Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-05-02, n. 202403961

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-05-02, n. 202403961
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403961
Data del deposito : 2 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/05/2024

N. 03961/2024REG.PROV.COLL.

N. 01791/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1791 del 2020, proposto da
R D B, A D B, rappresentati e difesi dagli avvocati A T, M E V e F Z, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Amendola 46;

contro

Comune di Cortina D’Ampezzo, in persona del sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato C C, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;
Regione Veneto, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (sezione prima) n. 958/2019


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cortina d’Ampezzo;

Viste le memorie e tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza straordinaria ex art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm. del giorno 10 aprile 2024 il consigliere Fabio Franconiero, sulle istanze di passaggio in decisione delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Gli appellanti indicati in epigrafe agiscono nel presente giudizio in qualità di comproprietari del terreno della superficie di circa 1759 mq ubicato alle porte di Cortina d’Ampezzo, in località Pezziè, censito a catasto al foglio 80, mappale 2841, inserito in un conteso edificato, prospicente la strada statale n. 51 di Alemagna, e in relazione alla quale a suo tempo (1990) era stata assentita la realizzazione di un garage interrato. Nella descritta qualità gli stessi sono più precisamente subentrati alla loro dante causa Genziana s.a.s., originaria proprietaria del terreno, la quale con il ricorso da cui trae origine il giudizio aveva impugnato la classificazione urbanistica ad esso impressa dal piano regolatore generale comunale, approvato in via definitiva con delibera di giunta regionale del Veneto in data 14 novembre 2003, n. 3534, dopo la sua adozione con delibera del consiglio comunale di Cortina d’Ampezzo del 30 maggio 2001, n. 16.

2. Le contestazioni nei confronti della scelta urbanistica sono dirette a sostenere l’illogicità, la contraddittorietà e lo sviamento di potere che avrebbero connotato l’operato dell’amministrazione comunale, a causa delle plurime tipizzazioni date al terreno: dapprima come agricolo E, poi come zona inedificabile di interesse paesaggistico A/3, e infine, sulla base dei rilievi formulati in sede regionale, come zona consolidata B/1, priva tuttavia di capacità edificatoria, secondo la normativa tecnico-attuativa dello strumento generale che vieta nuove edificazioni residenziali al di fuori delle aree di proprietà comunale o regoliera appositamente individuate. Secondo gli odierni appellanti il mancato riconoscimento di alcuna capacità edificatoria a scopi residenziali, e in alternativa a servizi, sarebbe illegittimo sotto plurimi profili: perché contrastante innanzitutto con la naturale vocazione del terreno, ricavabile dal grado e dalle caratteristiche di sviluppo urbanistico del contesto in cui è inserito e dalle esigenze economico-sociali della comunità ivi insediata, le quali in passato avrebbero invece trovato riconoscimento sotto il profilo della possibilità di sviluppare una nuova volumetria;
inoltre, con gli indirizzi generali a base dello strumento urbanistico generale e le indicazioni espresse dagli organi tecnici regionali in sede di approvazione dello stesso;
e infine perché non assistito da adeguata motivazione.

3. Le censure di ordine sostanziale così sintetizzabili, unitamente ad ulteriori di carattere procedimentale riferite alla formazione dello strumento urbanistico, sono state respinte in primo grado dall’adito Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con la sentenza i cui estremi sono indicati in epigrafe, e sono riproposte a mezzo del presente appello, in resistenza del quale si è costituito il Comune di Cortina d’Ampezzo.

