TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2018-12-21, n. 201807288

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2018-12-21, n. 201807288
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201807288
Data del deposito : 21 dicembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/12/2018

N. 07288/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02617/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2617 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato D P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Napoli, domiciliata ex lege in Napoli, via Armando Diaz, 11;

nei confronti

-OMISSIS- non costituito in giudizio;

del silenzio rigetto formatosi sull’istanza di accesso del 3.5.2018 nonché per l’accertamento del diritto del ricorrente di accedere alla documentazione richiesta con condanna dell’amministrazione agli adempimenti conseguenziali;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agenzia delle Entrate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2018 il dott. C B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Espone il ricorrente che - pendendo presso il Tribunale di Nola un giudizio di separazione dalla moglie di cui aveva interesse a conoscere la situazione reddituale e patrimoniale - ha chiesto all’Agenzia delle entrate in data 3.5.2018di avere copia della eventuale dichiarazione dei redditi presentata dalla sig.ra De Martino Filomena, relativamente agli ultimi anni tre e/o certificazione reddituale dei dati presenti in anagrafe tributaria;
eventuali contratti di locazione a terzi delle eventuali proprietà immobiliari dalla stessa;
eventuali comunicazioni inviate da tutti gli operatori finanziari all’Anagrafe Tributaria – sezione archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, a lei riconducibili, anche in qualità di delegante o di delegato;
e tutta la ulteriore altra documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale a lei riconducibile. Con la medesima istanza, al fine di poter ottemperare all’ordine di esibizione del giudice, ha chiesto anche “copia della certificazione reddituale dei dati presenti in anagrafe tributaria relativa agli ultimi anni tre” che lo riguarda.

Avendo ottenuto solo un riscontro parziale (la sola certificazione reddituale dello stesso e del di lui coniuge), il ricorrente ha intrapreso la presente azione volta all’annullamento del diniego, con conseguente condanna dell’amministrazione intimata agli adempimenti consequenziali.

A sostegno del gravame deduce la violazione della normativa in materia di accesso (art. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990).

Si è costituita per resistere l’Agenzia delle entrate, concludendo per il rigetto del ricorso, mentre non si è costituita la controinteressata.

Con ricorso per motivi aggiunti, depositati in data 19.9.2018, parte ricorrente in seguito all’atto di costituzione dell’amministrazione resistente, ha ulteriormente contestato la posizione della stessa, insistendo per l’ostensione della restante documentazione richiesta.

Alla camera di consiglio del 6 dicembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione

Il ricorso è in parte fondato e va parzialmente accolto nei limiti e per le ragioni che seguono, confermando il Collegio le condivise argomentazioni e conclusioni di cui alla sentenza n. 5763/2018.

Con la citata istanza di accesso il ricorrente, premessa la pendenza di un giudizio di separazione dalla moglie, ha chiesto all’Agenzia delle entrate la dichiarazione dei redditi degli ultimi 3 anni sua e della moglie, gli eventuali contratti di locazione a terzi di immobili di proprietà di quest’ultima, “e comunicazioni inviate da tutti gli operatori finanziari all’Anagrafe Tributaria – sezione archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili alla” moglie “anche in qualità di delegante o delegato, nonché tutta la ulteriore altra documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale riconducibile alla moglie.

Deve, in primo luogo, ritenersi inammissibile in quanto formulata in termini eccessivamente generici la domanda di accesso nella parte in cui riguarda “tutta la ulteriore altra documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale riconducibile” alla moglie.

Com’è noto il richiedente l’accesso ha l’onere di motivare la relativa domanda e di indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che ne consentano l’individuazione. Quest’onere di specificazione assolve la funzione di rendere possibile e non eccessivamente oneroso per l’amministrazione procedere all’esibizione degli atti e fornisce, in sede giudiziale, un parametro di riferimento al giudice chiamato ad accertare la sussistenza del diritto verificando, se necessario, il successivo puntuale adempimento da parte dell’amministrazione degli obblighi connessi. Nella fattispecie, parte ricorrente dopo aver chiesto la dichiarazione dei redditi, i contratti di locazione dei beni immobili di proprietà della moglie, nonché, le comunicazioni all’anagrafe tributaria afferenti quest’ultima, non ha specificato in alcun modo a quale ulteriore documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale faccia riferimento.

