuto il sopralluogo congiunto (Soprintendenza, Comune e Acquachiara S.n.c. di G G &
C.) cui faceva riferimento la motivazione della gravata sentenza del T;

d)in detta occasione era stata accertata la difformità dei lavori in corso di esecuzione rispetto a quanto dalla Soprintendenza autorizzato in data 13.1.2005 e la circostanza che la variante progettuale del 2007, sottesa al permesso di costruire gravato, non era mai stata trasmessa alla Soprintendenza.

Tale verbale di sopralluogo era stato inoltrato a parte appellante, ma dopo l’udienza tenutasi al T per la delibazione dell’incidente cautelare (infatti, il T non vi aveva fatto riferimento, mentre esso era stato tenuto presente in sede di giudizio di appello cautelare).

Posto che il sopralluogo aveva accertato la non rispondenza dei lavori in corso di esecuzione a quanto dalla Soprintendenza autorizzato in data 13.1.2005, ci si sarebbe aspettati che il Comune e la Soprintendenza, in autotutela, annullassero i provvedimenti gravati.

Ma ciò non era accaduto: ed anzi il 15.12.2008 parte appellata Acquachiara S.n.c. di G G &
C aveva presentato una domanda di variante, al preteso fine di conformarsi alle indicazioni rese dalla Soprintendenza a seguito del sopralluogo del 10.5.2008 ed al decisum del Consiglio di Stato.


Sebbene detta variante non fosse stata neppure esitata, e quindi non vi fosse alcun adeguamento dell’erigendo manufatto, a quanto asseritamente “prescritto” nel corso del sopralluogo, il T aveva dichiarato improcedibile il mezzo.

Tale statuizione era radicalmente errata, in quanto:

a)parte odierna appellante si era immediatamente attivata per impugnare con separato ricorso (1112/2009) il parere concretamente prescrittivo della Soprintendenza e il permesso a costruire in variante a quello impugnato;
ciò impediva di ipotizzare qualsivoglia acquiescenza;

b)il “verbale di sopralluogo” tra Comune e Soprintendenza, non integrava “atto amministrativo impugnabile”;

c)l’improcedibilità era stata supportata da un giudizio ipotetico (del tutto errato, come dimostrato dal successivo sviluppo del contenzioso) in relazione al quale “lo stabilimento balneare non potrà che essere adeguato alle nuove prescrizioni imposte”;

d)in ogni caso, se anche, per ipotesi, i contenuti del sopralluogo avessero parzialmente soddisfatto parte odierna appellante, si sarebbe dovuto rilevare che essa aveva agito per la totale caducazione del titolo edilizio ab origine rilasciato (il che poi, a cascata, avrebbe determinato la caducazione della variante, e la conseguenza che nessun intervento edificatorio avrebbe potuto essere intrapreso sulla area).

E che detto interesse in ultimo citato, restava integro.

Parte appellante pertanto:

a)ha chiesto che venisse rimossa la statuizione di improcedibilità;

b)ha riproposto tutti i sei motivi di censura contenuti nel mezzo di primo grado, e non esaminati dal T.

Tutte le parti processuali hanno depositato scritti e memorie volti a ribadire le proprie difese.

Alla pubblica udienza dell’ 8 ottobre 2015 la causa è stata rinviata al 3 novembre 2015.

Alla pubblica udienza del 3 novembre 2015la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.


Ricorso n. 7618/2011 proposto dalla S.N.C. ACQUACHIARA DI GERLI GRETA &
C avverso la sentenza del T della Toscana n. 183 del 2011;


Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 00183/2011 il Tribunale amministrativo regionale della Toscana – Sede di Firenze – ha accolto in parte il ricorso (numero di registro generale n. 01112/2009) corredato da due motivi aggiunti proposto della odierna parte appellata Condominio "B" S V, M G P in C.

L’iniziativa giurisdizionale era volta ad ottenere l’annullamento:

(con il mezzo principale) del parere della Soprintendenza di Pisa prot. n. 286/BN del 1° febbraio 2009 (rectius: del 5 febbraio 2009), conosciuto in seguito ad accesso agli atti amministrativi avvenuto in data 1 aprile 2009, nonchè di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali;

(con i primi motivi aggiunti, depositati in giudizio in data 1° febbraio 2010) del permesso a costruire denominato "concessione variante in corso d'opera" n. C/08/11 del 4 maggio 2009, conosciuto a seguito di accesso agli atti amministrativi avvenuto in data 23 novembre 2009, nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali;

(con il secondo atto di motivi aggiunti, depositato in giudizio in data 15 luglio 2010) della nota della Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio delle province di Pisa e Livorno prot. n. 892/BN del 12 aprile 2010, conosciuta a seguito del deposito in giudizio in data 15 giugno 2010, nonchè di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, tra cui in particolare l'attestazione del dirigente geom. A F del Comune di S V, priva di data e depositata in giudizio il 15 giugno 2010.

Il T innanzitutto ha ricostruito, anche sotto il profilo cronologico, la vicenda dando atto della precedente impugnazione proposta dalla parte originaria ricorrente ed odierna appellata (numero di registro generale 900 del 2008) volta ad avversare la concessione edilizia rilasciata ad Acquachiara s.n.c. n.C/08/10 per la costruzione dello stabilimento balneare e conclusasi con la sentenza di improcedibilità n. 00439/2009.

Ha altresì dato atto della circostanza che la parte originaria ricorrente ed odierna appellata aveva inviato esposti alla Soprintendenza e ad altre Autorità dove si lamentava, essenzialmente, la falsità della documentazione presentata dalla ditta appellata e sottesa all’autorizzazione paesaggistica e comunque la non rispondenza dei lavori in corso di esecuzione a quanto dalla Soprintendenza autorizzato in data 13.1.2005.

A seguito di tali esposti la Soprintendenza si era attivata ed il 10.5.2008 si era tenuto un sopralluogo congiunto (Soprintendenza, Comune e Acquachiara S.n.c. di G G &
C.): in detta occasione era stata accertata la difformità dei lavori in corso di esecuzione rispetto a quanto dalla Soprintendenza autorizzato in data 13.1.2005.

Dal verbale di sopralluogo risultava che erano state concordate le seguenti prescrizioni: abbassamento delle porzioni di copertura e del corpo tecnico con creazione di unica copertura piana trasformata in tetto terrazza non calpestabile;
il solaio di copertura deve avere altezza massima di metri 2,70 dal pavimento (deve essere cioè abbassato di 30 centimetri rispetto alle quote attuali) con salvezza della verifica dell’U.S.L.;
realizzazione di non più di 15 cabine, posizionate a filo spiaggia e prive di basamento, così da limitarne l’altezza;
la modifica progettuale deve concretizzarsi in variante in corso d’opera, con confronto e verifica di tutte le quote, con rilievi topografici e altimetrici descritti nell’ambito di progetto definitivo da presentare alla Soprintendenza.

In data 15/12/2008 la società Acquachiara aveva chiesto concessione edilizia in variante alla concessione del 18/1/2008.

Sul nuovo progetto presentato la Soprintendenza aveva espresso parere favorevole in data 5/2/2009, prescrivendo però di “abbassare l’altezza interna dell’intervento di progetto al di sotto di 3 metri netti (2,70) previa acquisizione del parere e delle certificazioni della competente A.S.L.”

L’U.S.L. n.6 di Livorno, con lettera del 28/2/2009, aveva fatto presente che l’altezza minima di tre metri riguarda le stanze adibite a lavorazioni insalubri, e in particolare le cucine, mentre le aree di somministrazione potevano avere un’altezza di metri 2,70 (documento n.6 depositato contestualmente al ricorso).

La originaria ricorrente aveva quindi -con il mezzo introduttivo del giudizio- avversato il parere favorevole della Soprintendenza del 5/2/2009 prospettando quattro articolate doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere.

Con i primi motivi aggiunti, aveva avversato (prospettando cinque analitiche censure di violazione di legge ed eccesso di potere) la concessione di variante in corso d’opera rilasciata alla società Acquachiara dal Comune in data 4/5/2009: aveva in proposito fatto presente che nell’ottobre 2007 era stato pubblicato il piano di indirizzo territoriale regionale, che prevedeva l’inedificabilità assoluta sulla costa, fatta eccezione per le opere a difesa della costa, per la portualità e per le opere pubbliche.

Infine, medio tempore, la Soprintendenza, con nota del 12/4/2010 indirizzata al Comune, aveva precisato che l’ultimo progetto presentato dalla società Acquachiara (fascicolo n.57/2009) era conforme alle direttive e prescrizioni elencate nel verbale di sopralluogo del 10/5/2008 e che l’aumento di altezza necessario poteva essere assorbito nella finitura del profilo della terrazza, eliminando il parapetto perimetrale e incrementando il verde in copertura: anche tale atto era stato gravato per eccesso di potere (secondi motivi aggiunti).

Il T ha in primo luogo scrutinato talune questioni preliminari prospettate dalle originarie parti intimate, escludendone la fondatezza.

Ha in proposito espresso il convincimento per cui non poteva dubitarsi della legittimazione attiva della parte originaria ricorrente:la supposta riduzione della vista panoramica costituiva posizione legittimante.

Ha poi puntualizzato quale era l’oggetto del giudizio –nei termini prospettati negli atti di impugnazione- respingendo l’eccezione di “ne bis in idem” prospettata con riguardo alla precedente impugnazione proposta dalla parte originaria ricorrente ed odierna appellata (numero di registro generale 900 del 2008) volta ad avversare la concessione edilizia rilasciata ad Acquachiara s.n.c. n.C/08/10 per la costruzione dello stabilimento balneare e conclusasi con la sentenza di improcedibilità n. 00439/2009 (la tesi sottesa all’eccezione era quella per cui le doglianze avrebbero dovuto essere proposte come motivi aggiunti del ricorso dichiarato improcedibile).

Il T ne ha escluso la favorevole delibazione, evidenziando che nel detto giudizio non venivano contestate tardivamente le prescrizioni dettate nel verbale di sopralluogo, ma, al contrario, le stesse erano assunte parametri di riferimento in base ai quali valutare la coerenza, la logicità e la legittimità della successiva e connessa azione amministrativa.

L’inoppugnabilità della concessione edilizia del 18/1/2008 (affermata dal T nella sentenza di improcedibilità n. 00439/2009 provvisoriamente esecutiva, seppur impugnata) non precludeva l’impugnazione del successivo parere della Soprintendenza e della variante concessoria conseguente al parere stesso, in quanto la nuova impugnazione era finalizzata ad ottenere che le amministrazioni resistenti e il titolare del permesso di costruire si uniformassero, in virtù dell’effetto conformativo della sentenza di accoglimento, alle direttive elencate nel menzionato verbale.

Neppure assumeva rilevanza la tesi per cui l’impugnato parere si conformava al giudicato della sentenza n.439/09 ed era atto meramente confermativo del precedente verbale di sopralluogo: il ricorso si incentrava sulla violazione di quanto previsto nel verbale di sopralluogo;
i contenuti dell’impugnato atto della Soprintendenza non solo non coincidevano con quelli del verbale di sopralluogo, ma si basavano su nuovi elementi istruttori, costituiti dagli elaborati progettuali in variante e dalla relativa relazione tecnica illustrativa.

Doveva escludersi la natura meramente confermativa (rispetto al verbale di sopralluogo) del contestato parere.

Esclusa la fondatezza di ulteriori eccezioni processuali, ed affermato il convincimento per cui i ricorsi di primo grado avevano esattamente individuato gli atti gravati e pertanto fossero –anche sotto tale angolo prospettico- ammissibili, il T ha scrutinato il merito delle censure, a partire da quelle proposte con il mezzo introduttivo.

Di tale mezzo ha accolto il primo motivo (laddove si era lamentato che l’impugnato parere della Soprintendenza collidesse con le prescrizioni dettate dal verbale di sopralluogo del 10/6/2008, lamentando l’illogicità della nuova prescrizione di abbassare l’altezza interna rilevando peraltro che la Soprintendenza non era competente a dare prescrizioni sull’altezza interna, anziché su quella esterna, dei locali), la seconda censura (incentrata sulla considerazione che nel progetto in variante, presentato ad esito del citato verbale di sopralluogo, il riferimento per il computo dell’altezza -la quota zero- era stato individuato in un punto casuale della passeggiata di nuova costruzione, decentrato rispetto all’edificio, mentre invece la Soprintendenza avrebbe dovuto assumere a riferimento la quota strada), ed anche la terza doglianza (ove si era lamentato che il progetto assentito prevedeva nella copertura viottoli calpestabili, una scala di accesso e una ringhiera – interventi, questi, strumentali a rendere normalmente utilizzabile la terrazza, in contrasto con la prescrizione, contenuta nel verbale di sopralluogo, di trasformare la copertura in tetto/terrazza non calpestabile-).

Il T ha poi scrutinato il primo ricorso per motivi aggiunti, teso a gravare il permesso di costruire in variante n. C/08/11 del 4 maggio 2009, rilasciato dal Comune alla ditta odierna appellante.

