Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-08-27, n. 201905910

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-08-27, n. 201905910
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201905910
Data del deposito : 27 agosto 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/08/2019

N. 05910/2019REG.PROV.COLL.

N. 01671/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1671 del 2019, proposto dalla Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Il signor L G, non costituito in giudizio;

nei confronti

La signora D M F, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 7288/2018, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2019 il Cons. Alessandro Verrico e udito l’avvocato dello Stato Giovanni Palatiello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellato, in pendenza di un giudizio di separazione dalla moglie presso il Tribunale di Nola, con istanza del 3 maggio 2018 ed indirizzata all'Agenzia delle entrate, chiedeva formalmente, ai sensi della l. n. 241/1990, l'accesso ai seguenti atti relativi alla coniuge: dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni;
certificazione reddituale dei dati presenti nell’Anagrafe Tributaria;
contratti di locazione a terzi delle eventuali proprietà immobiliari;
comunicazioni eventuali inviate da tutti gli operatori finanziari all’Anagrafe Tributaria – Sezione Archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti anche in qualità di delegante o di delegato;
documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale.

2. In seguito alla formazione del silenzio rigetto in ordine alla citata richiesta di accesso, con ricorso dinanzi al T.a.r. Campania (R.G. n. 2617/18), l’appellato impugnava il silenzio rigetto, chiedendo altresì l’accertamento del suo diritto ad accedere alla documentazione richiesta e la conseguente condanna dell’Amministrazione ad adempiere.

3. Il T.a.r. Campania – Sede di Napoli, Sezione Sesta, con sentenza n. 7288 del 21 dicembre 2018:

a) respingeva parte del ricorso, ritenendo inammissibile, perché risultava formulata in termini eccessivamente generici la domanda di accesso, nella parte in cui ha riguardato “ tutta la ulteriore altra documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale ”;

b) accoglieva per il resto il ricorso, ritenendo:

b.1) la documentazione contenuta nell’Anagrafe tributaria soggetta alla ordinaria disciplina del diritto di accesso;

b.2) non sussistente un rapporto di specialità tra le norme processuali ex artt. 492- bis c.p.c. e 155- sexies disp. att. c.p.c. relative all’acquisizione della prova e alla disciplina sul diritto di accesso ex artt. 22 e ss. l. n. 241/1990, dovendo pertanto conservarsi la possibilità per il privato di avvalersi degli ordinari strumenti offerti da quest’ultima per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare all’Amministrazione di consegnare.

4. Con ricorso in appello (R.G. n. 1671/2019), l’Agenzia delle entrate ha impugnato detta sentenza, chiedendone l’annullamento sulla base del motivo rubricato “ Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione degli art. 22 l. 241/90, art. 492-bis c.p.c. e 155 quinquies e sexies disp. attuative c.p.c. ”.

In particolare, l’Amministrazione appellante, in ordine al rapporto tra il diritto di accesso e le norme processuali di acquisizione dei documenti amministrativi, ha richiamato la pronuncia di questo Consiglio di Stato n. 3461/2017, sostenendo la specialità delle norme processuali, ed ha ritenuto applicabile la disciplina sull’accesso esclusivamente alle dichiarazioni dei redditi, non anche alle altre documentazioni e comunicazioni aventi carattere fiscale o patrimoniale.

4.1. Nessuna delle altre parti si è costituita in giudizio.

5. Pronunciando sulla istanza cautelare, il Collegio, con ordinanza n. 1560 del 22 marzo 2019, ha sospeso l’esecutività dell’impugnata sentenza, in quanto, considerata la prossimità dell’udienza di merito, ha ritenuto prevalente il diritto alla riservatezza dei dati oggetto dell’istanza di accesso, il quale, concludendo diversamente, sarebbe stato irreparabilmente pregiudicato.

5.1. All’udienza del 13 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

6. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.

