Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-08-06, n. 202004962

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-08-06, n. 202004962
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202004962
Data del deposito : 6 agosto 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/08/2020

N. 04962/2020REG.PROV.COLL.

N. 05537/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5537 del 2010, proposto dai signori R G, A H, J W V E, V W V E, D J, W J e H J, rappresentati e difesi dagli avvocati M C, C T e S D, con domicilio eletto presso lo studio dei primi due in Roma, via Antonio Gramsci, n. 36,

contro

il Comune di Caldonazzo, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del T.R.G.A. della Provincia di Trento n. 285/2009, resa tra le parti, concernente il diniego di condono edilizio per opere sulla riva di un lago.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2020, il Cons. Antonella Manzione e dati per presenti, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, i difensori delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. I signori R G, A H, J W V E, V W V E, D J, W J e H J nella loro qualità di proprietari di terreni sulla sponda est del lago di Caldonazzo, nel territorio dell’omonimo Comune, intavolati alla p.f. 5525/30 a seguito della modifica dei confini demaniali attuata dalla Giunta provinciale nel 1979, hanno impugnato dinanzi al Tribunale Regionale per la Giustizia Amministrativa di Trento i provvedimenti in data 17 e 18 aprile 2007 di diniego di condono edilizio ex l. n. 326/2003 per la sanatoria, tra l’altro, di varie opere realizzate negli anni 1960/1970. Il diniego era motivato con riferimento alla incompatibilità urbanistica, a vincoli di natura paesaggistica, idrica ed idrogeologica, ovvero con l’asserita insistenza delle opere su demanio idrico.

2. Il T.R.G.A. ha respinto la questione di pregiudizialità dell’accertamento degli esatti confini lacuali, sollevata in relazione alla distanza dallo stesso ovvero addirittura alla sua avvenuta invasione, stante la richiamata pendenza di un contenzioso promosso dalle parti allo scopo presso il giudice speciale delle acque pubbliche. Ha poi dichiarato il ricorso infondato in quanto l’ubicazione dei manufatti su demanio idrico, una volta accertata la rispondenza dei territori de quibus ai relativi requisiti da “soggetti qualificati”, non è un dato disapplicabile e da essa conseguirebbe l’assoggettamento a vincolo paesaggistico-ambientale;
l’inequivoca destinazione urbanistica quale area inedificabile o comunque destinata ad attrezzature ad uso pubblico, giusta le previsioni in tal senso dell’art. 49, comma 3, delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) al vigente Piano regolatore generale del Comune di Caldonazzo, implicherebbe la non sanabilità delle opere ove incluse, come nel caso di specie, in zone sottoposte a vincolo paesaggistico e idrogeologico, siccome previsto dall’art. 32, comma 27, lett. d ), del d.l. n. 269/2003, riproposto anche nella corrispondente legge provinciale.

3. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto appello i ricorrenti in primo grado sopra indicati, articolando cinque distinti motivi di censura. In particolare, lamentano:

a ) mancata prova della sussistenza del vincolo idrogeologico, cui peraltro si fa riferimento in maniera confusa ed osmotica rispetto al ben diverso vincolo idraulico (motivo sub 1.);

b ) insussistenza del vincolo paesaggistico-ambientale, impropriamente riconnesso alla natura demaniale delle aree interessate, con ciò rendendo a maggior ragione necessario attendere gli esiti del giudizio di accertamento della stessa ex art. 295 c.p.c. (motivo sub 2.). A ciò si aggiungerebbe l’avvenuta caducazione del vincolo riveniente dal D.M. 13 febbraio 1959, che comunque non comportava l’inedificabilità assoluta, ad opera della legge provinciale 6 settembre 1971, n. 12;

c ) insussistenza del vincolo idraulico, in quanto l’art. 96, comma 1, lett. f ), del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, non si riferirebbe ai laghi, ma solo a “ fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici e canali di proprietà demaniale ”. Il richiamo al r.d. 15 gennaio 1942 sarebbe a sua volta inconferente in quanto il livello massimo di piena delle acque da cui desumere il confine demaniale, pari a m. 448,92 sul livello del mare, sarebbe stato indebitamente modificato con delibera di Giunta provinciale n. 9274 del 19 ottobre 1979, annullata dal Tribunale Superiore delle Acque pubbliche con sentenza n. 16/1983, passata in giudicato (motivo sub 3.);

