TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2024-05-13, n. 202409431

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2024-05-13, n. 202409431
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202409431
Data del deposito : 13 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/05/2024

N. 09431/2024 REG.PROV.COLL.

N. 15117/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15117 del 2019, proposto da
E V G, A D P, R S, L S, G S, C P, M P R, D C, G M C, V B, I C, M F G, M R, A G, A C, S M, F R, B D A, P R, C P, Rosa D'Alessio, A N, rappresentati e difesi dall'avvocato G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Istituti Scolastici Indicati Come Scuole Capo Fila, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia

del decreto dipartimentale n.1458 del 9.10.2019 avente ad oggetto l'integrazione delle graduatorie d'istituto e lesivo degli interessi dei ricorrenti nella parte in cui, art.2, non consente l'inserimento negli elenchi aggiuntivi di seconda fascia dei docenti in possesso di diploma AFAM di secondo livello ed in possesso dei 24 CFU come gli odierni ricorrenti;
nonché di ogni altro atto ad esso richiamato, preordinato e connesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 maggio 2024 la dott.ssa F F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in esame gli esponenti, tutti in possesso del diploma AFAM di secondo livello con l’aggiunta dei 24 C.F.A , hanno chiesto l’annullamento, previa sospensione degli effetti, del Decreto Dipartimentale n. 1458 del 9.10.2019 avente ad oggetto l’integrazione delle graduatorie d’istituto e lesivo degli interessi dei ricorrenti nella parte in cui, art. 2, non consente l’inserimento negli elenchi aggiuntivi di seconda fascia dei docenti in possesso di diploma AFAM di secondo livello ed in possesso dei 24 C.F.A. come gli odierni ricorrenti.

Il Ministero non si è costituito.

Con ordinanza n. 386 del 23 gennaio 2020 - non appellata - è stata respinta l’istanza cautelare con la seguente motivazione:

Ritenuto che il ricorso non appare assistito da elementi di fumus boni iuris avuto riguardo all’orientamento di questa Sezione ribadito da ultimo con la sentenza n. 165/2020 in cui è stato affermato che” Premesso che per l’iscrizione nella II fascia delle citate graduatorie è necessario il conseguimento del titolo abilitativo, per quanto concerne il semplice possesso di laurea ovvero il titolo di dottore di ricerca ovvero ancora lo svolgimento di 24 cfu, in conformità all’orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St. n. 2264 del 2018), deve ritenersi che tali titoli non siano equiparabile al titolo di abilitazione all’insegnamento. Nessuna disposizione di rango primario o secondario ha disposto l’equiparazione o l’equipollenza del titolo di laurea all’esito favorevole dei percorsi abilitanti;
la disciplina sui percorsi abilitanti (sui quali si vedano: il decreto ministeriale n. 249 del 10 settembre 2010 in relazione all’introduzione dei tirocini formativi attivi TFA;
d. m. 23 marzo 2013 e DDG n. 58 del 25 luglio 2013, in relazione all’istituzione dei percorsi speciali abilitanti (PAS);
art. 1, commi 110 e 114, della legge n. 107 del 2015 sulla “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”) e quella del dottorato di ricerca così come quella del conseguimento della laurea sono distinte e perseguono finalità diverse.

Ritiene inoltre il Collegio che - in assenza di una equiparazione espressamente disposta da una norma primaria o secondaria – il Ministero legittimamente non abbia consentito l’iscrizione anche a chi sia in possesso del titolo di laurea. Inoltre, dalla normativa rilevante in materia emerge che si tratta di ‘percorsi’ rivolti a sviluppare esperienze e professionalità sulla base di procedimenti ben diversi, in ambiti differenziati e non assimilabili. Quanto ai percorsi abilitanti, l’art. 2 del d. m. n. 249 del 10 settembre 2010 prevede che “1. La formazione iniziale degli insegnanti di cui all’articolo 1 è finalizzata a qualificare e valorizzare la funzione docente attraverso l’acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali necessarie a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento previsti dall’ordinamento vigente.

2. E’ parte integrante della formazione iniziale dei docenti l’acquisizione delle competenze necessarie allo sviluppo e al sostegno dell’autonomia delle istituzioni scolastiche secondo i principi definiti dal decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275”.