7. Il Collegio, in primo luogo, ritiene condivisibili le statuizioni del primo giudice rese in relazione alla assoggettabilità alla disciplina sull’accesso ex l. n. 241/1990 delle comunicazioni inviate dagli operatori finanziari all’Anagrafe tributaria – sezione archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere.

7.1. Invero:

a) ferma restando la pacifica ostensibilità delle dichiarazioni dei redditi e degli eventuali contratti di locazione a terzi degli immobili di proprietà della controinteressata in primo grado, atteso che la circolare della Agenzia delle entrate del 10 ottobre 2017, ai fini della attivabilità della domanda di accesso, fa riferimento alle “ informazioni di natura reddituale e patrimoniale ”, escludendo in maniera esplicita le sole “ risultanze derivanti dall’Archivio dei rapporti finanziari ”;

b) non vi è dubbio che:

b.1) le comunicazioni relative ai rapporti finanziari, stando alla terminologia propria della disciplina sull’accesso di cui all'art. 22, co. 1, lett. d) della l. n. 241 del 1990 e all'art. 1, co. 1, lett. a) del d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, costituiscono “ documenti ”, in quanto l’Amministrazione finanziaria, sebbene non sia essa a formarli, può utilizzarli per l’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, come previsto nel dettaglio dall’art. 7 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605;

b.2) sussiste, nel caso di specie, un “ interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato richiesto l’accesso ”, ai sensi dell’art. 22 l. n. 241/1990, attesa la pendenza di un giudizio di separazione;

b.3) il richiamato divieto di cui alla predetta circolare (relativo alle “ risultanze derivanti dall’Archivio dei rapporti finanziari ”) non trova fondamento normativo, in quanto nessuna previsione in tal senso è rinvenibile:

i) né nel citato art. 7 del d.P.R. n. 605/1973, il quale, nel disciplinare le comunicazioni degli operatori finanziari all’Anagrafe tributaria, non affronta la questione dell’ostensibilità;

ii) né nel d.m. 29 ottobre 1996, n. 603 (“ Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell’art. 24, comma 2, della l. 7 agosto 1990, n. 241 ”) che, in senso contrario, annovera all’art. 5, lett. a) la “ documentazione finanziaria, economica e patrimoniale … comunque acquisita ai fini dell’attività amministrativa ”, precisando che, pur trattandosi di documenti sottratti all'accesso, va però garantita “ la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta ”.

7.2. In ragione di quanto esposto, questo Collegio non ravvisa - in linea generale e astratta - ostacoli normativi alla ostensione delle dichiarazioni dei redditi e degli eventuali contratti di locazione a terzi degli immobili di proprietà della controinteressata, così come delle comunicazioni inviate dagli operatori finanziari all’Anagrafe tributaria – sezione archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili alla medesima signora.

8. Ciò premesso, deve passarsi ad analizzare la questione di diritto relativa ai rapporti tra la disciplina sul diritto di accesso di cui alla legge n. 241/1990 e le norme processualcivilistiche inerenti all’acquisizione dei documenti amministrativi, atteso che la domanda di accesso in esame è stata formulata in pendenza di giudizio civile di separazione coniugale.

8.1. Il Collegio è consapevole che questa Sezione ha affrontato funditus la tematica, con la pronuncia n. 3461 del 13 luglio 2017, affermando che:

a) le norme processualcivilistiche sottopongono alla valutazione del giudice la esibizione di documenti ordinata al terzo (artt. 211, 492-bis cpc). Ciò perché l'acquisizione di prove documentali non può che avvenire se non nella sede tipica processuale e nel rispetto del principio del contraddittorio;
ed inoltre perché il giudice "deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l'interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo", se del caso ordinandone la citazione in giudizio (art. 211 cpc). La possibilità di acquisire extra iudicium i documenti amministrativi dei quali una delle parti intende avvalersi in giudizio si traduce in una forma di singolare "aggiramento" delle norme che governano l'acquisizione delle prove e costituisce un vulnus per il diritto di difesa dell'altra parte, la quale, lungi dal potersi difendere nella sede tipica prevista dall'ordinamento processuale, si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni non già dinanzi ad un giudice, bensì innanzi alla pubblica amministrazione, in qualità di controinteressato
”;

b) d'altra parte, se l'accesso ai documenti amministrativi è riconosciuto in funzione di una "situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso" (art. 22, co. 1, lett. b), l. n. 241 del 1990), appare evidente come l'esigenza di tutela risulti già ampiamente assicurata attraverso i mezzi tipici previsti nel processo instaurato ”.