d ) il contrasto con la disciplina urbanistica sarebbe ostativo all’accoglimento dell’istanza di condono solo ove sussistente sia alla data di realizzazione delle opere, sia a quella di inoltro della richiesta, tale essendo la corretta lettura da dare all’art. 32, comma 27, lett. d ), del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, diversamente da quanto previsto per la sanatoria ordinaria, che presuppone la cd. “doppia conformità”. Nel caso di specie il vincolo di inedificabilità sarebbe sopravvenuto alla realizzazione delle opere, dovendo essere ricondotto al Piano urbanistico provinciale del 1987. La tipologia di opere realizzate, peraltro (ad esempio darsene, pontili, scalette a lago), sarebbe compatibile con il tipo di costruzioni comunque ammesse, ovvero quelle con funzione di strutture balneari (motivo sub 4.);

e ) in denegata ipotesi, il Comune avrebbe dovuto trasmettere le istanze ai competenti organi provinciali, preposti alla tutela dei vincoli eventualmente ritenuti sussistenti (motivo sub 6., relativo alla reiezione della seconda doglianza proposta con motivi aggiunti nonché a quella di cui al ricorso integrativo del 12 giugno 2007).

Con un ulteriore motivo di gravame (rubricato sub 5.) i ricorrenti contestano l’avvenuto assorbimento nel merito della eccezione di inammissibilità sollevata in primo grado dalla difesa civica per omessa notifica alla Provincia autonoma di Trento, in quanto adombrante comunque una sua fondatezza. Quale sintesi finale, infine, ripropongono tutti i motivi di ricorso di primo grado (v. pag. 30-46 dell’atto di appello), per lo più peraltro rafforzativi di quanto già rappresentato, raggruppati ratione materiae, senza tuttavia alcuna prospettazione critica riferita alla sentenza impugnata.

4. Con successive memorie, impropriamente denominate anche “ di replica ” pur in assenza di costituzione di controparte, gli appellanti hanno inteso valorizzare la contumacia dell’Amministrazione procedente, emblematica di una posizione ben diversa rispetto a quanto accaduto in altri contenziosi, riferiti a precedenti istanze di condono, dai quali peraltro rivendicano la totale autonomia. La positiva definizione dell’odierna controversia, pertanto, si risolverebbe pertanto in una sorta di generalizzata “pace sociale” assorbente dei precedenti - e distinti - procedimenti, costituendo altresì il punto di approdo delle proficue interlocuzioni intraprese per una conciliazione amministrativa di tutte le vicende sin dal 2012 con le autorità politiche locali (Sindaco e Presidente della Giunta provinciale).

Da ultimo con memoria versata in atti il 22 maggio 2020 hanno evidenziato l’avvenuto differimento, in applicazione della normativa emergenziale, dell’udienza di trattazione innanzi alla Corte di Cassazione del ricorso dagli stessi presentato ex art. 200 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, avverso la sentenza del T.S.A.P., nel frattempo intervenuta.

5. All’udienza pubblica del 23 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione con le modalità di cui all’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, dando puntuale atto nel verbale della insussistenza delle invocate ragioni di opportunità del rinvio in attesa degli esiti del giudizio di Cassazione.

DIRITTO

6. Preliminarmente il Collegio ritiene necessario chiarire la ragione della reiezione dell’istanza di rinvio, di cui si è dato atto nel verbale di udienza.

Non appare sussistente alcuna questione di pregiudizialità, tale da suggerire, piuttosto che imporre, di attendere gli esiti del giudizio di accertamento dei confini lacuali, siccome pretenderebbe parte ricorrente, avuto riguardo ai motivi dell’odierno gravame. La relativa controversia, al momento pendente presso la Corte di Cassazione giusta l’avvenuta proposizione di ricorso ex art. 200 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, ha già visto gli odierni appellanti (tra gli altri) soccombenti nel primo e nel secondo grado di giudizio. La risalenza nel tempo dell’odierna controversia, rende dunque inopportuno procrastinarne ulteriormente la definizione, tanto più che la ritenuta insussistenza della invocata pregiudizialità costituisce anche articolazione interna di uno specifico motivo di gravame (motivo sub 2.).

