Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-10-30, n. 202309329

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-10-30, n. 202309329
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202309329
Data del deposito : 30 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/10/2023

N. 09329/2023REG.PROV.COLL.

N. 04242/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOE DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4242 del 2023, proposto dal Ministero dell’Interno, Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

--O-, rappresentato e difeso sia congiuntamente che disgiuntamente dagli avv.ti G P e F G L ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma Via Sistina n. 121 - giusta procura in atti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

«della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Reggio Calabria n.-O-, pubblicata il 27.02.2023, sul ricorso numero di registro generale -O-».


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio del sig. --O-;

Vista l’ordinanza n. -O-dell’8-12 giugno 2023 con la quale la Sezione ha accolto la domanda cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2023 il Cons. Paolo Carpentieri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in appello in esame, notificato il 16 maggio 2023, il Ministero dell’interno, Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, ha chiesto la riforma della sentenza n. -O- del 27 febbraio 2023 con la quale il T Calabria, sez. distaccata di Reggio Calabria, ha accolto il ricorso RG -O- proposto da --O- ed ha annullato l’interdittiva antimafia della Prefettura – UTG di Reggio Calabria, Area I, prot. interno -O-, prot. di uscita -O-del 21 maggio 2021, adottata in esito a provvedimento di riesame.

2. L’Amministrazione appellante ha censurato la sentenza appellata per i seguenti motivi:

2.1. “ Violazione e falsa applicazione degli artt. 84 e 91 del d.lgs. n. 159 del 2011– Erronea valutazione delle circostanze di fatto e di diritto – vizio di motivazione ”: la sentenza di primo grado non avrebbe correttamente valutato i legami sussistenti tra il titolare della omonima impresa individuale con esponenti della cosca di ‘ndrangheta degli -O-, tuttora operativa nell’area geografica tirrenica nella quale si colloca la città di -O-, nell’ambito del “mandamento tirrenico”, nel quadro della geografia criminale della ‘ndrangheta. Tali vincoli, se letti in modo unitario e non atomistico, al di là degli esiti giudiziari, avrebbero assunto una pregnante valenza indiziaria nel contesto criminale di -O- e sarebbero stati tali da delineare i presupposti per l’adozione del provvedimento interdittivo annullato dal T.

2.1.1. Il T, in particolare, ad avviso del Ministero appellante, in violazione dei canoni ermeneutici fatti propri dalla costante giurisprudenza, avrebbe effettuato una valutazione “atomistica” degli elementi indiziari posti alla base del provvedimento interdittivo, il che avrebbe reso impossibile una valutazione equilibrata dell’intero quadro indiziario. Il giudice di primo grado, inoltre, discontandosi dal costante insegnamento della giurisprudenza amministrativa, avrebbe erroneamente negato rilevanza a fatti indiziari per il solo fatto della loro risalenza nel tempo, senza considerare il quadro indiziario complessivo e pur in assenza di elementi positivi idonei a rendere incontrovertibile l’intervenuta bonifica dell’impresa dal rischio di infiltrazioni mafiose.

2.1.2. Il T avrebbe inoltre sopravvalutato il rilievo della sentenza di assoluzione per intervenuta prescrizione per il reato di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori aggravato dall’agevolazione mafiosa, emessa dal Tribunale di Roma in esito al procedimento penale nato dall’operazione di polizia “-O-”, sentenza peraltro appellata, che assume valenza ai fini della definizione di un procedimento penale, ma non altrettanto al fine del giudizio di permeabilità mafiosa in sede amministrativa.

2.1.3. L’Amministrazione critica, inoltre, la rilevanza attribuita dal T alla circostanza che la famiglia -O-“ risulta condurre uno stile di vita relativamente agiato già da diverso tempo ”, traendone l’inferenza per cui “ si può trarre il ragionevole convincimento che l’attività imprenditoriale gode ad oggi di autonoma e solida capacità reddituale, estranea ad ogni flusso di denaro “sospetto” (peraltro nemmeno identificato da parte della Prefettura) o ad altri supporti materiali necessari a garantirle l’autosufficienza economica e patrimoniale ”. La prevalente giurisprudenza, al contrario, avrebbe sempre escluso che la disponibilità di adeguati mezzi economici possa di per sé essere motivo di esclusione di fondati sospetti di possibile contiguità con ambienti malavitosi.