La radicale censura aveva fatto presente che esso contrastava con il piano di indirizzo territoriale regionale, pubblicato nell’ottobre 2007, che prevedeva l’inedificabilità assoluta sulla costa.

Era stato segnalato che l’art.36 comma 6 del piano statuiva che a decorrere dalla pubblicazione sul B.U.R.T. dell’avviso di adozione del medesimo non erano consentiti interventi da esso vietati, aggiungendo che non risultava che il Comune avesse vagliato la compatibilità dell’intervento con il piano territoriale di coordinamento della provincia di Livorno approvato nel marzo 2009 e col predetto piano regionale.

Di tale radicale doglianza il T ha escluso la accoglibilità, sul rilievo che i motivi aggiunti erano tesi ad avversare una concessione edilizia in variante rispetto al titolo edilizio rilasciato il 18/1/2008: detto titolo era ormai incontestabile in quanto la sua impugnazione era stata dichiarata improcedibile con sentenza n.439/2009.

La variante in corso d’opera discendeva dalla necessità di adeguarsi alle prescrizioni impartite in sede di sopralluogo congiunto del giugno 2008, e detti adeguamenti al progetto già assentito, erano stati approvati con la concessione di variante in corso d’opera impugnata con i motivi aggiunti.

Non ci si trovava, quindi, ad avviso del T, in presenza di una nuova edificazione, ma di modifiche dell’opera già iniziata, con la conseguenza che il piano di indirizzo regionale e il piano provinciale, riguardando l’assentibilità di nuove costruzioni, non potevano incidere sulla validità del provvedimento impugnato.

Per altro verso, nella variante non erano contenuti stravolgimenti del progetto originario, e quindi ci si poneva in continuità con la predente concessione rilasciata.

Inoltre, ad avviso del T, stante la incontestabilità della concessione edilizia del 18/1/2008 (affermata dal T nella sentenza di improcedibilità n. 00439/2009 provvisoriamente esecutiva, seppur impugnata) l’annullamento della concessione in variante non avrebbe recato vantaggio a parte odierna appellata, perchè sarebbe sempre residuata la vigenza della predetta concessione edilizia del 18/1/2008.

Il T ha invece accolto il secondo motivo contenuto nel primo ricorso per motivi aggiunti, affermando la l’illegittimità della contestata concessione in variante in quanto derivata dalla affermata illegittimità del parere della Soprintendenza, impugnato col ricorso principale, ed ha assorbito le ulteriori doglianze contenute nel predetto primo ricorso per motivi aggiunti.

Quanto infine al secondo ricorso per motivi aggiunti (ove era stata avversata la nota del 12/4/2010, con cui la Soprintendenza aveva dichiarato il riscontrato rispetto, da parte dell’ultimo progetto presentato, delle direttive elencate nel verbale di sopralluogo) il T ne ha affermato la fondatezza sulla scorta delle stesse considerazioni che l’avevano indotto ad accogliere il mezzo introduttivo: v’era difformità tra quanto prescritto nel sopralluogo del 2008, il parere della Soprintendenza, ed i lavori effettuati.


Avverso tale sentenza la parte originaria controinteressata e resistente rimasta soccombente Acquachiara s.n.c. ha proposto un articolato appello.

Nelle prime sei pagine del mezzo ha riepilogato i termini del risalente contenzioso infraprocedimentale, dando atto della precedente impugnazione proposta dalla parte originaria ricorrente ed odierna appellata (numero di registro generale 900 del 2008) volta ad avversare la concessione edilizia rilasciata ad Acquachiara s.n.c. n.C/08/10 per la costruzione dello stabilimento balneare e conclusasi con la sentenza di improcedibilità n. 00439/2009.

Nelle successive pagine da 6 ad 11 dell’atto di appello (punti VI –XI) ha rammentato quali fossero state le censure proposte dalla odierna parte appellata Condominio "B" S V, M G P in C ed ha riportato, per sintesi, la motivazione parzialmente accoglitiva del T resa nella sentenza n. 183/2011 .

Ha quindi esposto (pagg. 11 e seguenti dell’elaborato) le proprie doglianze all’iter motivo della sentenza.

Ha in proposito sostenuto (primo motivo di censura) la tesi secondo cui se era corretto affermare che le prescrizioni contenute nel verbale di sopralluogo del 10/6/2008 dovevano rappresentare il parametro di legittimità della nota della Soprintendenza n. 826/BN del 5/2/2009 -contrariamente a quanto affermato dal T- nessuna contraddizione tra tali atti poteva ravvisarsi.

In punto di altezza della costruzione, infatti, tanto dal verbale di sopralluogo del 2008, quanto dalla successiva nota del 2009 (e dalla nota del 12/4/2010), si ricavava la necessità, dovuta a motivi igienico-sanitari, di consentire una altezza maggiore ai m. 2, 70 (indicati inizialmente dalla Soprintendenza) salva diversa prescrizione dell'ASL.

Il verbale del 10/6/2008 aveva infatti stabilito che "lo stesso solaio finito dovrà avere

una altezza massima di 2, 70 da quota pavimento (abbassato cioè di 30 cm

rispetto alle quote attuali), salvo verifica Asl”.

Da ciò si ricavava che la Soprintendenza non aveva formulato alcuna prescrizione “perentoria” con riferimento all’altezza della costruzione.

La ASL, a propria volta. nella nota del 28/2/2009, aveva prescritto, almeno per i

locali adibiti a cucina (in quanto “insalubri”) una altezza di 3 metri aggiungendo, con riferimento agli altri locali, che: "le zone di somministrazione, se fosse economico e possibile

urbanisticamente. potrebbero ovviamente rimanere a m. 2, 70.

L'ASL, quindi: aveva fissato il limite inderogabile di 3 metri di altezza con riferimento alle cucine;

l'altezza della cucina, non inferiore a tre metri, aveva quindi indotto a confermare la medesima altezza anche per gli altri locali: ciò per ragioni "estetiche"

Ne discendeva che:

a) nessuna contraddittorietà poteva essere rinvenuta tra il verbale in cui la Soprintendenza fissava il limite di m 2, 70 per l'altezza esterna e le note con cui essa aveva consentito di mantenere la quota

di m 3, (fra il primo e le seconde era intervenuta l'indicazione della ASL, che aveva imposto un'altezza di 3 m. per i locali adibiti a cucine);

b) l’attività della Soprintendenza non era viziata da incompetenza: la Soprintendenza, sentita la ASL, si era limitata a precisare che "anche dal suo punto di vista" quello specifico limite di

altezza interna era autorizzabile

Ciò che il T non aveva colto, era che ricorreva un rapporto di integrazione reciproca fra le diverse note emanate dalla Soprintendenza.

Ciò poteva evincersi dall’ ultimo provvedimento di approvazione del 12/4/2010, in cui si era affermato che "l'ultimo progetto presentato nei nostri uffici con fascicolo5712009 è conforme e attua tutte le nostre direttive e prescrizioni elencate nel verbale del 101612008, Pertanto in

considerazione di tal esigenza si ritiene che il relativo aumento dell 'altezza

necessario possa essere sapientemente assorbito nella finitura del profilo

della terrazza, eliminando il parapetto perimetrale e incrementando il verde in copertura.

Con la seconda censura è stato stigmatizzato l’iter motivo accoglitivo della censura di primo grado in punto di individuazione della “quota” (nella censura di primo grado parte originaria ricorrente aveva sostenuto che la quota zero, ovvero il punto da cui muovere per il computo dell'altezza, sarebbe stato dalla Soprintendenza fissato "a caso").

Il giudice di prime cure, aveva acriticamente accolto il mezzo ritenendo che la “quota

zero” non fosse stata identificata e (contraddittoriamente) che la Soprintendenza non avesse preso in considerazione tale problematica.

In contrario senso, doveva rilevarsi che dal verbale del 10/6/2008 risultava che

la questione della quota di imposta del fabbricato fosse stata approfondita durante il sopralluogo, e che la quota zero fosse stata in quell'occasione inequivocabilmente individuata da parte della Soprintendenza (come risulta dalla relazione tecnica dell 'Arch. S G del maggio 2011): la quota di imposta del fabbricato era stata presa con riferimento alla Via del

Tirreno su cui il fabbricato si affaccia.

Non poteva operarsi altrimenti attesa la mancanza di precisi riferimenti nel cd. "piano della spiaggia" (che invece per altri stabilimenti conteneva precise indicazioni circa i criteri di misurazione delle altezze).

Ciò in quanto, la strada era in posizione sopraelevata rispetto all'arenile;
allo stesso si accedeva dalla strada;
la "quota" della spiaggia variava a seconda degli agenti atmosferici e quindi non forniva una base fissa.

Con la terza censura è stato stigmatizzato l’approdo del T, secondo cui ci si era discostati dall’esito del sopralluogo di cui al verbale del 10/6/2008 anche con riferimento alla terrazza.

Ad avviso del T, il progetto presentato (ed approvato) divergeva dalle indicazioni contenute nel detto verbale del 10/6/2008 laddove si era prescritto/imposto di trasformare la copertura in "tetto

terrazza" non calpestabile.

Gli elementi che secondo il T dimostravano la presenza di una

terrazza (una scala e una ringhiera di protezione) altro non erano invece, che

elementi necessari e indefettibili alla copertura, volti a garantire esigenze di sicurezza e di manutenzione

Con la quarta censura, è stato criticato l’opinamento del T secondo il quale illegittimità della nota della Soprintendenza impugnata determinava in via derivata

l'illegittimità della concessione in variante: il valore riepilogativo e chiarificatore della nota del 12/4/2010 avrebbe reso necessario riconoscere che nessuna contraddizione, v’era, tra le prese di posizione della Soprintendenza.

Parte appellata ha depositato una memoria chiedendo la reiezione del mezzo, perché infondato.

Alla pubblica udienza dell’ 8 ottobre 2015 la causa è stata rinviata al 3 novembre 2015.

Alla pubblica udienza del 3 novembre 2015la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.


Ricorso n. 10451/2014 proposto dalla S.N.C. ACQUACHIARA DI GERLI GRETA &
C avverso la sentenza del T della Toscana n. 677 del 2014;

Ricorso n.34/2015 proposto dal COMUNE DI SAN VINCENZO avverso la sentenza del T della Toscana n. 677 del 2014;


Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 00677/2014 il Tribunale amministrativo regionale della Toscana – Sede di Firenze – ha accolto in parte il ricorso (numero di registro generale n. 02154/2011) corredato da due motivi aggiunti, proposto della odierna parte appellata Condominio "B" di via Etruria 19 e via del Tirreno 22-24 in S V e A M.

L’iniziativa giurisdizionale era volta ad ottenere l’annullamento:

(con il mezzo principale) del parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Pisa e Livorno, prot. n. 2757 BN del 12.09.2011, recante parere positivo su "variante autorizzazione paesaggistica del 07.01.2004, n. 9 adeguamento parere Soprintendenza del 12.04.2010 fasc. n. 57/2009";

dell'autorizzazione paesaggistica n. A/11/100262 del 20.09.2011, rilasciata dal Comune di S V (LI) alla Società Acquachiara e della nota di trasmissione prot. n. 23679 del 22.09.2011;

di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, tra cui la relazione tecnica illustrativa del Geom. Sarti del Comune di S V n. 262/11 del 23.06.2011 e del presupposto "contributo" fornito dalla Commissione del Paesaggio assolvente la funzione per le bellezze naturali 06.06.2011, n. 10 nulla osta (atti ottenuti a seguito di istanza di accesso agli atti amministrativi del 19.09.2011, successivamente esitata);

(con i primi motivi aggiunti, depositati in giudizio in data in data 8 gennaio 2013) del permesso di costruire C72012/133 del 3.12.2012 per "opere non realizzate per completamento stabilimento balneare di cui alla C.E. C/08/10 del 18.01.2008 e adeguamento paesaggistico"e di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali;

(con il secondo atto di motivi aggiunti, depositato in giudizio in data 22.10.2013) del provvedimento dirigenziale dell'Area Servizi per il Territorio del Comune di S V (LI) n. 12 dello 07.06.2013 "per integrazione e convalida" della variante al permesso di costruire C/2012/133 dello 03.12.2012 e dell'autorizzazione paesaggistica n. A/11/262 del 20.09.2011 rilasciati alla Soc. Acquachiara, notificati rispettivamente il 10.06.2013 e 12.06.2013 ;

di ogni atto presupposto connesso e consequenziale, tra cui il parere della Commissione per il Paesaggio del Comune di S V ("parte integrante e sostanziale" della determina dirigenziale impugnata), del 24.05.2013, di "integrazione e convalida" del precedente parere n. 10 dello 06.06.2011 e l'allegata relazione tecnica;
il Parere della Soprintendenza di Pisa dello 06.06.2013 prot. sop. n. 9022 ("parte integrante e sostanziale" della determina dirigenziale impugnata) "di convalida del proprio precedente parere sulla pratica n. A/11/262 del 20.09.2011"(atti conosciuti a seguito delle notifiche a mezzo messo comunale il 10.06.2013 e 12.06.2013).