Per questa parte il ricorso deve, quindi, essere respinto.

Relativamente alla restante parte della domanda di accesso deve osservarsi che l’Agenzia delle entrate nelle proprie difese ha fatto riferimento alla circolare emanata in materia in data 10 ottobre 2017 con la quale si è ribadito che “laddove sussistano effettivamente i requisiti previsti dalla legge n. 241 del 1990, sarà sempre possibile attivare la richiesta di accesso agli atti, limitatamente alle informazioni di natura reddituale e patrimoniale e con l’esclusione delle risultanze derivanti dall’Archivio dei rapporti finanziari”.

Da quanto precede risulta evidente che la stessa Agenzia delle entrate reputa accessibili i dati relativi “alle informazioni reddituali e patrimoniali”.

Non si comprende, quindi, per quale ragione nella fattispecie non sia stato consentito l’accesso alle dichiarazione dei redditi del ricorrente e della coniuge, nonché, agli eventuali contratti di locazione a terzi degli immobili di proprietà di quest’ultima.

Parte ricorrente ha, infatti, chiarito di avere in corso un giudizio di separazione e di avere interesse a conoscere tali dati . Al riguardo, non può porsi in dubbio la sussistenza di un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato chiesto l'accesso”, che l'art. 22 l n. 241/90 prevede quale presupposto per la legittimazione all'azione e l'accoglimento della relativa domanda.

Ciò vale anche con riferimento alle richieste comunicazioni inviate da tutti gli operatori finanziari all’Anagrafe Tributaria – sezione archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili alla moglie “anche in qualità di delegante o delegato”.

L’Agenzia delle entrate sul punto, richiamando la pronuncia del Consiglio di Stato n. 3461/2017, ha ritenuto, stante la specialità delle disposizioni di cui al combinato disposto degli artt. 492 bis c.p.c. e 155 quinquies e sexies disp. att. c.p.c. rispetto alle norme dettate dalla legge n. 241/1990, che l’accesso a tali informazioni sia possibile solo su autorizzazione del Tribunale.

Di contro il Collegio ritiene preferibile l’orientamento giurisprudenziale inaugurato dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2472/2014, e poi fatto proprio da numerose pronunce del giudice amministrativo ( cfr. ex multis: T.A.R. Bari, sez. III, 3 febbraio 2017, n. 94;
T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 17.04.2015, n. 5717;
T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, Sent., 08.10.2012, n. 363;
T.A.R. Abruzzo L'Aquila Sez. I, Sent., 29.09.2011, n. 466;
da ultimo TAR Lazio, Roma, Sez II, 8.2.2017, n. 2161).

Il Consiglio di Stato, nella citata sentenza, ha chiarito che la normativa alla quale l'Agenzia delle entrate fa riferimento (art. 7 del d.P.R. nr. 605 del 1973, come modificato dal d.l. 4 luglio 2006, nr. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, nr. 248), la quale ha previsto l'obbligo per ogni operatore finanziario di comunicazione, in un'apposita sezione dell'Anagrafe tributaria, denominata Archivio dei rapporti finanziari, dell'esistenza e relativa natura dei rapporti finanziari intrattenuti con qualsiasi soggetto, non prevede affatto che queste informazioni, una volta riversate nell'Archivio dei rapporti finanziari da parte delle banche e degli operatori finanziari, possano essere utilizzate "unicamente" dall'Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di Finanza, limitandosi a precisare che si tratta di atti certamente utilizzabili da tali soggetti per l'azione di contrasto all'evasione fiscale, senza affrontare per nulla il tema della loro ostensibilità e dell'eventuale conflitto con il diritto alla riservatezza del soggetto cui gli atti afferiscono. Dunque, per risolvere la questione della ostensibilità di tali dati occorre riferirsi alle norme dettate dalla l. 241/90 e in particolare dall'art. 24, comma 7, a mente del quale: "...Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale", da cui emerge la necessità di effettuare un attento bilanciamento di interessi tra il diritto che si intende tutelare con la visione o l'accesso al documento amministrativo e il diritto alla riservatezza dei terzi. Al riguardo, la disciplina di riferimento si rinviene nel d.m. 29 ottobre 1996, nr. 603 (recante "Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell'art. 24, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241"), laddove alcuna previsione si rinviene nel senso sostenuto dalle Amministrazioni odierne appellanti: e, anzi, i documenti per cui è causa appaiono riconducibili alla previsione dell'art. 5 di tale norma (lettera a): "documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni comunque acquisita ai fini dell'attività amministrativa", il quale precisa che, pur trattandosi di documenti sottratti all'accesso, va però garantita "la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta”.