2.1.4. Contrariamente a quanto ritenuto dal T, il Prefetto (pag. 3 del provvedimento interdittivo del 2021) avrebbe perfettamente valutato la portata del decreto della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria n. -O-, ritenuto, nell’economia complessiva del provvedimento, soccombente nel bilanciamento con gli ulteriori e pregnanti elementi di segno contrario.

2.1.5. L’appello critica altresì la tesi, svolta alla pag. 10 nella sentenza appellata, secondo la quale “ non sono stati individuati (ed attribuiti ad alcuno) gli atti idonei diretti in modo non equivoco a condizionare le scelte imprenditoriali della società sottoposta a controllo, finendo per enfatizzare il denunciato eccesso di potere per carenza di motivazione e difetto di istruttoria ”;
tale formulazione, ad avviso dell’Avvocatura, richiamando il dettato di cui all’art. 56 c.p. che si riferisce al “delitto” tentato, sembrerebbe confondere la logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, necessaria ai fini di una pronuncia di responsabilità penale, con il criterio indiziario del “più probabile che non”, sotteso invece alle finalità preventive proprie della certificazione antimafia.

2.1.6. La sentenza gravata, infine, non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi in materia, più volte ribaditi dalla giurisprudenza in ordine all’incidenza dei rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, specialmente rilevanti nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, la cui organizzazione presenta una struttura clanica, che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione.

3. La parte appellata si è costituita per resistere al proposto appello e ha replicato con memoria in data 1° giugno 2023.

4. Con l’ordinanza n. -O-dell’8-12 giugno 2023 la Sezione ha accolto la domanda cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata “ Considerato che le censure mosse alla sentenza appellata non appaiono prive di consistenza e, a un primo sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione su un possibile esito favorevole del proposto appello, sotto i dedotti profili, tra gli altri, della parcellizzazione atomistica degli elementi pregiudizievoli esposti nel provvedimento prefettizio, della sottovalutazione dell’oggettiva rilevanza, normalmente riconosciuta dalla giurisprudenza, della rete dei rapporti familiari, nonché della erronea attribuzione alla pronuncia di proscioglimento per prescrizione di una valenza di accertamento “favorevole” al prevenuto anche per quanto concerne l’accertamento dei fatti dedotti ”.

5. Con memoria in data 9 settembre 2023 la parte appellata ha ulteriormente replicato e ha insistito per il rigetto dell’appello.

6. Alla pubblica udienza del 12 ottobre 2023 la causa è stata discussa e assegnata in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato e meritevole di accoglimento.

2. La parte ricorrente - imprenditore agricolo operante nel settore dell’attività di coltivazione e produzione di olive, nonché nella produzione dell’olio - ha chiesto il 5 novembre 2019 il riesame della interdittiva, disposta a suo carico, n. -O-(allora impugnata con esito negativo: T della Calabria, Reggio Calabria, sentenza n. -O-, confermata in appello con sentenza di questo Consiglio di Stato n. -O-).

2.1. A sostegno dell’istanza ha addotto il tempo trascorso, la mancanza del requisito dell’attualità, la cessazione nel 2004 (con la cessione dell’azienda e l’interruzione dei rapporti di cointeressenza tra i soggetti coinvolti) dell’operazione commerciale “sospetta”, la pronuncia del Tribunale di Reggio Calabria, sezione Misure di prevenzione (decreto n. -O-), che aveva accertato “ la netta divisione tra quell'attività e l'attività di impresa agricola del -O- ” e l’evidente spartiacque temporale, nella vita del -O-, in relazione alle vicende precedenti, l’assenza di rapporti di parentela tra il -O-e --O- (trattandosi di un mero un rapporto di affinità con l’altro socio, -O-, per il tramite della moglie), nonché la sentenza del Tribunale penale di Roma, gravata di appello, in relazione alla questione dell’acquisto dell’esercizio commerciale -O-, che avrebbe escluso qualsiasi comportamento mafioso da parte del -O-e dichiarato prescritto il reato contestato, previa esclusione dell’aggravante mafiosa.