Il T innanzitutto ha ricostruito, anche sotto il profilo cronologico, la vicenda dando atto della precedente impugnazione proposta dalla parte originaria ricorrente ed odierna appellata (numero di registro generale 900 del 2008) volta ad avversare la concessione edilizia rilasciata ad Acquachiara s.n.c. n.C/08/10 per la costruzione dello stabilimento balneare e conclusosi con la sentenza di improcedibilità n. 00439/2009 e della ulteriore impugnazione proposta dalla parte originaria ricorrente, culminata nella sentenza del T n. 183/2011.

Ha fatto presente che da tale ultima sentenza citata, n. 183/2011 discendevano alcuni punti fermi, e ne ha richiamato per sintesi il contenuto.

Ha in particolare fatto presente che:

a) in data 4 maggio 2009 il Comune di S V aveva rilasciato concessione di variante in corso d’opera, dopo che, nell’ottobre 2007, era stato pubblicato il piano di indirizzo territoriale regionale, che prevedeva l’inedificabilità assoluta sulla costa, fatta eccezione per le opere a difesa della costa, per la portualità e per le opere pubbliche.

b)successivamente la Soprintendenza, con nota del 12 aprile 2010 indirizzata al Comune, aveva precisato che l’ultimo progetto presentato (fascicolo n. 57/2009) era conforme alle direttive e prescrizioni elencate nel verbale di sopralluogo del 10 giugno 2008 e che “l’aumento di altezza necessario può essere assorbito nella finitura del profilo della terrazza, eliminando il parapetto perimetrale e incrementando il verde in copertura.”.

Il T ha quindi espresso il convincimento per cui il citato verbale di sopralluogo congiunto del 10 giugno 2008 avesse assunto un rilievo centrale nella controversia, ed ha richiamato le prescrizioni ivi contenute.

Esse erano le seguenti:

a) abbassamento delle porzioni di copertura e del corpo tecnico con creazione di unica copertura piana trasformata in tetto terrazza non calpestabile;

b) il solaio di copertura doveva avere altezza massima di metri 2,70 dal pavimento (doveva essere cioè abbassato di 30 centimetri rispetto alle quote attuali) con salvezza della verifica dell’U.S.L.;

c) non potevano essere realizzate più di 15 cabine, posizionate a filo spiaggia e prive di basamento, così da limitarne l’altezza;

d) la modifica progettuale doveva concretizzarsi in variante in corso d’opera, con confronto e verifica di tutte le quote, con rilievi topografici e altimetrici descritti nell’ambito di un progetto definitivo da presentare alla Soprintendenza.

Il T ha quindi richiamato le statuizioni contenute nella citata sentenza n. 183/2011 con le quali si era delibato in ordine alle dedotte dal Condominio B avverso le prescrizioni in questione e la concessione edilizia con la quale il Comune si era adeguato alle medesime.

Ha pertanto fatto presente il proprio convincimento, a tenore del quale:

a) il progetto della Società Acquachiara avrebbe dovuto adeguarsi a quanto stabilito in sede giurisdizionale con riguardo alle altezze esterne e alla necessità di stabilire la quota dalla quale calcolare l’altezza;

b)il Condominio B originario ricorrente (ed originario ricorrente in larga parte vittorioso anche nel processo culminato nella sentenza n. 183/2011) aveva visto riconoscere le proprie ragioni anche con riferimento alla terrazza di copertura, in realtà destinata a spazio fruibile.

Con il ricorso n. 02154/2011 parte odierna appellata era insorta, lamentando che il nuovo progetto presentato conteneva soltanto modifiche riguardanti la terrazza di copertura.

Illegittimamente tuttavia, esso aveva ottenuto il parere favorevole della Soprintendenza, la quale lo aveva ritenuto “una variante riduttiva rispetto a quanto già approvato”.

Con l’atto introduttivo del giudizio n. 02154/2011, aveva quindi denunciato illegittimità derivata del parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Pisa e Livorno, prot. n. 2757 BN del 12.09.2011, e dell'autorizzazione paesaggistica n. A/11/100262 del 20.09.2011, rilasciata dal Comune di S V (LI) alla Società Acquachiara per contrasto con le statuizioni della più volte richiamata sentenza n. 183/12011 esecutiva.

Aveva inoltre contestato nel merito le determinazioni della Soprintendenza sottolineando che il nuovo progetto non aveva abbassato le altezze, come imposto dalla predetta pronuncia, non aveva definito la quota zero (dalla quale calcolare l’altezza esterna dell’edificio) e aveva realizzato all’interno un’intercapedine senza modificare l’esterno.

Con il primo atto di motivi aggiunti era stato impugnato il permesso di costruire C72012/133 del 3 dicembre 2012, rilasciato per le opere di completamento dello stabilimento balneare di cui alla concessione edilizia C/08/10 del 18 gennaio 2008 e adeguamento paesaggistico e con il secondo atto di motivi aggiunti erano stati impugnati i provvedimenti, di estremi specificati in epigrafe, con i quali sia il Comune di S V sia la Soprintendenza avevano integrato e convalidato gli atti precedentemente adottati.

Così riepilogati i termini della controversia, il T ha delimitato l’oggetto del giudizio, facendo presente che esso riposava, essenzialmente, nella verifica della legittimità dei provvedimenti impugnati alla luce della sentenza n. 183/2011, di accoglimento del ricorso n. 1112/2009 R.G., che aveva imposto alle Amministrazioni ed alla società Acquachiara s.n.c.,di adeguare lo stabilimento balneare di cui trattasi alle prescrizioni contenute nel verbale di sopralluogo congiunto del 10 giugno 2008 (quest’ultimo, non impugnato dalla parte originaria ricorrente, come riconosciuto nella sentenza del T di improcedibilità n. 00439/2009).

La Soprintendenza aveva ritenuto, con il parere prot. n. 2757 BN del 12.09.2011, recante parere positivo su "variante autorizzazione paesaggistica del 07.01.2004, n. 9 adeguamento parere Soprintendenza del 12.04.2010 fasc. n. 57/2009" gravato, la sussistenza di tale conformità.

Ad avviso della Soprintendenza il nuovo progetto avrebbe integrato ‹‹una variante riduttiva rispetto a quanto già approvato››, essendosi precisando, con riguardo alla terrazza di copertura, che era ‹‹ stata eliminata la balaustra sulla copertura piana non praticabile e la scala esterna mentre è stato garantito l'accesso solo per l'effettuazione delle ispezioni e manutenzione del tetto piano con una scala circolare››.

Anche il parere istruttorio che aveva preceduto il rilascio del nuovo titolo edilizio da parte del Comune di S V si era incentrato sulle modifiche apportate alla terrazza di copertura, rilevando che nel nuovo progetto erano ‹‹ stati tolti tutti gli interventi che a suo tempo erano previsti sulla copertura e la scala esterna di collegamento tra piano terra e la copertura stessa, divenuta questa non più utilizzabile, con accesso per i soli interventi di manutenzione del tetto piano››.

Ad avviso del T, proprio dal medesimo parere istruttorio si poteva desumere la non rispondenza del nuovo progetto alle prescrizioni di cui al verbale di sopralluogo del 10 giugno 2008 e, di conseguenza, alle statuizioni della sentenza n. 183/2011.

In esso, infatti, si riscontrava l’affermazione per cui ‹‹per il resto l'edificio è immutato rispetto al progetto approvato››.

Il tenore del parere soprintendentizio e del parere istruttorio quindi, comprovavano l’esattezza del rilievo di parte originaria ricorrente circa la sostanziale obliterazione, del fatto storico costituito dall’annullamento dei provvedimenti impugnati con il già citato ricorso del 2009 accolto in larga parte con la sentenza n. 183/2011.

Se si eccettuava l’eliminazione di alcuni interventi previsti per la terrazza di copertura, risultava che per il resto le prescrizioni di cui al più volte ricordato verbale del 10 giugno 2008 non erano state osservate

Ciò emergeva, ad avviso del T, dalla circostanza che lo stesso Comune, per “giustificare” il proprio operato, aveva fatto riferimento ad argomenti ed eccezioni già negativamente scrutinate dalla più volte citata (ed esecutiva, sebbene gravata) sentenza n. 183/2011.

Il mancato completo adeguamento del progetto, (riconosciuto dallo stesso Comune di S V nel parere istruttorio propedeutico al rilascio del titolo edilizio impugnato e, implicitamente, negli scritti difensivi) implicava l’accoglimento della censura di cui al secondo motivo di ricorso introduttivo, di violazione delle statuizioni contenute nella sentenza n. 183/2011, esecutiva, con specifico riferimento alla parte della predetta decisione che aveva imposto l’adeguamento del progetto oggetto di controversia alle prescrizioni di cui al verbale di sopralluogo del 10 giugno 2008, che prevedeva ‹‹l’abbassamento delle porzioni di copertura e non si limita alle altezze interne››,

Nella citata sentenza n. 183/2011 era stato altresì affermato che ‹‹è vero che il suddetto verbale fa salve le verifiche dell’U.S.L., ma è altrettanto vero che l’indicazione data da questa, secondo cui l’altezza interna della cucina deve essere di almeno tre metri e quella dei locali adibiti alla somministrazione può avere altezza interna di metri 2,70 (documento n.6 prodotto contestualmente al gravame), non esonera dall’obbligo della Soprintendenza di occuparsi dell’aspetto esteriore del manufatto, pur tenendo conto che, nella parte corrispondente allo spazio adibito a cucina, l’altezza esterna risente della maggiore altezza interna in quello spazio necessaria››.

Analoghe considerazioni sono state rese dal T con riguardo alla questione relativa alla necessaria definizione della quota di partenza dalla quale calcolare l’altezza esterna dell’edificio.

La sentenza n. 183/2011 aveva in proposito affermato, dopo aver richiamato la normativa di riferimento, ovvero i piani particolareggiati della spiaggia susseguitisi nel tempo che: ‹‹la mancanza di quote di riferimento univocamente delineate nella predetta normativa, la presenza di dislivelli nella zona in questione, la differenza (palesata nella premessa del verbale di sopralluogo) delle quote di riferimento della variante concessoria del 31/12/2007 rispetto ai precedenti progetti presentati e la necessità di riverificare tutte le quote espressa nella parte conclusiva del citato verbale imponevano alla Soprintendenza di soffermarsi sulla definizione della quota dalla quale calcolare l’altezza esterna››.

Anche in riferimento a tale problematica, il doveroso “adeguamento” non era pertanto avvenuto, il che, ad avviso del T, comportava − assorbite le ulteriori censure − l’accoglimento del ricorso introduttivo e dei primi motivi aggiunti (che in parte erano riproduttivi delle doglianze già dedotte nel ricorso R.G. n. 1112/2009 e già ritenute fondate con la sentenza n. 183/2011).

Quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti, diretto ad avversare i provvedimenti con i quali le Amministrazioni avevano integrato e convalidato i provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo, dall’accoglimento di detto mezzo discendeva l’annullamento di questi ultimi, per invalidità derivata.



Ric. n. 10451/2014 R.G.;

Avverso tale sentenza n. 00677/2014 la parte originaria controinteressata e resistente rimasta soccombente ha proposto un articolato appello.

Nelle prime dieci pagine del mezzo ha riepilogato i termini del risalente contenzioso infraprocedimentale, dando atto della precedente impugnazione proposta dalla parte originaria ricorrente ed odierna appellata (numero di registro generale 900 del 2008) volta ad avversare la concessione edilizia rilasciata ad Acquachiara s.n.c. n.C/08/10 per la costruzione dello stabilimento balneare e conclusasi con la sentenza di improcedibilità n. 00439/2009:

Ha quindi evidenziato quali fossero stati gli ulteriori atti emessi dalle Amministrazioni (Soprintendenza e Comune ) e quali fossero state le censure proposte dalla odierna parte appellata Condominio "B" S V, M G P in C in una ulteriore impugnazione conclusasi nella sentenza parzialmente accoglitiva del T n. 183/2011 .

Proprio a cagione della circostanza che il T con la sentenza n. 183/2011 aveva accolto (seppure parzialmente )un ulteriore ricorso proposto dalla odierna parte appellata Condominio "B" di via Etruria 19 e via del Tirreno 22-24 in S V, l’odierna appellante ha fatto presente di essersi risolta a presentare un ulteriore progetto in data 23.11.2011.

Pur se l’altezza non era stata modificata (per le ostative ragioni di igiene rappresentate dall’Asl per i locali insalubri, e per la inesteticità che sarebbe discesa dal prevedere un edificio di altezza esterna pari a mt. 2.70, che in alcuni punti –in corrispondenza con le cucine- diventavano mt. 3.00), il nuovo progetto aveva preso atto dei rilievi accolti con la sentenza del T n. 183/2011.