Viene dunque chiaramente in risalto una attività di formazione orientata alla ‘funzione docente’, che di per sé si caratterizza per il continuo contatto con gli allievi, ai quali vanno trasmesse conoscenze anche sulla base di competenze psico — pedagogiche. In definitiva, va condiviso e confermato l’orientamento che, sul punto, valorizza la “diversità ontologica tra percorsi di abilitazione e dottorato di ricerca” nonché con il percorso diretto al conseguimento della laurea, evidenziando come non vi siano “né diposizioni espresse, né considerazioni di ricostruzione sistematica che possano indurre l’interprete a ritenere il conseguimento del dottorato di ricerca titolo equipollente all’abilitazione all’insegnamento”. Quanto alla Direttiva 2005/36/CE, come recepita dal d. lgs. n. 206 del 2007, è sufficiente osservare come essa non abbia escluso che lo Stato membro possa subordinare l’accesso a una professione regolamentata al possesso di determinate qualifiche professionali (per considerazioni ulteriori si rinvia, anche ai sensi degli articoli 60, 74 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a., a Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1516 del 2017, che ha confermato la sentenza che aveva respinto un ricorso diretto all’annullamento dell’art. 3, comma 1, del decreto n. 106 del 2016, con cui veniva richiesto il possesso dell’abilitazione, quale requisito di ammissione alla procedura concorsuale). Per quanto concerne la predisposizione di percorsi abilitanti ritiene il collegio che l’eventuale mancata previsione di percorsi non sostituisca l’abilitazione né si traduca nell’irrilevanza del titolo abilitativo ai fini della partecipazione al concorso o dello svolgimento dell’attività. L’abilitazione costituisce, infatti, un requisito per l’iscrizione cui segue lo svolgimento dell’attività didattica, individuando l’ordinamento giuridico altri strumenti per tutelare la situazione giuridica soggettiva dei ricorrenti (silenzio inadempimento, risarcimento del danno). Quale precedente conforme si rinvia altresì alla sentenza n. 2812 del 2019 del Tar Lazio, ove viene altresì precisato che il carattere triennale delle graduatorie non consente per espressa previsione normativa l’aggiornamento infratriennale dei punteggi acquisiti;
previsione normativa che non appare né illogica né irrazionale. Al contrario, l’acquisizione del titolo abilitativo appare un fatto idoneo a determinare l’iscrizione, comunque in coda, di altri concorrenti alla relativa fascia, ferma la chiusura delle graduatorie ad esaurimento.

Non emerge, d’altro canto, un contrasto tra la disciplina europea e la normativa nazionale sul tema, posto che la disciplina dei titoli abilitanti rimane di competenza dell’ordinamento nazionale e posto che i requisiti necessari per lo svolgimento dell’attività di insegnante e la loro subordinazione a un titolo abilitante non appaiono contrastare con puntuali disposizione di diritto europeo. Sul punto, (cfr. parere Cons. St. n. 963 del 2019) deve osservarsi che i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento, limitandosi al più a imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, nel rispetto delle procedure di selezione e di reclutamento vigenti (Cons. giust. Ue, VIII, 17.12.2009, n. 586;
sul tema si veda anche Cons. Stato, 6868/2018)
”.

Con la predetta ordinanza è stata altresì disposta l’integrazione del contraddittorio per mezzo di notifica per pubblici proclami mediante pubblicazione dell’avviso sul sito web dell’Amministrazione.

All’udienza straordinaria per lo smaltimento dell’arretrato del 10 maggio 2024 la causa è stata introitata per la decisione.

2. Preliminarmente deve essere rilevato che non risulta versata in atti la prova della integrazione del contraddittorio disposta con l’ordinanza n. 386/2020.

Ad ogni modo il ricorso è infondato.

Reputa il Collegio di aderire all’orientamento già espresso da questo TAR, secondo cui:

Il diploma rilasciato dalle Istituzioni c.d. “di alta formazione artistica, musicale e coreutica” (diploma AFAM) non costituisce, infatti, titolo abilitante all'insegnamento, ai fini della partecipazione al concorso indetto con D.D.G. n. 85/2018 (Cons. Stato, Sez.VI, 3/12/2019, n. 8289). L'art. 17, co. 3, del d.lgs. n. 59 del 2017, per quanto concerne il requisito dell'abilitazione, dispone testualmente: “la procedura di cui al comma 2, lettera b), bandita in ciascuna regione e per ciascuna classe di concorso e tipologia di posto entro febbraio 2018, è riservata ai docenti in possesso, alla data di entrata in vigore del presente decreto, di titolo abilitante all'insegnamento nella scuola secondaria o di specializzazione di sostegno per i medesimi gradi di istruzione, in deroga al requisito di cui all'articolo 5,comma 1, lettera b) e articolo 5, comma 2, lettera b)”. L’art. 4 della legge 21 dicembre 1999 n. 508 (Riforma delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati) ha previsto che:

i) i diplomi rilasciati, tra l'altro, dagli istituti di Alta formazione artistica e musicale in base all'ordinamento previgente “mantengono la loro validità ai fini dell'accesso all'insegnamento, ai corsi di specializzazione e alle scuole di specializzazione” (comma 1);

ii) fino all'entrata in vigore di specifiche norme di riordino del settore, i diplomi conseguiti al termine dei corsi di didattica della musica, compresi quelli rilasciati prima della data di entrata in vigore della legge in esame “hanno valore abilitante per l'insegnamento dell'educazione musicale nella scuola e costituiscono titolo di ammissione ai corrispondenti concorsi a posti di insegnamento nelle scuole secondarie, purché il titolare sia in possesso del diploma di scuola secondaria superiore e del diploma di conservatorio” (comma 2).