7. Sempre in via preliminare il Collegio non può esimersi dal rilevare l’inammissibilità della generica riproposizione, nella parte finale dell’appello, di tutti i singoli motivi di doglianza del ricorso di primo grado, che peraltro si caratterizzano per un intersecarsi sovrapposto di rilievi, la cui eventuale autonoma portata non viene in alcun modo evidenziata in chiave critica della lettura datane dal giudice di prime cure.

Ai sensi dell’art. 101 c.p.a. l’appellante non può infatti limitarsi a un generico richiamo delle ragioni già fatte valere dinanzi al giudice di primo grado, ma ha l’onere di specificare i motivi di appello, contestando specificamente la sentenza impugnata (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. II, 23 luglio 2020, n. 4707;
sez. V, 5 maggio 2020, n. 2851;
sez. VI, 14 ottobre 2019, n. 6977;
sez. IV, 26 aprile 2019, n. 2678; id ., 30 agosto 2018, n. 5100). Il principio di specificità dei motivi di impugnazione impone, infatti, che sia rivolta una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata;
ciò in quanto il giudizio di appello dinanzi al giudice amministrativo si presenta come revisio prioris instantiae , i cui limiti oggettivi sono segnati proprio dai motivi di impugnazione (v. ancora Cons. Stato, sez. II, 16 aprile 2020, n. 2435;
sez. IV, 10 settembre 2018, n. 5294;
nonché sez. III, 26 gennaio 2018, n. 570).

Nel caso di specie peraltro le modalità di stesura rischiano di porsi pure in contrasto con il principio di sinteticità declinato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., anche nella versione vigente ratione temporis , che, seppur solo successivamente rafforzato e rimodulato in chiave sanzionatoria con l’introduzione dell’art. 13 ter delle disposizioni di attuazione e i conseguenti provvedimenti attuativi, costituisce una regola giuridica ispirata alla leale collaborazione tra le parti, e non un mero auspicio.

8. Nel merito, il Collegio ritiene il ricorso infondato e come tale da respingere.

9. Gli appellanti hanno tutti avanzato domanda ai sensi del cd. “terzo condono”, la cui disciplina, oltre che negli artt. 32 e 33 della l. n. 47/1985, espressamente richiamati, è contenuta nei commi 26 e 27 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazione, dalla l. 24 novembre 2003, n. 326. Ad essa la Provincia autonoma di Trento ha dato puntuale declinazione con la legge provinciale n. 3 del 2004, il cui art. 1 reca in rubrica “ Disposizioni di coordinamento con l’articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in materia di definizione degli illeciti edilizi (condono edilizio) ”, stabilendo espressamente al comma 1 che “ nel territorio della Provincia autonoma di Trento la definizione degli illeciti edilizi di cui all’articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favore lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, di seguito indicato decreto-legge n. 269 del 2003, è effettuata nel rispetto delle condizioni, dei limiti e delle modalità stabiliti dal presente articolo ”.

10. Il meccanismo approntato dal legislatore è dunque basato su una serie di incastri dispositivi per cui solo ove l’opera insista in zona preventivamente vincolata, si richiede anche il requisito della cd. “doppia conformità” urbanistica, ovvero la conformità della stessa alla disciplina vigente sia al momento di realizzazione delle opere che a quello di presentazione dell’istanza di condono.

Da qui la pregiudizialità dell’accertamento della fondatezza delle censure volte a negare la sussistenza di ridetti vincoli, onde eliminare anche la richiesta (e insussistente) doppia conformità.

11. Chiarito quanto sopra, l’appello può essere esaminato senza alterare l’ordine delle questioni sollevate dai ricorrenti.