Quanto ala terrazza, infatti, era stata eliminata la scala di accesso alla copertura, il verde, etc ( tutto quanto, cioè, poteva indurre a farne desumere la “calpestabilità”, che era stata “vietata” dalla Soprintendenza nel corso del sopralluogo/verbale del 2008).

Le Amministrazioni avevano assentito tale progetto.

Il T, però, sostenendo il detto progetto “nuovo” del 2011 assentito era identico a quello del 2009 annullato con la sentenza n. 183/2011 e come quello si discostava dal verbale di sopralluogo congiunto (Soprintendenza, Comune e Acquachiara S.n.c. di G G &
C.) del maggio 2008 (e dalle indicazioni conformative contenute nella –provvisoriamente esecutiva-sentenza n. 183/2011 aveva nuovamente accolto il mezzo di primo grado proposto dal Condominio mercè la sentenza n. 00677/2014.

Ad avviso dell’appellante Società, il T non aveva colto che la sentenza n. 183/2011 aveva annullato gli atti ivi gravati ai fini del riesame.

E non aveva colto che già in quella sede l’abbassamento di 30 cm dell’altezza esterna della copertura di 30 cm rispetto a quella attuale faceva salva la verifica della Asl.

Insomma: né del verbale di sopralluogo del 2008, né dalla sentenza n. 183/2011 poteva ricavarsi che fosse necessario, cogente, ed inderogabile, che l’altezza esterna della quota di copertura venisse abbassata di 30 cm.

Gli atti gravati erano stati ingiustamente annullati, perché essi avevano ben chiarito le ragioni (necessità di creare una unica copertura piana) che si opponevano alla realizzazione di una copertura “a scalini” e quelle che impedivano di abbassare l’intera altezza esterna a mt. 2,70 (le cucine dovevano avere altezza non inferiori a tre mt, in quanto locali insalubri).

Con la seconda censura è stato stigmatizzato l’iter motivo accoglitivo della censura di primo grado in punto di individuazione della “quota” di partenza da cui calcolare l’altezza esterna dell’edificio (c.d. “punto zero”).

Nella sentenza n. 183/2011 non si era affermato che il punto di partenza individuato dall’appellante società e dal Comune fosse errato: ma che non emergeva un parametro “certo”.

Si era stigmatizzato, quindi, il vizio di motivazione.

Orbene detto vizio colto dalla sentenza n. 183/2011 ( se mai v’era stato), era stato “sanato” dagli ulteriori provvedimenti gravati.

Ivi era stato chiarito (parere della Commissione per il Paesaggio del Comue di S V -"parte integrante e sostanziale" della determina dirigenziale impugnata-, del 24.05.2013, di "integrazione e convalida" del precedente parere n. 10 dello 06.06.2011) che il punto da prendere a parametro per calcolare l’altezza non poteva che ricavarsi dal “progetto esecutivo di cui alla pratica edilizia D/02/560”.

Era, questa, la pratica presentata dall’appellante, e al recepimento di quel progetto faceva richiamo la scheda normativa 6.1. del Piano Spiaggia del 2006.

In sintesi:

a)il piano spiaggia aveva richiamato il progetto della Ditta appellante e lo aveva fatto proprio;

b)aveva stabilito, che dal punto di partenza calcolato in detto progetto, l’altezza massima non dovesse essere inferiore a mt. 3,50 (pag. 18 dell’atto di appello);

c)il punto di partenza, quindi, era quello del pavimento posizionato sulla platea in c.a. finita di cui alla concessione edilizia del 18.1.2008: da quel punto di partenza doveva calcolarsi l’altezza massima della struttura (pari a mt. 3,50, secondo il Piano spiaggia.

Con la terza censura si è fatto presente che la sentenza n. 183/2011 del T era stata appellata, e dall’accoglimento del detto appello sarebbe disceso il travolgimento della sentenza n. 677/2014.

Parte appellata ha depositato una memoria, chiedendo la reiezione del mezzo, perché infondato.

Alla pubblica udienza dell’ 8 ottobre 2015 la causa è stata rinviata al 3 novembre 2015.

Alla pubblica udienza del 3 novembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.



Ric. n. 34/2015 R.G.;

Il Comune di S V rimasto soccombente ha proposto un articolato appello avverso tale sentenza n. 00677/2014 chiedendone la riforma.

Nelle prime 12 pagine del mezzo ha ripercorso le principali tappe del lungo contenzioso ed ha rammentato quale fosse stato il contenuto della precedente impugnazione proposta dalla parte originaria ricorrente ed odierna appellata (numero di registro generale 900 del 2008) conclusasi con la sentenza di improcedibilità n. 00439/2009 e di quella (ricorso numero di registro generale n. 01112/2009) culminata nella sentenza parzialmente accoglitiva n. 00183/2011.

Ha quindi fatto presente (prima censura) che la sentenza di improcedibilità n. 00439/2009 non aveva colto che il Piano Spiaggia del 2006 era atto immediatamente lesivo, rimasto inimpugnato;
e che il “verbale di sopralluogo del 2008” non era un “nuovo provvedimento” ma un accordo consensuale ( intercorso tra Soprintendenza, Comune e Acquachiara S.n.c. di G G &
C): ma esso non “valeva” a vanificare i precedenti provvedimenti della Soprintendenza.

Il “progetto esecutivo di cui alla pratica edilizia D/02/560” era la base da cui partire, e non poteva essere derogato dal verbale di sopralluogo.

Con la seconda censura ha sostenuto che il T era incorso in un indebito sindacato di merito allorchè aveva censurato le valutazioni paesaggistiche rese dalla Soprintendenza, e sostenuto che quest’ultima non si era interessata alla sistemazione “esterna” dell’edificio erigendo.

Con la terza censura ha sostenuto che il T aveva errato nel non cogliere che- con modesti aggiustamenti- il progetto assentito dalla Soprintendenza era quello - vincolante - di cui alla pratica edilizia D/02/560CE.

L’abbassamento della copertura che sembrava essere stato imposto dal verbale/sopralluogo del maggio 2008, in realtà non poteva essere inteso quale prescrizione perentoria: ed il T non aveva colto che la Soprintendenza aveva chiarito le ragioni dell’omesso abbassamento dell’altezza di 30 cm.

Anche in punto di individuazione delle quote di partenza la pronuncia del T era errata: la Soprintendenza doveva dare un parere sul progetto, ma non certo indicare essa stessa le quote.

Con la quarta ed ultima censura ha riproposto la tesi –disattesa dal T- secondo cui parte originaria ricorrente era priva di legittimazione attiva.



Parte appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del mezzo perché infondato od inammissibile.

Il Comune obliava che la sentenza n. 183/2011 non era stata da esso appellata e proponeva censure che avrebbe dovuto proporre avverso la detta decisione dirigendole invece avverso la sentenza n. 00677/2014.

In parte qua (pagg. 16-22) l’appello doveva essere dichiarato inammissibile.

Inoltre, il Comune appellante obliava che con due sentenze esecutive, e con statuizioni cautelari del pari esecutive, era stata affermata l’illegittimità delle opere eseguite.

Si era resa una ottemperanza parziale (quanto alla terrazza di copertura) ed in parte elusiva alla sentenza esecutiva n. 183/2011.

Ivi era stato stabilito (con prescrizione che per il Comune era regiudicata) che la Soprintendenza dovesse indicare le quote altimetriche.

Parte appellata ha quindi riproposto i primi tre motivi del primo mezzo per motivi aggiunti introduttivo, ed i motivi da 4 a 10 del secondo ricorso per motivi aggiunti.

Nei primi tre motivi del primo mezzo per motivi aggiunti (volto ad avversare il permesso di costruire C72012/133 del 3.12.2012 per "opere non realizzate per completamento stabilimento balneare di cui alla C.E. C/08/10 del 18.01.2008 e adeguamento paesaggistico" e tutti gli atti a questo presupposti, connessi e consequenziali) si era sostenuto che:

a)il primo permesso di costruire del 18.1.2008 era decaduto (art. 77 comma 3 della l.R. n. 1/2005)

b)la variante 2009 era stata annullata dal T con la sentenza 183/2011;

c)il permesso di costruire C72012/133 del 3.12.2012 era quindi un “nuovo” permesso di costruire.

Esso era illegittimo (artt. (art. 77 comma 2 ed 83 comma 4 della l.R. n. 1/2005) in quanto contrastante con il piano di indirizzo territoriale regionale, pubblicato nell’ottobre 2007, che prevedeva l’inedificabilità assoluta sulla costa;
che l’art.36 comma 6 del piano statuiva che a decorrere dalla pubblicazione sul B.U.R.T. dell’avviso di adozione del medesimo non sono consentiti interventi da esso vietati;
ai sensi del piano territoriale di coordinamento della provincia di Livorno approvato nel marzo 2009 era evidente che l’area ove doveva sorgere il manufatto, era “zona dunale”.

Quindi, il “nuovo” permesso di costruire del 2012 collideva con detti Piani(art. 9 della l.R. n. 1/2005 che statuiva che il piano di indirizzo territoriale regionale aveva valore di atto di pianificazione territoriale) e quindi era illegittimo ex art. 12 del dPR n. 380/2001.

Le opere autorizzate, integravano volumetrie, (anche rispetto a quelle autorizzate giusta variante del 2009) e pertanto collidevano con la pianificazione territoriale, autorizzando un volume pari ad oltre 900 mc.

Il permesso di costruire C72012/133 del 3.12.2012 poi, non teneva conto che le opere eseguite in relazione alla variante 2009, erano abusive (la variante era stata annullata): prima si sarebbe dovuta ottenere la (impossibile a rilasciarsi) sanatoria e poi, rilasciare un nuovo titolo.

Con la terza riproposta censura ha sostenuto la violazione del precetto di cui all’art. 6 ed all’Alleg. D del Reg. Edilizio vigente: il progetto era stato presentato senza tavole descrittive dello stato dei luoghi (come se l’area fosse “vergine” omettendo di rappresentarvi quanto sino a quel momento –abusivamente- eseguito).

Una verificazione avrebbe reso possibile accertare che l’opera era molto più elevata in altezza anche di quanto assentito.

Ha poi riproposto i motivi 6-10 del secondo mezzo per motivi aggiunti di primo grado (assorbiti dal T) in cui erano stati esposti i “vizi specifici” degli atti di “convalida” gravati.

Nel primo di essi (motivo VI) ha riepilogato l’iter dei progetti presentati alla Soprintendenza, ed ha fatto presente che, nella sostanza, era stato “convalidato” un progetto difforme da quelli originari, in quanto era evidente che nel progetto presentato nel 2002 non era indicato alcun piano d’imposta.

Ed il primo progetto presentato dalla società Acquachiara, nel 2002 era stato “bocciato” dalla Soprintendenza, avendo la Soprintendenza autorizzato (ma con prescrizioni) un progetto, difforme al primo, in data 13.1.2005 ed avendo quindi prescritto che il piano pilotis, venisse abbassato (fino ad 80 cm di altezza).

Nel sopralluogo del 2002 la Soprintendenza si rese conto che tale abbassamento non era avvenuto, e per questa ragione prescrisse di abbassare l’altezza dell’edificio fino a mt 2,70 ml.

Ad oggi, il progetto realizzato, era pari a quello del 2002 “bocciato” dalla Soprintendenza: e non si comprendeva come quest’ultima avesse potuto “convalidare” ciò che aveva prima bocciato, obliando: il proprio parere del 2005, il sopralluogo del 2009, il successivo atto del 2009.

Con il secondo motivo (già motivo VII) ha preso spunto dal progetto del 2002 facendo presente che la circostanza che questo nulla prvedesse quanto alla quota di imposta, implicava che allo stesso dovesse applicarsi quanto in via generale previsto dal Regolamento Edilizio vigente nel 2002 (e non certo ai Regolamenti edilizi sopravvenuti).

E comunque la Soprintendenza prescrisse l’abbassamento di 80 com, e poi l’altezza complessiva di ml 2,70.

Con il terzo motivo (già motivo VIII) ha fatto presente che la “tesi” assunta nell’atto di convalida secondo la quale la quota di imposta dal quale far partire il calcolo dell’altezza doveva coincidere con il pavimento interno del fabbricato collideva con l’assunto espresso nella sentenza 183/2011.

La ricostruzione del Comune obliava che ciò che doveva essere computato –e delimitato- era l’altezza esterna dell’immobile, e non già quella interna.

Con il quarto motivo (già motivo IX) si è fatto presente che non era stato inoltrato a parte originaria ricorrente l’avviso di avvio del procedimento di convalida da parte della Soprintendenza, mentre l’avviso di avvio del procedimento di convalida inoltrato da parte del Comune era privo dell’indicazione dell’atto da convalidare (e, quindi, dell’oggetto).

In ultimo con il quinto motivo (già motivo X) si è stigmatizzato che l’atto di convalida recava – qual motivo di interesse pubblico sotteso- la rispondenza del manufatto al Piano Spiaggia del 2006, obliando che la successiva programmazione urbanistica vietava di realizzare alcunché in quell’area.