3. La Prefettura, con il provvedimento impugnato in primo grado n. interno -O-, prot. di uscita -O-del 21 maggio 2021, ha invece confermato l’interdittiva sulla base delle seguenti conclusioni: “ l’impresa individuale "--O-", operante nel settore olivicolo nel territorio di -O-, si colloca nell'alveo di una attività imprenditoriale avviata dal defunto -O--O-- padre del titolare - che annoverava pregiudizi di polizia per favoreggiamento personale di latitante, tentata lesione personale, emissione di assegno senza provvista e truffa in concorso;
i tre figli del predetto -O-, vivono con i rispettivi nuclei familiari nel palazzo di famiglia, ubicato nel comune di -O- alla via -O-, stesso indirizzo della sede legale dell'impresa individuale in esame;
diverse imprese individuali, operanti nello stesso settore merceologico, risultano riconducibili ai citati membri della famiglia;
i predetti elementi delineano uno "spaccato" parentale espressivo di quella tipica "influenza di fatto" che, all'interno di una "famiglia", può condizionare, in modo più o meno consapevole e pur sempre secondo i criteri della verosimiglianza, il titolari di un’impresa e i familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi, laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, in un’ottica probabilistica, che l’impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere "coordinate", anche indirettamente, dalla criminalità organizzata
”.

3.1. Più nel dettaglio, questi sono i dati riferiti dalla Prefettura nel provvedimento impugnato e posti a base della contestata conferma:

- l’informazione interdittiva antimafia n.-O-, emessa nei confronti dell’impresa individuale "--O-", nipote del titolare della ditta in esame, confermata con provvedimento n. -O-;

- l’interessato e suo figlio -O--O-sono menzionati - pur non essendone coinvolti – nell’operazione di polizia “-O-”, avviata nel 2016, riguardante la cosca "-O-";

- --O-, titolare dell’impresa in oggetto, risulta destinatario, insieme ai fratelli --O-, "in qualità di eredi di --O-", come "terzi interessati", di decreto di confisca del patrimonio aziendale dell'Azienda Agricola di -O- considerato elemento di vertice dell’omonima famiglia di 'ndrangheta "-O-", condannato per associazione dì tipo mafioso (attiva nel settore olivicolo);

- l’esistenza di un rapporto di fiducia con --O-, padre dello stesso --O-, che aveva favorito la locazione alla coniuge dell’-O- di alcuni appezzamenti di terreno nel comune di -O- da parte di -O-;

- il -O-è socio al 33% della "-O-" con sede in Roma in via -O-, costituita nel 2003, avente ad oggetto l’esercizio di attività di bar, ristorante e tavola calda (-O-), in scioglimento e liquidazione dal 2009 (società che vede come altri soci -O- e -O- ed è gestita da --O-, liquidatore;
il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale di questa società sono stati sottoposti a sequestro dal Tribunale di Reggio Calabria, con provvedimento n. -O- del 21 luglio 2009, poiché riconducibile a soggetti legati alla cosca -O-, con confisca, disposta nel 2011, delle quote pari al 67% del capitale sociale, intestate ad -O- e a -O-, ma con dissequestro delle quote pari al 33% del capitale sociale intestate a --O- in considerazione della difficili condizioni economiche del -O-), confisca poi revocata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria nel 2018 nei confronti di --O-;

- nell’ambito della vicenda relativa al bar della società "-O-", -O-risulta coinvolto nel procedimento penale della Procura della Repubblica di Roma (operazione "-O-") per trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori aggravato dall’agevolazione mafiosa, unitamente ad altri soggetti, tra cui i già menzionati --O-, -O- e -O- (una costola laziale del clan 'ndranghetista degli -O-, dedito al reinvestimento e reimpiego dei capitali illeciti proprio attraverso l'acquisizione di attività commerciali nella capitale), imputazioni dalle quali è stato però prosciolto per prescrizione dal Tribunale di Roma con sentenza del 9 aprile 2014 (appellata), ma con condanna degli altri imputati, tra i quali --O-;