DIRITTO

1. Con il primo motivo d’appello sono riproposte le censure di illogicità, contraddittorietà e sviamento di potere da cui sarebbe affetto l’operato del Comune di Cortina, che al preteso unico fine di disconoscere « la naturale vocazione edificatoria del fondo » lo ha diversamente classificato, sia in occasione di varianti al precedente strumento urbanistico generale che nel corso del procedimento di formazione di quello oggetto del presente contenzioso: dapprima come agricolo E, poi come zona inedificabile di interesse paesaggistico A/3 e infine come zona consolidata B/1, comunque priva di capacità edificatoria, riconosciuta invece ad « un altro terreno in proprietà di terzi, situato dalla parte opposta della s.s. Alemagna, ai margini della zona boscosa ed ancora priva di attività antropiche », al di fuori del nucleo abitato di Pezziè. Sarebbe invece inficiata da travisamento dei fatti la statuizione di rigetto delle censure contenuta nella sentenza di primo grado, incentrata sull’esigenza di contenere lo sviluppo dell’edilizia residenziale con finalità di creazione di seconde case, quando invece nel caso di specie la domanda di edificabilità dei ricorrenti, e prima ancora della società della società dante causa, era comunque finalizzata a consentire la realizzazione di « strutture pubbliche o d’interesse collettivo in un’area che appare manifestatamente a ciò vocata ». Sul punto viene ribadito che la domanda così formulata era appropriata rispetto alle caratteristiche del fondo e del contesto in cui esso è inserito, nella direzione del completamento l’ambito abitativo della frazione di Pezziè, ormai consolidato e completamente urbanizzato. Nella medesima direzione vengono quindi richiamate le indicazioni formulate in sede di approvazione del piano dalla commissione tecnica regionale, la quale ha evidenziato che « risulta maggiormente coerente una classificazione di tipo residenziale o per servizi stradali assumendo parametri edilizi coerenti con le limitrofe zone residenziali » (parere del 9 gennaio 2003, n. 12). In senso contrario non varrebbe poi opporre l’esigenza di salvaguardia dei valori ambientali e paesaggistici e delle esigenze di tutela della salute degli abitanti, come invece fatto dall’amministrazione comunale, posto che il terreno sorge in un contesto già urbanizzato, in fregio alla viabilità principale di accesso a Cortina d’Ampezzo e che, inoltre, lo stesso è già stato trasformato con la realizzazione del parcheggio interrato. Del pari non si paleserebbero ostative le esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, fatte proprie dalla sentenza di primo grado attraverso il richiamo a precedenti conformi relativi allo stesso strumento urbanistico, dal momento che l’attribuzione al fondo di potenzialità edificatoria non sarebbe in grado di alterare gli equilibri dell’abitato di Pezzié, come evincibile dal fatto che lo stesso Comune di Cortina d’Ampezzo ha consentito lo sviluppo dei terreni limitrofi, situati sul lato opposto della strada statale n. 51 di Alemagna.

2. Con il secondo motivo d’appello vengono riproposte le censure di contraddittorietà in atti, insita nella decisione comunale di mantenere la classificazione A/3 e consentire l’utilizzo del garage interrato a magazzino, ricavabile dalle controdeduzioni alle proposte di modifica regionale del piano adottato (delibera consiliare del 5 maggio 2003, n. 25);
e contemporaneamente di riclassificare il fondo in B/1, con conseguente privazione di qualsiasi edificabilità sul fondo stesso, in contrasto con la disciplina normativa di carattere generale per la zona omogenea B, di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici del 2 aprile 1968, n. 1444, che riconduce a quest’ultima le parti del territorio comunale edificate, nelle quali la densità territoriale è superiore ad 1,5 mc/mq.

3. Con il terzo motivo d’appello la sentenza viene censurata per non essersi avveduta che con la classificazione B/1 l’amministrazione comunale non avrebbe nemmeno parzialmente accolto le indicazioni espresse dalla Regione in sede di approvazione del piano, diversamente quindi da quanto supposto da quest’ultima nella delibera di giunta del 14 novembre 2003, n. 3534. Da ciò - si aggiunge - deriverebbero le conseguenze previste dall’art. 46, comma 5, della legge urbanistica regionale veneta in allora vigente (legge 27 giugno 1985, n. 61), secondo cui: « In caso di inerzia del Comune, il decorso del termine di cui al terzo comma comporta l’automatica introduzione nel Piano Regolatore Generale delle modifiche proposte dalla (Regione) ».

4. Con il quarto motivo d’appello viene riproposta la censura procedimentale di violazione dell’art. 45 della citata legge urbanistica regionale, per l’illegittimo esercizio del potere modificativo regionale per ipotesi estranee a quelle tassativamente previste in relazione ad un’osservazione presentata (n. 81).