Alla pubblica udienza dell’ 8 ottobre 2015 le suindicate cause sono state rinviate alla odierna pubblica udienza del 3 novembre 2015 giusta ordinanza n. N. 04671/2015 (resa nell’ambito del procedimento n. 4582/2010) “rilevato che la suindicata causa è connessa con quella iscritte ai nn. 7618/2011 34/2015, 10451/2014 chiamate in decisione alla odierna udienza pubblica e- come richiesto peraltro da tutte le parti processuali - è opportuna una trattazione contestuale, se non unitaria ;

rilevato che le citate cause sono state rinviate alla pubblica udienza del 3 novembre 2015 per le motivazioni di cui alle ordinanze collegiali ivi rese e che pertanto anche la trattazione dell’appello n. 4582/2010 va differita a detta data.” e giusta ordinanza n. 04670/2015 (resa nell’ambito dei procedimenti N. 10451/2014 e n. 00034/2015) “rilevato che i suindicati ricorsi vanno riuniti in quanto diretti a gravare la stessa sentenza;Rilevato che le suindicate riunite cause sono connesse con quella iscritta al n. 4582/2010 del pari chiamata in decisione alla odierna udienza pubblica e- come richiesto peraltro da tutte le parti processuali- è opportuna una trattazione contestuale, se non unitaria ;

rilevato che del Collegio odierno fa parte il Consigliere M che – in quanto componente del Collegio di primo grado che ha reso la sentenza n. 439/2009 gravata nel citato procedimento n. 4582/2010 - non può concorrere a comporre il Collegio chiamato a decidere gli odierni riuniti ricorsi;dispone il differimento della trattazione della causa alla pubblica udienza del 3 novembre 2015” ed ordinanza n. 04669/2015 (resa nell’ambito del ricorso n. 7618/2011) “Rilevato che la suindicata causa è connessa con quella iscritta al n. 4582/2010 del pari chiamata in decisione alla odierna udienza pubblica e- come richiesto peraltro da tutte le parti processuali- è opportuna una trattazione contestuale, se non unitaria ;

rilevato che del Collegio odierno fa parte il Consigliere M che – in quanto componente del Collegio di primo grado che ha reso la sentenza n. 439/2009 gravata nel citato procedimento n. 4582/2010 - non può concorrere a comporre il Collegio chiamato a decidere l’odierna causa;

dispone il differimento della trattazione della causa alla pubblica udienza del 3 novembre 2015” .

Alla odierna pubblica udienza del 3 novembre 2015 le cause sono state trattenute in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. Tutti i quattro suindicati appelli proposti avverso le tre decisioni del T della Toscana suindicate, vanno riuniti, per evidente connessione oggettiva e soggettiva.

Si tratta, in effetti, di una unica vicenda, dipanatasi in un lungo arco temporale, ma avente ad oggetto la medesima questione oggettiva, riposante nella avversata regolarità urbanistica ed edilizia dello stabilimento balneare per cui è causa.

1.1. Anticipa il Collegio il proprio convincimento che l’appello n. 4582/2010 proposto dal Condominio "B" S V, M G P in C,avverso la sentenza del T della Toscana n.. 00439/2009 sia fondato e debba essere accolto nei termini di cui alla motivazione che segue, con consente annullamento della detta sentenza n.. 00439/2009,accoglimento del ricorso di primo grado, ed annullamento per quanto di ragione degli atti gravati.

A cagione della retroattività della statuizione demolitoria suddetta, e della caducazione del primo titolo concessorio,vanno dichiarati illegittimi, in via derivata, gli ulteriori titoli abilitativi medio-tempore rilasciati: ne consegue la improcedibilità degli ulteriori appelli, in quanto gli ulteriori ricorsi di primo grado proposti dal Condominio sarebbero stati non assistiti dall’interesse a ricorrere in quanto proposti avverso provvedimenti illegittimi, perché affetti da invalidità derivata .

In ogni caso, comunque, gli ulteriori tre riuniti appelli sono infondati e vanno respinti.

1.2. In via assolutamente pregiudiziale, ed al fine di perimetrare il materiale cognitivo e le censure esaminabili, per ciascuno dei riuniti ricorsi, evidenzia il Collegio quanto di seguito.

1.2.1. In riferimento all’appello n. 4582/2010 proposto dal Condominio"B" S V, M G P in C,avverso la sentenza del T della Toscana n.. 00439/2009, si rileva che il Comune non ha riproposto con memoria ritualmente depositata nel termine di costituzione le eccezioni di parziale inammissibilità del mezzo di primo grado a cagione della omessa impugnazione della deliberazione n. 117 del 28 dicembre 2006 (c.d. Piano Spiaggia) e n. 67 del 24.7.2006 (Variante Gestionale al regolamento Urbanistico).

Si anticipa tuttavia che tale omissione,non produce effetti processuali rilevanti in quanto, come meglio si chiarirà di seguito. trattasi di questioni su cui il T non si è pronunciato, e rilevabili ex officio: il Collegio può e deve, pertanto scrutinarle.

1.2.2.. Con riguardo all’appello n. 7618/2011 proposto dalla S.N.C. ACQUACHIARA DI GERLI GRETA &
C avverso la sentenza del T della Toscana n. 183 del 2011 si evidenzia che, da un canto detta parte appellante non ha gravato i capi della sentenza di primo grado che hanno disatteso le proprie eccezioni preliminari formulate innanzi al T: la detta reieizione è pertanto ormai coperta dal giudicato.

Per altro verso, parte appellata si è costituita con memoria di stile depositata il 5 dicembre 2011 e non ha né riproposto tempestivamente i motivi del mezzo di primo grado rimasti assorbiti, né ha gravato incidentalmente i capi di sentenza reiettivi delle proprie doglianze.

Anche su tali capi di sentenza, pertanto si è formato il giudicato:ciò in quanto, da un canto l’appellata non ha proposto appello incidentale, e per altro verso - posto che la presente vicenda processuale è governata dalle disposizioni del d.Lgs n. 104/2010 (si veda l’art. 2 del d.Lgs n. 104/2010 che stabilisce l’entrata in vigore del decreto in data 16 settembre 2010 e la prescrizione derogatoria di cui all’art. 3 dell’allegato 3 al cpa, non applicabile al caso di specie in quanto l’odierno appello è stato depositato successivamente alla entrata in vigore del cpa)- il termine ex art. 46 del cpa non è stato rispettato quanto ai sopradetti motivi assorbiti;
il codice del processo amministrativo vigente, infatti, ha sul punto confermato la linea giurisprudenziale maggioritaria in costanza dell’antevigente quadro legislativo (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 10-08-2011, n. 4766: quanto alla tempistica della riproposizione dei motivi assorbiti “se pure si consente la riproposizione dei motivi per il tramite di memoria e non di appello incidentale -accordando prevalenza all'art. art. 346 c.p.c. sull'art. 37 R.D. n. 1054/1924- non si può escludere che detta memoria debba essere comunque depositata entro il termine previsto dall’ art. 37 suindicato -“nel termine di trenta giorni successivi a quello assegnato per il deposito del ricorso", come previsto, a pena di decadenza, appunto dall'art. 37 R.D. n. 1054/1924 applicabile al giudizio di appello ex art. 29 l. n. 1024/1971- e ciò a maggior ragione vista l'assenza di diversa previsione nell'art. 346 c.p.c.).

1.2.3. Quanto agli appelli, rispettivamente, n. 10451/2014 proposto dalla S.N.C. ACQUACHIARA DI GERLI GRETA &
C avverso la sentenza del T della Toscana n. 677 del 2014, e n. 34/2015 proposto dal COMUNE DI SAN VINCENZO avverso la medesima sentenza del T della Toscana n. 677 del 2014, si osserva quanto segue.

Le parti appellanti hanno proposto alcune doglianze preliminari,disattese dal T, tese a revocare in dubbio la ammissibilità proponibilità del mezzo di primo grado proposto dal Condominio.

Nessuna di esse appare accoglibile al Collegio: il condominio ricorrente di primo grado in relazione al consueto criterio della vicinitas ha interesse e legittimazione ad avversare l’erigendo manufatto;
ed ha interesse ad impugnare il successivo sviluppo dell’attività infraprocedimentale in quanto, in tesi, difforme sia dal progetto originario, che dal verbale di sopralluogo congiunto della Soprintendenza del 2008 (in parte assunto, come chiarito nella parte in fatto, a parametro della correttezza dell’attività amministrativa successiva) che, infine, dalla sentenza esecutiva n. 183/2011. Le eccezioni formulate dal comune alle pagg 21.22 dell’appello del Comune (quarto motivo) vanno disattese.

E’ semmai il Comune –il quale, giova precisarlo, non ha gravato la sentenza n. 183/2011 in ultimo citata, che è quindi regiudicata nei suoi confronti – a tentare surrettiziamente con l’odierno appello n. 34/2015 di introdurre censure che avrebbe dovuto avanzare proprio avverso la già citata decisione n. 183/2011 e che quindi, sono inammissibili .

Ciò vale: per tutte le considerazioni espresse nell’atto di appello laddove si censura la “qualificazione” impressa dal T al verbale di sopralluogo del 2008 (opag. 14 dell’atto di appello) ed a quelle –pag. 17.20- in cui si critica la sentenza n. 183/2011 in quanto richiamata da T.


2. Così perimetrato il thema decidendi, la complessa vicenda processuale si snoda nel seguente modo, che vale la pena riepilogare nuovamente:

a)la prima sentenza intervenuta tra le parti è la n. 439/2009, oggetto dell’odierno appello n. 4582/2010;
essa dichiarò improcedibile il ricorso del condominio odierno appellante;

b)proposto l’odierno appello n. 4582/2010, e nelle more della decisione del medesimo, il Condominio propose ricorso al T avverso gli atti successivi che si innestarono su detta sentenza di improcedibilità n. 439/2009: ed in particolare, avverso gli atti conseguenti alla iniziativa della Soprintendenza, che – come accennato nella parte in fatto- successivamente alla “prima” impugnazione, aveva reso un “verbale di sopralluogo” con il quale aveva prescritto specifici adempimenti, in attesa della presentazione di un nuovo progetto definitivo (verbale di sopralluogo che, nella prospettazione del T, in quanto rimasto inimpugnato,aveva determinato l’improcedibilità del mezzo di primo grado);

c)detto “secondo” ricorso al T venne deciso con la sentenza n. 00183/2011 che diede ragione al condominio originario ricorrente, e che è stata gravata dalla Società Acquachiara :l’appello recante n. 7618/2011 è stato del pari chiamato in decisione alla odierna pubblica udienza ed è stato riunito.

d)successivamente, con la sentenza n. 00677/2014 il T decise (sempre favorevolmente al condominio odierno appellante) un ulteriore ricorso, con il quale il detto condominio aveva gravato gli ulteriori atti amministrativi resi sul medesimo immobile;

e)detta sentenza risulta gravata da due appelli, rispettivamente proposti dalla Società Acquachiara (recante n. 10451/2014 e dal Comune (recante n. 34/2015): essi sono stati del pari chiamati in decisione alla odierna pubblica udienza).

2.1. Così esposta la cronologia della impugnazione, è evidente che risulta nodale stabilire:

a)se davvero la “prima” impugnazione di primo grado proposta dal Condominio odierno appellante fosse improcedibile;

b)in ipotesi di rimozione della statuizione di improcedibilità, si dovrebbe poi accertare la fondatezza –o meno- del ricorso proposto avverso il titolo abilitativo originario;

c)ciò in quanto, ove venisse annullato il titolo “genetico” ciò produrrebbe effetti sulle ulteriori impugnazioni incidenti sulle successive sentenze del T tese a delibare la legittimità degli atti successivi (varianti, etc) innestantisi sulla “prima” concessione gravata nell’ambito dell’odierno ricorso in appello.

2.2. Così chiariti i termini della questione, appare anzitutto evidente al Collegio che la statuizione di inammissibilità dell’intero mezzo di primo grado contenuto nella gravata sentenza n. 439/2009 sia errata.

Non è il caso di diffondersi oltremisura nel ribadire consolidati principi del diritto amministrativo in punto di necessaria “tipicità” dei provvedimenti per cui non sarebbe stato possibile fare discendere dal verbale di sopralluogo altro effetto che quello corrispondente alla funzione sua propria (id est: verificare se l’esecuzione delle opere corrispondesse al progetto).