Affermano gli appellanti che le aree in controversia non sarebbero soggette a vincolo idrogeologico, senza tuttavia fornire alcun elemento oggettivo, né men che meno documentale, alla stregua del quale supportare il proprio costrutto. A fronte, infatti, dell’indicazione di tale vincolo come riveniente dalle planimetrie a disposizione del Comune nel corpo dei provvedimenti avversati, nonché della produzione delle stesse in giudizio da parte dell’Amministrazione resistente, i proprietari ne contestano l’esaustività, dequotandola a “ stralcio ” e per ciò solo tacciando di assertività le conclusioni positive del Tribunale di primo grado. Allo stesso peraltro viene altresì addebitato di non essersi fatto carico di iniziative istruttorie in merito, di fatto ribaltando sul giudice un onere probatorio facente capo esclusivamente agli interessati. Grava, infatti, su colui che esercita il diritto la dimostrazione del fatto (positivo) costitutivo dello stesso, mentre grava su colui che lo nega la dimostrazione del fatto (negativo) della sua inesistenza, della sua modificazione o della sua eventuale estinzione (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 1145). Il che non è avvenuto nel caso di specie.

12. E tuttavia, rileva ancora il Collegio, quand’anche volesse aderirsi alla tesi degli appellanti circa l’insussistenza del vincolo idrogeologico, l’accertata esistenza di quello paesaggistico-ambientale sarebbe di per sé sufficiente a far scattare il meccanismo della doppia conformità urbanistica poc’anzi descritto. A tale riguardo, se è vero che il giudice di prime cure insiste particolarmente sulla natura demaniale dell’area al fine di rafforzare la tutela insistente sulla stessa, lo è altresì che la zona del lago di Caldonazzo e di Levico sita nell’ambito dei Comuni di Pergine, Levico, Caldonazzo, Calceranica, Bosentino e Tenna, inclusa nell’elenco delle zone da sottoporre a tutela compilato ai sensi dell’art. 2 della legge n. 1497/1939 sulla protezione delle bellezze naturali, è stata sottoposta a vincolo con decreto ministeriale del 13 febbraio 1959, pubblicato in G.U. 3 marzo 1959. Ad essa è stato così riconosciuto il notevole interesse pubblico (art. 1, n. 4, l. n. 1497/1939).

La sopravvivenza dello stesso all’entrata in vigore della legge provinciale del 1971 è già stata oggetto di valutazione da parte della Sezione, chiamata a pronunciarsi con riferimento ad analoghe richieste di condono afferenti le medesime zone, alle cui conclusioni appare doveroso attenersi. Contrariamente dunque a quanto sostenuto dagli appellanti, il fatto che i vincoli apposti con i decreti ministeriali (nella specie, il decreto del 13 febbraio 1959) apposti sulla base della previgente normativa fossero soggetti a revoca in forza del meccanismo di cui all’articolo 32 della legge provinciale n. 12 del 1971 « non significa affatto che le aree già vincolate in forza di detti decreti restassero sfornite di tutela fino a successivi interventi dell’Amministrazione perché, in virtù dell’articolo 1 della medesima legge provinciale, permaneva il vincolo ex lege per le aree rientranti tra le bellezze naturali. Per queste, fra cui è ricompresa l’area del lago di Caldonazzo, il vincolo in questione sarebbe stato invero automaticamente recepito nel Piano di tutela predisposto in base alla nuova legge provinciale » (cfr. Cons. Stato, sez. II, 20 dicembre 2019, n. 8635).

Se è vero, dunque, che nel passaggio delle competenze dallo Stato - e per esso dalle Soprintendenze - alle Province si è inteso salvaguardare le attribuzioni di queste ultime anche nella individuazione dei luoghi da tutelare, individuando nella perimetrazione da effettuare all’interno della specifica pianificazione urbanistica (il P.U.P., appunto) la sedes materiae ove ricollocare i territori già coperti da tutela statale, con il venir meno del vincolo in caso di mancata inclusione;
lo è egualmente che ciò non può che valere in prospettiva, mantenendo inalterato lo status quo fino al momento delle esplicite ed eventualmente diverse scelte dei governi locali. La revoca dei vincoli imposti con i precedenti decreti, cioè, sarebbe avvenuta ove al momento dell’adozione del nuovo Piano non vi fossero stati inclusi quelli ancora vigenti sulle località di cui ai numeri 3 e 4 dell’articolo 1 della legge 29 giugno 1939, n. 1497. In sintesi, l’art. 32 della l.p. n. 12/1971 non ha privato di tutela beni di sicura rilevanza paesaggistica, ma ne ha semplicemente modificato il regime di salvaguardia: quelli imposti sulle località di cui ai numeri 3 e 4 dell’art. 1 della legge n. 1497/1939, successivamente non incluse nei territori individuati dal Piano urbanistico provinciale (approvato nel 1987), sarebbero stati revocati a partire da tale data;
ferma restando l’applicazione della “nuova” disciplina in materia di tutela del paesaggio che ha spostato la competenza ad esprimersi dalla Soprintendenza alla Provincia.