- --O- è coniuge di -O- cugina diretta di --O- e -O-, quest’ultimo condannato nel 2014 alla pena di anni due di reclusione (pena sospesa) per trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori aggravato (come sopra), nonché di -O-, coniugata con -O-;

- --O- è padre del già indicato --O-, presidente provinciale della Federazione provinciale Coldiretti di Reggio Calabria, il quale risulta aver ricoperto vari incarichi e ruoli nelle compagini societarie di diverse imprese, tra le quali, dal 2009 in qualità di liquidatore, ovvero dal 2003 al 2009, quale amministratore unico, nella già citata "-O-", nonché dal 2012 al 2013, quale presidente del C.d.A. nella società cooperativa "-O-", con sede legale -O-, società di cui è stato consigliere dal 2012 al 2013 -O-, detenuto poiché tratto in arresto il 25 febbraio 2020 nell’ambito dell'operazione di polizia "-O-", per il reato di scambio elettorale politico mafioso e violazione delle norme in materia elettorale aggravata dall'agevolazione mafiosa;

- -O--O-è cognato acquisito di --O-, figlia di --O-, alias "-O-", considerato elemento di vertice dell'omonima famiglia di 'ndrangheta, in precedenza menzionato;
è stato notato, in più occasioni, unitamente a soggetti controindicati, alcuni dei quali annoveranti pregnanti precedenti penali, anche per associazione di tipo mafioso;
è cognato di -O-, coinvolto nell'operazione di polizia c.d "-O-', la quale ha portato all'arresto di 33 persone accusate, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, tratto in arresto e sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, alla quale è tuttora sottoposto, ha dichiarato di dimorare nel domicilio, insieme alla moglie --O-, sorella di --O-;

- --O- è zio di -O--O-(figlio convivente del già menzionato --O-), residente a -O-, titolare dell’omonima impresa individuale destinataria di informazione antimafia interdittiva emessa in data 20 maggio 2020.

4. Il T di Reggio Calabria, con la qui appellata sentenza n. -O- del 27 febbraio 2023, ha accolto il ricorso del -O-giudicando fondati i dedotti vizi di difetto di motivazione, di eccesso di potere per travisamento dei fatti e di carenza istruttoria, ritenendo “ deficitario proprio il giudizio complessivo, pertinente ed attuale sulla controindicata figura del ricorrente in relazione al diacronico sviluppo di quelli che furono i fatti ab origine costitutivi dell’informazione interdittiva ”, non avendo la Prefettura “ adeguatamente apprezzato quelle circostanze che, puntualmente valorizzate dalla difesa attorea alla stregua di una lettura ispirata a parametri di logicità e ragionevolezza, depongono nel senso di escludere ad oggi i temuti collegamenti tra l’impresa del ricorrente e la criminalità organizzata ”.

4.1. Il T, in particolare, ha rilevato l’assenza del requisito della attualità del pericolo, atteso l’esclusivo riferimento a fatti risalenti nel tempo e ormai privi di significativa rilevanza indiziaria (cfr. vicenda -O-.), l’inesistenza di contatti e di cointeressenze tra l’impresa del ricorrente e quella delle imprese dei familiari citati nell’interdittiva, ancorché impegnate nello stesso ramo imprenditoriale, l’omessa considerazione dell’esisto dei procedimenti giudiziari che hanno interessato la -O-, rispetto ai quali la parte ricorrente aveva sottolineato a ragione nel ricorso l’esito favorevole, compreso il proscioglimento per intervenuta prescrizione. La valutazione prefettizia, in definitiva, sarebbe, a giudizio del primo giudice, rimasta immotivatamente ancorata al passato, senza spiegare per quali ragioni il quadro indiziario, negativamente apprezzato nel 2007, dovesse ritenersi immutato nella sua valenza pregiudizievole.

5. Così richiamati in sintesi i dati fattuali e giuridici che caratterizzano la vertenza oggetto di giudizio (con rinvio, per ogni altro dettaglio, alla narrativa del “fatto” e alle risultanze degli atti processuali, ivi incluse le produzioni e le memorie delle parti), è possibile esaminare i motivi di appello, in relazione al contenuto motivazionale della sentenza gravata (in raccordo con quello del provvedimento amministrativo impugnato).