Deve in proposito rammentarsi che la giurisprudenza amministrativa continua a ribadire il convincimento per cui (tra le tante, di recente, Consiglio di Stato sez. IV 07/07/2014 n. 3418) “il principio di tipicità degli atti e dei provvedimenti amministrativi comporta che l'Autorità amministrativa ha il potere di emanare solo atti disciplinati nel contenuto, nei presupposti e nell'oggetto dalla legge, sicchè non sarebbe ammissibile un provvedimento negatorio, incidente sull'attività d'impresa, al di fuori di quello adottato all'esito del procedimento tipico autorizzatorio regolato dalla legge;
peraltro, lo stesso principio di tipicità impone che ogni istanza privata volta ad attivare un procedimento amministrativo contenga gli elementi dai quali evincere il tipo di atto richiesto, allo scopo di consentire all'Amministrazione di svolgere una completa ed adeguata istruttoria alla luce degli elementi caratterizzanti il procedimento attivato.”

E’ questo, un principio che soffre di limitate e particolari eccezioni (Consiglio di Stato sez. III

29/05/2015 n. 2697), non ravvisabili nel caso di specie, e che costituisce doveroso corollario del superiore precetto della funzionalizzazione dei pubblici poteri (ex aliis Consiglio di Stato sez. IV 06/05/1980 n.504 “il principio di tipicità o normatività degli atti amministrativi comporta che alla P.A. non è dato porre in essere atti che non siano finalizzati al pubblico interesse e, più specificatamente, a quel determinato interesse pubblico che, nella sfera di competenza dell'organo emanante l'atto costituisce espressione di un potere-dovere.”) e (Consiglio di Stato sez. VI 13/09/2010 n.6554) “il principio di tipicità -e di nominatività- degli atti amministrativi costituisce canone alla cui stregua valutare la legittimità dei medesimi. Senonché, tale nozione non deve essere intesa in senso meramente formalistico di corrispondenza del potere esercitato ad un nomen provvedimentale piuttosto che ad un altro, quanto piuttosto in termini di garanzia che ad ogni interesse pubblico vada correlato uno specifico potere in capo all'Amministrazione in modo da determinare, in esito al procedimento, un giudizio di coerenza tra potere esercitato e risultato concretamente perseguito.”.

Nel caso di specie, anche ad ammettere che dall’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 4860/2008 potesse trarsi il convincimento per cui la Soprintendenza potesse re- intervenire “a sanatoria” dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata illo tempore nel 2006, giova precisare che dalla omessa impugnazione del detto “verbale di sopralluogo” con motivi aggiunti non potesse farsi discendere un effetto di improcedibilità sull’intero mezzo di primo grado teso ad avversare la originaria concessione edilizia (e autorizzazione paesaggistica) rilasciata in quanto, a tacere d’altro, ivi si contestava radicalmente la possibilità di costruire e si contestava che l’autorizzazione paesaggistica avesse assentito il medesimo progetto poi assentito dal comune con il permesso di costruire del 2008.

Né parte appellante ebbe mai a rinunciare al ricorso di primo grado: il fatto che essa abbia potuto accettare la possibilità che venissero impartire prescrizioni “migliorative” di quanto realizzato, non poteva implicare la sopravvenuta carenza di interesse a contestare l’an della realizzazione.

A meno che il condominio ciò avesse espressamente affermato, il che però non risulta essere mai avvenuto (ed anzi, al contrario, esso ha proposto appello ed ha sempre ribadito il proprio persistente interesse alla definizione del processo “madre”).

Tali impartite modifiche, poi, al momento della decisione della causa erano ancora in divenire: il T avrebbe potuto al più rinviare la trattazione della causa per verificare se v‘era una possibilità di accordo culminante in una eventuale successiva rinuncia al mezzo: non certo dichiararlo improcedibile integralmente;
e men che meno obliando che erano state proposte censure tese a contestare la stessa possibilità di edificare alcunché in loco.

2.2.1 La statuizione di improcedibilità va quindi rimossa, in quanto errata.

La sentenza di primo grado merita riforma essendosi discostata dal consolidato precetto secondo il quale “la sopravvenuta improcedibilità del ricorso è ancorata al rigido ed inequivocabile accertamento dei presupposti legittimanti per evitare che la declaratoria d' improcedibilità si risolva in una sostanziale elusione dell'obbligo di pronunciare sulla domanda” (ex aliis, Consiglio di Stato sez. IV 03 settembre 2014 n. 4484).

Conseguentemente vanno scrutinate le censure contenute nel mezzo di primo grado (come è noto, salve limitate possibili eccezioni, ex art. 105 del cpa la erronea statuizione di improcedibilità non implica annullamento con rinvio della decisione gravata, ma onera il Giudice d’appello a scrutinare le censure di primo grado, con parziale dequotazione del –tendenzialmente assoluto, seppur privo di copertura costituzionale, nel processo amministrativo- principio del doppio grado di giudizio) .

3. In via preliminare, a tale proposito si è già rilevato che il Comune non ha riproposto con memoria ritualmente depositata nel termine di costituzione le eccezioni di parziale inammissibilità del mezzo a cagione della omessa impugnazione della deliberazione n. 117 del 28 dicembre 2006 (c.d. Piano Spiaggia) e n. 67 del 24.7.2006 (Variante Gestionale al regolamento Urbanistico).

E si è chiarito il convincimento del Collegio per cui tale omissione non produce effetti processuali rilevanti: trattandosi di questioni su cui il T non si è pronunciato, e rilevabili ex officio il Collegio può - e deve - scrutinarle.

3.2. Le argomentazioni poste alla base di dette eccezioni sono fondate: non risulta infatti che detti atti siano stati impugnati nei termini decorrenti dalla loro pubblicazione, e neppure è contestato che quest’ultima sia avvenuta.

Considerato che il mezzo introduttivo del giudizio di primo grado venne passato per notifica il 28 maggio 2008 non sono ammissibili, quindi, in quanto tardive, le censure del mezzo di primo grado sfociato nella sentenza n. 439/2009 contenute al motivo n. 1 e 5, e riproposte in appello. Ciò, in considerazione della circostanza che esse avversano –tardivamente- prescrizioni della Variante e del Piano Spiaggia (quanto al motivo n. 5 sub parcheggi) ovvero deducono la illegittimità del secondo (in quanto strumento attuativo) rispetto alla prima: in considerazione della circostanza che il Piano Spiaggia prevedeva la realizzazione dello stabilimento balneare nella detta area, dette censure sono pertanto tardive ed inammissibili.

3.3. Sono invece ammissibili - e per quanto si è prima chiarito, certamente procedibili - le doglianze con le quali si contesta la legittimità del permesso di costruire rilasciato nel 2008, sia rispetto ad detti strumenti urbanistici (con i quali si denuncia il contrasto) che per carenze intrinseche.

4. Il Collegio rileva sul punto che emerge, con portata assorbente, la fondatezza della seconda doglianza, nei termini che saranno di seguito esposti.

4.1. In ordine alle considerazioni appellatorie riferite all’iter prodromico alla emissione degli atti gravati non ritiene il Collegio vi sia da soffermarsi oltremisura.

A dire di parte appellante esso presenterebbe non poche anomalie – non agevolmente spiegabili alla luce del materiale cognitorio versato in atti - non apparendo chiaro in forza di quale disposizione l’appellata società abbia proposto richiesta di parere/nulla osta ambientale nel 2003 (richiesta esitata favorevolmente dal comune e poi annullata dalla Soprintendenza) ed in forza di quali disposizioni abbia presentato la richiesta di autorizzazione favorevolmente assentita nel 2005 (parere 13.1.2005).

4.2. Invero –si sostiene nell’appello - se fino alla emissione della variante del 2006 sull’area erano consentiti soltanto interventi “ricostruttivi/recuperatori”, come da Piano Strutturale del 1997 – e l’intervento oggetto del presente procedimento non è ricostruttivo/recuperatorio, all’evidenza – non sarebbe agevole comprendere in forza di quale norma abilitativa la ditta istante avesse presentato la propria richiesta.

4.3. Rileva il Collegio però che ciò che giova precisare riposa nella circostanza che nel 2005 la Soprintendenza rese un parere favorevole con prescrizioni all’intervento per cui è causa, e che questo parere favorevole/nulla osta paesaggistico è rimasto inimpugnato, per cui non risulta rilevante il segmento antecedente, se non a fini “storici” (a piu’ riprese l’appellante sottolinea che nel 2003 la Soprintendenza intervenne in funzione repressiva dell’assenso paesaggistico rilasciato dal Comune, e che non è chiaramente spiegato quale evento la indusse, nel 2005, a mutare divisamento: non avendo però essa gravato l’atto del 2005 tali considerazioni rimangono sullo sfondo della presente vicenda processuale).

4.4. Muovendo da tale punto fermo - appunto rappresentato dal parere favorevole con prescrizioni del 2005 - si rileva poi che nel 2008 parte appellata ottenne il titolo concessorio gravato;
e che tale concessione n. 10/2008 fa espresso riferimento (nell’ultimo considerando di pag. 1) al favorevole parere della Soprintendenza del 13.1.2005 esame n. 198/BN;

4.4.1. Senonchè, risulta dagli atti di causa che la concessione del 2008 si fonda su un progetto, oggetto di variante progettuale presentata dalla ditta appellata nel 2007, che non risulta essere stato previamente presentato alla Soprintendenza (vedasi verbale di sopralluogo del 2008 a più riprese citato dove espressamente ciò si attesta)e che il progetto ivi contenuto risulta difforme da quello oggetto di esame - e di parere favorevole- nel 2005.

E parte appellante, ad abundantiam, ha rimarcato (senza che sul punto siano state avanzate contestazioni, il che rileva ex art. 64 comma 2 del codice del processo amministrativo)la differenza tra le tavole progettuali, e la presenza nel progetto assentito dal comune, -tra l’altro- di numerose cabine.

Elemento, questo, di rilievo, laddove si consideri che:

a)il progetto per lo stabilimento balneare era complessivo ed unitario (corpo principale, e corpi accessori);

b)la stessa Soprintendenza, in passato, (nel 2003) allorchè era intervenuta in funzione repressiva dell’assenso paesaggistico rilasciato dal comune, ivi aveva evidenziato il pregio dell’area, la necessità che la battigia rimanesse libera, etc, ed esprimendosi negativamente sui materiali di cui il progetto prospettava la futura utilizzazione, linee estetiche, etc: non potrebbe certo dirsi che la divergenza tra progetti sul numero e sul posizionamento delle cabine, fosse indifferente o neutra.

Di tanto peraltro, ha dato atto anche il T nella sentenza n. 00183/2011 resa nell’ambito del ricorso di primo grado proposto dal Condominio n. 1112/2009 e gravata dalla Società AcauqChiara mercè l’appello n. 7618/2011, del pari chiamato in decisione in data odierna (ivi così si espresse il T: “ i ricorrenti osservano che la tavola progettuale n.3, sulla quale la Soprintendenza ha espresso parere favorevole con prescrizioni, non riporta le cabine, indica il piano di calpestio dello stabilimento al pari della quota zero posta sulla via Tirreno e pone il piano di campagna dell’arenile a – 2,40 metri.”).

4.4.2. A questo punto occorre interrogarsi sulle conseguenze di tale discrasia.

Ciò in quanto, costituisce principio pacifico quello per cui laddove si voglia edificare in zona vincolata, occorre ottenere due titoli abilitativi: quello concessorio e l’autorizzazione paesaggistica.

E perché il principio sia rispettato è necessario che entrambi si formino sul medesimo elaborato progettuale, chè altrimenti di tale “doppia” abilitazione non rimarrebbe che la forma, perché nel merito si sarebbe al cospetto di due distinti atti ampliativi, formatisi su istanze non aventi analogo contenuto e tenore.

E ciò quale che sia l’ampiezza delle modifiche e delle differenze tra essi intercorrenti: il progetto su cui si pronuncia il Comune e la Soprintendenza deve di necessità essere il medesimo essendo i rispettivi atti di assenso diretti a tutelare interessi diversi (paesaggistico, la seconda, edilizio ed urbanistico, il primo).

4.4.3. Accertato che ciò non è avvenuto nel caso di specie, ed accertato peraltro che non trattavasi di modifiche marginalissime, per quanto prima chiarito, ma incidenti sull’impatto visivo dell’opera, sulla occupazione da parte della stessa della battigia, etc (elementi questi, tutti, dei quali si lamentava l’appellante condominio, in quanto lesivi dei propri interessi) occorre interrogarsi sulle conseguenze di tale accadimento.

Ciò, tenendo peraltro conto della circostanza che –come colto dallo stesso T nella sentenza gravata- l’odierna appellante nell’ambito del mezzo di primo grado aveva comunque chiesto “l'accertamento dell'illegittimità dei lavori in corso d'opera in pretesa esecuzione dell'impugnato permesso a costruire denominato "concessione edilizia" n. C/08/10 del 18.01.2008.”

4.4.4. E’ ben nota al Collegio la costante affermazione della giurisprudenza amministrativa secondo la quale (ex aliis, ancora di recente TAR Campania Napoli, sez. VIII, 5 giugno 2012 sent. 2652 ) “i due titoli, permesso di costruire e nulla osta paesaggistico, hanno contenuti differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli.

La mancanza di un’autorizzazione paesaggistica rende non eseguibile le opere in questione e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e sanzionatorio – ripristinatori, quale un’ordinanza di riduzione in pristino.