5. Con il quinto motivo viene riproposta la censura di motivazione carente a sostegno dell’attribuzione destinazione B/1 dell’area di proprietà degli appellanti, in presenza di un complessivo operato dell’amministrazione comunale contraddistinto da scelte prive di plausibile logica e coerenza con la realtà di fatto.

6. Con il sesto motivo viene riproposta la censura di violazione dei termini fissato dall’art. 46 della legge urbanistica regionale per l’adeguamento dello strumento urbanistico alle proposte di modifica regionali, in conseguenza del quale queste ultime sarebbero automaticamente entrate in vigore. Più precisamente, dalla delibera regionale recante l’approvazione con proposte di modifica (delibera di giunta in data 31 gennaio 2003, n. 192) alle controdeduzioni comunale (delibera consiliare del 5 maggio 2003, n. 25) sarebbe decorso un termine maggiore di quello di 90 giorni previsto dalla disposizione di legge regionale ora richiamata, mentre la sentenza avrebbe errato nel sostituire il criterio della conoscibilità della delibera regionale, coincidente con quello della sua pubblicazione, con quello della conoscenza effettiva, acquisita con la trasmissione della medesima delibera al Comune di Cortina d’Ampezzo.

7. Con il settimo motivo sono riproposte le censure di violazione degli artt. 48 e 134 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in conseguenza del mancato invio della delibera di adozione dello strumento urbanistico all’organo regionale di controllo (delibera consiliare del 30 maggio 2001, n. 16);
e di incompetenza del consiglio comunale a controdedurre alle osservazioni presentate dagli interessati, su cui si sarebbe invece dovuta pronunciare la giunta.

8. Con l’ottavo motivo d’appello sono infine riproposte le censure di violazione dell’art. 70 della legge regionale urbanistica, in ragione del fatto che malgrado l’intervenuto accoglimento di talune osservazioni lo strumento urbanistico adottato non è stato ripubblicato.

9. I motivi così sintetizzati sono infondati.

10. Le censure di illogicità, contraddittorietà e sviamento di potere nei confronti della scelta comunale di negare una potenzialità edificatoria all’area di proprietà dei ricorrenti si infrangono sul rilievo che la scelta contestata si inserisce nella disciplina urbanistica generale, che a tutela dell’esigenza di contenere la pressione edilizia generata dalla forte domanda turistica della località ha limitato ad interventi di mantenimento dell’esistente le zone di completamento residenziale (art. 11 delle norme tecniche di attuazione). A questo specifico riguardo va richiamato il precedente di questo Consiglio di Stato relativo al medesimo piano regolatore generale di cui alla sentenza della IV sezione del 10 maggio 2012, n. 2710 - che contrariamente a quanto assume parte appellante è dunque pertinente al caso di specie - il quale ha considerato non eccedente i limiti dell’ampia discrezionalità che contraddistingue la funzione amministrativa di governo del territorio, intesa quale « realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici » (così il citato precedente), la normativa tecnico-attuativa che in via generale, salve le eccezioni espressamente previste, pone limitazioni quanto a potenzialità di sviluppo edilizio, nel senso di consentire solo interventi di mantenimento dell’esistente per gli immobili inclusi in zona di completamento residenziale B/1, congruenti con la finalità di impedire « una ulteriore “terziarizzazione” o utilizzazione per cd. “seconde case” » ( idem ).

11. Quindi, a fronte delle descritte obiettive esigenze di ordinato sviluppo edilizio perseguite dall’amministrazione comunale attraverso la formazione dello strumento urbanistico generale recedono le opposte considerazioni fondate sulla vocazione naturale del terreno, a loro volta desunte dallo stato di fatto della zona in cui questo è inserito (« completamente urbanizzata e circondata da insediamenti immobiliari di cui rappresenta la naturale continuazione anche in termini di servizi »: così in memoria conclusionale di parte appellante);
e sui parametri urbanistici previsti in via generale dal sopra richiamato decreto ministeriale del 2 aprile 1968, n. 1444, per la zona omogenea B;
e ancora sulle indicazioni di carattere tecnico espresse dagli organi regionali in sede di approvazione del piano regolatore. A quest’ultimo riguardo deve peraltro rilevarsi che dopo l’iniziale proposta di modifica seguita al sopra menzionato parere della commissione tecnica regionale, vi è stata la presa d’atto di quest’ultima sulle controdeduzioni dell’amministrazione locale: « si prende atto della volontà comunale di non concedere al privato la possibilità di edificazione del lotto… il Comune potrà, se lo riterrà opportuno, risolvere la questione attraverso la predisposizione di una variante ai sensi del 9° comma della LR 21/98… » (parere del 22 ottobre 2003, n. 284).