Orbene, la suddetta disposizione normativa opera un’espressa distinzione tra validità dei diplomi ai fini “ dell'accesso all'insegnamento” e validità abilitante dei diplomi quale “titoli di ammissione ai concorsi per l'insegnamento”;
in forza di ciò, soltanto i diplomi in “Didattica della musica e conservatorio”, congiunti al diploma di scuola secondaria superiore, sono considerati dalla norma in esame come titoli abilitanti all’insegnamento;
al contrario, ai diplomi degli istituti AFAM, di cui all’art. 1 della l. n. 508/1999 (ancorché congiunti al diploma di scuola secondaria superiore), l’ordinamento giuridico non riconosce valore abilitante, costituendo essi solo titoli idonei all’accesso generico all’insegnamento e, in particolare alla terza fascia delle graduatorie di circolo e di istituto, che consentono le supplenze temporanee e annuali (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenze n. 1548/2020, n. 7994/2020, n. 8392/2020)
(TAR Roma, sent. n. 5136/24. Nello stesso senso, ex multis : C. di St. n. 1222/2023;
1548/2020, n. 7994/2020, n. 8392/2020).

Sul punto il Consiglio di Stato in più decisioni ha precisato, altresì, che:

Le graduatorie ad esaurimento, in cui gli attuali appellanti vorrebbero essere inseriti, discendono dalla trasformazione - ex art. 1, comma 605, lettera c) della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) - delle graduatorie permanenti del personale docente.

La norma in questione enunciava espressamente la finalità di dare "adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico e di evitarne la ricostituzione";
tale finalità era già implicita in normative precedenti, che avevano cercato di rivitalizzare il reclutamento dei nuovi insegnanti attraverso concorso pubblico per esami, certamente più idoneo a selezionare in modo ottimale il personale docente, con modalità pienamente conformi all'art. 97, comma 2, della Costituzione.

Già con decreto legge 6 novembre 1989, n. 357 (Norme in materia di reclutamento del personale della scuola), convertito in legge dall'art. 1, comma 1, l. 27 dicembre 1989, n. 417, nell'art. 2, comma 1, si prevedeva che l'accesso al ruolo docente avesse luogo tramite concorso per soli titoli, ovvero con concorso per titoli ed esami, con riserva di metà dei posti disponibili per ciascuna delle predette tipologie.

Nel successivo D.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), l'art. 399 riproduceva la disposizione sopra riportata, mentre l'art. 401 - come integrato con legge 3 maggio 1999, n. 124 - introduceva appunto le graduatorie permanenti, che assorbivano le graduatorie dei concorsi per soli titoli e prevedevano periodiche integrazioni.

Con la ricordata legge n. 296 del 2006 si è concretizzato - con decorrenza dalla data di entrata in vigore delle legge stessa - l'intento di non consentire ulteriori accessi alla docenza con matrice diversa da quella concorsuale vera e propria, per esami e non per soli titoli, fatto salvo il graduale assorbimento nei ruoli dei docenti che, nel sistema previgente, avevano comunque maturato una lunga esperienza di insegnamento, sulla base di titoli che ne avevano consentito, a suo tempo, l'iscrizione nelle graduatorie permanenti.

Il Collegio osserva che le istanze degli appellanti non potevano comunque consentire deroghe alla disciplina legislativa, che chiaramente precludeva ai nuovi abilitati, o ai possessori di qualsiasi titolo di laurea, l'iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento, costituite per consentire il graduale assorbimento nei ruoli dei "precari storici", mentre era riservata ai nuovi, più giovani aspiranti la sola via dell'accesso concorsuale per esami (fatta salva la possibilità di permanenza degli stessi nelle graduatorie di istituto, destinate a sopperire ad esigenze estemporanee di supplenza).

Tale disciplina non si presta a dubbi di costituzionalità, in base alla consolidata lettura del principio di eguaglianza, che non esclude l'introduzione nel corso del tempo di fattori di differenziazione, secondo un modulo dinamico che non può escludere discipline diverse in situazioni differenti (cfr. Corte Cost. 28 marzo 1996, n. 89 e 24 ottobre 2014, n. 241).

Nella situazione in esame, appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di "precariato storico", per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l'attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi (considerando - in caso di trasformazione del rapporto di lavoro - le vicende del precedente rapporto a termine come intervenute in un unico contratto a tempo indeterminato sin dall'origine: Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, C-307/05, Del Cerro Alonso).

Il Collegio osserva che le disposizioni normative in esame sono coerenti con la disciplina comunitaria, in quanto appunto volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato ” (C. di St. n. 9349/2022).

Orbene, nel caso in esame, essendo i ricorrenti pacificamente privi di abilitazione all’insegnamento, richiesta dall’ordinamento giuridico ai fini della immissione in ruolo, non risultano in possesso del requisito di ammissione al concorso per l’assunzione a tempo indeterminato nella scuola, richiesto espressamente dal decreto impugnato.

3. In conclusione il ricorso deve essere respinto siccome infondato.

4. Attesa la mancata costituzione del Ministero, nulla è dovuto per le spese.

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