Più volte la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la concessione edilizia può essere rilasciata anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico. La giurisprudenza è inoltre costante nel ritenere che l'inizio dei lavori è subordinato all'adozione di entrambi i provvedimenti. (in termini v. Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2005, n. 2073;
Cons. Stato, sez. V, 11 marzo 1995, n. 376;
Cons. Stato, sez. V, 1 febbraio 1990, n. 61;
Cons. Stato, sez. II, 10 settembre 1997, n. 468;
Consiglio di Stato sez. VI n. 547 del 10.02.2006 ).

La garanzia, quindi, che il territorio non venga compromesso da interventi assentiti con permesso di costruire ma privi di nulla osta paesaggistico, è data dall'impossibilità giuridica di intraprendere i lavori prima dell'acquisizione del necessario nulla osta paesaggistico. L’assoggettamento a vincolo paesaggistico delle opere e la necessità della presenza di un’autorizzazione non è stata messa in dubbio, nel caso di specie, nemmeno da parte ricorrente che non li ha sollevati come motivi di censura.”.

Alla base di tale orientamento, riposa il convincimento per cui : “ l'autonomia strutturale dei due procedimenti, non consente di considerare la procedura per il rilascio del nulla osta quale "presupposto necessario" del procedimento per il rilascio della concessione edilizia, neppure nell'ipotesi di opere da realizzarsi su aree vincolate come bellezze di insieme “(C.d.S., sez. V, 11.3.1995, n. 376;
C.d.S. Sez. VI, 19 giugno 2001 , n. 3242).

4.4.5. Senonchè, occorre osservare che:

a) da un canto, tale costruzione è stata riduttivamente interpretata dalla Suprema Corte di Cassazione che (Cassazione civile sez. I 07/04/2006 n. 8244) ha avuto modo di precisare che “ove l'area per la quale si è conseguito il titolo alla trasformazione edilizia, sia interessata da altri tipi di vincoli, a tutela di diversi interessi, e tra questi viene in considerazione il vincolo paesaggistico, che, in via generale, non conferisce al bene una condizione di intangibilità, ma richiede, a sua volta, un provvedimento abilitativo che dipende dall'accertamento di non- incompatibilità della prospettata attività di trasformazione, rispetto all'interesse pubblico tutelato. Si suole argomentare, correttamente, che in presenza del vincolo estetico-culturale, l'esercizio dell'attività costruttiva presuppone non solo la concessione edilizia, di competenza dell'autorità preposta al controllo delle costruzioni, ma anche il nulla-osta paesaggistico, rimesso, nel corso del tempo e dell'evoluzione del concetto di tutela dei valori culturali e ambientali, alla valutazione dell'autorità statale, e successivamente, in via di delega o, da ultimo, in virtù di vero e proprio conferimento di funzioni, dall'autorità regionale, e infine alla stessa autorità comunale per delega della regione.

La necessità di un doppio titolo abilitativo osta alla qualificazione dello ius aedificandi come facoltà acquisita per effetto del rilascio della concessione edilizia, ove difetti l'autorizzazione paesaggistica: e viceversa, ove si sia conseguito il nullaosta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, il diritto all'attività costruttiva non può dirsi consolidato a favore del proprietario.

L'autonomia dei due titoli, in nome della quale il Giudice amministrativo può affermare che il mancato rilascio del nullaosta non legittima il Sindaco al ritiro della concessione edilizia, non toglie che l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli.”;

a1)la giurisprudenza penale, poi, è stata da tempo stabilmente orientata nel ritenere che (Cass. Pen. Sez. III 23.11.1999) per costruire in area vincolata non è sufficiente l’autorizzazione paesaggistica, ma occorre anche la concessione edilizia e che laddove l’autorizzazione manchi la concessione edilizia sia del tutto inefficace, e sia integrato il reato di cui all’art. 20 lett c. legge n. 47/1985 ed 1 sexies legge n. 431/1985 (Cass. Pen. n. 10502/1999, 1093/1998, 6681/1998;
di recente: Cassazione penale sez. III 07/10/2014 n952: “i climatizzatori/condizionatori d'aria costituiscono impianti tecnologici e, pertanto, se collocati all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001, sicché la loro realizzazione o installazione, seppure non necessitante del permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività (s.c.i.a.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R. cit., non rientrando tra gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo. In ogni caso, poiché anche l'attività edilizia c.d. libera deve essere attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lg. n. 42 del 2004, ne consegue che ove l'installazione di condizionatore (già soggetta a s.c.i.a.) abbia luogo in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, essa è da ritenersi condizionata anche a nulla-osta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lg. n. 42 del 2004);

b) secondariamente, la giurisprudenza amministrativa più recente tende ad attenuare il regime di “separatezza” pervenendo all’affermazione secondo la quale ( T.A.R. Roma (Lazio) sez. II

02/12/2014 n. 12140 “ è' legittimo il provvedimento di annullamento in autotutela del titolo a costruire un locale servizio conseguito su denunzia di inizio attività edificatoria, in ragione del mancato preventivo intervento dell'autorizzazione paesaggistica necessaria per le costruzioni in zone soggette a vincoli ambientali.” (così configurando, quindi un vizio di invalidità del titolo concessorio).

4.4.6. In realtà, osserva il Collegio, il contrasto è più apparente che reale.

L’autonomia dei due procedimenti sussiste certamente.

Ciò implica che la concessione edilizia rilasciata in carenza dell’autorizzazione paesaggistica non sia invalida, ma inefficace, in quanto la predetta autorizzazione potrebbe sopravvenire.

Ove però –per venire alla fattispecie verificatasi nella presente causa- la concessione edilizia sia stata rilasciata sulla base di un presupposto (id est: avvenuto rilascio dell’autorizzazione paesaggistica) in realtà non sussistente se non nominatim (in quanto l’autorizzazione paesaggistica venne rilasciata su un progetto diverso) si è in presenza di una doppia situazione patologica.

La concessione edilizia è inefficace, in quanto la autorizzazione paesaggistica è carente;
ed è anche invalida, in quanto fondata su un errato presupposto.

Trattasi in entrambi i casi di vizi (in teoria) sanabili, ove l’autorizzazione sia rilasciata (su quel medesimo progetto posto a supporto della domanda di rilascio del permesso di costruire, è ovvio) e sopravvenga prima dell’inizio dei lavori.

Ma ove ciò non accada – e ciò non è accaduto nella vicenda in esame, al momento della presentazione del mezzo e durante il giudizio di primo grado, quantomeno- ci si trova al cospetto (non solo di lavori illegittimamente eseguiti in quanto non assistiti, a monte, dal nulla osta ambientale : - T.A.R. Torino –Piemonte- sez. I 07/11/2012 n. 1166 “la concessione edilizia può essere rilasciata anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che la stessa è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico. La mancanza di un'autorizzazione paesaggistica, quindi, rende non eseguibile le opere in questione e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e sanzionatorio - ripristinatori.”ma anche) di una concessione edilizia viziata ed annullabile in quanto fondata sul falso presupposto dell’avvenuto rilascio –su progetto conferme- di una autorizzazione paesaggistica (si vedano, le recenti, perentorie, affermazioni, di cui a T.A.R. Napoli –Campania- sez. VI 26 marzo 2015 n. 1815) .

4.7. Dalla ricostruzione sinora rappresentata consegue:

a)la declaratoria di illegittimità dei lavori eseguiti, e constatati dalla Soprintendenza mercè il sopralluogo del 2008 a più riprese citato;

b)la illegittimità del gravato permesso di costruire del 2008 in quanto fondato sul “falso” (rectius: errato) presupposto dell’avvenuto rilascio di una autorizzazione paesaggistica intervenuta (nel 2005) sul medesimo progetto delibato in sede di rilascio del permesso di costruire.

Tale statuizione di illegittimità, spiega portata assorbente sulle altre censure proposte dall’appellante condominio, in quanto (per dirla con le parole di Ad. Plen n. 5 del 27.4.2015) “sussiste un rapporto di stretta e chiara continenza, pregiudizialità o implicazione logica tra la censura accolta e quelle non esaminate”: la concessione era invalida in quanto rilasciata su un progetto non munito di autorizzazione paesaggistica, in quanto l’autorizzazione paesaggistica era stata rilasciata su un progetto diverso.

4.8. Da quanto sinora esposto consegue altresì la illegittimità – derivata - di tutti gli atti successivamente rilasciati ed impugnati nei riuniti ricorsi dal Condominio: invero trattasi di atti conseguenziali al permesso di costruire originario,e ad esso accessivi: la declaratoria di illegittimità dell’atto madre, travolge detti susseguenti atti (ex aliis T.A.R. Genova –Liguria- sez. I

08/01/2013 n. 34 “l'annullamento dell'originario permesso di costruire sortisce l'effetto della caducazione della successiva variante in corso d'opera, secondo il meccanismo della così detta «invalidità derivata ad effetto caducante», poiché priva di una propria autonomia dispositiva”).

Posto che la detta statuizione di invalidità dell’originario permesso di costruire retroagisce alla data di proposizione del ricorso, devono essere dichiarati improcedibili per carenza di interesse gli originari due ricorsi di primo grado che hanno dato luogo alle sentenze nn 183/2011 e 677/2014 e queste ultime debbono essere annullate nei sensi sinora precisati, laddove hanno omesso di rilevare la improcedibilità dei mezzi di primo grado: da ciò consegue, ovviamente, la improcedibilità dei relativi appelli).

4.9. Quanto sinora rilevato esonererebbe il Collegio dal vagliare gli aspetti successivi della vicenda (id est: l’avvenuta –o meno- conformazione dell’attività edificatoria successiva, quantomeno, se non al progetto originario, agli accorgimenti di cui al verbale di sopralluogo del 2008 della Soprintendenza).

5. Ad abundantiam,si rileva che comunque i riuniti appelli n. 7618/2011 proposto dalla S.N.C. ACQUACHIARA DI GERLI GRETA &
C avverso la sentenza del T della Toscana n. 183 del 2011 e nn. n. 10451/2014 proposto dalla S.N.C. ACQUACHIARA DI GERLI GRETA &
C avverso la sentenza del T della Toscana n. 677 del 2014 e n.34/2015 proposto dal COMUNE DI SAN VINCENZO avverso la medesima sentenza del T della Toscana n. 677 del 2014, erano comunque infondati nel merito – e pertanto avrebbero dovuto essere respinti anche in ipotesi di conferma della “prima” sentenza del T resa nel 2009 e reiezione dell’appello n. 4582/2010 prima scrutinato - per le radicali considerazioni che seguono.

5.1. Il Collegio chiarirà il proprio convincimento limitando nella sostanza l’analisi al ricorso n. 7618/2011, in quanto ivi verranno rese considerazioni traslabili anche ai successivi due appelli proposti avverso la sentenza del T della Toscana n. 677 del 2014.

5.2. Ciò premesso, nella sentenza avversata mercè l’appello n. 7618/2011 il primo giudice ha riscontrato plurime violazioni ed ha accolto il mezzo di primo grado proposto dal Condominio sotto vari angoli prospettici.

5.3.Il metodo che seguirà il Collegio sarà quindi quello di scrutinare le censure, arrestando il proprio esame laddove anche una soltanto di esse si appalesi infondata.

5.4.Ciò, armonicamente con il consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo il quale:

“ove l'atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall'autorità emanante a rigetto della sua istanza.”

Consiglio Stato , sez. VI, 31 marzo 2011 , n. 1981;

”laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento.”Consiglio Stato , sez. VI, 29 marzo 2011 , n. 1897.

Tale principio, dal quale il Collegio non intende discostarsi, è pienamente condiviso ed applicato dalla Giurisprudenza di legittimità: il costante orientamento della Suprema Corte, infatti, in tema di ricorso per cassazione, è quello per cui qualora la decisione impugnata si fondi, come nella specie, su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l'omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand'anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre non impugnate, all'annullamento della decisione stessa (Cass. 11-2-2011 n. 3386;
Cass. 18-9-2006 n. 20118;Cass. SU. 8-8-2005 n. 16602;
Cass. 27-1-2005 n. 1658;
Cass. 12-4-2001 n. 5493).

6.Così delimitata la materia del contendere, ed illustrato il metodo cui si atterrà il Collegio nel proprio scrutinio, si evidenzia che la presente causa n. 7618/2011 ha un oggetto – esattamente colto dal T – che può essere così sintetizzato: disamina della legittimità dei provvedimenti amministrativi resi, e dell’attività edificatoria eseguita, successiva al verbale di sopralluogo della Soprintendenza del 10.5.2008 in relazione alle conclusioni espresse in quest’ultimo atto.

Nel verbale di sopralluogo della Soprintendenza del 10.5.2008 era stato così rappresentato quale avrebbe dovuto essere il successivo “sviluppo” dell’attività edificatoria (quest’ultima peraltro già in itinere).