12. Del pari non emergono profili di eccesso di potere sindacabili nella presente sede giurisdizionale di legittimità nella decisione di precludere un sviluppo edilizio dell’area per servizi, pubblici o di interesse collettivo, la quale si colloca anch’essa nel sopra descritto margine quanto mai consistente di apprezzamento discrezionale attribuito all’amministrazione comunale in sede di pianificazione dello sviluppo urbanistico e socio-economico della collettività locale, nei termini precisati da questo Consiglio di Stato nel precedente poc’anzi richiamato.

13. Non sono poi ravvisabili aspetti di ambiguità o contraddittorietà nell’operato del Comune di Cortina d’Ampezzo in sede di controdeduzioni alle proposte di modifica regionale del piano adottato. Dallo sviluppo del procedimento di formazione dello strumento urbanistico generale è infatti risultato chiaro che l’area di proprietà dei ricorrenti è stata infine classificata come di completamento residenziale B/1, in cui secondo la normativa tecnico-attuativa di piano sopra menzionata non è tuttavia ammesso alcuno sviluppo edilizio per le legittime ragioni sopra esposte.

14. Del pari non è configurabile alcuna inerzia comunale che ai sensi del sopra citato art. 46, comma 5, della legge urbanistica regionale comporterebbe l’automatica introduzione delle proposte di modifica della Regione. Va invece ribadito che la classificazione del terreno come di completamento residenziale si palesa per un verso coerente con il contesto urbanistico cui esso è inserito, secondo le indicazioni dell’organo tecnico regionale sopra richiamate. E per altro verso che, nondimeno, in base alla stessa classificazione si applica la disciplina tecnico-attuativa sopra richiamata, prevista dallo strumento generale a tutela di superiori esigenze di ordinato sviluppo dell’attività edilizia. Come poi correttamente statuito dalla sentenza di primo grado, nel procedimento di formazione dello strumento urbanistico comunale, atto complesso diseguale, non è predicabile alcuna prevalenza della volontà regionale su quella dell’amministrazione locale interessata, ma casomai l’opposto, per cui « in caso di contrasto tra la proposta regionale e il parere del Comune, è la volontà di quest’ultimo che prevale ed il piano dovrà esser approvato in maniera tale da rispettare le determinazioni comunali ». In questo quadro vanno dunque interpretate le disposizioni dell’art. 46 della legge urbanistica regionale, laddove in particolare queste prevedono che la regione « introduce nel Piano Regolatore Generale le modifiche ritenute opportune fra quelle proposte » (comma 4);
e che l’inerzia del comune « comporta l’automatica introduzione nel Piano Regolatore Generale delle modifiche » proposte dalla regione (comma 5). Nell’uno e nell’altro caso l’introduzione ad opera della regione postula che non sia stata manifestata alcuna opposizione da parte del comune.

15. Come eccepito dal Comune di Cortina d’Ampezzo, risulta invece carente di interesse la censura concernente l’asserito illegittimo potere di approvazione del piano con modifiche d’ufficio da parte della regione, ai sensi dell’art. 45 della legge urbanistica regionale, posto che l’ipotesi dedotta non concerne il terreno in contestazione nel presente giudizio e che essa non vale pertanto a configurare profili di illegittimità della classificazione data a quest’ultimo.