8.2. In sostanza con la citata pronuncia, questa Sezione, riconoscendo prevalenza alle disposizioni del codice di procedura civile, ha di fatto circoscritto l’ambito di applicazione dell’istituto dell’accesso ex art. 22 ss. l. n. 241 del 1990, laddove si sia in presenza di norme che diversamente dispongono in tema di acquisizione di documenti amministrativi. A tale conclusione, invero, si è giunti valorizzando principalmente due aspetti: in primo luogo, la circostanza che il diritto alla tutela giurisdizionale, per il tramite della acquisizione di documenti amministrativi al processo, è assicurato e disciplinato dal relativo codice di rito (codice di procedura civile) e, in secondo luogo, il fatto che il giudizio nell'ambito del quale una delle parti intende utilizzare documenti detenuti da pubbliche amministrazioni è un giudizio tra soggetti privati, al quale la pubblica amministrazione è totalmente estranea.

8.3. Il presente Collegio, con riferimento al caso di specie ed in continuità con l’orientamento seguito dalla Sezione con la sentenza n. 5347 del 2019, intende tuttavia richiamare e sottolineare la portata generale della disciplina sull’accesso, la quale, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce ai sensi dell’art. 22, co. 2, l. n. 241 del 1990, “ principio generale dell'attività amministrativa ”.

La specialità che connota la disciplina processualistica, dunque, non può ritenersi tale da giustificare la presenza di una deroga, al punto da rimettere alla (eventuale) positiva valutazione del giudice la reale conoscibilità di documentazione di rilievo e, per altro verso, la concretizzazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale.

8.4. L’affermazione del diritto di accesso, del resto, è estrinsecazione della tutela dei diritti fondamentali dei familiari, in quanto nel giudizio di separazione sono spesso presenti sia gli interessi confliggenti dei coniugi che gli interessi dei figli minori, questi ultimi tutelati dall'art. 5 del settimo Protocollo Addizionale della CEDU e dagli artt. 29 e 30 della Costituzione.

8.5. Peraltro, la conferma di tale ultima impostazione si ha dalla costante giurisprudenza amministrativa volta ad ammettere, senza limitazioni, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi, e la conseguente applicazione della relativa disciplina sostanziale e processuale, in pendenza di giudizi civili.

In questo senso, è stato più volte affermato come “ non possa ritenersi che l'accesso ai documenti sia automaticamente precluso dalla pendenza di un giudizio civile, nella cui sede l'ostensione degli stessi documenti potrebbe essere disposta dal g.o., mediante ordine istruttorio ex art. 210 c.p.c. oppure mediante richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., stante l'autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli artt. 22 e ss. l. n. 241 cit. rispetto alla posizione che l'interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall'ordinamento a tutela del diritto di accesso, perché, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell'effettività della tutela giurisdizionale ” ( ex multis , Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444; id. , 21 marzo 2018, n. 1805).

8.6. La tutela dei diritti fondamentali, invero, non troverebbe eguale garanzia mediante l’utilizzo degli strumenti previsti dal codice di procedura civile, i quali, come visto, rimettono all’apprezzamento del giudice l’ingresso nel giudizio di documenti e informazioni in possesso della pubblica amministrazione. L’effettiva conoscibilità dei documenti, necessaria ai fini del decidere, risulterebbe pertanto subordinata alla positiva valutazione giudiziale, in ragione della necessità di contemperare l’esigenza di ostensione portata dal soggetto che intende avvalersi dei documenti amministrativi con il contrapposto diritto di difesa della parte interessata, cercando di “ conciliare nel miglior modo possibile l'interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo ” (art. 211, comma 1, c.p.c.).