Di seguito lo si riporta nuovamente: “ abbassamento delle porzioni di copertura e del corpo tecnico con creazione di unica copertura piana trasformata in tetto terrazza non calpestabile;
il solaio di copertura deve avere altezza massima di metri 2,70 dal pavimento (deve essere cioè abbassato di 30 centimetri rispetto alle quote attuali) con salvezza della verifica dell’U.S.L.;
realizzazione di non più di 15 cabine, posizionate a filo spiaggia e prive di basamento, così da limitarne l’altezza;
la modifica progettuale deve concretizzarsi in variante in corso d’opera, con confronto e verifica di tutte le quote, con rilievi topografici e altimetrici descritti nell’ambito di progetto definitivo da presentare alla Soprintendenza.”.

6.1.Lo sviluppo della motivazione della sentenza è stato quindi ( trattasi quasi di una sorta di verifica assimilabile ad un giudizio di “ottemperanza”) il seguente:

a)è stata data per accertata la incontestabilità della originaria concessione edilizia del 18/1/2008 (affermata dal T nella sentenza di improcedibilità n. 00439/2009 provvisoriamente esecutiva,) gravata nell’ambito del ricorso a questo Consiglio di Stato n. 4582/2010;

b)sono state scrutinate le censure avverso gli atti successivi (variante, etc) avendo quale parametro di legittimità le prescrizioni di cui al citato sopralluogo della Soprintendenza del 10.5.2008,

7.Ciò posto, non coglie certamente nel segno – e ciò si afferma, armonicamente al “metodo decisionale” prima illustrato- con portata assorbente rispetto alle altre doglianze la doglianza incentrata sull’altezza interna ed esterna dell’edificio.

7.1.Nel verbale di sopralluogo del 2008 si era stabilito quanto segue: il solaio di copertura deve avere altezza massima di metri 2,70 dal pavimento (deve essere cioè abbassato di 30 centimetri rispetto alle quote attuali) con salvezza della verifica dell’U.S.L.;

A seguito della circostanza che in data 15/12/2008 la società Acquachiara aveva chiesto concessione edilizia in variante alla concessione del 18/1/2008, su detto nuovo progetto la Soprintendenza aveva espresso parere favorevole in data 5/2/2009, prescrivendo però di “abbassare l’altezza interna dell’intervento di progetto al di sotto di 3 metri netti (2,70) previa acquisizione del parere e delle certificazioni della competente A.S.L.”

7.2. In disparte ogni considerazione in punto di ravvisata contraddittorietà del parere suddetto, non è dubbio che dalla disamina dei due atti si rilevi (almeno) un punto fermo: salva “riserva” circa la determinazione dell’Asl v’era comunque un barrage insormontabile della copertura fissato a mt. 2,70 del solaio di copertura.

7.3 La Asl 6 di Livorno,(nota del 28/2/2009) aveva fatto presente che l’altezza minima di tre metri riguarda (va) le stanze adibite a lavorazioni insalubri, e in particolare le cucine, mentre le aree di somministrazione potevano avere un’altezza di metri 2,70.

7.3.1. A questo punto, potevano verificarsi due evenienze:

a)la prima era quella per cui, posto che la verifica della Asl era parzialmente difforme da quanto stabilito dalla Soprintendenza, quest’ultima doveva necessariamente ripronunciarsi, tenendo conto di tale limite inderogabile fissato per i locali-cucina;

b)a tutto concedere, comunque, interpretando la clausola contenuta nel parere/verbale reso in sede di sopralluogo nel 2008 come una “clausola di apertura” per possibili opinamenti difformi ed ampliativi dell’Asl, considerare tale determinazione dell’Asl integrativa del verbale/parere di sopralluogo, negli stretti limiti in cui essa era stata resa.

7.3.2. Aderendo a tale ultima opzione interpretativa –sempre a tutto concedere - l’edificio avrebbe dovuto avere un’altezza di tre metri in corrispondenza del solaio di copertura del vano cucina, e di 2,70 per gli altri vani.

7.3.3. Così certamente non è.

7.4. L’innalzamento dell’altezza dell’intero edificio sostanzialmente “accettato” dalla Soprintendenza con nota del 12/4/2010 appare atto di contemperamento di opposte esigenze (salvaguardia dell’edificio sino ad allora eseguito, e tutela dei valori paesaggistici) del quale però sfugge la coerenza.

7.5. Il vero è, che pare al Collegio che l’intero procedimento si contraddistingua da una deviazione funzionale, al comprensibile (ma non consentito) fine di evitare la eliminazione di lavori già eseguiti: in tal modo, però, il dato fattuale precede quello giuridico, con una non legittima devianza dallo scopo proprio del procedimento di verifica ambientale e, soprattutto, una carenza motivazionale difficilmente spiegabile.

7.6. Invero, la preminenza del valore ambientale, induce a “disegnare” un procedimento-tipo che si sarebbe dovuto così svolgere:

a) la Soprintendenza avrebbe dovuto ab imis indicare i limiti entro i quali il manufatto sarebbe apparso ambientalmente compatibile;

b)in ipotesi di limite eccessivamente restrittivo, rispetto a quanto prescritto da altre disposizioni (id est: altezza delle aree destinate alla preparazione dei cibi) si sarebbe dovuto argomentare:

1)sulla eventuale inderogabilità di tali prescrizioni “estensive”;

2)preso di ciò atto, verificare se il rispetto di tali prescrizioni estensive rispetto a quanto da essa prima indicato, fosse compatibile con i valori ambientali in forza dei quali era stato in precedenza indicato un limite (in altezza, nel caso di specie, inferiore).

In sostanza, delle due l’una: o il limite di altezza indicato nel 2008 era errato, in quanto eccessivamente restrittivo, ovvero esso era corretto.

Ma se esso era corretto, la conseguenza logica era quella per cui, non potendo esso essere rispettato (perchè altra Autorità, nella specie la Usl, aveva chiarito che esso non era “ottemperabile” per i locali-cucina), logica conseguenza sarebbe stata quella per cui se ne doveva fare discendere che: o si eliminavano le cucine (il che avrebbe fatto “cadere” l’ obbligatorio innalzamento di altezza prescritto dalla Usl) o l’intervento, semplicemente, non era assentibile.

A tutto concedere, poi, si sarebbe dovuto argomentare eventualmente sul perché, pur con la prescrizione “estensiva” della Usl l’intervento sarebbe stato ugualmente assentibile, ed ovviamente interpretando quest’ultima in termini restrittivi (in quanto diretta a “derogare” ad una prescrizione a tutela dell’ambiente e del paesaggio che, al momento in cui venne resa era..inderogabile).

In realtà di tutto ciò è avvenuto:

l’altezza dell’intero edificio è rimasta nei fatti fissata a tre metri (id est: l’innalzamento obbligatorio prescritto per i locali cucina è stato traslato all’intero corpo di fabbrica);

parte appellante nell’atto di appello sostiene che ciò è avvenuto per evitare che il prospetto esterno apparisse “a scalini” (cfr pag. 12 dell’appello) : ma questa spiegazione, pur in astratto plausibile, non è esternata in alcuno degli atti versati nel processo provenienti dall’amministrazione deputata alla cura dell’interesse ambientale, e soprattutto, non chiarisce perché il pregresso limite di altezza scolpito nel verbale di sopralluogo divenisse all’improvviso “dequotabile”, sol perché ne era impossibile il rispetto a cagione di quanto affermato dalla Usl.

Né dicasi che il “mantenimento” dell’altezza a tre metri per tutto il corpo dell’edificio, si rendesse necessario a cagione della circostanza che il verbale di sopralluogo imponeva una copertura piana: detta prescrizione fu dettata quando era “vigente” la prescrizione dell’abbassamento del tetto a mt. 2,70 (e si armonizzava con tale prescrizione coeva);
accertato che con riferimento ad una parte del fabbricato, corrispondente alla cucina, tale prescrizione sull’altezza non era rispettabile, non si vede in forza di quale prescrizione sia stata ritenuta non denotabile la prescrizione relativa alla “pianezza” della copertura, e dequotabile, invece, quella sulla altezza massima.

Il capo della gravata decisione accoglitivo del primo motivo di censura va senz’altro confermato.

8.Analoghe valutazioni concernono l’accoglimento della terza censura.

8.1. Il verbale di sopralluogo del 2008 prevedeva la trasformazione della copertura in un “tetto terrazza non calpestabile parte a verde e parte a specchio d’acqua ad invaso”;

le tavole progettuali della variante concessoria prevedevano invece, nella copertura spazi calpestabili e ringhiera, nonché una scala di accesso dal piano sottostante aperto al pubblico .

E’ evidente la correttezza della deduzione del T secondo la quale tali opere, nell’insieme, concretavano una zona calpestabile e liberamente accessibile, in difformità da quanto stabilito in sede di sopralluogo congiunto.

Parte appellante si sforza di dimostrare (terzo motivo, pagg. 17 e segg) che trattavasi di opere necessarie per “esigenze di sicurezza e manutenzione della copertura”: senonchè, una volta che la terrazza non doveva essere accessibile al pubblico, non si vede la funzione di tali opere: né della scala fissa, né della ringhiera, ma soprattutto dell’acciottolato calpestabile , che proprio non si giustifica, in riferimento a supposte esigenze manutentive.

Ma anche con tale difesa, non fa altro che introdurre una forma di “interlocuzione anomala ” con l’Amministrazione;
l’istante non era – ne è- tenuta ad interpretare alcunché: deve pedissequamente conformarsi ai provvedimenti emessi, o laddove non li condivida, impugnarli.

Non può motu proprio discostarsene, dopo averli sollecitati,ad essi prestato acquiescenza, ed “utilizzati” per proseguire l’attività edificatorie.

L’appello n. 7618/2011 avrebbe dovuto, quindi,essere disatteso nel merito:ed i principi sinora esposti inducono ad identiche conclusioni, quanto ai riuniti appelli volti a censurare la successiva sentenza”fotocopia” del T n. 677 resa nel 2014,cui sono integralmente traslabili le considerazioni suesposte.

8.1.1. Nella detta decisione, infatti, correttamente il T ha constatato l’illegittima reiterazione dello stesso schema comportamentale ed operativo già stigmatizzato nella sentenza del 2011.

Ed infatti, è rimasto accertato che, il “nuovo progetto” avversato innanzi al T dal Condominio, assentito dalla Soprintendenza in quanto ritenuto ‹‹una variante riduttiva rispetto a quanto già approvato›› ( facendo preminente riferimento alla circostanza che con riguardo alla terrazza di copertura, era ‹‹ stata eliminata la balaustra sulla copertura piana non praticabile e la scala esterna mentre era stato garantito l'accesso solo per l'effettuazione delle ispezioni e manutenzione del tetto piano con una scala circolare››) aveva lasciato ‹‹per il resto l'edificio immutato rispetto al progetto approvato››.

Sia con riferimento all’altezza dell’edificio ed alle problematiche inerenti la fissazione della quota a partire dalla quale tale altezza doveva essere calcolata, si era rimasti allo status quo ante.

Per fermarsi al segmento di analisi prima approfondito, l’obbligo di procedere ‹‹l’abbassamento delle porzioni di copertura non limitato alle altezze interne››, di cui al verbale di sopralluogo del 10 giugno 2008 e la cui inottemperanza aveva costituito uno delle ragioni fondanti la statuizione demolitoria del T resa nel 2011, continuava ad essere eluso/inottemperato, mentre la provvisoria esecutività della decisione n. 183/2011 avrebbe imposto un comportamento improntato alla integrale conformazione alle statuizioni della detta sentenza.

Nessuna delle articolazioni delle doglianze contenute nei due riuniti appelli avverso la decisione n. 677/2014 è in grado di smentire detto convincimento, dal quale deve di necessità discendere anche la reiezione nel merito di detti appelli.

9. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

10. Conclusivamente, l’appello n. 4582/2010 proposto dal Condominio "B" S V, M G P in C,avverso la sentenza del T della Toscana n.. 00439/2009 è fondato e deve essere accolto nei termini di cui alla motivazione che precede, con conseguente annullamento della detta sentenza n.. 00439/2009,accoglimento del ricorso di primo grado, ed annullamento,per quanto di ragione degli atti gravati.

A cagione della retroattività della statuizione demolitoria suddetta, e della caducazione del primo titolo concessorio,vanno dichiarati illegittimi, in via derivata, gli ulteriori titoli abilitativi medio-tempore rilasciati: ne consegue la improcedibilità degli ulteriori appelli, in quanto gli ulteriori due ricorsi di primo grado proposti dal Condominio e sfociati nelle due sentenze gravate con gli ulteriori tre riuniti appelli sarebbero stati non assistiti dall’interesse a ricorrere in quanto proposti avverso atti affetti da invalidità derivata.

In ogni caso, comunque, gli ulteriori tre riuniti appelli sono infondati e vanno respinti.

11. La complessità in fatto ed in diritto delle questioni sotto poste all’attenzione del Collegio legittimano la integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado.

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