16. Per le ragioni in precedenza esposte deve poi escludersi che quest’ultima sia inficiata da motivazione carente.

17. Ancora invece dal punto di vista procedimentale, va escluso che nel caso oggetto di controversia all’interno della fase di approvazione del piano sia spirato il termine di 90 giorni ex art. 46, commi 3 e 5, della legge urbanistica regionale per controdedurre alle proposte di modifica regionale, con conseguente « automatica introduzione » di queste ultime. Come infatti statuito dalla sentenza di primo grado, sulla base di una compiuta ricostruzione del rispettivo ruolo della regione e del comune nel procedimento di formazione dello strumento urbanistico comunale e di una analitica disamina delle disposizioni di legge regionale rilevanti (artt. 45 e 46 l. reg. 27 giugno 1981, n. 65), deve ritenersi da un lato che le proposte regionali di modifica del piano adottato devono essere effettivamente conosciute dall’amministrazione comunale e che dall’altro lato è sufficiente che su di esse intervenga una delibera del competente organo di quest’ultima. La tesi è avvalorata sul piano letterale dal fatto che il citato art. 46, comma 3, fa testuale riferimento al « ricevimento » da parte del comune delle proposte di modifica regionali, mentre il comma 5 sanziona con l’introduzione d’ufficio di queste ultime l’« inerzia » dell’amministrazione. Tutto ciò precisato, non vi sono ragioni per discostarsi dalla sentenza che ha fissato la conoscenza da parte del Comune di Cortina d’Ampezzo delle proposte di modifica formulate dalla Regione Veneto, con la sopra menzionata delibera di giunta del 31 gennaio 2003, n. 192, al 13 febbraio successivo, cui ha fatto seguito la delibera in data 5 maggio 2003, n. 25, recante le controdeduzioni alle proposte. Dalla descritta scansione temporale risulta dunque rispettato il termine di 90 giorni previsto dalla legge regionale.

18. Deve invece essere dichiarata inammissibile l’ulteriore censura di ordine procedimentale relative alla mancata sottoposizione della delibera di adozione del piano regolatore del 30 maggio 2001, n. 16, al parere di legittimità dell’organo regionale di controllo, quando ancora non era stato abrogato l’art. 130 della Costituzione (ad opera dell’art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione ). Il motivo d’appello in questione non formula infatti alcuna censura specifica, nei termini richiesti dall’art. 101, comma 1, cod. proc. amm., alla statuizione con cui la sentenza di primo grado ha escluso la delibera di adozione dello strumento urbanistico dal novero degli atti comunali in allora soggetti al controllo di legittimità, per le ragioni così espresse: «(a) d ogni modo – e ciò vale anche per le avversate delibere anteriori all’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – l’art. 126, comma 1, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (ricalcando il contenuto precettivo dell’art. 17, comma 33, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e dell’art. 33 della legge 3 agosto 1999, n. 265) prevedeva il controllo preventivo di legittimità esclusivamente sugli statuti dell’ente, sui regolamenti di competenza del consiglio, esclusi quelli attinenti all’autonomia organizzativa e contabile dello stesso consiglio, sui bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, adottate o ratificate dal consiglio, sul rendiconto della gestione ».

19. Da respingere nel merito, per assenza di una puntuale base testuale, è invece l’assunto secondo cui la competenza consiliare ex art. 42, comma 2, lett. b), del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sarebbe limitato ai soli « atti fondamentali, ossia quelli di adozione ed approvazione, non già quelli istruttori tra i quali va annoverata la fase di controdeduzione alle osservazioni ».

20. Infine, va respinta anche l’ultima censura intesa a sostenere che il piano adottato avrebbe dovuto essere ripubblicato, in ragione dell’accoglimento delle osservazioni e delle opposizioni degli interessati e dei proprietari, la quale postula un automatismo in questo senso che tuttavia non trova riscontro presso la giurisprudenza amministrativa. Secondo quest’ultima (tra le altre in questo senso, di recente: Cons. Stato, IV, 1 febbraio 2024, n. 1028;
7 dicembre 2022, n. 10731;
6 dicembre 2022, n. 10661;
11 aprile 2022, n. 2700;
13 novembre 2020, n. 7026;
VI, 2 agosto 2023, n. 7483), la ripubblicazione è infatti dovuta in presenza di un radicale mutamento dei contenuti dello strumento rispetto alla sua versione originaria, nel caso di specie nemmeno prospettato.

21. L’appello deve quindi essere respinto, ma per la natura e la complessità delle questioni controverse le spese di causa possono essere compensate.

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