Ciò sia con riferimento agli artt. 211 e 492- bis c.p.c., che disciplinano l'ordine di esibizione di documenti rivolto al terzo, che all’art. 213 c.p.c., che disciplina la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione “ relative ad atti e documenti dell'amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo ”.

8.6.1. Al riguardo, come recentemente affermato da questa Sezione (Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2019, n. 5347, cit.) in ordine a fattispecie similare a quella ora in esame, si osserva che:

a) l'ampliamento delle prerogative del giudice civile nell'acquisizione delle informazioni e dei documenti patrimoniali e finanziari nel giudizio di separazione rispetto ai poteri istruttori già previsti dall’art. 210 c.p.c., introdotte dal combinato disposto degli artt. 155 sexies delle disposizioni di attuazione al c.p.c. e dell'art. 492 bis c.p.c., non può costituire un ostacolo all'accesso difensivo, soprattutto laddove le istanze istruttorie proposte nel giudizio non siano state accolte;

b) in sostanza, le citate norme non hanno comportato alcuna ipotesi derogatoria alla disciplina in materia di accesso alla documentazione contenuta nelle banche dati della pubblica amministrazione, avendo invece il legislatore voluto ampliare con il citato art. 155 sexies i poteri istruttori del giudice ordinario nell'ambito dei procedimenti in materia di famiglia ”;

c) le due discipline pertanto sono complementari, poiché il giudice che tratta la vicenda matrimoniale può utilizzare i poteri di accesso ai dati della pubblica amministrazione genericamente previsti dall'art. 210 c.p.c., come ampliati dalle nuove norme inserite nel 2014, ma questa rimane una sua facoltà e non un obbligo ”;

d) deve perciò conservarsi la possibilità per il privato di avvalersi degli ordinari strumenti offerti dalla l. n. 241 del 1990 per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare di consegnare all'Amministrazione ”.

8.7. Dalla piena operatività dell’istituto del diritto di accesso discende, ovviamente, il rispetto della relativa disciplina, in tal modo dovendo sussistere, ai fini della ostensibilità, tutti i presupposti di legge e, per converso, dovendo essere assenti le preclusioni di cui all'art. 24 della l. n. 241 del 1990.

Inoltre, con riguardo al rapporto tra accesso e privacy, rileva il combinato disposto degli artt. 59 e 60 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. Codice della privacy ), e delle disposizioni di cui alla l. n. 241 del 1990, dal quale deriva un sistema connotato da tre livelli di protezione dei dati dei terzi e, in maniera corrispondente, tre gradi di intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con la richiesta di accesso.

In relazione alla fattispecie in esame, pertanto, la valutazione, in termini di bilanciamento, interesserà, da un lato, il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso a tali documenti “ sensibili ” del coniuge e, dall’altro, la cura e la tutela degli interessi economici e della serenità dell'assetto familiare, soprattutto nei riguardi dei figli minori delle parti in causa (ove presenti).

In tale contesto, pertanto, prevale o quantomeno deve essere contemperata - con il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso a tali dati “ sensibili ” del coniuge - l'esigenza di ottenere l'ostensione dei documenti reddituali richiesti, poiché, in assenza di esigenze di riservatezza, che possano precludere la conoscenza dei documenti richiesti, deve prevalere il principio di trasparenza dell'azione amministrativa nei confronti di soggetto portatore di un interesse concreto e attuale all'ostensione degli stessi atti ( cfr . Cons. Stato, sez. III, 5 giugno 2015, n. 2768).

8.8. La riconosciuta sussistenza del diritto di accesso ai documenti fiscali del coniuge in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio si pone peraltro in assoluta sintonia con le recenti tendenze della giurisprudenza civile sviluppatesi in ordine alla tematica della individuazione dei criteri di determinazione dell’assegno divorzile.