10. Ridimensionando il binomio area demaniale-area sottoposta a vincolo enfatizzato dal Tribunale di prima istanza ne è rafforzata la denegata pregiudizialità del contenzioso inerente l’accertamento dei confini lacuali. Il vincolo paesaggistico, infatti, prescinde dalla proprietà dei terreni, essendo attinente al loro pregio, non certo al relativo regime dominicale. Pertanto, quanto alla richiesta di sospensione del giudizio reiterata con il secondo motivo d’appello, il Collegio ritiene di dover aderire e confermare la statuizione del giudice di prime cure, seppure ancorandola non all’insistita natura demaniale del bene (questa sì condizionata agli esiti dell’apposito giudizio di accertamento), ma alla rilevanza delle ulteriori questioni impeditive al rilascio del condono, prima fra tutti l’esistenza del vincolo paesaggistico, tali da rendere recessiva e non rilevante la questione de qua .

11. Solo per completezza, peraltro, la Sezione ricorda come il giudizio presso il giudice specializzato delle acque pubbliche sia stato definito al momento con esito negativo per gli appellanti con sentenza del T.S.A.P. n. 54 del 4 febbraio 2019, confermativa di quella del T.R.A.P. n. 1293 del 5 maggio – 3 giugno 2016, che ha riconosciuto come pienamente valida ed efficace la delimitazione dei confini attuata con delibera della Giunta provinciale n. 9274 del 19 ottobre 1979, il cui annullamento nel corso di precedente e autonomo giudizio è limitato all’ambito di territorio del Comune di Calceranica.

12. L’esistenza del vincolo paesaggistico, d’altro canto, solo o congiunto a quello idrogeologico, è di per sé sufficiente a sorreggere la legittimità delle valutazioni seguite anche in ordine alla compatibilità urbanistica nell’istruttoria dei dinieghi impugnati. L’atto amministrativo, infatti, fondato su più ordini di motivi deve considerarsi legittimo se almeno uno di essi sia esente da vizi e sia idoneo a giustificarlo congruamente (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2013, n. 5704).

13. Con il terzo motivo di appello i ricorrenti contestano la sussistenza del vincolo idraulico ex se , ovvero non in relazione alla effettiva distanza dal confine lacuale, bensì avuto riguardo alla portata del r.d. n. 523 del 1904, che non farebbe riferimento ai laghi.

Sul punto, il Collegio può limitarsi a richiamare quanto già affermato da questo Consiglio di Stato facendo leva su una lettura combinata degli artt. 96, lett. f ), 97 e 98 del richiamato regio decreto, tale da superarne le apparenti lacune testuali in ragione di un’interpretazione teleologicamente orientata a garantire il raggiungimento della finalità di consentire il libero deflusso delle acque, esigenza che si pone in egual modo per quelle dei fiumi e dei laghi, soggette anch’esse ad innalzamenti di livello (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 novembre 2012, n. 5620).

Detta fascia di rispetto (4 metri, ai fini della inedificabilità assoluta;
10 metri, ai fini della valutazione in concreto dell’incidenza dell’intervento, giusta le indicazioni contenute al riguardo nella delibera della Giunta provinciale del 13 ottobre 1995, n. 11403) costituisce, perciò, un vincolo inderogabile in base alla normativa succitata sin dal 1904 (regio decreto n. 523 del 1904).

14. Le appellanti contestano la asserita incompatibilità urbanistica delle opere, stante che il vincolo di inedificabilità sui terreni ove esse insistono è stato apposto solo in epoca successiva alla loro realizzazione.

