TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-10-06, n. 202302869

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-10-06, n. 202302869
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202302869
Data del deposito : 6 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/10/2023

N. 02869/2023 REG.PROV.COLL.

N. 02153/2018 REG.RIC.

N. 00826/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2153 del 2018, proposto da
G B, rappresentato e difeso dall'avvocato A F S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di San Giovanni La Punta, non costituito in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 826 del 2019, proposto da
G B, rappresentato e difeso dall'avvocato A F S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di San Giovanni La Punta, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

degli atti puntualmente indicati nella parte motiva della presente decisione.

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2023 il dott. Daniele Burzichelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso n. 2153/2018 l’interessato ha impugnato: a) l’ordine di demolizione del Comune di San Giovanni La Punta n. 125 in data 1 ottobre 2019, relativo alla “realizzazione di una villetta per civile abitazione ai piani seminterrato, rialzato e sottotetto, abitata dallo stesso proprietario, sita in Via Del Serbatoio 15, nonché” a “tre tettoie precarie realizzate con strutture in ferro e legno, adibite a locali di sgombero”;
b) il diniego di sanatoria n. 19 del 14 novembre 2017.

Nel ricorso, per quanto in questa sede interessa, si rappresenta in punto di fatto quanto segue: a) il ricorrente è proprietario di un tratto di terreno censito in catasto al foglio 3, particelle 79 e 80, della superficie complessiva di metri quadri 1384, ove ha realizzato un fabbricato che costituisce la sua unica abitazione e in cui ospita il figlio sposato, il quale ha un lavoro precario e non sufficiente per sostenere le spese di locazione e gestione di un’autonoma abitazione;
b) con istanza n. 37400 in data 30 dicembre 1986 l’interessato ha presentato domanda di condono ai sensi della legge n. 47/1985 e della legge regionale n. 37/1985;
c) a distanza di trentadue anni, l’Amministrazione, con provvedimento n. 34634 in data 14 novembre 2017, ha respinto la domanda di sanatoria, affermando sommariamente che la costruzione era stata realizzata “presumibilmente” in epoca successiva all’1 ottobre 1983;
d) tale atto non è mai pervenuto al ricorrente, come risulta dalla relata di notifica redatta ai sensi dell’art. 140 c.p.c;
d) ciò ha reso impossibile la contestazione del provvedimento;
e) il Comune ha successivamente adottato l’ordine di demolizione in questa sede impugnato.

Il contenuto dei motivi di gravame può sintetizzarsi come segue: a) l’inesistenza o nullità della notifica del diniego sull’istanza di sanatoria dispiega i suoi effetti sulla legittimità dell’ordine di demolizione;
b) la domanda di condono edilizio, inoltre, si intende accolta decorso il termine di ventiquattro mesi dalla sua presentazione, dovendo al riguardo precisarsi che l’interessato ha provveduto al pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, nonché a presentare all’Ufficio Tecnico Erariale la documentazione necessaria per l’accatastamento;
c) deve anche rilevarsi che, come affermato dal T.A.R. di Catania, Sezione I, con sentenza n. 2257/2013 in data 19 settembre 2012, la mancanza dei documenti richiesti per la concessione del condono edilizio ex art. 35 della legge n. 47/ 1985 non impedisce, comunque, il perfezionamento del silenzio-assenso;
d) il Comune ha ignorato la circostanza che sulla domanda di condono si era ormai formato il provvedimento tacito di accoglimento e non è mai intervenuto in autotutela su tale decisione;
e) va aggiunto che l’Amministrazione non ha tenuto conto del legittimo affidamento maturato in capo all’interessato e non ha reso adeguata motivazione sull’interesse pubblico a fondamento del provvedimento repressivo, anche tenuto conto che il fabbricato insiste in zona edificata e completamente urbanizzata;
e) con sentenza di questo Tribunale, Sezione I, n. 21/1990 si stato affermato che è illegittima la diffida a demolire adottata sulla semplice considerazione dell’abusività dell’opera, senza motivazione alcuna in ordine all’interesse pubblico, qualora sia intercorso un lunghissimo periodo di tempo dalla realizzazione dell’illecito, e ad analoghe conclusioni è giunto il Consiglio di Stato con sentenze della Sezione IV n. 4577/2016 in data 2 novembre 2016, della Sezione VI n. 3372/2018in data 4 giugno 2018 e dell’Adunanza Plenaria n. 9/2017;
f) quanto alle tettoie, nel provvedimento si precisa che “sull’area retrostante l’immobile” erano “collocate delle tettoie coperte con listelli in legno ed ondulina, di cui una di metri quadri 5,00 con struttura in ferro e due precarie di circa metri quadri 15,00, interamente in legno adibite a locali di sgombero”;
g) trattasi, pertanto, di opere precarie, che non necessitano di alcun titolo abilitativo, tenuto conto delle caratteristiche strutturali dei manufatti e della possibilità di una loto agevole rimozione, indipendentemente dall’uso realmente precario e temporaneo che il privato intenda farne.