6. Orbene, ad avviso del Collegio, a conferma dell’orientamento già emerso nella fase cautelare, i motivi di appello devono giudicarsi fondati, con conseguente accoglimento dell’appello e annullamento della sentenza gravata (e respingimento del ricorso introduttivo di primo grado).

7. Giova premettere, sul piano metodologico, che, come statuito da costante e condivisa giurisprudenza (Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743, 5 settembre 2019, n. 6105, 23 dicembre 2022, n. 11265;
sez. I, parere n. 487/2023 del 20 marzo 2023), il sindacato giurisdizionale logicamente esercitabile sull’ampia discrezionalità di apprezzamento riservata al Prefetto nell’adozione dell’interdittiva antimafia, pur pieno e profondo, non può spingersi fino a sostituire alle non illogiche deduzioni e valutazioni della competente Autorità amministrativa quelle dell’organo giudicante: come ribadito dalla citata giurisprudenza, infatti, il giudice amministrativo è chiamato a valutare l’ampiezza e la rilevanza del quadro indiziario posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, nonché la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da tale quadro indiziario, secondo un criterio che è probabilistico per la natura preventiva e non sanzionatoria della misura in esame;
ma nell’esercizio di tale sindacato il Giudice non può e non deve sostituirsi alla competente Autorità di pubblica sicurezza nel giudizio discrezionale sulla sussistenza o meno dei presupposti per l’adozione dell’informativa sfavorevole.

8. Da questo angolo di visuale – ed è questo un primo profilo di fondatezza dell’appello ministeriale – emerge dal complesso della motivazione della decisione appellata che il T abbia in definitiva sottovalutato l’ampiezza e la complessità del quadro indiziario assunto dalla Prefettura a base dell’interdittiva, spingendosi oltre il corretto giudizio di coerenza e di non illogicità dell’operato amministrativo, finendo in definitiva per sovrapporre le proprie valutazioni a quelle riservate alla Prefettura in ordine all’insussistenza di un pericolo concreto e attuale di esposizione dell’impresa a fenomeni di condizionamento mafioso.

9. Coglie nel segno il primo motivo di censura dedotto dal Ministero, inteso a stigmatizzare negativamente l’avvenuta disamina “atomistica”, da parte del primo giudice, degli elementi indiziari posti alla base del provvedimento interdittivo, con pregiudizio per l’esito complessivo della valutazione svolta sul quadro indiziario che sorregge l’informazione interdittiva impugnata.

9.1. Come ribadito ancora di recente da questa Sezione (Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2023, n. 8269), “ gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale – che è alla base della teoria della prova indiziaria - quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità dell’impresa dell’appellante a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata ”, atteso che “ Anche elementi privi di univoca significatività indiziaria, o addirittura dotati di sintomaticità di segno contrario alla prospettiva preventiva, ove isolatamente analizzati, possono, se valutati unitariamente, corroborare il pericolo di condizionamento mafioso dell’attività di impresa: ciò che è necessario, infatti, è che la Prefettura abbia inquadrato gli elementi raccolti in una cornice unitaria, fornendone una lettura d’insieme che, rispondendo a canoni di logicità argomentativa e plausibilità secondo massime di comune esperienza, consenta di affermare come sia “più probabile che non” l’assoggettamento dell’impresa all’influsso criminale ” ( Id ., 8 agosto 2023, n. 7674;
28 giugno 2022, n. 5375).

9.2. L’esame dei plurimi elementi fattuali addotti dal Prefetto per la conferma della misura interdittiva, come in sintesi supra ripercorsi nell’esposizione del “fatto”, dimostra l’esistenza di un ampio e complesso quadro indiziario senz’altro idoneo, secondo i canoni di giudizio sopra richiamati, a fondare un non manifestamente illogico giudizio prognostico di possibile esposizione dell’impresa a forme di condizionamento malavitoso. Il Giudice di primo grado, invece, procedendo con una disamina volta a parcellizzare il suddetto quadro indiziario, come prospettata in ricorso dalla parte appellata, ne ha sminuito il complessivo, potenziale rilievo e significato.