Al riguardo, nel consapevole distacco dal criterio – inaugurato dalle pronunce del 1990 (Cass. civ., Sez. un., nn. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990) - volto a soddisfare la sola esigenza di conservare tendenzialmente, al coniuge economicamente più debole, il tenore di vita goduto o godibile nel corso della vita matrimoniale, la recente giurisprudenza ha oscillato tra la rigida applicazione del solo criterio dell’autosufficienza economica (Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2017, n. 11504) e la formulazione di un criterio elastico in cui l’assegno divorzile svolge una funzione sia assistenziale che equilibratrice e perequativo-compensativa (Cass. civ., Sez. un., 11 luglio 2018, n. 18827).

Invero, sebbene si registrino divergenze sul punto, emerge con chiarezza la generale esigenza di realizzare in sede di giudizio una analitica comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti in causa, rimarcando la possibilità, ove necessario, di esercitare i poteri ufficiosi di cui il giudice dispone. Solo mediante un accertamento completo della eventuale sussistenza di disparità economica tra i coniugi è possibile apportare, con l’applicazione dei criteri formulati, il necessario correttivo, così come è possibile “ evitare rendite parassitarie ed ingiustificate protezioni patrimoniali ” ( cfr . Cass. civ., n. 11504/2017).

Al riguardo, ai fini del puntuale accertamento della situazione economico-patrimoniale, occorre quindi dare idonea rilevanza non solo alle capacità e alle possibilità effettive di lavoro personale e alla stabile disponibilità di una casa di abitazione, ma anche, come richiesto nel caso in esame, al possesso di redditi di qualsiasi specie e di cespiti patrimoniali immobiliari e mobiliari.

8.9. In ragione di tale esigenza, non risulta giustificata una eventuale limitazione del diritto di accesso, rimettendo il possibile ingresso in giudizio di documentazione fiscale alla spontanea produzione di parte di documenti già in suo possesso ovvero al discrezionale esercizio del potere ufficioso di esibizione documentale o di acquisizione di informazioni.

Per converso, l’istituto dell’accesso riveste una posizione di assoluta rilevanza al fine di consentire la massima trasparenza – inter partes - delle condizioni economiche nel momento della crisi delle relazioni familiari, con l’obbiettivo di ottenere la corretta individuazione delle reali capacità economico-patrimoniali dei coniugi per la regolazione dei loro rapporti nella fase della separazione coniugale e, in particolare, ai fini della determinazione del quantum dell'assegno di mantenimento.

9. In conclusione, nel caso di specie deve trovare applicazione l’istituto dell’accesso.

Ne consegue che, in conformità a precedenti di questa Sezione (Cons. St., sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472; id ., 3 dicembre 2018, n. 6825; id ., 29 luglio 2019, n. 5347), va affermato che, nel rispetto dei principi generali, in difetto di prova della necessità di un'attività di elaborazione o di un'attività di creazione o di formazione, tutte le informazioni risultanti dai documenti inseriti nell'archivio dei rapporti finanziari devono ritenersi pienamente accessibili per la tutela in giudizio delle proprie posizioni giuridiche, tanto più che si tratta di atti e documenti di fatto utilizzati dalla stessa Amministrazione finanziaria per l'esercizio delle proprie funzioni istituzionali.

Solo in tal modo può trovare piena esplicazione, nell’ambito del giudizio di separazione, il potere di natura procedimentale accordato dal legislatore con il diritto all’accesso, volto in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi), secondo un regime che assicura, al tempo stesso, la tutela dell'interesse ma anche la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati ( cfr . Cons. Stato, Ad. Pl., 18 aprile 2006, n. 6).

10. Per le sopra esposte considerazioni, l’appello deve essere respinto.

11. Nulla in ordine alle spese del grado di giudizio, attesa la mancata costituzione delle altre parti in giudizio.

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