Con il ricorso n. 826/2019 l’interessato ha impugnato il provvedimento del Comune di San Giovanni La Punta n. 27 in data 12 marzo 2019, con cui è stata disposta l’acquisizione al patrimonio dell’Amministrazione del fabbricato per civile abitazione ai piani seminterrato, rialzato e sottotetto, nonché delle tre tettoie in struttura precaria adibite a locali di sgombero, oltre alla superficie pertinenziale di metri quadri 1.200, ivi compresa l’area di sedime.

Il contenuto dei motivi di gravame può sintetizzarsi come segue: a) l’atto impugnato è illegittimo in via derivata, avuto riguardo alle doglianze esposte in seno al ricorso n. 2153/2018;
b) inoltre, il provvedimento è sprovvisto di adeguata motivazione, essendo stata acquisita la superficie di metri quadri 1.200 (corrispondente al decuplo dell’area di sedime) senza che sul punto l’Amministrazione abbia indicato le ragioni di tale determinazione;
c) in ordine all’acquisizione delle tettoie, come risulta dallo stesso provvedimento, trattasi di opere precarie, sottratte alla necessità di qualsiasi titolo abilitativo e che non possono essere soggette alla misura repressiva della demolizione, né tanto meno a quella dell’acquisizione.

Nella pubblica udienza in data odierna le due cause sono state trattenute in decisione.

Il Tribunale deve, in primo luogo, disporre la riunione dei due giudizi per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.

Tanto precisato, in relazione al ricorso n. 2153/2018 Il Collegio osserva quanto segue.

E’ ininfluente l’ipotetica inesistenza o nullità della notifica del diniego sull’istanza di sanatoria, in quanto nel processo amministrativo rileva, non solo la notificazione, ma anche la “comunicazione o piena conoscenza” dell’atto che si intende contestare (art. 41, secondo comma, c.p.a.) e nel caso di specie tale piena conoscenza è effettivamente intervenuta, a prescindere dalla ritualità della notifica, come dimostrato dal fatto che l’interessato ha proposto gravame avverso il diniego di sanatoria.

La domanda di condono, inoltre, si intende accolta, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (sul punto, cfr., ad esempio, Consiglio di Stato, VI, 12 aprile 2023, n. 3676) solo in presenza di tutti i presupposti formali e sostanziali contemplati dalla norma (nella specie l’art. 35 della legge n. 47/1985), inclusa la prova che l’edificazione sia intervenuta in epoca anteriore all’1 ottobre 1983.