La stessa sentenza ha inoltre definitivamente chiarito che le "comunicazioni" relative ai rapporti finanziari costituiscono documento ai sensi della normativa in materia di accesso, trattandosi di atti utilizzabili dall'Amministrazione finanziaria per l'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, ancorché non formati da questa. Infatti, è proprio l'art. 7 del d.P.R. 29 settembre 1973, nr. 605, a disciplinare compiutamente la forma, i contenuti e le modalità di trasmissione di dette "comunicazioni", nonché la loro destinazione e i loro possibili impieghi da parte dell'Amministrazione (oltre alla loro conservazione e tenuta): di modo che non è possibile sostenere né che si tratti di atti interni privi di ogni rilevanza giuridica, né che si tratti di mere informazioni, rispetto alle quali sarebbe richiesta all'Amministrazione una non esigibile attività di elaborazione e/o estrapolazione.

Infine, per quanto attiene alla asserita mancanza di autorizzazione del giudice del procedimento di separazione, ai sensi del combinato disposto dell'art. 155 sexies c.p.c. e dell'art. 492 bis cod. proc. civ., introdotto dal Decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito dalla Legge 10 novembre 2014, n. 162, vale richiamare quanto affermato dal TAR Bologna nella sent. n. 753 del 2016, secondo il quale il combinato disposto degli artt. 492 bis c.p.c. e 155sexies c.p.c., che prevede l'applicabilità delle modalità di ricerca telematica anche quando l'autorità giudiziaria deve adottare provvedimenti in materia di famiglia, costituisce un semplice ampliamento dei poteri istruttori del giudice della cognizione già previsti dal codice di procedura civile ai sensi dell'art. 210 cod. proc. civ., ma non rappresenta un'esclusione dal diritto d'accesso dei documenti contenuti nell'Archivio dei rapporti finanziari.

In sostanza, le citate norme non hanno comportato alcuna ipotesi derogatoria alla disciplina in materia di accesso alla documentazione contenuta nelle banche dati della pubblica amministrazione, avendo invece il legislatore voluto ampliare con l'art. 155 sexies c.p.c. i poteri istruttori del giudice ordinario nell'ambito dei procedimenti in materia di famiglia.

Le due discipline pertanto sono complementari poiché il giudice che tratta la vicenda matrimoniale può utilizzare i poteri di accesso ai dati della P.A. genericamente previsti dall'art. 210 c.p.c. come ampliati dalle nuove norme inserite nel 2014, ma questa rimane una facoltà non un obbligo del giudice.

Deve pertanto conservarsi la possibilità per il privato di ricorrere agli ordinari strumenti offerti dalla l. 241/1990 per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare all'Amministrazione di consegnare.

Nella fattispecie, non vi è dubbio che si tratti di dati personali di un terzo (il coniuge), ciò nondimeno l’accesso si giustifica, ai sensi del comma 7 dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990 (disposizione che, peraltro, non confina l’accesso alla sola visione degli atti, di talché deve ritenersi superata la limitazione contenuta in tal senso nel DM n. 603 del 1996), dalla necessità di “curare e difendere i propri interessi giuridici”.

Non appare pertanto condivisibile la pur autorevole affermazione contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3461/2017 che qualifica gli atti richiesti come documenti sensibili del coniuge. Si tratta, pur sempre, di dati patrimoniali e reddituali e non di dati sensibili nella definizione recata nel codice della privacy (d.lg. n. 196/2003). Peraltro, se l’esigenza è quella di conoscere la situazione reddituale e patrimoniale del coniuge non si comprende per quale ragione (posizione questa assunta dall’Agenzia delle entrate) la dichiarazione dei redditi sarebbe ostensibile e non ciò che risulta dai dati ricavabili dall’Anagrafe dei rapporti finanziari. In entrambi i casi la documentazione riguarda la condizione economica (in senso lato) del controinteressato la cui conoscenza è strumentale alla difesa dell’interesse giuridico ad un corretto assetto dei rapporti economici all’interno della famiglia.