Rileva il Collegio come il contrasto con la destinazione di Piano regolatore generale si riferisce anche ad una “zona cuscinetto” a ridosso del demanio idrico. Le N.T.A. del P.R.G., infatti, prevedono che ove ridetto demanio in quel punto risulti di lunghezza inferiore a quanto indicato nella pianificazione, la differenza verrà considerata «(da quel momento) quale zona per attrezzature parco - balneari ». In definitiva, come ben chiarito dal giudice di prime cure, il combinato disposto degli artt. 49 e 50 delle N.T.A. del P.R.G. estende il vincolo di inedificabilità oltre il perimetro del demanio prevedendo una fascia, immediatamente limitrofa, da destinarsi a servizi pubblici ludico-turistici in favore della popolazione. Da tale regime urbanistico deriva che finanche l’esito favorevole del giudizio di rivendica promosso innanzi al giudice delle acque pubbliche, comportante al più una diversa perimetrazione della delimitazione del demanio idrico, « in considerazione della disposizione urbanistica appena richiamata che estende il vincolo di inedificabilità alla fascia contigua demaniale, sarebbe comunque ininfluente ai fini del condono, confermando l'insussistenza di alcun vincolo di pregiudizialità fra giudizi » (pag. 12 della motivazione). Né può aderirsi alla prospettazione di parte che vorrebbe ricondurre a tale destinazione pubblicistica l’asservimento a funzioni lato sensu balneari, ma di certo private, di talune pertinenze realizzate nel complesso degli interventi abusivi che si chiede di condonare.

15. Come anticipato ai §§ 9 e 10, nel caso di richieste di condono ex d.l. n. 269/2003 si richiede il requisito della cd. doppia conformità urbanistica non in generale, ma specificamente in ragione del ricadere degli abusi in zona vincolata (sul punto, v. ancora Cons. Stato, n. 8635/2019). E ciò perché non sono comunque sanabili, ai sensi dell’articolo 32, comma 27, lett. d ), le opere che siano state realizzate “ su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ”. Circostanza questa verificatasi nel caso di specie, vista l’insistenza delle opere in area sottoposta a preesistente vincolo idrogeologico e/o paesaggistico-ambientale.

15. La preesistenza dei vincoli unitamente al contrasto con la destinazione urbanistica dell’area impediscono di ritenere condonabili le opere edilizie. Si tratta, come già evidenziato da questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. II, 31 ottobre 2019, n. 7466;
nonché sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2678), di « impedimenti oggettivi che operano automaticamente senza che sia necessario acquisire il parere della Soprintendenza. Soltanto se fossero state assenti le condizioni ostative indicate nel riportato art. 32, l’amministrazione comunale, in presenza di un vincolo di inedificabilità relativa, avrebbe dovuto chiedere il parere dell’organo tenuto per valutare la possibilità di rilasciare all’interessato un provvedimento favorevole ». Ciò consente di respingere anche il sesto motivo di gravame, non potendo tale assunto che riferirsi a qualsivoglia autorità preposta alla tutela del vincolo, nel caso di specie la Provincia di Trento.

16. Non merita alcuno scrutinio, invece, la prospettazione di cui al quinto motivo di gravame, avente intento rafforzativo della scelta effettuata con il ricorso di primo grado di non evocare in giudizio la Provincia di Trento. Pur avendo, infatti, il giudice di prime cure ritenuto « in astratto e prima facie » fondata l’eccezione sollevata al riguardo dal Comune di Caldonazzo, non ne ha poi tratto alcuna conclusione preliminare, stante la ritenuta « radicale infondatezza » del ricorso. In assenza di controdeduzioni in merito da parte avversa, non costituita nell’odierno giudizio, il Collegio ritiene egualmente ultroneo un più approfondito scrutinio, nella sola logica di parte di “certificare” la propria originaria piena correttezza procedurale, sulla quale peraltro si nutrono gli stessi dubbi adombrati dal Tribunale di prima istanza, giusta il riferimento del ricorso (anche) alla denegata invasione dei confini di pertinenza della Provincia. Quanto detto a maggior ragione alla luce dello sviluppo del tutto autonomo e indipendente dell’odierno contenzioso rispetto a quello avente ad oggetto l’accertamento di tali confini.

17. In conclusione, pertanto, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto e, per l’effetto, debba essere confermata la sentenza del T.R.G.A. di Trento n. 285 del 2009.

Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

Nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione in giudizio del Comune resistente.

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