10. Non condivisibile risulta inoltre la conclusione cui è giunto il T in ordine all’asserita “ assenza del requisito della attualità del pericolo, atteso l’esclusivo riferimento a fatti risalenti nel tempo e ormai privi di significativa rilevanza indiziaria (cfr. vicenda -O-) ”. Qui la sentenza appellata, sovrapponendo le proprie conclusioni a quelle riservate al Prefetto, ha ritenuto che “ l’Amministrazione resistente non . . . ha tratto le relative conseguenze in termini di probabile inattualità del rischio di inquinamento criminoso ” dal fatto della restituzione in favore del ricorrente della quota di sua pertinenza, pari al 33%, del capitale della società -O-, nonché dalle “ argomentazioni rinvenibili in senso favorevole all’interessato dal decreto del Tribunale della Prevenzione n. -O- sopravvenuto alla prima interdittiva del 2007 ”. In realtà, del tutto correttamente, come dedotto nell’appello, l’Amministrazione ha dato atto di tali sopravvenienze, le ha conosciute e le ha accuratamente valutate, ritenendole, con un giudizio non illogico, insufficienti a superare il giudizio prognostico di perdurante rischio ad esposizione malavitosa, stante la oggettiva significatività dei fatti nei quali il ricorrente appellato è stato coinvolto in occasione dell’operazione della -O- relativa al -O- in Roma, e ciò a prescindere dagli esiti penali (peraltro non assolutori) connessi a tale vicenda, trattandosi, come giustamente evidenziato nel provvedimento prefettizio, di una tipica operazione di “ reinvestimento e reimpiego dei capitali illeciti proprio attraverso l’acquisizione di attività commerciali nella capitale ” riconducibile ad “ una costola laziale del clan 'ndranghetista degli -O- ”.

10.1. Il sopravvenuto proscioglimento per prescrizione del ricorrente (con sentenza del Tribunale di Roma del 9 aprile 2014, che peraltro ha condannato gli altri imputati, tra i quali --O-) non elide il dato di fatto del suo pieno coinvolgimento nell’operazione, quale socio per un terzo circa del capitale della società -O-, ciò che, al di là degli esiti penali, rappresenta senz’altro, se valutato unitamente agli altri elementi indiziari e letto correttamente nel quado complessivo che ne emerge, un fatto rilevante e significativo agli effetti del giudizio di prevenzione riservato all’autorità prefettizia.

10.2. In quest’ottica non convince la tesi svolta nella sentenza appellata, secondo la quale il Prefetto non avrebbe spiegato “ per quali ragioni il quadro indiziario, negativamente apprezzato nel 2007, debba ritenersi immutato nella sua valenza pregiudizievole, nonostante le vicende societarie concernenti la -O- si siano inevitabilmente “scolorite” nel tempo, per non dire estinte, a seguito della definitiva cessazione di ogni attività sociale ”. L’aver intrapreso, prendendovi parte con una quota di capitale rilevante, un’operazione di “ reinvestimento e reimpiego dei capitali illeciti proprio attraverso l’acquisizione di attività commerciali nella capitale ” riconducibile ad “ una costola laziale del clan 'ndranghetista degli -O- ”, al di là della possibile contestazione o non contestazione al ricorrente di imputazioni penali di associazione mafiosa o di concorso in associazione mafioso, o delle connesse aggravanti, costituisce sicuramente un fatto che, pur a distanza di un notevole lasso di tempo e nonostante l’intervenuta cessazione di ogni attività sociale (peraltro --O-, figlio del ricorrente, è stato amministratore unico della "-O-" dal 2003 al 2009 e liquidatore nel 2009), ben può conservare una sua rilevanza a fini interdittivi, se correttamente collegato in un contesto complessivo e in un quadro indiziario più articolato e completo.