Parimenti non appare del tutto persuasiva la posizione assunta dal Consiglio di Stato nella richiamata sentenza (che non ha riguardato l’ostensione della dichiarazione dei redditi bensì solo dei dati presenti nell’Archivio dei rapporti finanziari) nella parte in cui statuisce che l’esigenza conoscitiva può essere assicurata e soddisfatta solo all’interno del processo instaurato “ciò perché l'acquisizione di prove documentali non può che avvenire se non nella sede tipica processuale e nel rispetto del principio del contraddittorio;
ed inoltre perché il giudice "deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l'interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo", se del caso ordinandone la citazione in giudizio (art. 211 cpc)”.

In questo modo si afferma il principio che il diritto di accesso laddove si scontra con il diritto alla riservatezza di un terzo può trovare componimento solo all’interno di un processo e sotto il controllo di un giudice, l’unico ritenuto idoneo a valutare e a ponderare gli interessi in gioco, con la conseguenza che “la possibilità di acquisire extra iudicium i documenti amministrativi dei quali una delle parti intende avvalersi in giudizio si traduce in una forma di singolare "aggiramento" delle norme che governano l'acquisizione delle prove e costituisce un vulnus per il diritto di difesa dell'altra parte, la quale, lungi dal potersi difendere nella sede tipica prevista dall'ordinamento processuale, si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni non già dinanzi ad un giudice, bensì innanzi alla pubblica amministrazione, in qualità di controinteressato” (sempre C.d.S. n. 3461/2017 cit.).

Si tratta di un’impostazione che potrebbe finire per affievolire il pur possibile concorso di più strumenti di tutela: quello assicurato dal diritto di accesso e quello che si svolge davanti al giudice nella sede del processo (che, a questo punto andrebbe necessariamente instaurato “al buio” con tutto ciò che ne consegue anche in termini di spese di lite).

In conclusione deve essere affermato il diritto del ricorrente ad ottenere l'accesso ai documenti in questione relativi al coniuge detenuti dall’Agenzia delle entrate e ricavabili dall'Archivio dei rapporti finanziari;
l’Agenzia delle entrate avrà poi cura di oscurare i dati personali di altri soggetti (diversi dalla moglie) che dovessero comparire nella documentazione richiesta (a titolo semplificativo i nominativi dei soggetti con i quali sono stati stipulati gli eventuali contratti di locazione;
il ricorrente ha, infatti, perimetrato il proprio interesse in relazione all’esigenza di conoscere la situazione reddituale e patrimoniale della moglie e non di avere informazioni di altro genere).

In conclusione il ricorso deve essere respinto in relazione a quella parte della domanda di accesso formulata in termini eccessivamente generici ed accolto per il resto.

Le spese del giudizio, stante la soccombenza reciproca e la giurisprudenza non assestata in materia devono essere compensate.

Sempre in ordine alle spese di giudizio va altresì rilevato che la parte ricorrente è stata, con il decreto n. 125/2018, provvisoriamente ammessa al patrocinio a spese dello Stato e, in questa sede, il difensore ha chiesto la liquidazione delle sue spettanze.

In considerazione di ciò il Collegio, che conferma l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di parte ricorrente, ritiene di liquidare al difensore a titolo di onorari e spese la somma complessiva di euro 746,35, di cui 97,35 per spese generali, sulla base dei parametri previsti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55 per le cause di valore fino a euro 1.100;
benché infatti, la controversia sia di valore indeterminabile e benché l’articolo 5, comma 6, del citato decreto disponga che le cause di valore indeterminabile siano considerate di valore compreso tra euro 26.000 e euro 260.000, tale norma dispone che questa previsione si applichi “di regola” e può quindi essere derogata nel senso sopra indicato essendo ciò giustificato dalla particolare semplicità del giudizio in materia di accesso;
di conseguenza si autorizza sin d’ora la liquidazione, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 83, comma 3-bis del D.P.R. n. 115, dell’importo sopraindicato al difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio.

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