Nel caso di specie tale piena prova non sussiste e al riguardo occorre tener conto che la giurisprudenza (cfr., ad esempio, Consiglio di Stato, VI, 21 agosto 2023, n. 7984) ha precisato che, per quanto attiene alla data di completamento delle opere (rilevante anche ai fini dell'accertamento della formazione del silenzio-assenso sulla domanda di condono edilizio), l'onere della prova circa la data di commissione dell'abuso incombe sull'interessato, ovvero sul richiedente la sanatoria, e solo concreti, specifici e rigorosi elementi di prova, non limitati a semplici allegazioni, sono idonei ad assolvere tale incombente

Nell'ipotesi di istanza di condono edilizio spetta, quindi, all'istante l'onere di provare l'esistenza di tutti i presupposti per il rilascio del provvedimento di sanatoria, tra cui, in primis , la data dell'abuso e tale onere va assolto in modo rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e, comunque, su elementi oggettivi, non avendo alcuna rilevanza, ad esempio, eventuali dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o mere dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate.

In materia di repressione degli abusi edilizi vengono, poi, in rilievo atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale in ordine all’intervento repressivo, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile del privato alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (sul punto, cfr., fra le tante, T.A.R. Campania, Napoli, IV, n. 3110/2020;
Consiglio di Stato, II, n. 3485/2020, n. 1765/2020, n. 549/2020;
Consiglio di Stato, VI, n. 7793/2019 e n. 3685/2019;
nonché Consiglio di Stato, Ad. Plen., 17 settembre 2017, n. 9).

Il carattere vincolato dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi rende anche superflua la comunicazione di avvio del procedimento, dal momento che, salvo ipotesi del tutto residuali, non è possibile alcun utile apporto partecipativo dell’interessato, come pure risulta inutile una specifica motivazione, risultando sufficiente l'individuazione degli abusi commessi (sul punto, cfr., fra le più recenti, T.A.R. Campania, Napoli, II, n. 2842/2020;
T.A.R. Campania, Napoli, III, n. 78/2020;
T.A.R. Campania, Napoli, VIII, n. 4765/2020;
T.A.R. Liguria, Genova, I, n. 723/2019).

L’Adunanza Plenaria n. 9 in data 17 settembre 2017, in particolare, ha solo affermato che il legittimo affidamento rileva quando l’edificazione sia intervenuta a seguito del rilascio di un titolo edilizio su cui l’Amministrazione decida successivamente di intervenire in autotutela, sicché il principio non può trovare applicazione nella fattispecie in esame.

La circostanza, inoltre, che specifiche opere non necessitino di titolo edilizio non può assumere rilievo quando esse si inseriscano nell’ambito di un più complesso intervento abusivo.

A tale ultimo riguardo è stato, infatti, precisato che, qualora le opere abusive siano tra loro connesse, dando luogo ad un intervento unitario, deve procedersi all'integrale ripristino dello stato dei luoghi, mediante la demolizione e rimozione di tutte le opere accertate come abusive dall'Amministrazione, ovvero può presentarsi istanza di sanatoria - qualora possibile - riferita al complessivo intervento abuso unitariamente considerato (sul punto, cfr. Consiglio di Stato, VI, n. 515/2021).

Non è, quindi, possibile distinguere fra interventi abusivi, sanabili o di edilizia libera, dovendo farsi riferimento alla complessiva edificazione abusiva.

Per le considerazioni che precedono il ricorso n. 2153/2018 va respinto.

Quanto al ricorso n. 826/2019 il Tribunale osserva quanto segue.

Le censure formulate in via derivata risultano, ovviamente, infondate per quanto già esposto e ciò vale anche per il rilievo, riproposto come autonoma doglianza, con cui l’interessato ha osservato che le tettoie non potevano essere oggetto dell’ordine di demolizione e, conseguentemente, del provvedimento di acquisizione.

Appare anche infondata la censura relativa al difetto di motivazione in relazione all’acquisizione dell’area ulteriore rispetto a quella di sedime in quanto nel provvedimento è stato chiarito che tale ulteriore acquisizione è dipesa dalla necessità di disporre di una superficie che, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, corrispondesse a quella necessaria per la realizzazione dell’intervento abusivo.

Pertanto, non può affermarsi che la decisione del Comune sia stata in parte qua immotivata.

Anche il ricorso n. 826/2019, pertanto, va rigettato.

Nulla deve disporsi in ordine alle spese di lite, in quanto l’Amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.

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