11. Parimenti fondata è la critica mossa dall’amministrazione alla sentenza appellata nella parte in cui essa stigmatizza negativamente, nel provvedimento impugnato, la circostanza che “ l’Amministrazione resistente [non] si sia premurata di dimostrare a carico del ricorrente la perdurante sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti comunque ricavabili dalla sentenza [del Tribunale di Roma n. 6120 del 9 aprile 2014], nonostante il mancato accertamento della responsabilità del prevenuto ”. In questo punto il primo giudice per un verso sembra richiedere, quale fondamento di legittimità della misura interdittiva, l’accertamento di una responsabilità penale e/o una base probatorio/indiziaria corrispondente a quella richiesta nella diversa sede penale (lì dove sembra pretendere che a base dell’interdittiva vi siano “ indizi gravi, precisi e concordanti comunque ricavabili dalla sentenza ” di proscioglimento, così quasi subordinando ogni apprezzamento discrezionale dell’autorità di prevenzione alle risultanze del giudizio penale);
per altro verso mostra di attribuire alla pronuncia di mero proscioglimento per prescrizione del reato un rilievo risolutivo favorevole per il ricorrente, rilievo che tale tipologia di pronuncia, che nulla accerta riguardo ai fatti contestati, non ha e non può in alcun modo rivestire, ben conservando, i fatti ascritti, la loro rilevanza e la loro possibile significatività sul piano della prevenzione proprio delle misure antimafia di cui qui si controverte.

11.1. È appena il caso a tal proposito di richiamare la nota, costante e condivisa giurisprudenza di questa Sezione secondo la quale “ Coerentemente con la finalità preventiva da essa perseguita, l’informazione antimafia trova fondamento in una fattispecie di carattere fluido, non ancorata alla sussistenza di presupposti legislativamente tipizzati in modo rigido, ma delineati nella forma elastica della “sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate . . . Proprio perché trattasi di una fattispecie di pericolo che non ha ad oggetto un evento di danno riconducibile causalmente ad una condotta né tantomeno ad una volontà anti-giuridica del soggetto, ma una condizione dell’impresa che la espone oggettivamente – quindi anche involontariamente – all’influenza condizionante della criminalità organizzata, è compito della Prefettura enucleare nel corpo del provvedimento interdittivo gli elementi dai quali quel pericolo può essere ragionevolmente desunto: elementi che, quindi, non devono necessariamente attestare una ingerenza mafiosa in atto né imminente, ma la mera probabilità – purché seriamente e concretamente apprezzabile – del suo manifestarsi ” (Cons. Stato, sez. III, 18 settembre 2023, n. 8395, 8 agosto 2023, n. 7674, 16 giugno 2023, n. 5964, 22 maggio 2023, n. 5024, 26 giugno 2022, n. 4616).

12. Inconferenti ai fini della decisione risultano inoltre i richiami, operati dal primo giudice, desunti dalle informazioni del Comando della Guardia di Finanza di Gioia Tauro e dalla stazione dei Carabinieri di -O-, in ordine allo “ stile di vita relativamente agiato già da diverso tempo ” della famiglia del ricorrente, dimostrato dal “ possesso di un frantoio per la molitura delle olive e l’interessamento di alcuni componenti . . . nel settore dell’industria olearia ”, nonché in ordine alla provenienza del ricorrente “ da famiglia agiata di questo centro ”, essendo “ i di lui genitori . . . proprietari di vasti terreni agricoli coltivati ad uliveto situati nella frazione di -O- vecchio nonché di un grosso frantoio oleario per la lavorazione e la produzione dell’olio di oliva ”. Da tale rilievo il T trae “ il ragionevole convincimento che l’attività imprenditoriale del ricorrente gode ad oggi di autonoma e solida capacità reddituale, estranea ad ogni flusso di denaro “sospetto” (peraltro nemmeno identificato da parte della Prefettura) o ad altri supporti materiali necessari a garantirle l’autosufficienza economica e patrimoniale ”. Tesi, questa, che in realtà urta con l’indirizzo giurisprudenziale di questa Sezione a mente del quale la disponibilità di risorse economiche di non illecita provenienza e capaci di sorreggere l’attività economica non esclude ex se l’impresa dal rischio di esposizione a fenomeni di possibile condizionamento malavitoso (Cons. Stato, sez. III, 8 maggio 2023, n. 4569).

13. La sentenza appellata insiste inoltre sul dato della risalenza nel tempo dei fatti richiamati dalla Prefettura a sostegno della determinazione sfavorevole impugnata. Ritiene invece il Collegio che i suddetti fatti, come qui in sintesi richiamati nel par.

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